Tecniche di Colture Cellulari

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1 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A UNIVERSITA DEGLI STUDI DELLA BASILICATA FACOLTA DI AGRARIA Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie Tecniche di Colture Cellulari (Nozioni Elementari) Dispensa delle Lezioni (Docente : Francesco Sunseri) Anno Accademico

2 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Introduzione - Colture in vitro - Caratteristiche e tecniche di coltura in vitro sterilizzazione mezzo di coltura ormoni ph fattori fisici contaminazioni latenti vitrificazione(come aspetto della micro) altre sostanze vitalità cellulare - Induzione di variabilità variabilità preesistente variabilità indotta dalla coltura in vitro -Fecondazione in vitro e coltura di embrioni immaturi coltura di embrioni immaturi - Ottenimento di piante aploidi da microspore - La micropropagazione fasi della micropropagazione - Vantaggi e svantaggi della micropropagazione - Situazione della moltiplicazione in vitro in Italia - Conservazione del germoplasma - Colture cellulari - manipolazione di protoplasti fusione chimica elettrofusione -Risanamento di piante da virus - La trasformazione genetica

3 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A TECNICHE DI COLTURE IN VITRO Definizione di coltura in vitro Lo sviluppo della biologia molecolare degli ultimi vent'anni è stato possibile grazie alle conoscenze acquisite sugli organismi ad organizzazione relativamente semplice (batteri, lieviti, alghe unicellulari e virus). È stato successivamente necessario verificare negli organismi superiori sia l'universalità delle conoscenze ottenute dallo studio degli organismi più semplici, sia l'esistenza di nuovi meccanismi biologici, in relazione anche alla maggior complessità strutturale ed organizzativa delle strutture pluricellulari. A tale riguardo si è rivelata di grande importanza la coltivate in vitro di tessuti e cellule. La coltura di cellule e tessuti di piante trova il suo fondamento nella teoria della totipotenza cellulare. In tutte le piante vascolari l'embrione si evolve in una struttura allungata bipolare per via della presenza di due meristemi apicali, caulinare e radicale. Durante il ciclo vitale della pianta, tali meristemi producono continuamente nuovi organi (fusti, foglie, radici) che si aggiungono a quelli prodotti durante l'embriogenesi. Per via di questo accrescimento illimitato, le piante vascolari sono state definite organismi a embriogenesi ricorrente o a ontogenesi ricorrente. A causa di tale ontogenesi ricorrente, nelle piante non si assiste, come, invece, accade negli animali, alla separazione fra linea somatica e linea germinale, solo ad un dato momento dello sviluppo, gli apici vegetativi si trasformano in apici riproduttivi, cioè producenti strutture atte alla riproduzione. Per entrambe queste regioni nelle piante vascolari qualsiasi cellula somatica può considerarsi un progenitore potenziale di un nuovo individuo. Una delle prime applicazioni fu quella di Hanning (1904) il quale isolando embrioni immaturi in vitro ottenne piantine vitali di alcune specie della famiglia delle crucifere.

4 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Successivamente, il successo che le colture in vitro sono riuscite ad ottenere, nei diversi settori di studio, è stato merito delle nuove acquisizioni scientifiche, soprattutto in campo fisiologico (scoperta delle funzioni ormonali). Con il termine colture in vitro si intendono diverse metodologie, sviluppate negli ultimi trenta anni, che consentono, in molte specie vegetali, la crescita in vitro di cellule, tessuti ed organi su terreni di coltura sintetici. Si può indurre la crescita e la moltiplicazione di cellule isolate da organi o tessuti della pianta, infatti, le cellule, anche se prelevate da tessuti già differenziati, si sdifferenziano e sviluppano ammassi amorfi, callosi (calli) che possono essere mantenuti indefinitamente in vitro o possono essere indotti a rigenerare organi o piante intere, completamente differenziate. Attualmente cellule prelevate da numerose specie di piante sono facilmente coltivabili in vitro. In altre parole tutti i vegetali multicellulari possono essere considerati sorgenti potenziali di cellule per le colture in vitro. Alcune specie sembrano fare eccezione a tale regola, tuttavia ciò potrebbe essere dovuto ad una erronea scelta delle condizioni colturali piuttosto che a caratteri genetici del materiale vegetale. Infatti, pur molto simili per i diversi tipi di cellule e tessuti, le condizioni colturali possono mostrare differenze significative per quanto riguarda la presenza e/o i rapporti di sostanze specifiche (ormoni, vitamine, aminoacidi, ecc.) e specifiche condizioni ambientali (luce, temperatura). Le colture in vitro hanno consentito di ampliare e diversificare il concetto tradizionale di coltura ed offrono attualmente notevoli vantaggi. L'applicazione di tali tecniche, tuttavia, richiede profonde conoscenze in vari settori scientifici (fisiologia, genetica, biologia, ecc). Le tecniche di coltura in vitro sono applicabili in vari settori delle biotecnologie vegetali, con diverse finalità: - induzione di variabilità somaclonale; - embriocoltura;

5 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A ottenimento di piante aploidi da microspore; - colture cellulari; - manipolazioni di protoplasti (coltura, fusione ed introduzione di nuovo materiale genetico); - risanamento di piante da patogeni; - propagazione clonale rapida (micropropagazione); - conservazione del germoplasma; - produzione di metaboliti di interesse farmaceutico, industriale ed agrario. CARATTERISTICHE DELLE COLTURE IN VITRO Sterilizzazione Una delle caratteristiche peculiari delle colture in vitro è quella di operare in condizioni di assoluta sterilità. Infatti, per consentire la sopravvivenza e la crescita degli espianti, è necessario evitare lo sviluppo di microrganismi, i quali trovano condizioni di crescita ottimali nei substrati nutritivi delle cellule vegetali. I tessuti interni della pianta sono generalmente sterili, mentre la superficie è ricoperta da vari tipi di microrganismi. La rimozione di questi ultimi è pertanto indispensabile se si vuole evitare la contaminazione dell'espianto al momento dell'inizio della coltura in vitro. In generale, le possibili fonti di inquinamento sono: l'espianto, l'ambiente, il mezzo nutritivo, gli strumenti utilizzati nelle varie operazioni e l'operatore. Gli espianti rappresentano porzioni derivanti da plantule ottenute in vitro o da piante prelevate in campo, in quest'ultimo caso è molto importante la sterilizzazione delle porzioni prelevate. La sterilizzazione degli espianti avviene, generalmente, con le seguenti sostanze chimiche: alcool etilico al 70% che non garantisce l'eliminazione di microrganismi ed è in genere seguita dall'uso di ipoclorito di sodio; non vengono

6 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A utilizzate concentrazioni superiori di alcool etilico in quanto degrada lo strato superficiale dei tessuti; ipoclorito di sodio (NaClO) facilmente reperibile in commercio (Ace), in concentrazione variabile (5-15%); il prodotto commerciale in genere viene utilizzato ad una concentrazione del 50-70% per 15 minuti, concentrazioni superiori possono essere usate nel caso di materiale vegetale meno sensibile; ipoclorito di calcio [Ca(ClO) 2 ] in concentrazione variabile g/l per minuti, tale sostanza è indicata per materiale vegetale molto delicato e viene preferito all'ipoclorito di sodio in quanto penetra più lentamente nel tessuto vegetale; cloruro di mercurio (HgCl 2 ), in soluzione allo 0,01-0,05% per minuti. Questa sostanza è molto tossica e va usata con particolare attenzione in quanto può provocare danni anche all'operatore, il risciacquo deve essere molto accurato al fine di eliminare ogni possibile residuo dai tessuti. Ogni operazione, divisione e taglio degli espianti deve essere effettuata in condizioni di asepsi. Solitamente si opera su superficie sterile (carta da filtro, foglio di alluminio, capsula petri, ecc.) e sotto cappa a flusso laminare, dove i raggi UV preventivamente sterilizzano l'ambiente e dove il flusso laminare garantisce l'espulsione di qualsiasi corpuscolo estraneo, consentendo, così, il mantenimento di condizioni di assoluta sterilità. La sterilizzazione dei mezzi nutritivi avviene, in genere, con autoclave alla pressione di 1 atmosfera ad una temperatura di 121 C per minuti. Questo procedimento può comportare dei problemi connessi ai cambiamenti che avvengono nei mezzi di coltura durante la permanenza in autoclave, soprattutto in quanto ci si trova in presenza di un notevole numero di componenti che possono interagire tra di loro. In certi casi i singoli componenti del mezzo possono venire autoclavati ciascuno per proprio conto e quindi riuniti insieme.

7 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Quando uno dei componenti del mezzo è termolabile si aggiunge al mezzo autoclavato, dopo averlo sterilizzato per ultrafiltrazione. Sia gli strumenti che la vetreria utilizzata possono essere sterilizzati in autoclave a 121 C per 20 minuti, ad elevate temperature, con raggi UV e gamma o con le stesse sostanze chimiche utilizzate per sterilizzare gli espianti. Sotto cappa a flusso laminare è necessario avere sempre a disposizione uno sterilizzatore elettrico o un becco bunsen, per consentire la sterilizzazione degli strumenti dopo ogni uso. Anche l'operatore può essere fonte di inquinamenti, pertanto, può essere utile l'uso di mascherina e guanti sterili. Vari organi e tessuti della pianta possone essere utilizzati per avviare la coltura in vitro, i risultati migliori si ottengono usando cellule giovani in attiva proliferazione. MEZZO DI COLTURA Il mezzo di coltura è un parametro fondamentale per la messa a punto della tecnica di colture in vitro. Il substrato infatti costituisce il mezzo da cui l'espianto trarrà tutto ciò che è necessario per il suo accrescimento. È indispensabile, dunque, che tutti gli elementi siano nella forma più prontamente assimilabile da parte dei tessuti. Il substrato contiene normalmente una componente minerale, formata da macro e microelementi, e da una componente organica costituita da vitamine, aminoacidi o altri componenti azotati e dai carboidrati. A circa trenta anni dall avvio di tali tecniche si conoscono differenti substrati (Gautheret, White, Murashige e Skoog, Heller, Morel, ecc.) i quali possono risultare specifici per obiettivi diverisificati (rigenerazione, trasformazione, micropropagazione, ecc). Generalmente si diversificano per la concentrazione di macro e microelementi o per l'aggiunta di sostanze particolari (vitamine, ecc.). Vi sono alcuni substrati che prevedono un'alta concentrazione di sostanze

8 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A azotate e, fra queste, possono prevalere le forme ammoniacali rispetto alle nitriche, in relazione al tipo di espianto che verrà allevato. Macroelementi Gli elementi minerali necessari per la crescita delle piante sono: azoto (N), fosforo (P), potassio (K), calcio (Ca), magnesio (Mg), e zolfo (S), essi vengono aggiunti nel mezzo come sali. Il terreno di coltura originale, può essere modificato nella sua composizione per cercare di ottenere ad es. nella micropropagazione il miglior coefficiente di moltiplicazione della specie propagata. Nella scelta della formulazione del substrato di crescita è necessario considerare: - il tipo di ioni presenti; - l'equilibrio fra macroelementi; - la concentrazione ionica totale del terreno. La crescita in vitro è notevolmente influenzata dalla disponibilità di azoto e dalla forma in cui questo è presente. _ Lo ione nitrato (NO 3 ) è considerato la forma principale di azoto per le colture, ma per la morfogenesi è necessaria anche la presenza dello ione ammonio (NH 4 + ). Per avere uno sviluppo omogeneo dei germogli ed evitare fenomeni di vitrescenza il rapporto fra i due ioni deve essere bilanciato. Dopo i sali di azoto quelli più rappresentati sono i sali di potassio e di fosforo. L'influenza positiva del fosforo sul tasso di moltiplicazione è più evidente nel melo che nel susino e cio dimostra che le singole specie hanno un diverso fabbisogno di macroelementi. Anche il magnesio influenza positivamente la proliferazione.

9 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Microelementi Sono elementi nutritivi necessari in piccole quantità e la loro carenza causa sintomatologie specifiche, in quanto intervengono nel metabolismo ed entrano a far parte anche degli enzimi: CATIONI - ferro (Fe), rame (Cu), zinco (Zn), cobalto (Co), nichel (Ni), alluminio (Al), sodio (Na); ANIONI - boro (B), molibdeno (Mo), iodio (I), cloro (Cl); Un apporto non quantificabile di microelementi può provenire da altri composti presenti nel substrato. Il ferro viene aggiunto come chelato (Fe-EDTA) per far si che resti in soluzione anche nelle condizioni in cui lo ione libero non sarebbe solubile (Tab.5). Vitamine I germogli coltivati "in vitro", a differenza di quelli "in vivo", non sono completamente autotrofi per questi composti. Le vitamine che generalmente vengono aggiunte al substrato sono: - Tiamina (B1); - Acido nicotinico (PP); - Piridossina (B6); - Inositolo (Meso); - Acido pantotenico; - Biotina (H); - Acido folico (M); - Riboflavina (B2); - Cianocobalamina; - Colina; - Tocoferolo (E). Come i macro ed i microelementi anche le vitamine vengono aggiunte al substrato in particolari formulazioni.

10 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Vengono aggiunte in concentrazioni variabili fra 0,1-50 mg/l; soltanto l'acido ascorbico viene utilizzato fino a 100 mg/l per il suo potere antiossidante. Fra le vitamine, la tiamina è un prodotto critico per l andamento delle colture ed è aggiunta alla concentrazione di 0,1-0,4 mg/l, mentre l'inositolo non è indispensabile, tuttavia, è bene aggiungerlo alla concentrazione di 100 mg/l. Carboidrati Secondo alcuni Autori i tessuti verdi dei germogli coltivati in vitro hanno una attività fotosintetica minima per la bassa concentrazione di anidride carbonica (CO 2 ) all'interno dei contenitori. Il bilancio della CO 2 nell'atmosfera dei vasi è il risultato della fotosintesi e della respirazione e la prima è direttamente correlata all'intensità luminosa. La quantità di CO 2 presente all'interno del contenitore raggiunge livelli superiori al buio perchè alla luce essa viene in parte utilizzata per la fotosintesi. Durante la fase di fotoperiodismo che prevede l assenza di luce la CO 2 può raggiungere una concentrazione variabile fra 3000 e 9000 ppm in alcune specie ornamentali, per ridursi dopo solo 2 ore di luce a 90 ppm. In alcuni casi si è evidenziato che alla diminuzione della concentrazione di saccarosio aumenta la capacità fotosintetica. Infatti la pianta, al diminuire della disponibilità di una delle due fonti di carbonio (CO 2 o saccarosio), utilizza maggiormente la forma alternativa o complementare per soddisfare il proprio fabbisogno (44). La forma esogena di carbonio sotto forma di saccarosio non è quindi indispensabile per la crescita in vitro della pianta ove mantenuta in ambienti con elevate intensità luminosa e concentrazione di CO 2. Per quest ultimo aspetto sono stati effettuati esperimenti che prevedono la somministrazione di CO 2 nei vasi di coltura e tali applicazioni appaiono frequentemente promettenti. Anche l'aumento dell'intensità luminosa potrebbe incrementare la capacità fotosintetica dei germogli, ma spesso tale applicazione comporta un aumento della temperatura non sopportabile da alcune specie o

11 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A cultivars. E pertanto necessario aggiungere al substrato una fonte di carbonio, anche se è auspicabile la creazione di sistemi di illuminazione che stimolino l'autotrofismo dei germogli. Tra gli zuccheri quello più utilizzato per la preparazione del substrato è il saccarosio, che viene utilizzato in concentrazioni comprese fra 1-5%. Altri zuccheri possono essere utilizzati quali: glucosio, fruttosio e maltosio, ma sono tuttavia meno diffusi e di uso particolare. Il saccarosio viene idrolizzato dalle invertasi presenti sulle pareti cellulari dei vegetali, o dagli enzimi extracellulari, in glucosio e fruttosio che sono poi metabolizzati dagli espianti. Gli zuccheri possono subire delle alterazioni durante la sterilizzazione del substrato in autoclave, sopratutto se non è stato effettuato un attento controllo del ph. A questa soluzione, costituita da costituenti inorganici ed organici, viene normalmente aggiunta una fonte ormonale, generalmente rappresentata da auxine, chinetine, più raramente gibberelline. ORMONI Gli ormoni svolgono un ruolo di estrema importanza come regolatori della crescita e della differenziazione negli organismi vegetali, così come in quelli animali. Sono sostanze chimiche a struttura relativamente semplice che, prodotte in certe zone delle piante, in risposta ad opportuni stimoli, sia interni che esterni, vengono traslocate in zone più o meno lontane, ove condizionano le attività metaboliche delle cellule e quindi lo sviluppo di tutto l'organismo. Si definiscono ormoni quelli elaborati dagli stessi vegetali, mentre sono detti fitoregolatori quelli non prodotti dalle piante, ma capaci di esercitare su di esse effetti analoghi agli endogeni e di interferire sull'azione o sulla trasformazione di questi ultimi. Normalmente i tessuti o i piccoli organi posti in vitro non sono in grado di sintetizzare una quantità sufficiente di ormoni, quindi è necessario addizionarli al substrato.

12 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A La crescita e la morfogenesi sono regolate dall'interazione e dall'equilibrio fra fitoregolatori aggiunti al terreno ed ormoni prodotti naturalmente dai tessuti. Le conoscenze scientifiche sui fitormoni sono ancora frammentarie, a fronte di una conoscenza sufficientemente approfondita della loro struttura chimica e dei loro effetti pratici, si conosce molto poco sul sito e sulla regolazione della sintesi dei diversi ormoni nella pianta, sul meccanismo con cui essi vengono traslocati, sull'identità di eventuali accettori chimici cellulari a cui gli ormoni sono destinati e sugli aspetti molecolari del meccanismo con cui essi influenzano le attività cellulari. Gli ormoni vegetali oggi conosciuti sono classificabili, in base alla loro funzione, in tre gruppi principali: auxine, gibberelline e citochinine. Gli ormoni di ciascuno di questi gruppi provocano un largo spettro di risposte biologiche da parte della pianta e spesso questi si sovrappongono. Altri ormoni vegetali oggi conosciuti sono l'acido abscissico e l'etilene. Auxine L'auxina naturale è l'iaa (acido 3-indolacetico). Per i terreni di coltura vengono comunemente utilizzati composti di sintesi con funzione auxino-simile, quali: -IBA (acido 3-indolbutirrico); -NAA (acido naftalen-acetico); - 2,4 D (acido 2,4 diclorofenossiacetico), il cui impiego è limitato poichè può espletare anche un effetto mutageno. La scelta del tipo di auxina e della sua concentrazione dipendono: - dal tipo di crescita che si vuole ottenere; - dal livello di auxine naturali presenti nell'espianto al momento del prelievo; - dalla capacità dei tessuti di sintetizzare auxina naturale; - dalla interazione fra auxine naturali e di sintesi.

13 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Le auxine naturali (aggiunte in concentrazione variabile tra 0,01-10 mg/l), o quelle di sintesi (aggiunte in concentrazione compresa fra 0, mg/l; 33) determinano: - l'allungamento e la distensione cellulare dei tessuti; - la divisione cellulare; - la formazione di radici avventizie. Favoriscono l'embriogenesi, ma limitano la formazione di germogli ascellari e avventizi nella fase di proliferazione. Studi sul pesco hanno evidenziato che il contenuto di auxine è controllato dalle auxino-ossidasi (enzimi appartenenti alle perossidasi), perciò l'emissione delle radici, ad esempio, è massima quando la concentrazione di perossidasi è minima, oppure quando vengono aggiunte sostanze che hanno una azione sinergica con le auxine, come la quercetina. Nel processo di rizogenesi, oltre alla concentrazione delle auxine, è importante il momento in cui questi composti vengono aggiunti al mezzo sintetico. L'auxina più comunemente utilizzata per la radicazione è l'acido 3- indolbutirrico, anche se in alcune specie, come l'olivo, la percentuale di germogli radicati è massima quando si utilizza acido naftalenacetico e si riduce sostituendo tale composto con l acido 3-indolbutirrico o con l acido indolacetico. Nel "GF 677" la rizogenesi è rapida ed elevata e gli apparati radicali sono omogenei se nel substrato è presente 1 mg/l di acido naftalenacetico. Le radici formatesi in presenza di acido naftalenacetico sono in genere più corte e con uno spessore maggiore rispetto a quelle formate in presenza di acido 3- indolbutirrico, perciò incontrano maggiori difficoltà nella successiva fase di ambientamento. Inoltre per avere la stessa percentuale di radicazione è necessaria una maggiore concentrazione di acido naftalenacetico rispetto agli altri composti auxinici. La proliferazione delle radici è invece influenzata oltre che dalla presenza di auxine, citochine e gibberelline dal rapporto tra le diverse classi di fitoregolatori.

14 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Per ottenere tutti i vantaggi della micropropagazione è quindi molto importante scegliere, per le singole specie, la concentrazione ed il tipo di auxina più appropriata per le diverse fasi. È bene sopratutto non aggiungere al substrato dosi troppo elevate di auxine perchè non si promuovono la proliferazione o la radicazione, ma la formazione di callo, il quale, oltre ad assorbire sostanze nutritive senza peraltro favorire la moltiplicazione, è facilmente soggetto, a mutazioni geniche di germogli che da esso derivano possono portare caratteri fuori tipo. Citochinine Le citochinine naturali sono: - Kinetina (6-furfurilamminopurina ); - Zeatina (idrossi-3-metil-trans-2-butenilamminopurina); - 2iP (N-(2-isopentenil)adenina). Fra le citochinine di sintesi, molto utilizzata è la BAP (6-benzilamminopurina). Hanno attività simile alle citochinine alcuni composti dell'urea. Di recente introduzione nelle colture "in vitro" è una fenilurea, il thidiazuron (TDZ). Le citochinine vengono impiegate in concentrazioni compresa fra: 1-10 mg/l, per: - stimolare la divisione cellulare; - favorire la produzione di germogli avventizi dai tessuti o dal callo e la crescita di embrioni somatici; - indurre lo sviluppo di germogli ascellari, perchè inibiscono la dominanza apicale. Le citochinine inibiscono anche la formazione e lo sviluppo delle radici. In segmenti di ipocotile di castagno la benzilamminopurina determina la formazione di gemme avventizie, dalle quali, successivamente, si sviluppano

15 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A germogli di 3-6 mm. Per il primo stadio è necessaria una quantità superiore di benzilamminopurina (0,2 mg/1) rispetto al secondo (0,1mg/l). Nell'olivo la citochinina che più stimola la proliferazione è, invece, la zeatina ed a seguire la 2-isopenteniladeina. Identici risultati sono stati ottenuti in mirtillo, ma per l'elevato costo della citochinina naturale per lo più viene aggiunta al substrato di moltiplicazione la 2-isopenteniladenina. Gibberelline La gibberellina più frequentemente impiegata è la GA 3 (acido gibberellico), che favorisce: - l'allungamento degli internodi; - lo sviluppo dei meristemi e delle gemme; mentre inibisce la formazione di radici avventizie, pertanto è impiegata sopratutto nella fase di allungamento. Le gibberelline rompono la dormienza dei semi o degli embrioni isolati da questi. Per quanto riguarda la radicazione, nel melo, ed in molte altre specie, esiste una relazione inversa fra la concentrazione di acido gibberellico e la formazione di radici:quest'ultima aumenta al diminuire del contenuto di GA 3. La presenza di GA 3 nel substrato di proliferazione non è sempre ritenuta necessaria: alcuni Autori ritengono che sia in grado di stimolare l'allungamento delle gemme ascellari e la moltiplicazione dei germogli, altri Autori hanno invece osservato che tale composto non influisce sulla attività proliferativa. Tuttavia tali germogli radicano più difficilmente per un probabile effetto residuale dell'acido gibberellico. Gli ormoni influiscono significativamente sull'accrescimento dei vari organi. In considerazione degli effetti, spesso contrastanti, delle varie classi dei fitoregolatori, la loro utilizzazione viene adattata di volta in volta ai diversi stadi di coltura. Inoltre il grado ed il tipo di differenziamento indotto sugli

16 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A espianti dipendono dalla concentrazione e dai rapporti ormonali nel substrato, particolarmente dal rapporto tra auxine e citochinine. In questi ultimi anni sono stati individuati altri regolatori della crescita. Attualmente non sono ancora frequentemente utilizzati nella formulazione dei substrati di coltura, ma sono, comunque, molto interessanti per via del loro potenziale utilizzo futuro: -acido clorogenico; -flavonoidi; -vari inibitori dell'etilene; -vari inibitori della biosintesi delle gibberelline. ph I valori del ph del substrato devono essere tali da consentire la crescita dei tessuti vegetali. Il ph influenza: - la solubilità dei sali:se è troppo basso i fosfati ed altri sali con alto peso molecolare possono precipitare; - l'assorbimento degli elementi nutritivi e degli ormoni: con bassi valori di ph le vitamine del gruppo B e l'acido pantotenico, le auxine e l'acido gibberellico diventano instabili ed, inoltre, viene ritardato l'assorbimento degli ioni ammonio; - la solidificazione dell'agar. Per questi motivi il range di variazione del ph è abbastanza ristretto ed il valore ottimale per molte specie è compreso fra 5,2-5,8. In questo intervallo i sali si mantengono nella forma solubile, anche in presenza di elevate concentrazioni di fosfati, inoltre questi valori sono sufficientemente bassi per permettere una crescita rapida dei germogli. Durante la sterilizzazione del substrato il valore del ph subisce un abbassamento di circa 0,2-0,3 punti. Si

17 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A modifica anche durante lo sviluppo della coltura per la metabolizzazione di alcune sostanze. In alcune specie il ph scende nelle prime due settimane di coltura per poi risalire alla fine della subcoltura. Secondo alcuni Autori ciò è dovuto alla CO 2 prodotta dalla respirazione dei vegetali, mentre altri sostengono che la diminuizione del ph è legata all'assorbimento dei cationi presenti nel mezzo, mentre il successivo aumento è dovuto alla metabolizzazione degli anioni, sopratutto quelli nitrici. Per quanto riguarda la stabilità dell'agar, un ph troppo acido determina l'idrolisi dell'agente solidificante durante la sterilizzazione in autoclave, causandone la perdita del potere addensante. Al contrario, un ph troppo alcalino rende il substrato viscoso e ciò rende più difficile lo sviluppo dei germogli. FATTORI FISICI Il mezzo di coltura può essere solido o liquido, la solidificazione si ottiene mediante aggiunta di un gelificante, generalmente agar in quantità variabili tra 0,7-0,8 g/l. L'agar ha i seguenti vantaggi: - non è metabolizzato dalle piante; - non reagisce con i costituenti del terreno; - forma con l'acqua dei gel che si sciolgono a circa 100 C e solidificano a 45 C, per un fenomeno di soprafusione (un terreno agarizzato solidificato resta tale fino a 72 C, mentre un agar liquido rimane fluido fino a 48 C). In questo modo un terreno agarizzato è stabile alle normali condizioni di coltura. Dosi troppo basse di agar, pur essendo economicamente convenienti, non permettono ai germogli di rimanere eretti, favorendo fenomeni di vitrescenza dei tessuti e determinando un basso coefficiente di moltiplicazione. Anche un terreno troppo solido inibisce la crescita e la proliferazione, perchè riduce la diffusione degli elementi nutritivi e degli ormoni e limita il contatto

18 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A fra germoglio e soluzione; spesso causa anche l'accumulo di metaboliti tossici. Agenti solidificanti che possono sostituire l'agar (composto molto costoso) sono: - polimeri sintetici come il Biogel P200 (una poliammide); - alginati, impiegati sopratutto per colture di protoplasti; - gerlite, agente gelidificante di sintesi. - polimeri di amido, che hanno il vantaggio di essere solubili in acqua fredda. L'uso del mezzo liquido, in alcuni casi, può dare risultati migliori, in quanto favorisce la rapida dispersione di sostanze tossiche secrete dall'espianto, che se rimanessero concentrate attorno ad esso, come accade nei mezzi solidi, potrebbero causare la morte dei tessuti. In coltura liquida l'espianto può essere immerso nel substrato o essere appoggiato su di un ponte di carta da filtro che, permettendo un continuo ricambio, tiene l'espianto in condizione di miglior arieggiamento. Nel primo caso, invece, le colture devono essere agitate, continuamente, impiegando un agitatore orizzontale o verticale ad una velocità di pochi giri al minuto, velocità più elevate vengono impiegate per colture cellulari. Lo sviluppo degli espianti in vitro è influenzato anche dalle condizioni ambientali della camera di crescita. Luce e temperatura sono i parametri più importanti. Temperatura La temperatura controlla l'accrescimento e lo sviluppo delle piante sia in vivo che in vitro. Questo controllo si riflette sulla crescita delle singole cellule, sullo sviluppo degli organi, sulla attività degli enzimi e quindi sul metabolismo del vegetale. Il range di temperatura ottimale varia in relazione alle specie, essendo compresa in genere tra C. Per le specie tropicali e subtropicali la temperatura può essere mantenuta a livelli superiori (25-30 C). All'interno della cella di climatizzazione la temperatura è solitamente controllata da un termostato.

19 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Luce La luce influenza oltre al processo fotosintetico anche quello di morfogenesi. Perciò il controllo del fotoperiodo e della intensità luminosa all'interno della camera è di fondamentale importanza per ottenere un buon coefficiente di proliferazione e favorire il processo di rizogenesi. La limitata attività fotosintetica delle piante mantenute in vitro può essere legata alla mancanza di organizzazione dei cloroplasti, che si presentano appiattiti, senza la struttura a grana nè il caratteristico stroma lamellare, che invece si ritrovano nelle piante già acclimatate. Questo aspetto riveste notevole importanza non tanto per l'accrescimento in vitro, che avviene prevalentemente in modo eterotrofo utilizzando gli zuccheri presenti nel substrato, quanto per la fase di ambientamento dove è necessario il ripristino della condizione di nutrizione autrotofa. Generalmente l'illuminazione si attua con tubi fluorescenti a luce bianca, che assicurano una buona luminosità e non creano un eccessivo riscaldamento dell'ambiente. La luce fornita è inoltre simile a quella dello spettro solare. In relazione al tipo di luce, Steegmans e Pierik attribuirono alla luce bianca una azione favorevole sulla proliferazione, mentre alle lunghezze d'onda dell'ultravioletto attribuiscono l'effetto opposto. Il fotoperiodo e l'intensità luminosa ottimali variano per le singole specie nelle varie fasi. Tuttavia nella camera di crescita l'intensità luminosa ottimale in fase di moltiplicazione è compresa fra lux, mentre in fase di radicazione è necessaria una illuminazione di almeno 3000 lux per abituare i germogli all'ambiente esterno. La luce e la concentrazione di CO 2 all'interno del contenitore sterile di crescita ha un effetto importante sulla fotosintesi e quindi sulla produzione di biomassa. Il peso secco totale ed il rapporto peso secco/peso fresco nella fase di proliferazione in actinidia aumenta all incremento dell'intensità luminosa. Quest'ultima influenza anche il contenuto di pigmenti fotosintetici: in piante di lampone con una intensità luminosa di 3000 lux è stato ottenuto il più elevato

20 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A contenuto di pigmenti fotosintetici. Sembra comunque che non esista un rapporto diretto fra quantità di pigmenti e fotosintesi, anzi ad una diminuizione della quantità totale di pigmenti, corrisponde, in alcuni casi, un aumento della loro efficienza. Il fotoperiodo influenza la morfogenesi e l'intervallo di buio e di luce ottimale varia nei singoli taxa. Nella camera di crescita non è necessario controllare l'umidità perchè i germogli sono isolati dall'ambiente esterno attraverso le pareti dei contenitori. L'umidità all'interno dei vasi è dovuta all'acqua aggiunta al substrato ed alla concentrazione dell'agente solidificante e, generalmente, raggiunge valori prossimi al 100%. In camera di crescita normalmente vengono applicate condizioni standard: C, fotoperiodo di 16 ore di luce, un'intensità luminosa di lux e lampade fluorescenti a luce bianca.

21 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A CONTAMINAZIONI LATENTI Per avere un buon cefficiente di moltiplicazione è importante anche la sanità del materiale di partenza: se le gemme o i giovani germogli presentano infezioni batteriche o crittogamiche, gli espianti non si svilupperanno in vitro. In questi casi è necessario prestare particolare attenzione nella fase di stabilizzazione della coltura asettica mediante una accurata sterilizzazione degli espianti di partenza. VITRESCENZA La vitrificazione è un'alterazione che può manifestarsi a carico di parte o di tutto l'espianto che presenta foglie di colore chiaro, tessuti ispessiti, turgidi e di consistenza vitrea. I germogli vitrescenti presentano quasi sempre un accrescimento molto lento o nullo, scarso coefficiente di moltiplicazione, foglie fragili che si distaccano dallo stelo durante la subcoltura. Differenze anatomiche e fisiologiche tra piante normali e vitrificate sono facilmente evidenziabili. In germogli vitrescenti lo sclerenchima perivascolare è ridotto a isolati gruppi di fibre scarsamente lignificate, lo xilema è poco differenziato, e nella corteccia si osserva un aumento sia del numero che della grandezza delle cellule. Nelle foglie non esiste una netta differenzazione fra parenchima a palizzata e parenchima spugnoso, che presenta ampi spazi intercellulari ed è quindi responsabile, insieme alla proliferazione delle cellule del parenchima, del maggiore spessore delle foglie vitrificate (che spesso si presentano ripiegate a V). I tessuti sono molto acquosi, con un limitato contenuto di clorofilla e proteine. I germogli vitrescenti radicano difficilmente e la percentuale di sopravvivenza dopo il trasferimento in serra di tali germogli è molto bassa. Gli espianti vitrescenti hanno un minor peso secco rispetto a quelli normali per l'elevato contenuto di acqua dei tessuti. Geneticamente piante normali e

22 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A vitrescenti non presentano differenze: hanno la stessa quantità di DNA e gli apici meristematici danno origine a germogli normali. I fattori che determinano la vitrescenza sono diversi e probabilmente interagenti, tra questi ricordiamo: - l'eccesso di ioni ammonio e/o di cloro nel substrato; - l'eccesso di umidità ambientale; - il potenziale osmotico elevato; - alte dosi di auxine e citochinine. Il rapporto NH + S riveste un certo ruolo nel fenomeno, la vitrescenza si evidenzia dopo un numero elevato di subcolture utilizzando i sali di MS, mentre utilizzando il substrato di Heller (meno ricco di azoto) questa alterazione non si manifesta. Anche il rapporto NH4 + /NO3 - è molto importante, infatti il potenziale osmotico superiore delle cellule di tessuti vitrescenti sembra legato alla scarsa lignificazione dei tessuti, che richiamano più acqua. L'incremento della concentrazione di agar nel substrato sembra determinare da solo una diminuizione della vitrescenza, poichè modifica il potenziale osmotico dell'acqua rendendola meno disponibile per i germogli in accrescimento. La vitrescenza può essere limitata cambiando la composizione dei macroelementi, utilizzando ad esempio il substrato di Lepoivre piuttosto che il classico MS si evitano tali fenomeni in Malus e Prunus. ALTRE SOSTANZE Frequentemente ai substrati nutritivi viene aggiunto il carbone attivo, derivante dalla carbonizzazione del legno ad alta temperatura in presenza di vapore acqueo. È dotato di un' enorme estensione superficiale, su questa area, gli atomi di carbonio superficiali attraggono molecole, in particolare quelle polari. In questo modo ogni tipo di sostanza (gas, composti solidi) può essere assorbita. Il carbone attivo viene purificato al fine di rimuovere ogni tipo di impurità.

23 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Le funzionalità dell utilizzo del carbone attivo nelle colture in vitro possono essere così riassunte: - assorbimento di pigmenti tossici bruni (composti fenolici e melanina) e di altri composti tossici, bruni, dalla composizione chimica non nota; - assorbimento di altri composti organici (auxine, citochinine, etilene, vitamine, chelati di ferro e zinco ecc.); - la modifica della distribuzione dell'illuminazione totale (inscurimento del substrato), come risultato di questo, la formazione delle radici e il loro sviluppo può essere modificato; - promuove l'embriogenesi somatica e l'embriogenesi in colture di antere di Anemone e Nicotiana. Inoltre è stato accertato che l'aggiunta di carbone attivo, spesso, ha un effetto di stimolo sullo sviluppo ed organogenesi di specie legnose; - stabilizza il ph. L'utilizzazione del carbone attivo è indispensabile per le piante che, allevate in vitro, producono pigmenti marroni o neri (di solito polifenoli ossidati e tannini), che rendono la crescita e lo sviluppo molto difficile. La formazione di queste sostanze può essere ridotta, oltre che con il carbone attivo (concentrazione di 0,2-0,3% g/l, utilizzando altre sostanze da aggiungere al mezzo di coltura: - aggiunta di PVP (concentrazione di mg/l), polimero che assorbe sostanze del tipo fenolico; - aggiunta di composti con funzioni antiossidanti come l'acido citrico, l'acido ascorbico, thiourea o L-cistina. Questi composti impediscono l'ossidazione dei fenoli; - aggiunta dei dietil-ditiocarbonati (DIECA), durante i risciacqui, dopo sterilizzazione, alla concentrazione di 2 g/l; - aggiunta di tre aminoacidi (glutamina, arginina, ed asparagina).

24 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Potrebbe essere utile infine effettuare frequenti subcolture su mezzi freschi, per rallentare la formazione di pigmenti indesiderati; utilizzare mezzi liquidi nei quali è più facile e veloce diluire i prodotti tossici; mantenere la base degli apici al buio durante l'allevamento in vitro per ridurre l'imbrunimento provocato dalla foto-attivazione; utilizzare contenitori o tubi con pareti imbrunite per limitare la penetrazione della luce; ridurre la superficie di taglio sugli espianti e la concentrazione dei sali nel mezzo di coltura al fine di contenere gli essudati; Va infine ricordato che i regolatori di crescita svolgono un ruolo importante nell'imbrunimento del substrato derivante dall'ossidazione dei fenoli, limitando l utilizzo di tali composti si può ridurre l'ossidazione; il risciacquo degli espianti in acqua prima della messa in coltura ha un efficace azione nella riduzione degli essudati. VITALITÀ CELLULARE Periodicamente è necessario determinare la vitalità delle cellule in coltura ricorrendo all'osservazione al microscopio della corrente citoplasmatica nelle cellule, oppure usando specifiche sostanze coloranti (fenosafranina, blu di Evan, fluoresceina diacetato). INDUZIONE DI VARIABILITÀ La colture in vitro possono essere ottenute dalla maggior parte dei tessuti vegetali: meristemi, gemme ascellari ed apicali, foglie, steli, piccioli, radici, fiori o loro parti compresi i tessuti aploidi delle antere e degli ovari. La rigenerazione di piante da tali tessuti può avvenire direttamente dall'espianto primario, da callo o da colture cellulari in sospensione, ottenute dall'espianto primario.

25 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Essa può avvenire via organogenesi (formazione di germogli in grado di radicare) o via embriogenesi somatica (fenomeno che mima lo sviluppo dello zigote). Le colture in vitro rappresentano uno strumento molto utile nel miglioramento genetico delle piante, con tale tecnica, infatti, è possibile indurre nuova variabilità genetica per il reperimento di nuovi caratteri utili. Nella maggior parte delle piante propagate a partire da meristemi o gemme apicali ed ascellari, la variabilità osservata è inferiore o pari a quella osservata nelle piante propagate vegetativamente con i metodi tradizionali. Un aumento considerevole della variabilità si osserva quando nel protocollo di rigenerazione sono previsti uno o più cicli di ridifferenziazione cellulare, come nel caso della rigenerazione da tessuti somatici, da colture cellulari in sospensione o da protoplasti. La variabilità genetica ottenuta con le tecniche di coltura in vitro può essere ascrivibile a tre principali fenomeni : 1. mutazioni genetiche; 2. riarrangiamento dei tessuti chimerici; 3. modificazioni epigenetiche. Un altro tipo di classificazione si può effettuare sulla base del momento presunto dell'induzione di variabilità che può definirsi come preesistente al trattamento in vitro del tessuto vegetale, oppure indotta dalla coltura in vitro. Variabilità preesistente Chimere. Gli organismi chimerici, costituiti da almeno due famiglie cellulari portanti differenze genotipiche, sono abbastenza frequenti nelle piante tradizionalmente propagate per via vegetativa ed in particolare nelle specie ornamentali. Le condizioni di crescita in vitro possono fornire un vantaggio selettivo alle cellule con una particolare base genetica. Di conseguenza si può verificare la rottura o il riarrangiamento della chimera originale.

26 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Variabilità genica. Quando presente nei tessuti somatici e preesistente la coltura in vitro è attribuibile a mutazioni spontanee o causate da elementi trasponibili, ad eventi di crossing over mitotici, ad amplificazione di DNA. Variabilità genomica e cromosomica. Occasionalmente possono verificarsi in alcune cellule uno o più cicli di endoreduplicazione, senza il verificarsi della successiva mitosi. Si raggiungono in questo modo vari livelli di endopoliploidia (polisomatia). Quando cellule polisomatiche entrano ancora in mitosi, ad esempio sotto lo stimolo dei fattori esterni tipici delle colture in vitro, si generano cellule di natura poliploide. La frequenza di endopoliploidia è sotto controllo genetico, è funzione dell'età e del tipo di tessuto. I vari tessuti della stessa pianta mostrano diversa capacità di accumulo di mutazioni. In genere i tessuti differenziati presentano un maggior carico di mutazioni genetiche. Variabilità indotta dalla coltura in vitro Variabilità somaclonale. La modificazione più frequente a carico delle cellule allevate in vitro è la poliploidizzazione. Questo fenomeno può veificarsi sia in conseguenza di endoreduplicazione seguita da mitosi, sia in conseguenza alla duplicazione cromosomica non seguita dalla divisione cellulare. Un'altra via di poliploidizzazione è attribuita alla fusione di nuclei in cellule multinucleate. Dal momento che in queste cellule possono coesistere nuclei con diverso livello di ploidia quest'ultimo meccanismo spiega anche la formazione di triploidi ed esaploidi. La formazione di cellule aploidi probabilmente avviene secondo due modalità: la prima, che prevede eventi di meiosi somatica, è stata documentata in meristemi di radici in vivo ed in alcuni tipi di tessuti allevati in vitro. In quelle specie con basso numero di cromosomi la condizione aploide potrebbe essere determinata dall allevamento in vitro anche in conseguenza di ripetute mitosi senza disgiunzione. In cellule con elevato numero di cromosomi questo

27 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A meccanismo di aploidizzazione sembrerebbe poco probabile e porterebbe piuttosto alla formazione di aneuploidi e peudoaploidi. Situazioni cromosomiche aneuploidi possono verificarsi in vitro in conseguenza di segregazioni cromosomiche anormali durante la mitosi o per frammentazione nucleare (amitosi) seguita da normali mitosi. L'aneuploidia può essere la conseguenza anche dell'eliminazione di cromatina a seguito di rotture cromosomiche. Per quanto riguarda le modificazioni strutturali dei cromosomi (delezioni, traslocazioni) esse derivano dalla rottura dei cromatidi nella fase cellulare G1 (aberrazioni di tipo cromosomico) o nelle fasi S e G2 (aberrazioni cromatidiche). Queste anomalie sono più frequenti nelle cellule poliploidi. Molti tipi di traslocazioni vengono ereditate stabilmente attraverso i successivi cicli mitotici; tuttavia, le traslocazioni che danno origine ai cromosomi dicentrici possono continuare ad originare variabilità genetica in conseguenza dei cicli rottura-fusione-ponte. I cicli terminano e si formano nuovi cromosomi monocentrici quando avviene la cicatrizzazione delle estremità cromosomiche interessate. Altre possibili cause di mutazioni genetiche sono: mutazioni spontanee e indotte da componenti mutageni del mezzo di coltura; elementi trasponibili; ricombinazione genica somatica; scambi tra cromatidi omologhi; alterata metilazione con conseguente formazione di zone particolarmente instabili; attivazione e disattivazione di geni in conseguenza di mutazione in regioni non codificanti.

28 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Gli elementi trasponibili sono una delle maggiori fonti di mutazioni. Si ritiene che essi siano particolarmente attivi nelle cellule allevate in vitro poichè attivati da condizioni di stress presenti in coltura. La metilazione del DNA produce generalmente delle modificazioni reversibili dell'attività genica. Studi sul riso hanno evidenziato che la metilazione è una delle cause, sebbene non la maggiore, dell'induzione di polimorfismi dei frammenti di restrizione del DNA delle piante rigenerate da protoplasti. Gli eventi che generano mutazioni si verificano durante l'allevamento in vitro e possono interessare anche le informazioni genetiche presenti nel DNA di organelli citoplasmatici come i cloroplasti e i mitocondri. La variabilità indotta dalle tecniche di coltura in vitro è sotto il controllo genetico, ma è anche influenzata da fattori esogeni, quali: la metodologia di rigenerazione utilizzata; il tipo e la concentrazione dei fattori di crescita; la concentrazione salina del substrato; gli agenti chelanti; la presenza di agenti mutageni; la frequenza di subcoltura; il tipo di coltura (mezzo liquido o solido). Tuttavia è importante sottolineare che il meccanismo di induzione di tale variabilità non è noto per la quasi totalità dei fattori coinvolti. Naturalmente non tutte le varianti genetiche ottenute a seguito delle colture in vitro sono ugualmente competitive. Tra l altro molte delle mutazioni a carico delle cellule allevate in vitro non vengono mantenute durante la fase di rigenerazione di plantule. Tale fenomeno è ascrivibile a due possibili motivazioni: le cellule mutate perdono la capacità rigenerativa; le mutazioni indotte in vitro non sono vitali in vivo.

29 Tecniche di Colture Cellulari - Università degli Studi della Basilicata A.A Attualmente le varianti somaclonali sono di uso decisamente limitato nel miglioramento genetico delle piante; tuttavia, sono riportati eventi favorevoli come per esempio il ritrovamento di cloni di patata superiori alla varietà originaria per produzione, forma del tubero e resistenza alle malattie. In ogni caso l'utilizzo della tecniche di coltura in vitro sembra destinato a contribuire sempre più al raggiungimento di specifici obiettivi di miglioramento genetico, soprattutto se saranno individuati metodi di selezione di cellule portanti mutazioni utili da cui rigenerare plantule. Allo stato attuale è possibile esercitare una pressione selettiva a livello cellulare per caratteri che riguardano la resistenza a tossine, a sostanze chimiche, alla salinità e la resistenza ad aminoacidi ed analoghi di aminoacidi. Le tecniche utilizzate per la selezione prevedono l'utilizzo di sostanze o metaboliti a concentrazioni tali da non fare sopravvivere cellule normali ma solo mutanti tolleranti/resistenti lo stress indotto: determinata la concentrazione che previene lo sviluppo delle cellule normali, si adotta un terreno di coltura selettivo 2-3 volte più concentrato e si effettua l allevamento in vitro di un gran numero di cellule selezionando per l'eventuale insorgenza di mutanti. Il requisito fondamentale per il successo di tale tecnica è che le cellule selezionate possano essere capaci di rigenerate plantule in grado di esprimere il carattere individuato. FECONDAZIONE IN VITRO Nei programmi di miglioramento genetico delle piante coltivate al fine costituire nuovi genotipi spesso è necessario ottenere ibridi derivanti da fecondazioni che in natura si verificano difficilmente o non si verificano affatto (incompatibilità). La coltura in vitro è una tecnica che permette di superare ostacoli che le piante hanno sviluppato per impedire alcuni tipi di incrocio, quali le ibridazioni interspecifiche.

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