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1 PAZIENTE: Le ho mai parlato della mania delle foto? CLINICO: No. PAZIENTE: Adesso era un periodo che non ci pensavo più, ma ho passato dei mesi con questa mania di fare sempre fotografie ai bambini: e dovevo prenderli in questa maniera e in quell altra maniera; con quel completino e in quella data posa... Insomma, pareva che dovessi fotografare tutti i momenti, tutti i sorrisi e se poi me ne andava male una, erano guai, perché anche quella doveva risultare PERFETTA, se no non andava bene. Era un po che non ne facevo più: l altro giorno avevo appena preso il rullino di diapositive, ero lì da sola col bambino, e ho detto: Dai che gli facciamo una foto!. Si era messo lì in una posizione che mi piaceva, stavamo giocando un po, e sono andata a prendere la macchina: quanto mai sono andata a prendere la macchina! Ho rovinato tutto! Scatto la foto adesso o dopo? Adesso o dopo? Adesso o dopo?. Sembra proprio che voglia cogliere il momento... perfetto, perfetto! Sto per scattare e il bambino mi da un calcio: Oddio, adesso cosa ho fatto! E perché non ho aspettato!, insomma, mi è venuta tutta un ansia! Poi gliene ho scattata un altra, però non era più quella di prima... e perché qui e perché là... E adesso è una settimana che sto male perché queste foto non sono andate nel verso giusto. Dopo la tentazione sarebbe quella di continuare a fargliele: fargliene ancora una, ancora due, ancora tre, così almeno salta fuori quella giusta! Mi sono bloccata, ma ho una tentazione di andare a prendere la macchina e di mettermi ancora a scattargliene un sacco. Fino ad adesso non l ho fatto: sto cercando di combattere questa tentazione, di dire: Ma vaffanbagno! Però in effetti sto male dentro. Adesso, il motivo del mio star male in questi giorni è questo qua. CLINICO: Senta, a lei, nella sua vita, è mai venuta l idea o ha mai avuto la sensazione di star sempre rimpiangendo qualcosa che non ha avuto? PAZIENTE: Ma, se posso rimpiangere qualcosa, sicuramente quello che non c è stato con mia madre, nella mia famiglia, i rapporti che non sono stati molto belli fra noi. Quello è ciò che rimpiango più di tutto. CLINICO: Perché non riesce a chiudere questo rimpianto? PAZIENTE: Perché forse attribuisco il mio star male di adesso con quello che c è stato prima. Ecco, forse è per quello che non riesco a chiudere. Perché continuo a pensare che se avessi avuto una madre diversa non sarei così adesso. CLINICO: Ma è possibile che lei sogni una mamma perfetta? PAZIENTE: É anche possibile, non lo escludo, anche se non mi sono mai messa lì a pensarci bene. CLINICO: Ho l impressione che lei sia sempre lì a rimpiangere una cosa praticamente perfetta, che non esiste. Questo diventa un modo tale per cui quest oggetto perduto, l attimo fuggente ti tiene perennemente in ostaggio, perché sei sempre alla caccia di quella cosa praticamente perfetta che non avrai mai e ti rovini la vita. PAZIENTE: E sì, è quello che ho fatto fino ad adesso! Solo che adesso lo faccio rendendomene conto, mentre prima lo facevo senza rendermi conto di questa mani della perfezione: io sono una perfezionista! Sono alla ricerca della perfezione, forse è questo che mi fa star male. CLINICO: Indubbiamente, tolga pure il forse. Lei è alla ricerca della perfezione intesa come: Se io avessi fatto quella cosa lì in quel momento, se io avessi pensato quell altra cosa, allora sì che le cose sarebbero andate bene!. PAZIENTE: Allora sì che sarei contenta!. CLINICO: Esattamente. 1

2 PAZIENTE: Quello che mi fa star male è proprio che non ammetto lo sbaglio. CLINICO: Quello che lei non ammette è di verificare nella realtà che la perfezione non esiste e allora per quello si arrabbia tanto. Questo episodio delle fotografie è un buon esempio di un arrabbiatura mostruosa. PAZIENTE: Eh sì, mi arrabbio con me stessa, anche se l arrabbiatura è mascherata... CLINICO:... dalla depressione, dallo star male, dal rimuginio, però di base l emozione di fondo è un arrabbiatura incredibile; è come se lei dicesse: Ma porco cane, se l avessi fatto due secondi fa!. Le capita proprio così. Per quello non tollera queste cose, perché si rende conto che non c è condotta, non c è strategia che l aiuti ad avere qualcosa di perfetto. Perché anche se avesse fatto la fotografia due secondi prima, magari il bambino non le avrebbe dato il calcio, ma sarebbe stata sovraesposta, sottoesposta,... PAZIENTE: E non c era luce abbastanza; e perché non l ho messo in mezzo, dovevo metterlo là più vicino alla finestra.... CLINICO: Ho sempre l impressione che lei si incisti su questo oggetto perfetto che accidenti, mi è sfuggito di nuovo: aspetto che ci riprovo dall altra parte ; è la stessa cosa con la mamma ed è ciò che le impedisce e le ha impedito di mettere in atto delle condotte per dire: Benissimo, il prodotto che la vita mi ha fornito è una mamma così. Allora,: punti di forza, punti di debolezza, cose che mi piacciono, cose che non mi piacciono : Come faccio a essere il più in contatto possibile con le cose che mi piacciono? Partendo dal presupposto che il prodotto è quello lì e non è modificabile. Ciò, però, richiede un passaggio emotivo preciso, che è quello di dire: Non esiste una mamma che possa funzionare a tutto campo. Questa mamma qua mi ha provocato una serie di danni: se ne avessi avuto una diversa, non mi avrebbe provocato questi danni, ma ne avrebbe provocati altri. La mamma perfetta non esiste, esiste solo nelle pubblicità o nelle telenovelas; è perfetta solo in alcuni attimi, perché anche lei in alcuni attimi è perfetta, ma voglio vedere mantenere la perfezione ventiquattro ore al giorno. Anche i suoi bambini sono perfetti in alcuni momenti: a lei viene da cogliere l attimo fuggente, per esempio rispetto al suo bambino più piccolo. Deve aver provato una sensazione molto gradevole nel momento in cui ha deciso di andare a prendere la macchina fotografica, nel senso del dire: Praticamente è perfetto!. Però è un momento. PAZIENTE: Anche perché io, cercando di fotografarlo in quel momento, non provo più quello che proverei invece se non penso alla fotografia, ma cerco di gustarmi quel momento lì. CLINICO: Certo: vivitelo, goditelo in quel momento lì, tanto ti rimane dentro uguale. PAZIENTE: Anzi, tante volte, quando poi scatto la fotografia, mi rendo conto che mi dico: Ma, in effetti, che cosa mi è rimasto di questo momento? : la tensione, la preoccupazione di avergli fatto la foto bene, che poi è andata male, peggio che peggio e poi? Cosa mi è rimasto?. In questo modo mi sono praticamente rovinata la maggior parte dei momenti belli con i miei bambini. CLINICO: Lei si è rovinata la vita in questo modo, i figli sono l ultimo pezzo; e sempre con il fatto di dire: Sì, no, ma, però, se. Questo è il meccanismo di pensiero che frega, perché fa entrare in una cosa che non ha risposta; lei, infatti, continua a dirsi: Io sono scarsa e continua a fare la fantasia che questa cosa si possa raggiungere. Nel momento in cui viene criticata, ad esempio dal marito o dalla mamma, le viene confermata l idea bizzarra che se lei fosse un po più giusta, potrebbe raggiungere quell ideale che sogna. Uno, invece, deve avere chiaro che questa cosa non si può avere. 2

3 PAZIENTE: La storia delle fotografie si è chiusa, perché di solito fa così: inizia magari, poi fa la sua ondata, poi riesco a scrollarmene prima o poi, solo che male come queste ultime settimane era da un pezzo che non mi sentivo. Nel senso che poi diventa proprio una cosa che mi paralizza. Basta, vado fuori fase, fuori tutto, non combino più niente, non riesco più a fare niente, non dormo di notte e continuo a pensare, pensare, ripensare sempre a cosa ho fatto: Ma perché non ho fatto così, dovevo fare così. Insomma, questi pensieri diventano talmente assillanti che veramente non riesco a pensare a nient altro che a quello. CLINICO: Certo, perché diventa un tormentone. PAZIENTE: Sì, ma proprio da star male, tanto che l altro giorno mi sono presa il Lexotan, perché proprio non ne potevo più veramente. Mi sono detta: Guarda, sdraiati e dormi, almeno intanto che dormi non ci pensi. Solo che poi questa cosa porta anche a una situazione in famiglia che logicamente... perché sta male la mamma, i bambini già se ne rendono conto, diventano nervosi anche loro; il marito anche lui -poveretto- non sa più che pesci pigliare, perché sembrava un periodo in cui andavo abbastanza bene. É passato parecchio tempo da quando stavo così. CLINICO: Mi sembra di averla vista in queste condizioni in occasione del nostro primo incontro. PAZIENTE: Sì, mi sa che da allora non ho più avuto un periodo così, proprio da perdere il controllo, da stare così male... Per cui dopo cosa faccio, sto male e cerco tutti i possibili appigli per far qualcosa per venirne fuori. CLINICO: Ecco, mi racconti bene quando è iniziato questo tormentone e su che cosa. PAZIENTE: Allora, è stato sabato scorso, circa dieci giorni fa. Quella settimana mio marito era a casa in ferie... ecco, allora, tutto bene fino a sabato a mezzogiorno, dopo pranzo. Dopo pranzo mio marito dice: Prendo il bambino più grande e lo porto un attimo a fare una passeggiatina lì vicino a noi, gli faccio vedere un oasi con i cigni che c è lì vicino. L altro bambino dormiva. Al momento gli ho detto: Sì, va bene, vai. Mi sembrava che la cosa non creasse grossi problemi. E mi sono detta: In questo momento che sono qui tranquilla cosa faccio?. Dopo, analizzando i pensieri, mi sono accorta che in quel momento avevo voglia di riposare, però, c è qualcosa dentro di me che mi dice: Ma no Elena, non puoi riposare. CLINICO: Non è ora! PAZIENTE: Non devi!, insomma, No no, devi fare qualcosa, mettiti a fare qualcosa: su, su!. Allora penso a cosa posso fare, mi metto a fare, tiro fuori... ma pulisco un po sotto lì, sotto là... insomma, mi sono messa a fare un po di pulizie. Poi mi sono accorta che in effetti ero stanca, perché quel giorno lì ero anche mestruata. in quel momento sono tornati dal giretto. Era presto, sono stati via un oretta e mi sono trovata lì che sfaccendavo. E il bambino ha iniziato a dire: Dai mamma, devo andare a giocare da Carlo, che è il suo amico che abita di fronte. Dai, fammi andare, fammi andare, fammi andare. E io gli dicevo: Dai, aspetta un momentino che finisco qui, poi dopo vediamo. Solo che lui poi insisteva e allora a un certo punto ho detto: Dai che andiamo a vedere se c è Carlo per giocare. Però... poi mi sono venuti così tanti pensieri che a spiegarli è un po... Allora, a me andava bene che andasse a giocare col bambino, però ho iniziato a pensare: È una bella giornata, se va là in casa cosa sta là a fare chiuso dentro? Devo farlo stare fuori un po all aria aperta Allora chiamo il bambino a venire qua da me, visto che abbiamo un terrazzo grande. Chiamo il bambino a venire qua da me... però, poi, nemmeno così ero contenta, perché dico: Dopo ce l ho qui in mezzo ai piedi, non posso neanche riposare. Poi la paura era anche quella che: Cavoli, poi va là, si chiude in casa... - poi sono tutti pensieri che io analizzo dopo-... Va là, si 3

4 chiude in casa e dopo magari mi prende qualche malattia, perché poi c è sempre quella paura lì, la paura delle malattie. Oddio, no, è meglio che stia all aria aperta... Insomma, tutta una serie di cose no: da una parte non volevo tenerlo lì, perché poi non avrebbe giocato, però volevo averlo sotto controllo, però volevo anche che non si ammalasse, però, insomma, avevo anche voglia di riposare, insomma un sacco di cose. Va beh, ora della fine ho chiamato il bambino, l ho fatto venire li sul terrazzo. Però, va beh, dopo i bambini iniziano a litigare, ogni cinque minuti erano lì: E mamma qui e mamma là e Carlo non mi dà questo.... Mio marito era lì che.. si è mantenuto neutrale, leggeva il suo giornale... io non ho osato dirgli niente, nel senso, non so: Guarda tu un attimo i bambini che intanto io vado di là a fare qualcosa, avevo pensato di fare il bagno, di rilassarmi un attimino. Ed ero lì con questa tensione addosso, con la rabbia di non riuscire a rilassarmi: E quanto mai l ho fatto venire su e adesso oramai è su... CLINICO: Che cosa le potrebbe succedere se in quel momento lei prendesse dei farmaci? PAZIENTE: E, non so, al momento non mi rendo conto. CLINICO: Al momento non si rende conto che inizia un pensiero disturbante. PAZIENTE: Sì, di trovarmi così confusa, così... Dopo ci penso, quando inizio a star male, quando vedo che la cosa poi è diventata così... che mi ha sfasato fuori, insomma, allora dico: Ecco, però, potevo pensarci prima. Ma, in effetti, io queste cose le dico adesso perché ci ho ragionato su sulla cosa, però al momento non me ne sono resa conto di essermi trovata in questa situazione. Io, cioè, avevo dentro queste cose, ma non ero lucida per dire: Elena, cosa stai facendo?. Poi, quello che ha scatenato tutto - quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, però ho iniziato a stare male già prima, al momento ho dato la colpa a quello, però non è stato quello -. Si è svegliato l altro bambino, era tutto tranquillo, per cui ho detto: Adesso lo mando un attimo fuori a giocare anche lui; dai che lo cambiamo; cambiamolo qui, perché aveva su il pigiamino. C era lì anche mio marito ad aiutarmi. Lo cambiamo tutto in fretta e allora dico: Dio, ma ora gli ho fatto prendere freddo! E no, dovevo portarlo di là a cambiarlo, perché era rimasta aperta per un po la finestra ed era un po freddo. Perché io ho veramente la fissazione che... CLINICO: Aspetti: ma è la fissazione della malattia o è la fissazione di un rituale? Come, cioè, se lei avesse in testa un modello, ovvero il bambino lo si può cambiare solo in questa situazione e in questo contesto; poniamo: il bambino si può solo cambiare in camera sua, vicino al suo lettino. Se lo cambio in bagno, a quel punto c è sempre qualcosa di mal fatto. PAZIENTE: Non penso sia quello, perché mi capita diverse volte di cambiarlo in ambienti diversi, non ho un posto fisso dove cambiarlo. Penso piuttosto che sia proprio l idea dell ammalarsi, la paura del freddo: Oddio, ha preso freddo, adesso basta, adesso si ammala. Che poi è stata una questione di cinque minuti, il tempo di cambiarlo: Ecco, però, dovevo lasciargli su per primo la maglietta, così almeno non prendeva freddo di sopra.... Non le dico come sto male! Adesso rido, perché sto parlando con lei, ma comunque sono cose assurde proprie. Ed è stato lì che ho iniziato ad andare in crisi. Dopo cinque-dieci minuti che questa cosa era successa: Oddio cosa ho fatto! Ma perché ho dato retta a mio marito. Se l avessi portato di là in camera non mi prendeva freddo; se gli avessi lasciato su la maglietta, non avrebbe preso freddo!. Insomma, ho iniziato a stare male con questo pensiero, sempre di più, sempre di più... basta, crollo definitivo, proprio un ruzzolone. Basta, non c è più stato verso di recuperare. E per tutta la settimana sono stata lì a pensare come fare... perché ci sono stati anche dei momentini in cui non era così forte il pensiero e riuscivo anche a fare qualche 4

5 cosina. Però, quando il pensiero era talmente forte... Non ho pensato di prendere i farmaci subito: gli ho presi quando me l hanno detto, cioè due giorni fa. E dopo inizio a pensare: Ma chissà, ma forse non sono a posto io, perché io mi faccio anche dei problemi di coscienza, riguardo alla fede. 5

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