Siano V e W due spazi vettoriali. La definizione seguente é è tra quelle basilari per il corso di Matematica B. L : V W

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1 Matematica B - a.a 2006/07 p. 1 Siano V e W due spazi vettoriali. La definizione seguente é è tra quelle basilari per il corso di Matematica B. Definizione 1. La funzione L : V W si dice una applicazione lineare se verifica le proprietá L(v + V w) = L(v) + W L(w) L(λ v) = λ L(v) λ R v, w V Prima sommare due vettori in V e poi fare l immagine della somma equivale a fare prima le immagini dei due vettori e poi farne la somma in W ; l immagine del prodotto di uno scalare per un vettore di V equivale a moltiplicare per quello scalare in W l immagine del vettore. Una funzione lineare, si dice, conserva le

2 Funzioni lineari - Definizioni p. 2 operazioni di somma e di prodotto per uno scalare. Talvolta è più conveniente pensare alla linearità nella maniera equivalente: L(λ v + µw) = λ L(v) + µ L(w) per ogni scelta di v, w V e λ, µ R; cioè L è lineare se l immagine di una combinazione lineare in V è la combinazione lineare delle immagini in W. Esempio 2. La funzione nulla L : R n R m, tale che L(x) = 0 R m è ovviamente lineare. Esempio 3. Per ogni spazio vettoriale V, la funzione identica I V : V V, tale che L(x) = x è anch essa ovviamente lineare. Esempio 4. La funzione L : R 3 R 3 tale che L(x, y, z) = (x, y, 0)

3 Matematica B - a.a 2006/07 p. 3 è lineare. Verichiamolo. Da un lato L((x 1, x 2, x 3 )+(y 1, y 2, y 3 )) = L((x 1 +y 1, x 2 +y 2, x 3 +y 3 )) = (x 1 +y 1, x 2 +y 2, d altro lato L((x 1, x 2, x 3 ))+L((y 1, y 2, y 3 )) = (x 1, x 2, 0)+(y 1, y 2, 0) = (x 1 +y 1, x 2 +y 2, 0) Inoltre L(λ(x 1, x 2, x 3 )) = L((λx 1, λx 2, λx 3 )) = (λx 1, λx 2, 0)) e λl((x 1, x 2, λ(x 1, x 2, 0) = (λx 1, λx 2, 0). Esempio 5. La funzione dell esempio precedente ha un significato geometrico evidente, essa è la proiezione p di un punto di R 3 (lo spazio ordinario ) sul piano xy (veramente il piano z = 0), ossia p : R 3 R 3 ; p(x, y, z) = (x, y, 0). Verificare che p p = p.

4 Funzioni lineari - Definizioni p. 4 Esempio 6. Se A M m,n (R) (matrici m n) e x = l applicazione x Ax x 1 x 2. x n allora è lineare tra R n e R m. Infatti la moltiplicazione di matrici ha la proprietá A(x 1 + R n x 2 ) = Ax 1 + R m Ax 2 e A(λx) = λax. Dalla definzione di linearitá, discende immediatamente il fatto che: Se L è lineare allora L(0 V ) = 0 W. Infatti L(0 V ) = L(0 0 V ) = 0 L(0 V ) = 0 W.

5 Matematica B - a.a 2006/07 p. 5 quindi condizione necessaria (ma non sufficiente: si veda l esempio 8) affinché la funzione L tra V e W sia lineare è che mandi il vettore nullo di V nel vettore nullo di W. Esempio 7. La funzione L(x, y) = (2x, y + 1) da R 2 in se stesso NON è lineare: infatti L((0, 0)) = (0, 1) (0, 0). Esempio 8. La funzione L(x, y) = (2x, x 2 ) da R 2 in se stesso NON è lineare. É vero che L((0, 0)) = (0, 0), ma, ad esempio, L((1, 1) + (1, 1)) = L((2, 2)) = (4, 4), che è diverso da L((1, 1)) + L((1, 1)) = (2, 1) + (2, 1) = (4, 2). Definizione 9. Una funzione lineare L : V W biiettiva viene detta isomorfismo tra V e W. Se due spazi sono isomorfi (cioè tra di essi esiste un isomorfismo) scriveremo V = W. Definizione 10. Una funzione lineare L : V endomorfismo di V. V si chiama

6 Funzioni lineari - Nucleo e Immagine p. 6 Definizione 11. Sia L : V W una funzione lineare. 1. il nucleo di L è l insieme ker L = {v V : L(v) = 0 W }. 2. l immagine di L è l insieme Imm(L) = {w W : v V, w = L(v)} Il nucleo è un sottoinsieme del dominio fatto dai vettori che hanno come immagine lo zero del codominio. Possiamo dire che è la controimmagine del vettore nullo di W : ker L = L (0 W ); l immagine è... l immagine di L come funzione, cioè l insieme dei vettori del codominio che sono immagini di qualche vettore del dominio tramite L. Teorema 12. Sia L : V W una funzione lineare. 1. ker L è un sottospazio di V.

7 Matematica B - a.a 2006/07 p Imm(L) è un sottospazio di W. Dimostrazione. 1. Se v 1, v 2 ker L e λ, µ R allora L(λv 1 + µv 2 ) = λl(v 1 ) + µl(v 2 ) = λ0 W + µ0 W = 0 W : quindi λv 1 + µv 2 ker L. 2. Se w 1, w 2 Imm(L) allora esistono v 1, v 2 V tali che L(v 1 ) = w 1, L(v 2 ) = w 2. Quindi L(λv 1 + µv 2 ) = λw 1 + µw 2 Imm(L) per ogni λ, µ R. Esempio 13. Sia p x : R 3 R 3 tale che p x (x, y, z) = (x, 0, 0) (proiezione sull asse x). Tale applicazione è lineare. Si ha Imm(p x ) = {(x, 0, 0) : x R}, mentre ker p x = {(0, x, y) : x, y R}. Esempio 14. Sia p xy : R 3 R 3 tale che p x (x, y, z) = (x, y, 0) (proiezione sul piano xy). Tale applicazione è lineare. Si ha Imm(p xy ) = {(x, y, 0) : x, y R}, mentre ker p xy = {(0, 0, y) : y R}.

8 Funzioni lineari - Nucleo e Immagine p. 8 Esempio 15. Sia D : P n P n la funzione che ad ogni polinomio associa il suo polinomio derivato: a 0 + a 1 x + + a n x n a 1 + 2a 2 x + + na n x n 1. Tale applicazione è lineare, grazie alle note proprietá dell operazione di derivazione sulle funzioni reali. Si ha Imm(D) = P n 1 (lo spazio dei polinomi con un grado in meno), mentre ker D = {a 0 : a 0 R} (polinomi costanti). Definizione 16. Data L lineare tra V e W, la dimensione di ker L si dice nullitá di L, la dimensione di Imm L si dice rango di L. Con le applicazioni lineari tra due spazi vettoriali si può costruire un nuovo spazio vettoriale. Infatti, se V e W sono spazi vettoriali su R ed f e g sono applicazioni lineari da V a W allora è facile verificare che f + g : V W

9 Matematica B - a.a 2006/07 p. 9 e, per ogni c R, cf : V W, sono applicazioni lineari sempre da V a W. Dunque, Definizione 17. La collezione delle applicazioni lineari tra due spazi vettoriali V e W è anche esso uno spazio vettoriale, indicato con L(V, W ) (oppure com Hom (V, W )). I vettori di questo spazio sono applicazioni (lineari). Se dim V = n e dim W = m qual è la dimensione di questo nuovo spazio L(V, W )? Come si descrive una sua base? Torneremo presto su questo argomento. Nucleo ed immagine di un applicazione lineare sono sottospazi, rispettivamente del dominio e del codominio. Si può generalizzare e dimostrare (esercizio) il

10 Applicazioni lineari e indipendenza p. 10 Teorema 18. Sia f è lineare tra V e W. 1. Se W 1 è sottospazio di W allora f (W 1 ) è sottospazio di V 2. Se V 1 è sottospazio di V allora f(v 1 ) è sottospazio di W. Sia f un applicazione lineare tra V e W. Il fatto che v 1,..., v n siano linearmente indipendenti in V non comporta che f(v 1 ),..., f(v n ) siano pure loro linearmente indipendenti in W. Si pensi alla proiezione sull asse x dell esempio 13. I vettori (1, 2, 3) e (1, 3, 2) sono indipendenti, ma p x ((1, 2, 3)) e p x ((1, 3, 2)) non lo sono, poiché entrambe uguali a (1, 0, 0). Piuttosto: Teorema 19. Se v 1,..., v n sono linearmente dipendenti in V allora anche f(v 1 ),..., f(v n ) sono linearmente dipendenti in W. Dimostrazione. Facile esercizio

11 Matematica B - a.a 2006/07 p. 11 Il prossimo teorema dice qualcosa di interessante sul nucleo di un applicazione lineare. Teorema 20. Sia f una applicazione lineare tra V e W. Allora le seguenti affermazioni sono equivalenti: 1. f è iniettiva 2. ker f = {0 V } 3. per ogni base B di V accade che f(b) è un insieme indipendente di W. Dimostrazione Una conseguenza da sottolineare è questa: una funzione lineare tra V e W conserva il rango di una famiglia

12 Teorema della dimensione p. 12 di vettori di V se e solo se è iniettiva, cioè se e solo se il suo nucleo è il sottospazio nullo di V. Teorema 21 (della dimensione). Sia L un applicazione lineare tra gli spazi vettoriali V e W di dimensione finita; allora dim ker L + dim Imm L = dim V. Dimostrazione. Sia u 1,..., u k una base per ker L; sappiamo che possiamo estendere questa ad una base u 1,..., u k, u k+1,..., u n di V. Sia v i = L(u i ) per k + 1 i n. La tesi sará dimostrata se facciamo vedere che i v i sono una base per Imm L. Sono indipendenti: supponiamo che n k i=1 λ iv k+i = 0 W. Allora n k i=1 λ iv k+i = n k i=1 λ il(u k+i ) = L( n k i=1 λ iu k+i ) = 0 W e quindi

13 Matematica B - a.a 2006/07 p. 13 n k i=1 λ iu k+i ker L. Poiché u 1,..., u k sono una base per ker L, abbiamo scalari µ i,..., µ k tali che n k i=1 λ iu k+i = k j=1 µ ju j, cioè k ( µ j )u j + j=1 n k i=1 λ i u k+i ) = 0 W. Poiché la famiglia u 1,..., u k, u k+1,..., u n è indipendente, abbiamo che µ j = 0 = λ i per ogni i, j. Sono generatori: sia x Imm L e supponiamo x = L(v). Allora abbiamo v = n i=1 λ iu i per qualche ennupla di scalari λ i R. Perciò x = L(v) = L( n i=1 λ iu i ) = n i=1 λ il(u i ) = n i=k+1 λ il(u i ), poiché risulta L(u i ) = 0 W per 1 i k. Dal teorema dimostrato segue il Corollario 22. Siano V e W spazi vettoriali con la stessa dimen-

14 Composizione di applicazioni lineari p. 14 sione n 1. Un applicazione lineare L : V W è iniettiva se e solo se è suriettiva. Dimostrazione. Esercizio Osservazione 23. Possiamo avere un isomorfismo L tra spazi vettoriali V e W di dimensioni diverse? Se L è isomorfismo, in particolare ker L = {0 V }, perché L è iniettivo. Pertanto dim Imm L = n = dim V : ma Imm L = W, perché L è suriettivo, quindi dim W = n. Si conclude che possiamo avere isomorfismi solo tra spazi vettoriali della stessa dimensione (finita). Si vedrá presto anche di più: se due spazi vettoriali hanno la stessa dimensione finita allora sono necessariamente isomorfi. Vogliamo vedere come si comportano le applicazioni lineari rispetto alla composizione di funzioni. Siano f : V W e g : W U due applicazioni lineari. La funzione composta g f è ancora una

15 Matematica B - a.a 2006/07 p. 15 funzione lineare da V a U. Infatti: (g f)(v 1 +v 2 ) = g(f(v 1 +v 2 ) = g(f(v 1 ) + f(v 2 )) = g(f(v 1 )) + g(f(v 2 )) Quest ultima espressione è esattamente (g f)(v 1 ) + (g f)(v 2 ). Analoga verifica per vedere che (g f)(λv) = λ(g f)(v) per ogni λ R. Esempio 24. Siano V = R 2, W = R 3 e U = R 2. f(x, y) = (x, x+y, y) e g(x, y, z) = (y x, y z) due funzioni lineari. Abbiamo (g f)(x, y) = g(f(x, y)) = g(x, x+y, y) = (x+y x, x+y y) = (y, x). La funzione composta è lineare. Geometricamente, nel piano R 2 riferito alla base canonica, è la simmetria ortogonale sulla retta y = x. Esempio 25. Riprendiamo l applicazione D di derivazione sullo spazio dei polinomi di grado al massimo n. La funzione composta D D applicata al polinomio p(x) ha il significato di derivare due

16 Applicazioni lineari e coordinate p. 16 volte p(x). Abbiamo facilmente: ker(d D) = {ax + b : a, b R} e Imm (D D) = P n 2. Sia L un applicazione lineare tra V n e W m (gli esponenti sono le dimensioni finite del dominio e del codominio). Sia E = {v 1,..., v n } una base per V n e F = {w 1,..., w m } una base per W m. Per conoscere l applicazione L, come si fa per una generica funzione, si può dare la regola di assegnazione per ogni elemento del dominio. Ma le funzioni lineari sono, da questo punto di vista, speciali. Infatti l azione di L sul dominio è perfettamente nota quando se ne conosca l azione sulla base E. Vediamo perché: ogni vettore di x V n si scrive e quindi x = x 1 v x n v n L(x) = L(x 1 v x n v n ) = x 1 L(v 1 ) + + x n L(v n ).

17 Matematica B - a.a 2006/07 p. 17 Quindi, se conosciamo L(v 1 ),..., L(v n ) allora possiamo trovare l immagine di un qualsiasi vettore x V n. Questa è la specialitá delle funzioni lineari. Conviene fissare bene questo concetto. Se allora L(v 1 ) = a 11 w a m1 w m L(v 2 ) = a 12 w a m2 w m. = + +. L(v n ) = a 1n w a mn w m L(x) = x 1 L(v 1 ) + + x n L(v n ) = x 1 (a 11 w a m1 w m ) + + x n (a 1n w a mn w m ) = (a 11 x a 1n x n )w (a m1 x a mn x n )w m.

18 Applicazioni lineari e coordinate p. 18 Guardando ai coefficienti dell immagine di x rispetto alla base F, notiamo che si possono ottenere attraverso il prodotto righe per colonne delle due matrici a 11 a a 1n a 21 a a 2n a m1 a m2... a mn Pertanto tutta l informazione sulla funzione L è contenuta nella matrice a 11 a a 1n a 21 a a 2n a m1 a m2... a mn sulle cui colonne ci sono le coordinate delle immagini dei vettori della base E rispetto alla base F. Diciamo che questa è la matrice x 1 x 2. x n E.

19 Matematica B - a.a 2006/07 p. 19 di rappresentazione dell applicazione L rispetto alle basi scelte: la indicheremo con A EF L. Se y è l immagine di x tramite L, quindi, a livello di coordinate nelle basi scelte, abbiamo x 1 y 1 x 2 y 2 A EF L. x n E Osservazione 26. Si rifletta bene su quanto è accaduto: fissate due basi, una nel dominio V n e l altra nel codominio W m, ogni applicazione lineare tra i due spazi è individuata da una matrice di tipo m n: le colonne di tale matrice sono le m-ple delle coordinate delle immagini degli n vettori della base del dominio rispetto alla base del codominio. =. y m F.

20 Applicazioni lineari e coordinate p. 20 Esempio 27. Sia L : R 3 R 2 data da L(x, y, z) = (2x y, y + z). Fissiamo la base E = {(1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)} nel dominio e la base F = {(1, 0), (0, 1)} nel codominio (le basi canoniche). La matrice di rappresentazione di L sará di tipo 2 3 ed avrá sulle colonne le coordinate delle immagini dei vettori della base canonica di R 3 rispetto alla base canonica di R 2. L((1, 0, 0)) = (2, 0), L((0, 1, 0)) = ( 1, 1), L((0, 0, 1)) = (0, 1). Quindi A EF L = [ 2 1 ] Se vogliamo trovare l immagine del vettore x = (2, 4, 1) E tramite L possiamo usare la definizione data: L((2, 4, 1) E ) = (4 4, 4 + 1) F = (0, 5) F

21 Matematica B - a.a 2006/07 p. 21 ma possiamo anche usare il prodotto righe per colonne [ ] [ ] = F Esempio 28. Sia f l endomorfismo di R 2 definito da f((x, y)) = (2y, x). Scegliendo la base canonica E sia nel dominio che nel codominio abbiamo: quindi f((1, 0) E ) = (0, 1) E, A EE f = E f((0, 1) E ) = (2, 0) E [ ] Se cambiamo la base nel codominio, prendendo F = {(0, 1), (2, 0)} allora abbiamo f((1, 0) E ) = (1, 0) F, f((0, 1) E ) = (0, 1) F

22 L(V, W ) e M mn (R) p. 22 quindi A EF f = [ ] Notiamo che abbiamo la matrice identica di ordine 2, anche se l applicazione non è l identitá di R 2. L ultimo esempio (in realtá tutto ciò che abbiamo detto fin dall inizio) fa capire come la matrice associata ad un applicazione lineare non sia affatto canonica : cambiando le basi nel dominio e/o nel codominio la stessa applicazione lineare viene rappresentata da matrici diverse. Sappiamo che l insieme delle applicazioni lineari L(V, W ) è uno spazio vettoriale con le operazioni di somma tra funzioni e prodotto per uno scalare definite puntualmente. Anche lo spazio delle matrici M mn (R) è uno spazio vettoriale con le operazioni di somma tra matrici e moltiplicazione per scalare. Non è difficile osservare che

23 Matematica B - a.a 2006/07 p. 23 se f : U V g : U V sono lineari con matrici [f] e [g] rispetto a due basi scelte, si ha che la funzione somma f + g e la funzione λf hanno matrici, rispetto a quelle basi, [f] + [g] e λ[f]. Vale, cioè la proprietá: [f + g] = [f] + [g] [λ f] = λ [f] Pertanto la funzione che ad ogni elemento di L(V, W ) associa in M mn (R) la sua matrice di rappresentazione rispetto a due basi è lineare; di più, essa è proprio biiettiva. Teorema 29. Siano U e V spazi vettoriali reali di dimensioni rispettive n ed m (n, m 1). Siano {u 1,..., u n } una base di U e {v 1,..., v m } una base di V. L applicazione L : L(V, W ) M mn (R)

24 L(V, W ) e M mn (R) p. 24 che associa ad ogni trasformazione lineare φ : U V la matrice A = (a ij ) definita dalle relazioni φ(u j ) = m a ij v i, i=1 j = 1,.., n è un isomorfismo dello spazio vettoriale L(V, W ) sullo spazio vettoriale M mn (R). Dimostrazione. L è iniettiva perché due applicazioni lineari diverse danno immagini diverse di almeno un elemento della base di U. Quindi le matrici associate hanno almeno un entrata diversa. Che sia suriettiva è ovvio: data la matrice (a ij ) si definisce φ come φ(u j ) = m i=1 a ijv i, j = 1,.., n. Allora L(φ) = (a ij ). La collezione di matrici {E ij : 1 i m, 1 j n}

25 Matematica B - a.a 2006/07 p. 25 che hanno 1 in posizione ij e zero altrove, sono una base per M mn (R). Infatti ogni A = (a ij ) M mn (R) si scrive come A = m i=1 n a ij E ij. j=1 Ad esempio, per m = 2 ed n = 3 si ha [ ] [ ] [ ] a b c = a + b d e f d [ 0 0 ] e [ 0 0 ] Come conseguenza importante abbiamo che + f + c dim L(V, W ) = dim M mn (R) = mn. [ ] [ 0 0 ]

26 L(V, W ) e M mn (R) p. 26 Ora che sappiamo la dimensione, viene spontaneo chiedersi quali siano le applicazioni lineari e ij corrispondenti alle matrici E ij, cosí da costruire esplicitamente una base per L(V, W ). Se v 1,..., v n e w 1,..., w m sono basi di V e W, ponendo e ij (v k ) = { 0W se k j se k = j v i k = 1... n, ovvero, ricordando la funzione δ di Kronecker, e ij (v k ) = δ jk w i, k = 1... n, si trova che la matrice di e ij rispetto alle basi date è proprio E ij. Quindi la collezione delle applicazioni e ij : V W è una base per L(V, W ). Osservazione 30. Nel teorema 29 abbiamo fissato in V e W due basi. La loro scelta è assolutamente arbitraria. Ciò significa che

27 Matematica B - a.a 2006/07 p. 27 ogni matrice rappresenta un applicazione lineare tra due spazi di opportune dimensioni rispetto a qualsiasi coppia di basi vengano scelte. Ad esempio, la matrice quadrata A = rispetto alla base E = {(1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)} sia nel dominio che nel codominio di R 3 dá l applicazione f x x 0 0 y = y y = y, z z z z E mentre rispetto alla base F = {(0, 1), (1, 0)} (nel dominio e codominio) dá l applicazione g x y 0 x y = x x = 0. z z z z F E F

28 Þ L(V, W ) e M mn (R) p. 28 Úµ Úµ Ý Ú La prima interpretazione ci dà la proiezione sul piano yz, la seconda quella sul piano xz. Ü Il teorema 29 dice che ogni applicazione lineare è descritta da una matrice e ogni matrice descrive un applicazione lineare. A questo punto possiamo unificare i concetti di rango di una matrice e rango di un applicazione lineare:

29 Matematica B - a.a 2006/07 p. 29 Teorema 31. Il rango di una matrice è uguale al rango di ogni applicazione lineare da essa rappresentata. Dimostrazione. Supponiamo A sia una matrice m n. Dati V di dimensione n e W di dimensione m, con basi rispettivamente B e C, A rappresenta una qualche applicazione lineare f, tra questi due spazi rispetto alle basi scelte, la cui immagine {f(v) : v V } = {f(a 1 b a n b n ) : a 1,..., a n R} = = {a 1 f(b 1 ) + + a n f(b n ) : a 1,..., a n R} è lo spazio generato da f(b 1 ),..., f(b n ). Il rango di f è la dimensione di questo spazio. Il rango della matrice A, d altra parte, è il suo rango per righe, oppure quello per colonne: è lo stesso. Questo è la dimensione dello spazio delle colonne della matrice, che è lo spazio generato dai

30 L(V, W ) e M mn (R) p. 30 vettori [f(b 1 )] C,..., [f(b n ] C. Per vedere che i due spazi hanno la stessa dimensione ricordiamo che la rappresentazione di uno spazio attraverso la scelta di una base dá un isomorfismo W R m. Relazioni lineari tra i vettori dell immagine di f in W si traducono nelle stesse relazioni lineari tra i vettori delle coordinate in R m, cioè (0 W = a 1 f(b 1 )+ +a n f(b n ) (0 R m = a 1 [f(b 1 )] C + +a n f(b n )] C ). Quindi un sottoinsieme dell immagine è indipendente se e solo se il corrispondente sottoinsieme dello spazio delle colonne lo è. Ciò significa che il numero massimo di vettori indipendenti nei due spazi è lo stesso, cioè i due spazi hanno la stessa dimensione. Utile conseguenza (dimostrare per esercizio):

31 Matematica B - a.a 2006/07 p. 31 Corollario 32. Se la matrice A rappresenta un applicazione lineare f, allora 1. f è suriettiva se e solo se il rango di A è uguale al numero delle sue righe, 2. f è iniettiva se e solo se il rango di A è uguale al numero delle sue colonne, 3. (se A è quadrata) f è un isomorfismo se e solo se A è non singolare. Esempio 33. Qualunque applicazione lineare rappresentata dalla matrice dev essere tra un dominio di dimensione 3 ad 1 3 2

32 Prodotto di matrici e composizione p. 32 un codominio di dimensione 4; inoltre, poiché ha rango 2 (provare la riduzione gaussiana), l immagine dell applicazione corrispondente ha dimensione 2. [ ] 0 1 Esempio 34. La matrice rappresenta un isomorfismo 1 2 [ 2 1 tra due qualunque spazi di dimensione 2; invece la matrice 4 2 non può essere quella di alcun isomorfismo. ] Vogliamo vedere, ora, come rappresentare la composizione di due applicazioni lineari. Mostriamo che essa ha il corrispettivo matriciale nel prodotto righe per colonne. Siano U, V e W spazi vettoriali di dimensioni m, n e p rispettivamente, e f : U m V n e g : V n W p applicazioni lineari.

33 Matematica B - a.a 2006/07 p. 33 Abbiamo U m f V n g W p e il volo diretto Vale il seguente U m g f W p. Teorema 35. Siano B U = {u 1,..., u m }, B V = {v 1,..., v n }, B W = {w 1,..., w p } basi dei tre spazi e [f] la n m matrice di f, [g] la p n matrice di g, [g f] la p m matrice di g f (le matrici siano riferite alle basi date sopra) Allora [g f] = [g][f]. Dimostrazione. Vediamo innanzitutto che la speranza è fondata: [g f] e [g][f] sono entrambe matrici di tipo p m.

34 Prodotto di matrici e composizione p. 34 L elemento nel posto (i, j) di [g f] è il coefficiente (coordinate) di w i in [g f](u j ). Per definizione [g f](u j ) = g f(u j ) = = g f 1j v f nj v n = = g(f 1j v 1 ) + + g(f nj v n ) = = f 1j g(v 1 ) + + f nj g(v n ) Ma per λ = 1,..., n, il coefficiente di w i in g(v λ ) è precisamente g iλ ed è chiaro che il coefficiente TOTALE di w i nella somma è la somma dei coefficienti di w i nei vari termini della somma. Dunque, il coefficiente di w i in [g f](u j ) risulta g i1 f 1j +g i2 f 2j +

35 Matematica B - a.a 2006/07 p g in f nj ossia f 1j ( ) gi,1 g i,2 g i,n f 2j... f nj che è anche l elemento del posto (i, j) del prodotto matriciale [g][f]. La composizione di applicazioni lineari ha la controparte nel prodotto di matrici. Applicazioni lineari e matrici sono sempre più operativamente la stessa cosa. Continuando sulla stessa vena: Teorema 36. Sia f un isomorfismo tra gli spazi vettoriali U e V. Allora dim U = dim V (giá visto) e, se E ed F sono due basi di U e V rispettivamente, A EF f è invertibile e risulta A F E f 1 = (A EF f ) 1.

36 Cambiamenti di base p. 36 Viceversa, se f è una trasformazione lineare tra U e V (stessa dimensione) con matrice di rappresentazione A EF f invertibile, allora f è un isomorfismo tra U e V. La matrice dell isomorfismo inverso f 1 è l inversa della matrice dell isomorfismo f. Altra analogia operativa assai utile. È assai utile indagare come si può passare da una rappresentazione matriciale ad un altra di una stessa applicazione lineare: l idea è quella di cercare, se possibile, quella più semplice o espressiva. Iniziamo a vedere che rapporto esiste tra due diverse basi in uno stesso spazio vettoriale. Siano E = {v 1,..., v n } e E = {w 1,..., w n } due basi di uno spazio vettoriale V e siano (x 1,..., x n ) le componenti di un vettore v rispetto alla prima base e (y 1,..., y n ) le componenti rispetto la

37 Matematica B - a.a 2006/07 p. 37 seconda base. v = x 1 v x n v n = y 1 w y n w n Cerchiamo la relazione tra gli x i e gli y j. Certamente (e senza fantasia) si può scrivere ciascuno dei v i in termini dei w j v i = a 1i w 1 + a 2i w a ni w n e questo per i = 1, 2,..., n. Sostituendo questi valori nell equazione per v troviamo che v = x 1 v x n v n = y 1 w y n w n = x 1 (a 11 w 1 + a 21 w a n1 w n ) + + x n (a 1n w 1 + a 2n w a nn w n )

38 Cambiamenti di base p. 38 Ma poiché i w j costituiscono una base dobbiamo avere l uguaglianza dei loro coefficienti nel rappresentare v come una loro combinazione lineare. Si riconosce facilmente la seguente equazione matriciale per descrivere il cambio di coordinate: y 1. y n = a 11 a 1n.. a n1 a nn x 1. x n La matrice A = a 11 a 1n.. a n1 a nn si chiama matrice di cambio base: per la precisione A è la matrice del cambio di base dalla base E alla base E perché se conosciamo

39 Matematica B - a.a 2006/07 p. 39 le coordinate di v rispetto alla prima base la matrice A ci procura quelle di v rispetto alla seconda base. Indichiamo la matrice di cambiamento base con A E E. Ovviamente, dato che le due basi sono di pari dignità, si può fare il giochetto simmetrico: partire dalle coordinate in termini della base w j e trovarle in termini della base v i. Se B è la relativa matrice di cambio di coordinate dalla base w j alla base v i allora si avrà, con gli x k e gli y j come sopra che x 1 b 11 b 1n y 1. =... x n b n1 b nn y n b 11 b 1n a 11 a 1n x 1 =..... b n1 b nn a n1 a nn x n

40 Cambiamenti di base p. 40 Da questo si desume facilmente che BA = I n : quindi B = A 1, fatto intuibile se si pensa che B deve in qualche modo operare recuperando il cambiamento fatto da A. Quindi A 1 = B E E Esempio 37. Troviamo la matrice P di passaggio dalla base B = {1, x, 2x 2 } alla base C = {x, 1 x, x 2 } nello spazio P 2. Le colonne di P, che sará di ordine 3, sono le coordinate dei vettori di B rispetto alla base C. 1 = 1x + 1(1 x) + 0x 2 x = 1x + 0(1 x) + 0x 2 2x 2 = 0x + 0(1 x) + 2x 2

41 Matematica B - a.a 2006/07 p. 41 Ecco la matrice P = Dato p(x) = 3x x 2, le sue coordinate rispetto alla base B sono (0, 3, 1) 2 B. Le coordinate di p(x) rispetto alla base C sono = In effetti: 3 x + 0 (1 x) 1 x 2 = 3x x 2. La matrice di passaggio da C a B è P 1 = B C

42 Cambiamenti di base p. 42 Osservazione 38. Abbiamo visto che le matrici di cambio di base sono invertibili. Vale anche il viceversa: ogni matrice invertibile può essere pensata come matrice di cambio di base. Ma tra quali basi? Data una base B = {v 1,..., v n } e la matrice invertibile P, si può pensare a P come matrice di passaggio da una base C = {w 1,..., w n } (che non conosciamo) alla base B. Le colonne di P rappresentano nell ordine le coordinate nella base B dei vettori della base C, quindi i w i sono definiti da w i = a 1i v a ni v n. D altra parte, possiamo anche pensare che P sia la matrice del cambiamento dalla base B alla base C (che non conosciamo). Allora per trovare C basta prendere la matrice inversa P 1 che sará quella del cambiamento dalla base C alla B e allora le sue colonne saranno le coordinate rispetto a B dei vettori della base C. Morale: fissata una base B di uno spazio vettoriale V di dimensione n, possiamo identificare le matrici invertibili di M n e l insieme delle basi di V : ogni matrice invertibile P può essere vista come quella

43 Matematica B - a.a 2006/07 p. 43 di un cambiamento di base dalla base C alla base B, nel senso che le colonne di P sono nell ordine le coordinate dei vettori di C. Esempio 39. La matrice A = è invertibile. Sia V = R 3. Fissiamo B, la base canonica. La matrice A si può interpretare come una matrice di cambio dalla base C formata dai vettori delle sue colonne, (1, 1, 0), ( 1, 0, 1), (0, 2, 1) alla base canonica. Se (x, y, z) sono le coordinate di un vettore rispetto alla base C, allora quelle dello stesso vettore rispetto alla base canonica sono x y = z x y x + 2z. y + z

44 Cambiamenti di base p. 44 Vogliamo dare, ora, una interpretazione del cambiamento di base utilizzando l applicazione identica. Sia L : V W applicazione lineare, sia v 1,..., v n una base di V e w 1,..., w k una base di W. Conosciamo ormai la ricetta : se A è la matrice che ha sulle colonne le componenti di L(v 1 ),..., L(v n ) rispetto alla base w 1,..., w k, allora A è la matrice di L rispetto le basi {v i } i=1,...,n e {w j } j=1,...,m. Possiamo utilizzare questa ricetta in riferimento alle matrici di cambiamento di base. Infatti, date due basi v i e w i per V si può considerare l applicazione identica I : V V, cioè tale che I(x) = x. Essa è sicuramente lineare, e dunque si può considerarla come applicazione in cui il dominio V e il codominio W coincidono. Ma non siamo obbligati a scegliere la stessa base in partenza e in arrivo : nel dominio usiamo la base v e nel codominio usiamo la base w.

45 Matematica B - a.a 2006/07 p. 45 Sia, quindi, A la matrice che scaturisce usando la ricetta applicata all applicazione identica: A ha sulle colonne le coordinate dei vettori I(v i ), e quindi proprio v i, rispetto alla base dei w i. Indicando con x i le coordinate rispetto la base v i e y i le coordinate rispetto alla base w i, si ha che y 1. y n = A Dunque, una matrice non singolare arbitraria si può considerare come la matrice associata all applicazione identica, scegliendo opportune basi nel dominio e nel codominio. Osservazione 40. Sia L : V n W m applicazione lineare (dove gli apici indicano la dimensione degli spazi vettoriali). Vogliamo x 1. x n.

46 Cambiamenti di base p. 46 vedere se tra tutte le matrici associate ad L ne esiste qualcuna di particolarmente semplice. Ricordiamo che vale la relazione dim ker(l) + dim Imm(L) = n. Sia w 1,..., w r una base per Imm(L); estendiamo ad una base w 1..., w r, w r+1,..., w m di W. Poi siano v 1,..., v r vettori di V tali che L(v i ) = w i per 1 i r e siano v r+1,..., v n una base del nucleo di L. Allora la matrice di L

47 Matematica B - a.a 2006/07 p. 47 rispetto a questi basi assume la forma [ ] Ir 0 = dove ci sono r righe non-nulle. Possiamo guardare la questione facendo uso del concetto di equivalenza. Diciamo che due trasformazioni lineari f e g da V n W m sono equivalenti se esistono trasformazioni invertibili H : W W e

48 Cambiamenti di base p. 48 K : V V tali per cui f = H g K. (Provare per esercizio che questa è una buona relazione di equivalenza). A livello matriciale questo vuole dire proprio che si può trasformare la matrice di g in quella di f tramite operazioni elementari sulle righe e sulle colonne. In ogni classe di equivalenza c è una e una sola matrice del tipo indicato sopra. Dunque tali matrici sono scelte canoniche per rappresentare l insieme quoziente, cioè l insieme delle classi di equivalenza. Da questo punto di vista, una matrice quadrata è non singolare se e solo se è equivalente alla matrice identica (del suo ordine), cioè rappresenta l identitá in due opportune basi. Osservazione 41. L applicazione nulla sará sempre rappresentata, qualsiasi scelta si faccia delle basi con la matrice nulla. Le matrici di passaggio consentono di stabilire una relazione tra le matrici associate ad una stessa applicazione lineare f quando si

49 Matematica B - a.a 2006/07 p. 49 considerino basi diverse. Siano B e B basi di V, C e C basi di W ed f una applicazione lineare da V a W. Consideriamo l applicazione identica di V, I V e quella di W, I W. Si osservi lo schema di composizione: V E I V VE f WF I W W F il prodotto finale è l applicazione f tra V, con la base E, e W con la base F. In effetti, si parte da un vettore v di V espresso nella base E, lo trasformiamo nello stesso vettore espresso però nella base E; ora si applica f al vettore trovato arrivendo all immagine f(v) espressa rispetto alla base F e, infine, si scrive f(v) rispetto alla base F. Tutto ciò, a livello matriciale, si traduce nel prodotto (attenzione all ordine) A E F f = P F F A EF f P E E.

50 Cambiamenti di base p. 50 In particolare notiamo che, poiché le matrici di passaggio base sono invertibili, il rango di A E F f è uguale al rango di A EF f : tutte le matrici associate ad una stessa applicazione lineare hanno lo stesso rango. Veniamo al caso particolare di un endomorfismo f : V V ; date due basi B e B di V, la relazione generale tra le matrici diventa A BB f = P B BA B B f P B B, ovvero, indicando con P la matrice di passaggio da B a B abbiamo Moltiplicando a destra per P 1 relazione equivalente A BB f = P 1 A B B f P. P A BB f P 1 = A B B f. e a sinistra per P, si trova la

51 Matematica B - a.a 2006/07 p. 51 Esempio 42. Sia f : R 2 R 3 data da f((x, y)) = (x y, 2x, x + 2y), troviamo la matrice di rappresentazione rispetto alle basi canoniche K 2 e K 3 di R 2 ed R 3 e quella rispetto alle basi B = {(0, 1), (1, 1)} del dominio e C = {(1, 1, 0), (0, 1, 0), (0, 1, 1)} del codominio. Per la prima basta incolonnare le immagini dei vettori della base canonica di R 2 in una matrice 3 2: Per la seconda abbiamo A K 2K 3 f = A BC f = P K3 CA K 2K 3 f P B K2. Per P B K2 la cosa è immediata, poiché abbiamo le coordinate dei vettori di B rispetto K 2 : basta metterli in colonna su una matrice

52 Cambiamenti di base p Per P K3 C, invece, dobbiamo esprimere i vettori della base canonica di R 3 nella base C = {c 1, c 2, c 3 }. Risolvendo il sistema c 1 = e 1 + e 2 c 2 = e 2 c 3 = e 2 + e 3 rispetto ai vettori e i della base canonica, troviamo e 1 = c 1 c 2, e 2 = c 2, e 3 = c 2 + c 3, Ecco, quindi, la matrice di passaggio base da K 3 a C: P K3 C = (sulle colonne le coordinate dei vettori della base canonica rispetto alla base C).

53 Matematica B - a.a 2006/07 p. 53 Concludendo A BC f = [ ] = Vogliamo ora guardare alla risoluzione di un sistema lineare dal punto di vista delle applicazioni lineari tra spazi vettoriali. Data la matrice reale A M mn e il vettore b R m, un sistema lineare si propone di trovare tutti i vettori x R n tali che Ax = b. Nel linguaggio degli spazi vettoriali, in corrispondenza della matrice A possiamo considerare l unica applicazione lineare ϕ : R n R m che ha matrice A rispetto alle basi canoniche dei due spazi. Risolvere il sistema significa determinare i vettori di R n che vengono mandati in b da ϕ, cioè ϕ 1 (b) = {ξ R n : ϕ(ξ) = b}.

54 Sistemi lineari e applicazioni lineari p. 54 La controimmagine di un vettore in un applicazione lineare è ϕ 1 (b) = { se b / Imm(ϕ) x 0 + ker ϕ = {x 0 + k : k ker ϕ} se ϕ(x 0 ) = b Il fatto che un sistema sia compatibile, quindi, si può caratterizzare con la seguente Proposizione 43. Data l applicazione ϕ : R n R m, con matrice di rappresentazione A rispetto alle basi canoniche, ed un vettore b R m, le seguenti affermazioni sono equivalenti: 1. b Immϕ 2. b è combinazione lineare delle colonne della matrice A 3. rango(a b)=rango(a)

55 Matematica B - a.a 2006/07 p. 55 Dimostrazione : ricordiamo che Immϕ =< ϕ(e 1 ),..., ϕ(e n ) >, dove gli e i sono i vettori della base canonica di R n, e che le colonne di A sono proprio le coordinate dei ϕ(e i ) rispetto alla base canonica di R m : è chiaro che rango(a b) rango(a), dato che tutte le colonne della seconda matrice sono anche nella prima. I due ranghi quindi coincidono se la colonna b è combinazione lineare delle colonne della matrice A : se i due ranghi sono uguali, il vettore b R m si scrive come combinazione lineare delle colonne di A, ovvero devono esistere costanti reali a 1,..., a n tali che b = a 1 ϕ(e 1 ) + a n ϕ(e n ) = ϕ(a 1 e a n e n ). Ricordiamo, ora, che gli elementi k ker ϕ sono i vettori di R n tali che Ak = 0, cioè tutte e sole le soluzioni del sistema omogeneo

56 Sistemi lineari e applicazioni lineari p. 56 associato al sistema Ax = b. Inoltre, se rango(ϕ) = rango (A) = r allora, dal teorema 21, la dimensione di ker ϕ è uguale a n r. Raccogliendo tutte queste osservazioni ri-enunciamo il Teorema 44 (di Rouché - Capelli). Il sistema di equazioni lineari Ax = b, con A M mn e b R m, ha soluzione se e solo se rango(a b) =rango(a) = r. In tal caso, ogni soluzione si ottiene sommando ad una soluzione particolare del sistema, ogni soluzione del sistema omogeneo associato Ax = 0. Le soluzioni di quest ultimo formano uno spazio vettoriale reale di dimensione n r. Soluzione generale = soluzione particolare più soluzione dell omogeneo associato è senz altro un utile e significativo slogan sulla struttura risolutiva di un sistema lineare.

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