IL ROBOT INDUSTRIALE - caratteristiche tecniche ed applicazioni operative Dott. Lotti Nevio

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1 1. ORIGINI E SVILUPPI DELLA ROBOTICA INDUSTRIALE. Il termine robot deriva dal cecoslovacco robotnik, che letteralmente significa lavoratore forzato o schiavo o servo, e possiede un origine letteraria e fantastica: esso fu introdotto e usato per la prima volta nel 1921, dallo scrittore e drammaturgo cecoslovacco Karel Capek nel suo dramma fantascientifico R.U.R. Rossum s Universal Robots (I Robot Universali della Rossum). Nell opera di Capek, la società Rossum produce uomini e donne artificiali da utilizzare come lavoratori. Ciò comporta l esclusione di attributi umani inutili come sentimenti ed emozioni; tutto ciò che rimane loro è la capacità di lavorare. I robot sono venduti dalla Rossum come lavoratori versatili, e a tempo debito sono usati come soldati in guerra. Poi un associato della Rossum trova il modo di introdurre nei robot dolore ed emozioni, finendo col porre le basi per una ribellione da parte degli androidi con conseguente distruzione del genere umano. Ma è tra la fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60 che inizia la vera storia dei robot, e che questo termine abbandona una accezione letteraria e fantascientifica per assumerne una tecnica ed industriale. Il primo robot industriale fu prodotto dalla società statunitense Unimation Inc.: questa azienda realizzò nel 1959 un prototipo funzionante, e installò nel 1961 il primo robot presso gli impianti della General Motors per il trattamento di parti realizzate in pressofusione al fine di sostituire l uomo in questo pericoloso ed insalubre lavoro (esposizione ad elevate temperature, rischio di essere colpiti da spruzzi bollenti di metallo fuso, inalazione di fumi nocivi). Il compito di questo robot, denominato Unimate, era appunto quello di assistere una macchina per la pressofusione, estrarne i getti di metallo ad altissima temperatura ed immergerli in un bagno d acqua per farli raffreddare. Pochi anni dopo la stessa Unimation realizzò un robot capace di eseguire saldature a punti nelle carrozzerie delle automobili. Nel 1966 la Trallfa, azienda norvegese produttrice di apparati per la meccanizzazione in agricoltura, non riuscendo a reperire manodopera per la verniciatura a spruzzo delle proprie macchine, sviluppò un manipolatore in grado di eseguire automaticamente tale operazione, che venne poi prodotto in molti esemplari e commercializzato con successo. Il primo robot italiano fu invece realizzato nel 1969 dalla DEA: si trattava di una macchina per la saldatura a punti. Nel 1973 la Olivetti costruì, per uso interno, un sistema di montaggio a più bracci, nel quale vennero utilizzati per la prima volta dei sensori tattili. Era il prototipo del modello che sarebbe stato commercializzato a partire dal 1976 con il nome di SIGMA. Il SIGMA rappresenta una delle prime applicazioni della robotica nelle operazioni di assemblaggio. Nel 1974 la svedese Asea iniziò a commercializzare il robot IRb6 ad attuazione elettrica. Sempre nel 1974 la produzione dei robot si estese al Giappone, inizialmente ad opera della Kawasaki Heavy Industries -su licenza della Unimation-, che installò nei propri impianti macchine per la saldatura ad arco di telai di motociclette. A metà degli anni 70 entrarono nell industria robotica grandi aziende, come le statunitensi Cincinnati Milacron, Adept, IBM, AMF, la francese ACMA- Renault, l italiana COMAU-Fiat, le tedesche Kuka e Volkswagen, le nipponiche Fanuc, Yaskawa, Seiko. Nel 1974 la Cincinnati Milacron produsse il T-3 (The Tomorrow Tool, cioè La Macchina del Domani), un robot molto sofisticato, capace 1

2 di scegliere punte da trapano da uno scaffale portautensili, praticare una serie di fori con tolleranza di 0,13 mm e rifinire ad una macchina utensile il contorno di 250 tipi di parti. Tale robot produceva parti con una velocità fino a cinque volte maggiore di quella di lavoratori umani, senza scarti. Nel 1978 gli ingeneri della Unimation realizzarono un robot più piccolo rispetto all originario Unimate, chiamato PUMA (Programmable Universal Machine for Assembly, cioè Macchina Universale Programmabile per l Assemblaggio), destinato al montaggio di piccoli pezzi nei motori delle automobili. Sempre nel 1978 il robot T-3 della Cincinnati Milacron venne adattato per eseguire operazioni di trapanatura ed altre operazioni su pezzi di aerei, col supporto del progetto ICAM (Integrated Computer Aided Manufacturing, cioè Produzione Integrata Assistita da Calcolatore) della Aviazione Militare USA. Nel 1981 i giapponesi commercializzarono il robot cilindrico SCARA, addetto all assemblaggio. Nel 1982 la statunitense IBM realizzò il robot cartesiano RS-1 per l assemblaggio di parti. Per tutti gli anni 80 si assiste alla costruzione di robot sempre più sofisticati, in grado di svolgere, oltre all assemblaggio, altre operazioni complesse quali: la saldatura ad arco adattiva, che permette una correzione in tempo reale durante lo svolgimento dell operazione, non richiede di posizionare i pezzi da giuntare con alta precisione, accetta diversi tipi di giunto; le ispezioni sui prodotti, per rilevare eventuali difetti di fabbricazione, nell ambito del controllo di qualità; la sbavatura, una lavorazione che presenta, pur nella sua semplicità concettuale, un alta difficoltà intrinseca per l estrema variabilità delle forme dei pezzi e delle caratteristiche dei materiali; ecc. Attualmente lo sforzo maggiore, nel campo della robotica industriale (e non solo industriale), è diretto a realizzare un robot in grado di auto-istruirsi per l esecuzione di un compito assegnato (cd. intelligenza artificiale). Il robot ha avuto la sua piena diffusione in ambito industriale a partire dagli anni 70: le grandi case automobilistiche statunitensi (General Motors, Ford, Chrysler) furono le prime a servirsi dei robot per la produzione; essi erano addetti alla saldatura e verniciatura delle scocche, ed alla movimentazione di pezzi. L altra industria statunitense leader nell adozione dei robot all interno del processo produttivo fu quella elettromeccanica. Ma è tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80, che i robot vennero ad essere apprezzati anche fuori dell industria automobilistica ed elettromeccanica e che furono introdotti in modo massiccio in tutti gli altri processi industriali. I robot industriali possono essere classificati in tre stadi temporali evolutivi, ossia in tre fasi storiche, a seconda del grado di tecnologia che utilizzano per operare. Si parla in tal senso di tre cd. generazioni di robot. I robot della prima generazione sono quelli introdotti all inizio degli anni 60. Essi erano in grado di compiere operazioni di carico/scarico di macchine utensili o semplici operazioni di manipolazione di pezzi e materiali. Tali robot erano progettati per ripetere una successione di operazioni predeterminate, indipendentemente dai cambiamenti dell ambiente circostante: si trattava infatti di robot ciechi, sordi e muti, che non disponevano di apparecchiature per relazionarsi ed entrare in contatto col mondo esterno, per cui l ambiente nel quale lavoravano doveva essere strutturato in modo tale da facilitare le loro azioni, e gli oggetti che 2

3 maneggiavano dovevano essere disposti in modo predefinito. I robot della prima generazione erano esclusivamente meccanici a funzionamento pneumatico: i loro regolatori erano costituiti da tamburi a dividere seguiti da camme o da relè che controllavano delle valvole pneumatiche. Tali robot non operavano sotto servocontrollo, per cui il loro braccio, dopo aver ricevuto un comando, lo eseguiva fino a quando non veniva arrestato da un fine corsa, per poi ripartire non appena riceveva un altro comando: per questo motivo venivano comunemente soprannominati robot fracassoni, a causa del rumore prodotto dal braccio che urtava contro i fermi meccanici usati per limitarne i movimenti. I robot della seconda generazione sono stati introdotti negli anni 70. Essi erano in grado di svolgere compiti più complessi quali saldature a punto, verniciatura, taglio, foratura, ecc. Avevano elementari capacità di comunicare con l ambiente circostante: erano infatti dotati di capacità sensoria, grazie a sensori che trasmettevano informazioni relative alla presenza, alla posizione e all orientazione di oggetti circostanti. Queste macchine, dunque, rispetto alle precedenti avevano in tal senso una maggiore intelligenza dell ambiente. Si trattava di sistemi meccanici ed elettronici insieme, dotati di servocontrollo: tali robot erano equipaggiati con motori, che venivano regolati in velocità ed accelerazione dal sistema di controllo per mezzo di trasduttori. Il sistema di controllo era costituito da un PLC (programmatore logico combinatorio) o da una teach-box. Questi robot potevano essere programmati per spostamenti da punto a punto o lungo un percorso continuo; la programmazione avveniva, on-line, manualmente o per mezzo di un telecomando. Inoltre i robot della seconda generazione disponevano di capacità diagnostiche di basso livello, che generalmente si limitavano a segnalare le avarie all operatore tramite spie luminose; spettava quindi all operatore risalire alle effettive cause dell avaria. I robot della terza generazione sono stati introdotti negli anni 80. Sono in grado di svolgere operazioni altamente sofisticate come le operazioni di assemblaggio, la saldatura ad arco adattiva, le ispezioni tattili, la prova di componenti e prodotti, lavorazioni complesse di trasformazione di pezzi, ecc. Dispongono di un alta capacità sensoria: sono, infatti, in grado di regolare adattivamente i propri movimenti e di compensare i cambiamenti di posizione ed orientamento dei pezzi, cioè sono robot capaci di accorgersi di eventuali cambiamenti esterni potendo così modificare le loro azioni in modo corretto (per es., come nella saldatura ad arco adattiva, nel corso della quale il robot utilizza la visione o la percezione attraverso l arco per localizzare il giunto di saldatura ed ottenere informazioni di guida del movimento). Si tratta di sistemi meccanici ed elettronici insieme, che operano sotto servocontrollo. Il sistema di controllo è costituito da un calcolatore. Possono essere programmati per spostamenti da punto a punto o lungo percorsi continui; la programmazione viene effettuata, off-line (ma può, comunque, avvenire anche online), con linguaggi informatici ad alto livello per mezzo di un terminale (tastiera e video). Infine i robot della terza generazione hanno un alta capacità diagnostica: in tal senso possono interagire con l operatore in modo complesso inviandogli messaggi, per descrivere la natura e l ubicazione delle eventuali avarie. 3

4 E possibile individuare anche una quarta generazione di robot, che sono quelli attualmente in fase di sviluppo. Lo scopo dei ricercatori è quello di sviluppare robot in grado di prendere decisioni in modo totalmente indipendente sulla base di eventi e regole (la cd. intelligenza artificiale), al fine di eseguire compiti più complessi. In questi robot si cerca di realizzare anche una raffinata facoltà sensoriale, in modo tale da raggiungere la vera coordinazione occhio-mano propria dell uomo. E inoltre probabile che i robot della quarta generazione saranno delle apparecchiature non metalliche: infatti, dal momento che i prezzi dei materiali ad alto contenuto tecnologico sono in costante diminuzione, tali robot saranno presumibilmente costruiti con materiali in fibra o con composti di grafite; si tratterà dunque di macchine più leggere rispetto alle attuali unità. Ma questo, almeno per il momento, è ancora futuro 2. DEFINIZIONE DI ROBOT INDUSTRIALE. Nonostante i robot industriali abbiano fatto la loro comparsa più di quarant anni fa e nonostante la massa di studi e di convegni scientifici sull argomento, non esiste ancora oggi una definizione consolidata di robot industriale. Nel corso degli anni sono state elaborate varie definizioni formali, sia da parte dell Istituto Statunitense di Robotica (RIA, Robotics Institute of America), sia dall Associazione Robotica Giapponese (JIRA, Japan Industrial Robot Association), sia dalla International Standards Organization (ISO), ecc., ma nessuna di queste può essere riconosciuta come universalmente valida. Volendo dare una definizione sintetica, ma comunque efficace, è possibile dire che un robot industriale è: - un sistema meccanico-elettronico (o meccatronico) - manipolatore - a più gradi di libertà - programmabile ed automatico - che opera sotto il comando di una unità di controllo, dotata di un dispositivo di memoria. Un robot è un sistema meccanico-elettronico nel senso che: è formato sia da elementi meccanici sia da componenti elettronici. E comunque da ricordare -come già detto in precedenza- che i primi robot, cioè quelli di prima generazione, erano sistemi esclusivamente meccanici. In seguito l avvento della micro-elettronica, con il transistore (transistor) ed il circuito integrato miniaturizzato (micro-chip), ha reso possibile la realizzazione di robot come sistemi meccano-elettronici (robot di seconda e terza generazione), dotati di sensori, che permettono alla macchina di interfacciarsi con l ambiente di lavoro circostante, e di una elettronica di controllo (calcolatore), che governa il sistema. Un robot è un manipolatore nel senso che: è orientato alla movimentazione di parti, materiali o utensili nelle attività produttive di tipo discreto (nelle quali cioè vengono trattati oggetti individuali e numerabili). L espressione a più gradi di libertà significa che: coi robot si cerca di riprodurre la funzionalità degli arti umani superiori; un robot difatti ha sovente l aspetto di un braccio (o più bracci) che 4

5 termina con un polso ed un organo di presa, tutti più o meno articolati ed estendibili. Il termine programmabile significa che: un robot è in grado di apprendere un ciclo di lavoro. Il termine automatico significa che: un robot, una volta che è stato programmato, può effettuare autonomamente (cioè senza l intervento diretto dell uomo) la medesima funzione in modo ripetitivo. Un robot opera sotto il comando di una unità di controllo, dotata di un dispositivo di memoria: l unità di controllo è il cervello elettronico del robot (che riproduce in un certo qual modo il cervello umano) ed è responsabile della gestione del movimento del robot; tale unità di controllo è dotata di una memoria dove viene inserito ed immagazzinato il programma di istruzioni relativo alla specifica lavorazione. 3. PARTI COMPONENTI UN ROBOT INDUSTRIALE. Un robot industriale è fisicamente composto da due unità: a) una unità meccanica addetta materialmente alla lavorazione b) una unità elettronica di programmazione e controllo. L unità meccanica sub a) è detta manipolatore. Tale manipolatore ha una forma tipicamente antropomorfa (cioè rassomigliante agli arti superiori dell uomo), tanto è vero che per descriverlo si ricorre a termini anatomici. Esso è costituito nella sua struttura: 1) dal piede (o base), che è il supporto fisso, ancorato al terreno, intorno al quale si muove il robot (robot fisso); in alcuni casi il piede può essere montato su una rotaia (disposta al suolo o in posizione aerea), lungo la quale si muove il robot (robot mobile) 2) dal braccio, che è il meccanismo composto da una catena (catena cinematica) di elementi rigidi (membri) collegati in serie da snodi a traslazione o a rotazione (giunti; vi sono due tipi di giunti: quelli prismatici il cui moto è una traslazione T, e quelli rotativi o anche detti rotoidali il cui moto è una rotazione R; vi sono anche giunti sferici ed elicoidali che possono essere considerati come opportune combinazioni di giunti prismatici e rotativi) 3) dalla spalla, che è la prima articolazione del braccio 4) dal gomito, che è la seconda articolazione del braccio 5) dal polso, che è l articolazione finale del braccio e che serve ad orientare il sotto indicato terminale 6) il terminale, che è il generico dispositivo fissato all estremità del polso e che serve per effettuare il lavoro cui il robot è deputato; il terminale può essere costituito da un organo di presa (cioè di un dispositivo specializzato per afferrare e trattenere oggetti: una mano dotata di due o più dita meccaniche, una pinza, delle ventose, degli organi elettromagnetici, ecc.) o da un utensile (una sega circolare, un trapano, ecc.) o da uno strumento di misura (della temperatura, della pressione, ecc.; come, per es., un termometro), in funzione delle mansioni cui il robot è adibito. L unità meccanica è dotata di: 5

6 - organi sensori, che permettono al robot di entrare in contatto con l ambiente circostante e di raccogliere informazioni esterne (dunque i sensori svolgono la funzione di unità di entrata dati) - organi attuatori, che trasmettono la forza e il movimento al manipolatore, in relazione ai dati esterni raccolti dai sensori (dunque gli attuatori svolgono la funzione di unità di uscita dati). I sensori e gli attuatori completano l unità meccanica e rappresentano la periferia del robot. L unità elettronica di programmazione e controllo sub b) è composta da un calcolatore, che rappresenta il cervello elettronico del robot e che assolve alle seguenti funzioni fondamentali: - memorizza il programma di istruzioni relativo al lavoro che il robot deve svolgere - comanda i movimenti del manipolatore -in base al programma di istruzioni contenuto in memoria- - riceve i dati dal mondo esterno tramite i sensori, li analizza e prende le conseguenti decisioni inviando gli ordini operativi agli attuatori. L unità elettronica di programmazione e controllo è dotata: 1) di una unità di memoria (costituita da un supporto mnemonico hardware; un disco di memoria), dove viene memorizzato il programma di istruzioni 2) di un terminale di interfacciamento -o consolle di programmazione analogamente- (composto da una tastiera alfanumerica e da un video), per mezzo del quale l operatore umano può programmare il robot ed interagire con esso; infatti tramite la tastiera è possibile inserire il programma di istruzioni relativo alla lavorazione nella suddetta unità di memoria; sempre tramite la tastiera l operatore può bloccare il robot in caso di anomalie, difformità di lavorazione, ecc.; infine per mezzo del videoterminale l unità di controllo può comunicare con l operatore inviandogli messaggi, per riferire circa la natura e l ubicazione di eventuali avarie o malfunzionamenti 3) di una unità di elaborazione aritmetico-logica (costituita da un componente hardware; un micro-processore), che traduce e codifica in linguaggio numerico (digitale) i dati in entrata (le istruzioni del programma e le informazioni esterne raccolte dai sensori) e trasmette i dati in uscita agli attuatori intervenendo opportunamente su di essi, permettendo così il movimento del manipolatore; inoltre l unità di elaborazione controlla che ogni movimento trasmesso al braccio, tramite gli attuatori, sia compiuto correttamente secondo le istruzioni del programma, chiudendo in questo modo l anello di controllo; questa attività, appena descritta, di codifica, di interfacciamento e di controllo ad opera dell unità di elaborazione rispetto ai sensori e agli attuatori è propriamente detta retroazione (feedback). L unità di programmazione e controllo è fisicamente rappresentata da un contenitore metallico di forma rettangolare, detto armadio, contenente tutta la componentistica hardware che costituisce tale unità. 4. CLASSIFICAZIONE DEI ROBOT INDUSTRIALI. 6

7 I robot possono essere classificati considerando aspetti diversi della loro operatività. Le principali classificazioni si basano su: a) geometria e movimenti (classificazione cinematica) b) applicazioni (classificazione funzionale) come di seguito analizzate. La classificazione cinematica si basa sui gradi di libertà del braccio (fino all altezza del polso, escluso), per cui vi sono robot: 1) a geometria cartesiana; questi si muovono lungo tre assi lineari ortogonali, secondo le coordinate cartesiane x, y, z (tre giunti prismatici, in successione TTT); si tratta di robot che presentano elevata precisione, forte capacità di carico e facilità di programmazione, ma che comportano un costo elevato ed un notevole ingombro 2) a geometria cilindrica; questi si muovono all interno di un volume di lavoro cilindrico, secondo due assi di traslazione ed uno di rotazione (due giunti prismatici ed uno rotativo, così alternati TRT); offrono i vantaggi di un elevata velocità, di una forte capacità di carico e di un basso ingombro, ma sono affetti da scarsa precisione e da una programmazione complessa 3) a geometria polare (o sferica anche detta); questi si muovono all interno di un volume di lavoro sferico, secondo due assi di rotazione ed uno di traslazione (un giunto prismatico e due rotativi, in successione RRT); hanno i pregi di una buona velocità di lavoro, di un basso ingombro e di una programmazione semplice, ma presentano lo svantaggio di una scarsa precisione 4) a geometria articolata; questi si muovono secondo tre assi di rotazione (tre giunti rotativi, in successione RRR ); sono robot dotati di alta velocità di lavoro e di grande precisione, hanno ingombro ridotto, sono economici, ma la loro programmazione è complessa. Tali geometrie suddette sono quelle generalmente più utilizzate in robotica. Fra queste geometrie, ovviamente, come si è appena visto, esistono precisi trade-off di ordine tecnico in termini di velocità, precisione, portata, caratteristiche queste che definiscono la performance del robot: in ogni determinata geometria, ciascuna di queste caratteristiche viene raggiunta ed incrementata solo a detrimento di qualche altra. In particolare, però, l architettura articolata sembra essere la più efficiente, dato che: consente un ampio volume di lavoro; è adatta, in via generale, per quasi tutte le lavorazioni (architettura polivalente e versatile); presenta una buona capacità di evitare ostacoli interposti. La struttura cartesiana risulta particolarmente adatta per la saldatura ad arco e l assemblaggio. I robot cilindrici, invece, possono effettuare solo operazioni di manipolazione e assemblaggio; mentre quelli polari sono in grado di svolgere solo la saldatura per punti e la manipolazione. In tutte le sopra citate categorie di robot, il braccio è sempre formato da tre membri, che è il numero minimo di membri necessario per accedere a tutti i punti di uno spazio di lavoro. Non è escluso però che, per assolvere a compiti particolari -come, per es., evitare ostacoli fissi-, possa essere utile impiegare robot composti da un numero maggiore di membri. Esistono comunque anche bracci con due soli membri, che si usano quando è sufficiente lavorare su un piano. 7

8 La classificazione funzionale si basa sulle operazioni che il robot è in grado di compiere. La tendenza iniziale (anni 60) di costruire un robot universale è stata ormai sostituita dalla realizzazione di robot dedicati, cioè atti a svolgere solo una determinata applicazione. Generalmente si distingue tra robot: 1) di movimentazione (o di manipolazione analogamente); questi robot sono addetti semplicemente allo spostamento di pezzi, e non eseguono quindi alcun tipo di lavorazione; le applicazioni più frequenti sono quelle di carico/scarico di pezzi alle macchine utensili (per lo stampaggio, il trattamento termico, ), trasferimento di semilavorati da una stazione di lavoro all altra, trasferimento di pezzi da un nastro trasportatore all altro, sistemazione e prelevamento di imballaggi e merci in magazzino, manipolazione di utensili per riattrezzare le macchine operatrici, manipolazione di materiali pericolosi (materiali esplosivi, radioattivi, ), ecc.; spesso, per quanto riguarda il trasferimento di semilavorati da una stazione di lavoro all altra, uno stesso robot viene impiegato per assistere più macchine operatrici (tornio, trapano, fresa, ecc.): il robot viene collocato centralmente rispetto ad esse, disposte a cerchio, e ha essenzialmente il compito di trasferire il semilavorato da una macchina all altra (cd. cellula o isola di fabbricazione con robot servente) 2) di lavorazione (o di processo analogamente); si tratta di robot che eseguono lavorazioni vere e proprie, tramite utensili portatili collegati al polso; le applicazioni più comuni riguardano la saldatura (per punti e ad arco), la verniciatura, le operazioni di foratura, trapanatura, molatura, taglio, sbavatura, incollaggio, sigillatura, lucidatura, smerigliatura 3) di assemblaggio (o di montaggio analogamente); si tratta di robot in grado di assemblare pezzi, parti, componenti di vario tipo (meccanico, elettronico, elettrico; es., montaggio di componenti elettronici su un circuito stampato, assemblaggio di parti di una pompa dell acqua per automobile); questa operazione è in genere assai complessa e delicata, e richiede pertanto robot con buone capacità sensoriali (per il riconoscimento del pezzo e del suo orientamento) e molto precisi (per il rispetto delle tolleranze) 4) di ispezione e controllo; questi robot vengono utilizzati per il controllo dimensionale dei pezzi, ossia per rilevare eventuali difetti dimensionali del prodotto: sono capaci di controllare i valori dimensionali di un pezzo fabbricato, per poi confrontarli con i valori teorici al fine di verificarne il rispetto. 5. SOLUZIONI COSTRUTTIVE DEL BRACCIO. a) Materiali. I materiali più utilizzati per costruire i membri del robot sono: 1) acciaio 2) duralluminio 3) titanio 4) magnesio 5) compositi. Tuttavia la tendenza attuale è quella di utilizzare membri in alluminio, dato che questo materiale è leggero e nello stesso tempo rigido (la rigidezza dei membri è 8

9 importante, perché riduce le vibrazioni e gli attriti), e ha un costo assai competitivo. I materiali compositi sono più leggeri dell alluminio, ma hanno un costo elevato. b) Cuscinetti. Nei giunti si utilizzano, in generale, cuscinetti a rotolamento, poiché quelli a strisciamento presentano un attrito elevato e notevoli problemi inerenti ai giochi (i giochi devono essere evitati, perché introducono variabili aleatorie nel comportamento cinematico del robot). c) Equilibramento. Alla estremità del braccio, opposta al terminale, viene montata una massa equilibrante al fine di garantire la stabilità del braccio. Tale massa equilibrante, infatti, riduce le vibrazioni del braccio ed assicura la compensazione dei carichi destabilizzanti. Spesso la massa equilibrante è costituita dai motori stessi. E comunque ovvio che l equilibramento risulta sempre approssimativo, perché il carico non è costante è la configurazione che il robot può assumere è molto variabile. d) Gradi di libertà (GDL). I GDL (anche detti assi) sono il numero dei giunti di un manipolatore; ad un manipolatore a n giunti si attribuiscono n GDL (per es., se n = 6 giunti, allora esistono 6 GDL). I GDL determinano la capacità del manipolatore di articolarsi in posizioni e orientazioni diverse. Il braccio di un robot (escluso il polso), per raggiungere ogni punto all interno del suo volume di lavoro, possiede generalmente almeno tre GDL (realizzati grazie all impiego di tre giunti): 1) la rotazione del braccio rispetto al piede 2) l estensione della spalla 3) l estensione del gomito. Spesso, però, il braccio di un robot deve non solo raggiungere ogni punto nell ambito del suo volume di lavoro ma anche poter muovere il suo terminale per compiere l orientazione richiesta. Per es., per eseguire un foro nel pezzo da lavorare, il braccio deve non solo raggiungere con la punta del trapano il punto voluto, ma anche orientare il trapano nel modo desiderato (perpendicolarmente alla superficie da forare). Le tre coordinate sopra dette non possono descrivere anche l orientazione dell utensile (o della mano). Pertanto anche il polso deve essere dotato di GDL: generalmente i GDL del polso sono tre (realizzati con l impiego di altri tre giunti); diversi tipi di polsi sono reperibili sul mercato, differenziati per numero di GDL. E quindi necessaria un altra terna di coordinate, che definiscono i tre GDL del polso. In genere si ricorre a coordinate angolari, che sono le seguenti (con terminologia derivata dall aerodinamica): 4) angolo di rollio 5) angolo di imbardata 6) angolo di beccheggio. Per comprendere il significato di questi termini, si può distendere un braccio in avanti, col polso e le dita tesi ed il palmo della mano rivolto verso il basso. Ruotando il palmo verso l alto, tenendo le dita distese in avanti, si ottiene un movimento di rollio (prono-supinazione). Se, con l avambraccio teso e senza effettuare alcun rollio, si piega il polso verso il basso e poi verso l alto, si ottiene un movimento di beccheggio. Infine, se si piega il polso a sinistra e poi a destra, senza effettuare alcun rollio o beccheggio, si ottiene un movimento di imbardata. Dunque, 9

10 considerando la prima terna di coordinate e la seconda appena descritta, si ottiene un assetto definito da sei coordinate ossia da sei GDL complessivi nello spazio: i primi tre relativi al movimento del braccio ed i secondi tre relativi al movimento del polso (per l orientazione del terminale). Il braccio umano ha sette GDL (escluse le articolazioni della mano): due nella spalla, due nel gomito e tre nel polso. Infatti, anche senza spostare il busto, un uomo può puntare le dita in quasi tutte le direzioni intorno a lui. Tuttavia, come quelle del braccio umano, anche le articolazioni dei robot (cioè i giunti) hanno delle limitazioni di escursione, per cui i robot non possono raggiungere certe combinazioni di posizione ed orientazione. Quindi, un robot industriale generalmente ha sei GDL, che è il numero minimo teorico affinché il suo braccio possa raggiungere ogni punto all interno dello spazio di lavoro ed il suo terminale sia in grado di assumere qualunque orientazione all interno di detto spazio (i robot industriali a sei GDL sono diventati uno standard alla fine degli anni 70, con il PUMA della Unimation). Tuttavia esistono anche robot dotati di un minor numero di GDL (< 6): tali robot non possono eseguire tutti i compiti nello spazio di lavoro, ma solo compiti in un certo sotto-insieme. In casi particolari può essere necessario disporre di un braccio e di un terminale dotati di maggiore manovrabilità (per es., per evitare ostacoli intermedi), per cui si utilizzano robot aventi un maggior numero di GDL (> 6): questi robot possono eseguire un dato compito in infiniti modi. Ovviamente, aumentano anche i problemi relativi all azionamento ed al controllo degli assi, per cui tale opzione con GDL > 6 è adottata solo quando è strettamente necessario. I robot che senz altro devono essere dotati di almeno sei GDL, affinché il braccio possa avere una buona elongazione ed articolazione, sono in particolare i robot: di verniciatura, che sono per lo più destinati ad operare su pezzi voluminosi (tipiche le scocche delle automobili) e necessitano per questo di campi di azione molto ampi; di saldatura a punti utilizzati nell industria automobilistica, dato che devono raggiungere aree interne alla scocca dell autovettura difficilmente accessibili; di assemblaggio, che effettuano il montaggio di una vasta gamma di prodotti e necessitano pertanto di un potere manipolativo completo. 6. ATTUATORI. Gli attuatori sono i meccanismi atti a realizzare il movimento del braccio robotico secondo i suoi gradi di libertà, attraverso l azionamento e il controllo dei giunti. Gli attuatori si trovano in prossimità dei giunti: vi è un attuatore per ogni giunto ossia per ogni grado di libertà. Ogni attuatore è formato da due parti: a) un dispositivo di azionamento, che trasforma l energia disponibile in energia meccanica (solitamente posizionato all esterno del braccio) b) un dispositivo di regolazione, che controlla le variabili del moto ossia la velocità, la accelerazione, la forza e la posizione dell articolazione (solitamente posizionato all interno del braccio). 10

11 L energia d uscita di un attuatore è sempre meccanica, mentre l energia d ingresso può essere di natura diversa. In base al tipo di energia in ingresso, gli attuatori possono essere classificati in tre gruppi: 1) attuatori pneumatici, che usano l energia pneumatica fornita da un compressore ad aria 2) attuatori idraulici, che sfruttano l energia idraulica sviluppata da un compressore oleodinamico 3) attuatori elettrici, che utilizzano l energia elettrica fornita dalla rete. Gli attuatori pneumatici trasformano l energia pneumatica in energia meccanica. Questi attuatori sono stati ampiamente utilizzati nelle prime esperienze. Ad oggi sono quasi completamente sostituiti, come azionamenti principali, dagli attuatori elettrici. Attualmente rimangono molto diffusi soltanto negli organi di presa: infatti sono ideali per gli organi di presa dei robot manipolatori, nei quali la forza sviluppata dal compressore chiude la pinza. Le caratteristiche di questi attuatori sono: alta velocità di esecuzione, media potenza, basso costo, pulizia del sistema (assenza di perdite d olio, ecc.). A fronte di tali vantaggi, vi sono però i seguenti svantaggi: limitata precisione, rumorosità, perdite d aria, necessità di filtri per l aria, esigenze di manutenzione. Tali attuatori vengono impiegati nel 10% dei casi circa. Gli attuatori idraulici trasformano l energia idraulica in energia meccanica. Questi attuatori presentano una elevata potenza (sono ideali per la movimentazione di grossi carichi, oltre i 100 kg), una elevata velocità, una discreta precisione. Hanno però i seguenti svantaggi: scomodità di alloggiamento delle tubazioni (tubazioni ingombranti), scarsa pulizia del sistema e rischio d incendio (perdite d olio), dissipazione dell energia (il movimento delle particelle d olio genera attriti e riscaldamento dell olio) e quindi costo energetico elevato, costo costruttivo elevato, alta rumorosità. Spesso la soluzione idraulica è combinata a soluzioni di tipo elettrico, nel caso di grossi carichi ma inferiori a 100 kg. Tali attuatori vengono impiegati nel 20% dei casi circa. Gli attuatori elettrici trasformano l energia elettrica in energia meccanica mediante motori elettrici (a corrente continua o alternata). Sono gli attuatori prevalentemente utilizzati (70% dei casi circa). La loro larga diffusione è motivata da due ragioni: - l alta precisione - le masse in moto; in tutti i tipi di macchinari si tende oggi a ridurre al minimo le parti in movimento, per ridurre l energia dissipata (negli attuatori elettrici vi è il movimento degli elettroni, per cui l energia dissipata è bassa, e ciò implica economia energetica) e per ridurre la manutenzione. Ma gli attuatori elettrici hanno anche altri vantaggi: sono relativamente poco costosi, hanno ridotte dimensioni, presentano semplicità d impiego. Tuttavia hanno i seguenti svantaggi: sono abbastanza pigri (gli attuatori pneumatici ed idraulici sono più veloci), erogano una potenza a volte non sufficiente, presentano la necessità dell impiego di un riduttore (con conseguente aggravio di costi; inoltre il gioco degli ingranaggi del riduttore può limitare la precisione ottenibile). I motori elettrici prevalentemente utilizzati sono: quelli a magneti permanenti (corrente 11

12 continua), quelli senza spazzole (brushless; corrente alternata), quelli passo a passo (step motor). Il dispositivo di regolazione è formato dai seguenti trasduttori elettromeccanici: 1) le dinamo tachimetriche (alimentate a corrente continua), che sono generalmente usate per controllare la velocità e la accelerazione dell articolazione 2) gli estensimetri (a semi-conduttore), che vengono solitamente utilizzati per controllare la forza dell articolazione 3) gli encoder o i resolver o i synchro o i potenziometri (questi ultimi, lineari e rotativi), che in genere sono usati per controllare la posizione dell articolazione. In altre parole, tali trasduttori svolgono per il robot le stesse funzioni cui è deputato il sistema nervoso nel corpo umano: essi permettono al robot di controllare il proprio funzionamento interno, ossia gli consentono una percezione interna del proprio sistema. 7. ORGANI DI TRASMISSIONE. Gli organi di trasmissione consentono di trasferire la forza motrice dagli attuatori ai giunti, producendo così lo spostamento dei membri del robot. D altra parte, gli organi di trasmissione introducono dei problemi inerenti alla deformabilità, agli attriti, alle vibrazioni, ai giochi, molto variabili in funzione dell organo utilizzato. Tali problemi sono risolti con la scelta dell organo più opportuno in relazione all applicazione prevista. Nella robotica industriale sono utilizzati prevalentemente i seguenti organi di trasmissione: a) ruote dentate b) cinghie dentate c) catene d) sistemi vite-madrevite e) leveraggi. Le ruote dentate sono organi che agiscono sul moto rotatorio proveniente dagli attuatori: possono deviarne l asse di rotazione o di traslazione nella direzione che necessita. Si tratta dunque di sistemi molto versatili, e pertanto sono impiegate un po su tutti i tipi di robot. Le cinghie dentate sono organi di trasmissione per moti di rotazione. Si tratta di cinghie flessibili in materiale elastico. Esse sono relativamente deformabili, per cui vengono spesso utilizzate nel campo delle alte velocità e dove gli sforzi sono bassi. Le catene, come le cinghie dentate, sono organi di trasmissione per moti di rotazione. Esse sono molto rigide e robuste, per cui vengono utilizzate per supportare carichi pesanti e nel campo delle basse velocità; non sono adatte per le alte velocità, perché la loro notevole massa può generare forti vibrazioni. I sistemi vite-madrevite permettono di convertire il moto di rotazione proveniente dai motori in un moto di traslazione. Si tratta di un elemento snello, soggetto a deformazioni, per cui viene utilizzato nel campo delle alte velocità e dove gli sforzi sono bassi. 12

13 I leveraggi sono organi di trasmissione composti da segmenti rigidi, che spesso hanno una funzione portante nella struttura del braccio. Servono perciò a conferire un elevata rigidezza globale al braccio. Sono quindi utilizzati per aiutare il braccio a sopportare carichi pesanti. 8. SENSORI. I sensori sono i congegni che permettono al robot di interpretare e di entrare in rapporto con l ambiente esterno: essi trasmettono al robot informazioni sullo stato dell ambiente di lavoro e del ciclo di lavorazione (informazioni riguardanti: la presenza, l identità, la forma, la posizione, l orientazione, la superficie, l interno del pezzo da lavorare o movimentare; la presenza di attrezzature o altre macchine che si trovano ad operare nel suo campo d azione; ecc.). In altre parole, i sensori svolgono per il robot le stesse funzioni cui sono deputati i cinque sensi nel corpo umano, consentendo alla macchina una percezione esterna e permettendogli di avere una certa intelligenza dello scenario ambientale circostante. Mentre l architettura meccanica ha dominato le scelte progettuali dei robot di prima generazione, i sistemi di senso hanno iniziato ad avere la loro centralità ed importanza a partire dai robot di seconda generazione (inizio anni 70). E comunque da precisare che non tutti i robot sono dotati di sensori: generalmente i robot provvisti di capacità sensorie sono quelli adibiti alle operazioni più complesse (assemblaggio, saldatura ad arco, ispezione per la verifica di difetti di fabbricazione del prodotto, sbavatura, ecc.), la cui esecuzione richiede necessariamente la percezione dello scenario ambientale. Infatti equipaggiare un robot con un sistema sensoriale implica un aggravio di costi, per cui i dispositivi sensoriali risultano essere economicamente inopportuni (oltre che operativamente inutili) su un robot che deve svolgere compiti relativamente semplici (movimentazione di pezzi, saldatura a punti, ecc.) e che pertanto non ha la necessità di interagire con l ambiente di lavoro. E possibile classificare i sensori per robot in due categorie (secondo la usuale distinzione): a) sensori di contatto, che rilevano la presenza dell oggetto mediante un certo tipo di contatto fisico b) sensori di non-contatto, che rilevano la presenza dell oggetto mediante un certo tipo di radiazione (luminosa, magnetica, sonora, ). Rientrano nella categoria sub a) i sensori di tatto e di forza, mentre alla categoria sub b) appartengono quelli di prossimità e di visione. I sensori di tatto permettono al robot di riconoscere il pezzo con un esplorazione tattile. Vengono solitamente montati sulla faccia interna degli organi di presa del braccio del robot: tali sensori rilevano la presenza (o l assenza) di un oggetto tra le articolazioni che effettuano la presa. Si tratta generalmente di micro-interruttori: se l organo di presa esercita sull oggetto da afferrare una forza superiore ad un certo livello (detto livello soglia), il micro-interruttore chiude un circuito elettrico, fornendo così al sistema l informazione tattile. L informazione che può essere ottenuta da sensori di questo tipo è limitata se è necessario acquisire indicazioni sulla forma, sulla posizione e sull orientamento dell oggetto. In questo caso bisogna 13

14 utilizzare dispositivi più complessi, come per es. un dispositivo a conduttori elettrici: questo sensore è composto da una basetta sulla quale sono disposti dei conduttori elettrici in rame e in grafite. Una pressione sul sensore determina una variazione (proporzionale) della resistenza elettrica di tali conduttori, per cui è possibile risalire alle condizioni di contatto. Questo sensore, la cui area è dell ordine di un centimetro quadrato, ha un potere tattile molto vicino a quello dei polpastrelli delle dita, realizzando così una sorta di pelle artificiale. Un altro sensore di tatto che offre informazioni sulla forma e sull identità dell oggetto è un sensore a bottoni: la superficie di contatto dell organo di presa viene sagomata a bottoni; un bottone, a contatto con un oggetto, rientra ed interrompe (parzialmente o totalmente) il flusso luminoso tra due fotocellule; la misura del flusso luminoso consente di risalire alle deformazioni superficiali, quindi alla forma dell oggetto. Oggi si tende a dotare i sensori di tatto di un micro-processore locale per elaborare sul posto i dati da essi percepiti: questa soluzione permette una analisi più tempestiva dei segnali sensoriali, dato che il computer tecnicamente superiore viene esonerato dall elaborazione di tali informazioni e quindi alleggerito di una parte di operazioni da svolgere. Il micro-processore locale, infatti, rispetto all elaboratore centrale, è in grado di elaborare le informazioni sensoriali più velocemente, poiché è deputato a svolgere solo quella funzione. I sensori di forza sono particolarmente importanti quando è necessario un accurato dosaggio della forza da parte della mano del robot, ossia quando la mano deve eseguire compiti delicati quali: la presa di oggetti fragili (es., vetro, ceramica), l introduzione di parti entro alloggiamenti prestabiliti con tolleranze limitate (es., l avvitamento di una vite nel suo alloggiamento senza spanare la filettatura), ecc. La misura della forza, di solito, viene ottenuta disponendo degli estensimetri a semiconduttore sui giunti del polso: se il polso è sottoposto a sforzi allora i suoi giunti si deformano; tale deformazione (che è proporzionale alla forza trasmessa) genera una variazione (proporzionale) della resistenza elettrica del materiale conduttore presente negli estensimetri, essendo così possibile risalire alla misura della forza. Come nel caso dei sensori di tatto, anche per i sensori di forza la tendenza attuale è quella di impiegare micro-processori locali per l elaborazione in loco delle informazioni raccolte, al fine di rendere più tempestiva la codificazione di tali informazioni. Un sensore di prossimità permette di rilevare la distanza esistente tra un oggetto (che si trova in prossimità del sensore) e il sensore stesso. Sensori di prossimità comunemente utilizzati in robotica sono i sensori ad ultrasuoni (radiazioni sonore). Tale sistema sensoriale è composto da un fischietto, che emette in continuazione degli ultrasuoni, e da una cellula sonora ricevente, che rileva gli echi di ritorno che tali ultrasuoni producono colpendo gli oggetti circostanti; il tempo intercorrente tra l istante di emissione e quello di ricezione è proporzionale alla distanza che si vuole conoscere. Questo tipo di sistema sensoriale riproduce il meccanismo di percezione delle distanze riscontrabile in talune specie animali: il caso più noto è, per es., quello del pipistrello e del delfino, che sono in grado di rilevare, con buona approssimazione, i valori relativi alla distanza grazie ad una 14

15 percezione attiva della distanza stessa, emettendo appunto onde sonore. I sensori ad ultrasuoni vengono generalmente impiegati nei robot semoventi, allo scopo di rilevare la presenza più che altro di ostacoli, o comunque di oggetti di disturbo con cui si deve evitare una collisione (dunque, sostanzialmente, per motivi di sicurezza). Esistono, poi, anche sensori al laser (radiazioni al laser): essi sono composti da un analizzatore laser, che emette un sottile raggio laser, e da una fotocellula ricevente, che rileva il raggio laser riflesso dagli oggetti da esso colpiti. Per individuare la presenza di un oggetto e la relativa distanza si procede, come prima, alla misura del tempo intercorrente tra istante di emissione del raggio luminoso ed istante di ricezione del raggio riflesso (calcolo del tempo di volo della luce). Sono utilizzati anche sensori magnetici (radiazioni magnetiche), che vengono tipicamente impiegati per rilevare la presenza di oggetti metallici. Tali sensori generano un campo magnetico, e contengono al loro interno un dispositivo che misura le alterazioni prodotte in detto campo da corpi ferromagnetici estranei. Dalle misure così effettuate si può risalire alla distanza del sensore dall oggetto rilevato. Una tipica applicazione di questa tipologia di sensori è quella dell individuazione di buchi e fori nelle superfici lisce, in certe operazioni di assemblaggio. Inoltre, sono comunemente utilizzati sensori ad intercettazione di getto luminoso (radiazioni luminose). In questi dispositivi, la presenza di un oggetto intercetta un getto luminoso passante, emesso da un diodo emettitore di luce (LED). Così il getto luminoso si interrompe provocando un segnale elettrico, che indica al robot la presenza dell oggetto. Si tratta di sensori molto semplici e versatili. Sono spesso utilizzati per individuare il passaggio di oggetti. Infine, sono da ricordare i sensori a triangolazione ottica (radiazioni luminose), tipicamente utilizzati sui robot di ispezione e controllo, per individuare eventuali difetti dimensionali e di superficie dell oggetto: una sorgente di luce illumina l oggetto sottoposto a controllo; la luce riflessa dalla superficie di questo viene captata da una fotocellula ricevente; tale riflessione della luce viene poi misurata mediante tecniche di triangolazione ottica, basate su relazioni trigonometriche. In base al calcolo della triangolazione della luce è possibile verificare se l oggetto presenta dei difetti. I dispositivi di acquisizione di immagini generalmente utilizzati nella robotica sono le telecamere. Quelle più diffuse sono: 1) la telecamera vidicon (che funziona su principi abbastanza simili a quelli delle telecamere per le normali riprese televisive) 2) la telecamera a stato solido. La telecamera di tipo vidicon deriva il suo nome da vid-eo e da sil-icon (= silicio): il suo schermo è infatti composto da materiale contenente silicio. Tale schermo è carico di elettricità statica. L oggetto d interesse viene irradiato con energia luminosa (proveniente da una sorgente di luce), e la luce riflessa dalla superficie dell oggetto va a colpire lo schermo della telecamera. L illuminazione dello schermo provoca una diminuzione della carica elettrica in ogni punto dello stesso. Ciò realizza sullo schermo un primo equivalente elettronico dell immagine (in termini di valori di carica elettrica per ogni punto sullo schermo). L immagine elettrostatica così ottenuta viene sottoposta ad elaborazioni successive, finché il suo equivalente elettronico viene trasformato in equivalente numerico (procedimento di 15

16 digitalizzazione dell immagine), di modo che il micro-processore possa elaborarlo per risalire alla forma dell oggetto osservato. Nelle telecamere allo stato solido l elemento sensibile è costituito da fotodiodi, che si trovano sullo schermo su cui viene focalizzata l immagine e che si caricano elettricamente se colpiti da radiazioni luminose. Questi diodi fotosensibili fanno parte di un circuito integrato semiconduttore, in cui è svolto il procedimento di digitalizzazione. Il circuito integrato, anziché fotodiodi, può contenere, come elemento sensibile, anche particolari sensori chiamati dispositivi ad accoppiamento di carica (CCD, Charge Coupled Device). Il vantaggio dei CCD è quello di essere estremamente veloci. Le telecamere a stato solido di tipo CCD, rispetto a quelle vidicon, sono più affidabili (ma più costose) in quanto: sono insensibili ai campi elettromagnetici (che possono generare interferenze di disturbo), sono resistenti ad urti e vibrazioni, hanno una lunga durata. I sistemi di visione appena descritti forniscono un immagine spaziale bidimensionale; la soluzione più interessante al problema della visione tridimensionale è quella basata sull impiego di due telecamere (anch esse con schermi sensibili), in analogia a quanto avviene nella visione umana (ottenuta coi due occhi). Un sistema visivo che impiega una coppia di telecamere viene detto di stereovisione. Tale sistema dev essere supportato da una adeguata illuminazione, per favorire al meglio l acquisizione dell immagine. Un approccio di questo tipo è più complicato rispetto ai dispositivi di visione a due dimensioni, ma è certamente quello in grado di fornire informazioni più complete. E da ricordare, infine, che sono state realizzate anche telecamere piroelettriche, capaci di percepire immagini della temperatura: tale prestazione è utile qualora si richieda la rilevazione della temperatura, specialmente in ambienti in cui la presenza dell uomo risulti indesiderata causa le temperature troppo elevate. Bisogna sottolineare che i robot dotati di telecamere per la visione devono disporre, per poter duplicare in forma numerica le immagini rilevate, di una capacità di calcolo molto elevata, cioè devono essere provvisti: - di una memoria molto capiente (perché la quantità delle informazioni da recepire è notevole: lunghezza, larghezza, altezza, luminosità, direzione dell oggetto osservato) - e di un processore molto veloce (perché le informazioni devono essere elaborate in modo tempestivo, in tempo reale; si deve infatti considerare che una telecamera riprende almeno 60 immagini al secondo e che questi dati arrivano all unità di controllo con una frequenza di circa 4 milioni di pixel al secondo). Tra l altro, la tendenza attuale è quella di equipaggiare i robot forniti di telecamere con software dedicati per la visione, al fine di supportare il processore in una elaborazione più rapida delle immagini. I sistemi di visione vengono particolarmente utilizzati sui robot addetti alle operazioni di assemblaggio, i quali devono essere in grado di riconoscere più oggetti componenti estremamente diversi tra loro per forma e dimensioni. Tra tutti i dispositivi sensoriali, quelli di visione sono i più complessi e costosi; la loro utilità è tuttavia innegabile (tra i cinque sensi, la vista è quello che offre una maggiore densità e vastità di informazioni). 9. ORGANI DI PRESA. 16

17 Gli organi di presa (gripper) di un robot cercano di riprodurre la capacità prensile della mano umana, per cui sono anche detti mani artificiali. Esistono diversi tipi di mano artificiale, in relazione alle mansioni che il robot deve svolgere: non è mai stata sviluppata, infatti, una mano universale, valida per tutte le applicazioni. Questo perché riprodurre la mano dell uomo, dotata di venti gradi di libertà, è complesso, costoso e inutile. La complessità ed il costo di questa soluzione risultano ovvi. Per quanto riguarda l inutilità è da osservare che per effettuare la maggior parte delle operazioni non sono necessari tutti i venti gradi di libertà: molte operazioni, infatti, possono essere eseguite utilizzando semplicemente il pollice e l indice. Dunque, ecco perché, abbandonando la soluzione di una mano con venti gradi di libertà, i robot industriali utilizzano organi di presa semplificati con caratteristiche specifiche per ogni tipo di applicazione. Gli organi di presa più diffusi in commercio, infatti, hanno solo pochi gradi di libertà. Inizialmente (anni 60) non erano richieste alte performance agli organi di presa, dato che questi dovevano essere in grado di effettuare semplici spostamenti di oggetti di forma invariata. Successivamente (anni 70) vi fu la necessità di disporre di organi di presa capaci di afferrare e manovrare utensili per lavorare i pezzi, spesso cambiandone significativamente la forma. Infine (anni 80) le esigenze crebbero ulteriormente: le problematiche in tal senso vennero esasperate coi robot di assemblaggio, i quali dovevano essere in grado di afferrare e montare oggetti di forma e dimensioni quanto mai diverse. A questo proposito, per conferire al robot un alto grado di versatilità e renderlo capace di afferrare oggetti variabili per forma e dimensioni, sono stati sviluppati diversi sistemi di presa, che vengono analizzati in dettaglio qui di seguito. a) Pinze intercambiabili. E il sistema più semplice per afferrare oggetti diversi: il robot trasla il braccio ad una apposita stazione fuori dalla zona di lavoro, dove viene abbandonata la pinza appena utilizzata e ne viene prelevata una adatta alla nuova esigenza. Terminata l operazione di sostituzione, la pinza viene riportata nell area di lavoro per proseguire il ciclo. Questo sistema obbliga ad interrompere il ciclo operativo con soste aventi l unico scopo di adeguare la pinza alle esigenze di presa; per cui si ha una perdita di produttività. b) Torretta rotante con più pinze diverse. Si tratta di un sistema a pinze multiple, tutte disposte su una torretta rotante applicata al polso del robot; con un semplice movimento rotatorio della torretta mobile, è possibile portare le varie pinze, di volta in volta, in posizione di lavoro. Questa soluzione non implica interruzioni del ciclo operativo, dato che elimina le soste tanto dannose alla produttività; presenta però un inconveniente di carattere dinamico, in quanto le varie pinze appesantiscono la struttura del braccio, per cui si riduce la velocità e la precisione delle manovre. c) Pinza a presa multipla. Questo congegno consiste in una pinza dotata di tre dita; la figura di presa può essere modificata all istante con la semplice rotazione di due delle tre dita. Per effettuare tale rotazione vengono impiegati solitamente dei piccoli motori passo a passo (step motor), che permettono quindi di ottenere numerose posizioni intermedie corrispondenti ad altrettante figura di presa; per ottenere la contrazione vengono generalmente utilizzati degli attuatori pneumatici, 17

18 per le loro caratteristiche di velocità e compattezza. Questo sistema permette, quindi, di afferrare oggetti diversi per forma e dimensione, grazie alla capacità di auto-adattarsi alla forma stessa del particolare oggetto. Si tratta della soluzione più vantaggiosa fra tutte, in quanto non richiede soste per la sostituzione, non implica l aggravio dinamico del braccio, presenta un alto grado di versatilità. Gli organi di presa sono generalmente classificati in base al principio di afferraggio, per cui si distingue tra organi di presa: 1) meccanici 2) elettromagnetici 3) pneumatici. Gli organi di presa meccanici sono solitamente costituiti da pinze, azionate da motori elettrici o da attuatori pneumatici. L azionamento pneumatico è preferito, poiché fornisce una buona forza di serraggio ed una elevata velocità di serraggio/rilascio. Gli organi meccanici sono i più generici e versatili; inoltre sono quelli che meglio riproducono, anche se in modo semplificato, la capacità prensile della mano. Gli organi di presa elettromagnetici utilizzano elettrocalamite (alimentate a corrente continua) o magneti permanenti. Per il rilascio dell oggetto: nelle elettrocalamite, si utilizza un interruttore che controlla l energia fornita alla elettrocalamita (all atto del rilascio, l interruttore inverte la polarità, il pezzo cade così immediatamente); nei magneti permanenti, si ricorre ad estrattori meccanici. Tali organi di presa servono ovviamente per manipolare pezzi ferrosi; presentano un elevata flessibilità nell afferrare pezzi di dimensioni e forme diverse. In particolare: le elettrocalamite garantiscono elevate velocità di presa/rilascio; i magneti permanenti sono adatti per l uso in ambienti pericolosi, in cui una scintilla potrebbe provocare un esplosione. Sia le elettrocalamite che i magneti permanenti possono, con particolari accorgimenti, operare anche a temperature elevate (fino a 150 C le prime, fino a 480 C i secondi). Gli organi di presa pneumatici sono costituiti da ventose, costruite con materiali aventi buone caratteristiche di elasticità (neoprene o uretene) e unite per vulcanizzazione ad un supporto metallico sagomato a coppa. Attraverso dei canali, viene aspirata ed immessa aria, rispettivamente per la presa ed il rilascio dell oggetto. Per la presa viene creata una depressione aspirando l aria con una pompa a vuoto o con un tubo di Venturi; per il rilascio è sufficiente annullare la depressione immettendo aria in pressione per mezzo di una valvola. La forza di presa delle ventose è proporzionale alla grandezza dell area di contatto della ventosa e alla differenza di pressione. In genere è preferibile lavorare con larghe aree di contatto e basse pressioni, in modo che la superficie della ventosa non si deformi, causando perdite d aria. Il sistema a ventose ha caratteristiche analoghe ai sistemi magnetici, ma con minori possibilità di scivolamento laterale del pezzo in fase di sollevamento. Le ventose permettono di afferrare efficacemente oggetti con superficie liscia e delle dimensioni più disparate; ma permettono di afferrare anche oggetti di forma complessa e con superficie irregolare (in questo caso si utilizzano particolari ventose totalmente flessibili, che sono in grado di adattarsi con minimi 18

19 sforzi a qualunque tipo di sagoma). Le ventose vengono tipicamente utilizzate per afferrare pannelli di vetro, di plastica o ferrosi. 10. UTENSILI. Gli utensili utilizzati dai robot sono in generale adattamenti speciali di utensili comuni, come trapani, frese, seghe circolari, pistole per saldare a punti, torce per saldare ad arco in gas inerte, pistole a spruzzo per la verniciatura, chiavi pneumatiche per dadi, mole, siviere per accogliere il metallo fuso dall altoforno e trasportarlo e versarlo nelle forme, ecc. Gli utensili utilizzati da un robot possono essere: a) permanenti b) intercambiabili. Nel caso sub a), l utensile è collegato al polso del robot in modo permanente quando il robot utilizza sempre lo stesso utensile nella sua attività operativa. Nel caso sub b), invece, l utensile è collegato al polso del robot in modo intercambiabile quando il robot deve utilizzare più utensili diversi durante la sua attività di lavorazione. In tal caso, il robot deve provvedere autonomamente a cambiare l utensile, quando necessario. Il robot è allora equipaggiato con uno speciale adattatore, applicato al polso, per il cambio degli utensili; quando il braccio del robot si avvicina ad un magazzino attrezzi appositamente allestito, l adattatore deposita quello appena utilizzato e preleva quello necessario alla successiva lavorazione agganciandolo automaticamente. 11. PROGRAMMAZIONE. Affinché un robot possa svolgere la mansione cui è adibito, è necessario programmarlo cioè è necessario insegnargli a compiere le operazioni che sarà chiamato ad effettuare. E possibile distinguere due modi di programmazione (o di apprendimento analogamente) di un robot: a) programmazione diretta b) programmazione indiretta. Programmazione diretta. Nel modo di apprendimento sub a), il movimento del robot è comandato direttamente dall operatore, che guida il braccio nei suoi spostamenti (traiettoria del braccio; posizione e orientazione del terminale; operazione dell organo di presa; velocità; tempo di attesa per la presenza del pezzo). Il principio è molto semplice: si prepara innanzitutto la stazione di lavoro, sistemando nella loro esatta posizione i pezzi che il robot dovrà manipolare; successivamente si fanno eseguire al robot -con i sistemi descritti qui di seguito- gli spostamenti necessari, in modo che possano essere memorizzati dall unità di controllo; una volta programmata, la macchina eseguirà istintivamente la procedura appresa riproducendo i movimenti registrati. Nel modo di programmazione diretto, esistono due metodi per trasmettere le istruzioni al robot: 1) l insegnamento manuale 19

20 2) l insegnamento con telecomando, cui il robot è asservito (cd. modo masterslave). Nel caso dell insegnamento manuale, il braccio del robot è guidato fisicamente a mano dall operatore, in modo tale da compiere il movimento desiderato; lo sforzo esercitato dall operatore è minimo grazie ad un dispositivo integrato di assistenza muscolare. In pratica, nell insegnamento manuale, l operatore prende per mano il robot e lo porta a passeggio. Nel caso dell insegnamento con telecomando, il braccio del robot è invece guidato per mezzo di un telecomando portatile, leggero e maneggevole, che l operatore porta con sé potendosi spostare liberamente attorno al robot (durante la fase di apprendimento) e potendo osservare le evoluzioni del braccio dall angolazione visuale migliore e più opportuna per definire al meglio i movimenti ed i punti di arresto, eventualmente potendosi anche avvicinare al robot o al pezzo da lavorare per controllare con maggiore precisione le posizioni e gli allineamenti. Dunque, l operatore manipola l unità telecomando ed il robot, asservito a tale unità, riproduce simultaneamente tutti i movimenti definiti dall operatore. Tale telecomando prensile originariamente era costituito da una pistola (cd. pistola di programmazione), collegata con un cavo all armadio dell unità di controllo, e contenente una serie di leve e pulsanti agenti direttamente sugli attuatori. Successivamente sono stati realizzati dispositivi di programmazione più potenti e sofisticati (anch essi collegati via cavo all armadio dell unità di controllo), tra cui molto utilizzate sono oggi le cd. teach-box (o unità di insegnamento): la teach-box è, in pratica, un terminale semplificato con potenti funzioni operative, formato da una tastiera alfanumerica corredata da un display a cristalli liquidi. Come telecomando viene impiegato anche un joystick, come quello tipicamente usato per il controllo dei videogiochi; spesso il joystick va ad integrare la teach-box. L insegnamento manuale è molto semplice e pertanto risulta essere di grande comodità e praticità, tuttavia in condizioni di limitata accessibilità o di pericolosità dell ambiente di lavoro (per es., nella manipolazione di sostanze radioattive o esplosive o altamente corrosive) muovere fisicamente il braccio diventa difficile o può presentare degli inconvenienti. L insegnamento con telecomando permette di ovviare a queste difficoltà, dato che consente di governare a distanza il braccio. Vi sono due tipologie di programmazione diretta: 1) punto a punto 2) continua. Nell apprendimento punto per punto, l operatore definisce solo i vari punti di arresto -che vengono memorizzati dal robot-, e non anche il tipo di tracciato che unisce questi punti; è il robot che, in base alle sue caratteristiche intrinseche e alla qualità del software di supporto progettato dal costruttore, decide il tragitto più conveniente tra i vari punti per ottimizzare il suo percorso. Questo metodo è utilizzato per lavorazioni dove il percorso seguito non è essenziale (saldatura per punti; spostamento dei pezzi da una stazione di lavoro all altra). Nell apprendimento continuo, l operatore definisce tutto il percorso -che viene memorizzato dal robot-, e non solo i vari punti di arresto. Quindi, con tale metodo, 20

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