Circuiti e Algoritmi per la Elaborazione delle Immagini
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1 G. Capizzi Circuiti e Algoritmi per la Elaborazione delle Immagini DIEES Dipartimento di Ingegneria Elettrica Elettronica e dei Sistemi Università di Catania
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3 Indice 1 Percezione delle Immagini Radiometria e Fotometria Spettro luminoso Il sistema visivo ed il fenomeno della visione La teoria dei processi opposti Tonalità, luminosità e saturazione Le grandezze radiometriche Operatori Polinomiali e Razionali per L elaborazione delle Immagini
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5 1 Percezione delle Immagini Uno dei più importanti settori dell elaborazione delle immagini è quello che si occupa della sintesi delle immagini (rendering). Ogni processo di rendering si articola in due passi successivi. Il primo passo consiste nel calcolare i valori di luminanza per ogni pixel dell immagine, mentre il secondo consiste nel mappare i valori di luminanza calcolati in valori appropriati al dispositivo di visualizzazione utilizzato. L insieme dei valori di luminanza di tutti i pixel che costituiscono l immagine è chiamato raw image (per le immagini a colori per ogni pixel bisogna includere i valori che rappresentano il colore). Nel caso ideale la raw image dovrebbe essere mappata nel dispositivo di visualizzazione in modo che l immagine visualizzata crei nell osservatore la stessa sensazione che avrebbe se osservasse la scena rappresentata dalla raw image nella realtà mentre si svolge. Sfortunatamente, ci sono molti ostacoli al raggiungimento del caso ideale. I più comuni sono: nonlinearità presenti in tutti i dispositivi di visualizzazione, limitata gamma dei colori riproducibili dai vari sistemi di rappresentazione dei colori, limitato contrasto dei dispositivi di visualizzazione, limitazioni connesse alla rappresentazione della realtà tridimensionale come una proiezione bidimensionale, etc... Per poter comprendere i metodi comunemente utilizzati per tentare di superare gli ostacoli di cui sopra è necessario acquisire una certa familiarità con i rudimenti di: Fotometria, Radiometria, Colorimetria e alcuni aspetti del modello della visione umana. Argomenti che saranno oggetto del presente capitolo. 1.1 Radiometria e Fotometria Spettro luminoso Lo spettro delle onde elettromagnetico comprende l intera gamma delle lunghezze d onda esistenti in natura, dalle onde lunghissime, ( Km di lunghezza, 30 Hz di frequenza), alle onde cortissime (0,00001Å di lunghezza, GHz di frequenza). All interno dello spettro elettromagnetico, solo una piccolissima porzione appartiene al cosiddetto spettro visibile, cioè all insieme delle lunghezze d onda a cui l occhio umano è sensibile e che sono alla base della percezione
6 2 1 Percezione delle Immagini dei colori. Le differenze individuali possono far variare leggermente l ampiezza dello spettro visibile. In linea di massima, comunque, esso si situa tra i 380 e i 780 nanometri: alla lunghezza d onda minore corrisponde la gamma cromatica del blu-violetto, alla lunghezza d onda maggiore corrisponde invece la gamma dei rossi. Valori inferiori della lunghezza d onda e vicini ai 380 nm caratterizzano la radiazione ultravioletta, quelli al di sopra dei 780 nm caratterizzano la radiazione infrarossa e termica (Fig. 1.1). Figura 1.1. Lo spettro della luce visibile Il sistema visivo ed il fenomeno della visione I colori non sono proprietà intrinseche dei corpi ma sensazioni che vivono nel sistema nervoso dell osservatore. Quindi, per introdurre i fondamenti della teoria del colore, occorre premettere alcuni elementi basilari della psicofisiologia del sistema visivo umano. La visione è un complicato processo di trasduzione ed elaborazione che inizia con l assorbimento di energia luminosa trasportata dalle onde elettromagnetiche comprese nello spettro del visibile da parte dei fotorecettori della retina dell occhio e coinvolge l attività di molta parte del sistema nervoso. Tutte le operazioni primarie relative alla visione avvengono nella retina, il tessuto che ricopre il fondo dell occhio. In ogni occhio sono presenti due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli (Fig. 1.2). Ciascun tipo, quando stimolato dalla radiazione elettromagnetica, produce un particolare pigmento, i coni la iodopsina e i bastoncelli la rodopsina. La presenza di questi pigmenti dà l avvio ad una serie di reazioni chimiche e stimolazioni nervose, il cui esito finale è la percezione di luci e colori. Ci sono circa 6 milioni di coni e 120 milioni di bastoncelli per occhio: un numero di elementi fotosensibili di gran lunga maggiore di quello presente
7 1.1 Radiometria e Fotometria 3 Figura 1.2. coni e bastoncelli nel più sofisticato dei monitor in commercio. I coni sono responsabili della visione diurna (detta fotopica), hanno la massima concentrazione (fino a per millimetro quadrato) in una piccola zona della retina, completamente priva di bastoncelli, detta fovea, e presiedono alla percezione del colore e alla nitidezza dei contrasti. Ciascun cono presente nella fovea è collegato ad una cellula nervosa: a questa via privilegiata di comunicazione con il cervello si deve la maggiore capacità di discriminazione dei dettagli che è associata con la stimolazione dei coni della fovea. I bastoncelli, dal canto loro, benchè molto più sensibili dei coni alla stimolazione da parte della luce, sono collegati alle cellule nervose solo a gruppi e questo fa sì che l immagine che essi veicolano sia più confusa. Tuttavia la loro maggiore sensibilità permette all occhio di vedere anche in condizioni di scarsa luminosità, quando ormai i coni non riescono più a fornire informazioni utili al cervello: quando si entra, ad esempio, nella sala buia di un cinema, dopo un periodo di cecità quasi completa nel corso del quale avviene l assuefazione degli occhi all oscurità, entrano progressivamente in funzione i bastoncelli, consentendoci di vedere sufficientemente bene per trovare posto senza problemi. La visione resa possibile dai bastoncelli è una visione non cromatica; assume importanza primaria in condizioni di scarsa luminosità ed è detta scotopica (Fig. 1.3). Il processo della visione a colori si articola su due stadi che possono essere ricondotti a quelli definiti dalla teoria delle zone di Mueller. La prima zona di Mueller riguarda i fotorecettori della retina destinati alla visione a colori, i coni. Essi sono di tre tipi, strutturalmente uguali, ma caratterizzati da differenti fotopigmenti. La conferma sperimentale dell esistenza di questi tre diversi tipi di recettori e delle loro specifiche sensibilità nei confronti della lunghezza d onda della radiazione elettromagnetica fu ottenuta nel 1964 con sofisticate tecniche di microspettrofotometria. Il diagramma in (Fig. 1.4) illustra appunto le curve di sensibilità dei tre tipi di coni sperimentalmente individuati. Le differenti posizioni, rispetto alla lunghezza d onda, dei picchi di assorbimento della luce da parte dei tre tipi di coni dipende dalle differenti caratteristiche del pigmento, la iodopsina, in essi contenuto.
8 4 1 Percezione delle Immagini Figura 1.3. Risposta Spettrale della retina umana per visione Scotopica e Fotopica Figura 1.4. Curve di assorbimento della luce da parte dei tre tipi di coni sperimentalmente individuati I coni S (in inglese S-cone, ovvero short-wavelength sensitive cone) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 437nm; la loro massima sensibilità è per il colore blu-violetto; il pigmento in essi contenuto è detto cianolabile. Il fatto che la loro curva di assorbimento sia molto più bassa di quella degli altri due tipi di coni dipende dal ridotto numero di coni S presenti nella retina: costituiscono meno del 10% del totale complessivo e sono quasi del tutto assenti dalla fovea, che è la parte della retina più sensibile alla visione del colore. I coni M (in inglese M-cone: middle-wavelength sensitive) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 533nm; sono sensibili principalmente al
9 1.1 Radiometria e Fotometria 5 colore verde; il pigmento in essi contenuto è detto clorolabile. I coni L (L-cone: long-wavelength sensitive) hanno il loro picco di assorbimento intorno ai 564nm; sono sensibili principalmente nella gamma dei rossi; il pigmento in essi contenuto è detto eritrolabile. Il processo della visione a colori inizia con l attivazione dei coni dovuta all assorbimento di energia luminosa da parte dei fotopigmenti. Le attivazioni dei coni sono linearmente dipendenti dalla distribuzione spettrale dell energia assorbita. Ciascuna radiazione elettromagnetica che entra nell occhio può essere classificata mediante una terna di numeri che rappresentano le attivazioni dei tre tipi di coni. Queste terne di numeri godono di proprietà additiva lineare (leggi di Grassman) e sono efficacemente rappresentate da punti (vettori) in uno spazio tridimensionale, noto come spazio del tristimolo. Dato un simile modello tricromatico di percezione dei colori, la visione, ad esempio, del colore giallo è l effetto di una situazione in cui i coni M (sensibili al verde) ed i coni L (sensibili al rosso) sono massimamente stimolati, mentre l eccitazione dei coni S (sensibili al blu) è del tutto trascurabile. La visione del bianco si ha, invece, quanto tutti e tre i tipi di coni risultano massimamente stimolati. Nella seconda zona di Mueller i segnali nervosi generati dall attivazione dei coni subiscono una codifica che porta a definire nuovi segnali: uno è acromatico e riguarda la chiarezza della sensazione di colore, gli altri due riguardano la cromaticità. In tale processo si perde la linearità che caratterizza l attivazione. Ciò comporta che, se si riportano nello spazio del tristimolo variazioni appena percettibili di cromaticità o di chiarezza, i vettori tristimolo subiscono variazioni, la cui entità non è uguale per tutti i vettori, cioè lo spazio del tristimolo ha le scale di chiarezza e di cromaticità non uniformi. Ogni singolo colore percepito può essere sia l effetto di una radiazione monocromatica (ad esempio un onda a banda ristretta di 700nm in grado di generare la visione del rosso) sia l effetto del sommarsi in un unica stimolazione di più radiazioni, ciascuna di lunghezza d onda differente. Questa osservazione porta in primo piano un importante caratteristica della percezione visiva, che la rende profondamente differente, ad esempio, dalla percezione uditiva. Mentre, infatti, l orecchio è in grado di discriminare, in un accordo musicale, le singole note componenti, l occhio non è in grado di separare, in una stimolazione luminosa composta dalla mescolanza di più luci diverse, le singole frequenze componenti. La percezione visiva è sintetica piuttosto che analitica: una luce rossa ed una luce verde che colpiscono insieme un medesimo punto della retina avranno come risultato la percezione del giallo; non vedremo nè il rosso nè il verde. Ciò significa che, nel contatto della radiazione elettromagnetica con i recettori della retina, l informazione sulla lunghezza d onda si perde. Al suo posto rimane la misura dell eccitazione suscitata, che è proporzionale sia all inten-
10 6 1 Percezione delle Immagini sità della luce incidente sia alla sensibilità del recettore in quella particolare zona dello spettro a cui appartiene la radiazione che lo ha colpito. Il modello della visione sopra descritto trae origine dalla teoria della visione che Thomas Young propose agli inizi dell 800 in cui si sosteneva la presenza di tre differenti tipi di recettori, ognuno dei quali in grado di percepire un particolare colore: dalla combinazione delle sensazioni provenienti da ciascuno di essi, risulterebbe la percezione dei colori nello spettro visibile. Nella sua ipotesi iniziale, Young indicò come colori primari, cioè quelli alla base di ogni possibile combinazione, il rosso, il giallo e il blu. Successivamente modificò la sua teoria indicando come primari il rosso, il verde e il violetto. Le tesi di Young furono riprese circa mezzo secolo dopo dal tedesco austriaco Hermann von Helmholtz. Da allora la cosiddetta teoria tricromatica della visione, basata cioè sull azione combinata di tre diversi tipi di recettori fotosensibili, è nota anche come teoria di Young-Helmoltz La teoria dei processi opposti Purtroppo la teoria di Young-Helmholtz non è in grado di spiegare alcuni importanti fenomeni che riguardano la visione dei colori. In particolare non può spiegare i seguenti fatti: l esistenza di due coppie di colori complementari, una costituita dal giallo e dal blu, l altra dal rosso e dal verde: i colori che formano ciascuna coppia non possono essere visti simultaneamente nello stesso posto; mescolati in proporzioni uguali formano il grigio; la presenza di uno dei due colori in una zona (ad es. il blu), rende più vivo il colore complementare (il giallo) nelle zone circostanti; lo status del giallo, che sembra godere di proprietà analoghe a quelle dei colori primari rosso, verde e blu; la visione di colori consecutivi, costituiti sempre dal complementare del colore precedentemente osservato (se si guarda per trenta secondi un cerchio blu e si fissa poi lo sguardo su una superficie neutra, ci apparirà un cerchio giallo, l immagine consecutiva, la cui visione è stimolata dalla stessa porzione della retina precedentemente impressionata dal cerchio blu); l esistenza di colori psicologicamente puri (unique hues, in inglese), cioè colori che ci appaiono come non contaminati da sfumature di nessun altro colore. I soli quattro che hanno questa caratteristica di purezza soggettiva sono, ancora una volta, il blu, il giallo, il rosso e il verde. Per spiegare simili fenomeni, il fisiologo tedesco Ewald Hering propose nel 1878 una teoria, definita dei processi opposti di colore, che postulava, ad un livello di elaborazione successivo rispetto ai coni, la presenza di tre canali percettivi (Fig. 1.5):
11 1.1 Radiometria e Fotometria 7 un canale specializzato nella visione alternativa del giallo e del blu. Quando l eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del blu in una certa zona, è inibita in quella stessa zona la visione del giallo, e viceversa; un canale specializzato nella visione alternativa del rosso e del verde. Quando l eccitazione combinata dei tre tipi di coni produce la visione del rosso in una certa zona, è inibita in quella stessa zona la visione del verde e viceversa; un canale specializzato nella visione della componente di bianco o di nero. Questo canale non è basato su meccanismi antagonisti, come i due precedenti, ma sul presupposto di un eguale stimolazione dei tre tipi di coni: a stimolazioni di bassa intensità corrispondono grigi molto scuri; a stimolazioni della massima intensità corrisponde la visione del bianco. Figura 1.5. La cooperazione dei tre tipi di coni alla generazione dei quattro colori puri più la luminosità Negli anni 50 due ricercatori presso la Eastman Kodak, Leo Hurvich e Dorothea Jameson, trovarono delle evidenze sperimentali, in grado di confermare in buona misura la teoria dei processi opposti di Hering. Chiedendo ad una serie di individui di cancellare (cioè di annullare) un qualsiasi colore dello spettro visibile utilizzando soltanto una mescolanza dei quattro colori puri dello schema di Hering, essi poterono tracciare delle curve di cancellazione della frequenza. Queste curve dimostrano, in misura chiarissima per il verde, il giallo e il blu, un pò meno per il rosso, che la visione di uno dei quattro colori puri corrisponde psicologicamente all assenza completa (la cancellazione) del suo colore complementare e ad uno stato di quiescenza dell altra coppia di colori complementari. Questa rilevazione sperimentale è di grande importanza: essa dimostra che è possibile riprodurre qualsiasi colore dello spettro visibile, utilizzando tre sole misure:
12 8 1 Percezione delle Immagini una che identifica il colore sull asse rosso-verde; una che identifica il colore sull asse blu-giallo; una che identifica il livello di luminosità sull asse nero-bianco. Benchè vi siano ancora molti punti oscuri circa i meccanismi fisiologici della visione e critiche non facilmente confutabili alle tesi sostenute da Hering è oggi generalmente accettato un modello della visione dei colori basato su due stadi, che concorrono entrambi alla determinazione finale del colore percepito: il primo stadio, definito dalla teoria tricromatica (vi sono tre tipi di coni, dalla cui azione combinata dipende la determinazione del colore in base alla lunghezza d onda della radiazione incidente); il secondo stadio, definito dalla teoria dei processi opposti (la visione di un colore dipende dall azione combinata di due canali cromatici, costituiti ciascuno da una coppia di colori complementari antagonisti, più un canale dedicato alla luminosità). La teoria dei processi opposti è alla base di un modello di rappresentazione dei colori a fini pratici denominato Natural Color System (NCS), sviluppato negli anni 60 da Tryggve Johansson, Sven Hesselgren e Anders Hård, ricercatori presso lo Scandinavian Colour Institute Tonalità, luminosità e saturazione Ogni sensazione di colore può essere considerata come il risultato dell occorrenza di tre fenomeni, ciascuno dei quali è a suo modo elementare, nel senso che partecipa alla determinazione del colore da parte dell osservatore e non può essere ricondotto, per via di semplificazioni, a nessuno degli altri due fenomeni. I tre fenomeni che concorrono alla percezione del colore sono tonalità, luminosità e saturazione. La tonalità (hue in inglese) è l attributo forse più semplice da comprendere. Essa è, infatti, nell esperienza comune, la qualità percettiva che ci fa attribuire un nome piuttosto che un altro al colore che stiamo vedendo. Rosso, verde, giallo, blu sono tutti nomi di tonalità. Da un punto di vista fisico il corrispettivo della tonalità è la lunghezza d onda della radiazione luminosa: quanto più la luce incidente su un certo punto della retina è riducibile ad una banda ristretta di lunghezze d onda tanto più netta e precisa sarà per l osservatore la possibilità di attribuire un nome al colore percepito. È importante precisare che le tonalità che l occhio è in grado di discriminare come irriducibili ad altre sono i soli colori spettrali (cioè i colori dell arcobaleno, quelli separati da Newton tramite l esperimento del prisma) più i colori originati da combinazioni di rosso e di blu spettrali (le cosiddette porpore).
13 1.1 Radiometria e Fotometria 9 Tutti gli altri colori, ad esempio il rosa, il marrone, il salmone, il verde oliva, etc..., possono essere definiti come combinazioni di una certa tonalità con gli altri due attributi di cui parleremo fra breve (il rosa, ad esempio, è un rosso poco saturo). Figura 1.6. Differenze di tonalità (con valori massimi di saturazione) La tonalità è una qualità del colore discriminabile ugualmente sia in valutazioni fuori contesto sia in valutazioni contestuali. Essa ha a che fare, infatti, con l apparenza del colore in se stesso più che con la comparazione di un colore con gli altri elementi circostanti. La luminosità è l ingrediente che specifica la quantità di bianco o di nero presente nel colore percepito. La determinazione della quantità di bianco o di nero in una macchia di colore è possibile sia fuori contesto che in modo contestuale. Però il tipo di valutazione che consente di determinare in modo accurato il livello di grigio (cioè la distanza dai due estremi bianco e nero) in un colore è quello contestuale. Per dimostrare la correttezza di tale affermazione, occorre introdurre innanzitutto una distinzione terminologica. Possiamo, dunque, chiamare brillantezza o intensità (brightness, in inglese) la quantità totale di luce percepita, emessa da una sorgente o riflessa da una superficie. La valutazione di tale quantità è un giudizio non contestuale, ma dipendente dal solo effetto percettivo suscitato dalla luce incidente sulla retina. Definiamo, invece, luminosità (lightness o value, in inglese), meglio anzi luminosità apparente, la quantità di luce proveniente da un oggetto, a paragone della quantità di luce proveniente da una superficie bianca sottoposta alla medesima illuminazione. Si tratta evidentemente di una valutazione contestuale. Figura 1.7. Differenze di luminosità (con tonalità e saturazione costanti) Il fatto che il giudizio sulla luminosità sia più preciso e differente rispetto al giudizio sulla brillantezza si può dimostrare con un esempio. Se osserviamo una luce bianca piuttosto fioca (percezione di brillantezza) essa ci appare comunque bianca e non grigia. La visione del colore grigio possiamo averla solo osservando una superficie che ci appare meno luminosa rispetto ad una superficie bianca sottoposta alla medesima illuminazione (percezione di luminosità). Ciò significa che possiamo variare anche notevolmente l intensità
14 10 1 Percezione delle Immagini della luce che colpisce una superficie, senza che cambi la percezione della luminosità relativa delle sue parti. Esiste, cioè, un rapporto costante tra la quantità di grigio percepita in una zona dell oggetto osservato, a paragone della quantità di grigio percepita in altre zone dell oggetto, rapporto che non cambia al variare dell illuminazione complessiva dell ambiente. Da quanto detto, emerge che la valutazione della luminosità è un atto percettivo qualitativamente differente rispetto alla determinazione della tonalità di un colore. Mentre quest ultima può avvenire in modo non contestuale e sembra spiegabile nei termini fisiologici descritti dalla teoria tricromatica della visione, la valutazione della luminosità è invece un atto comparativo che pone in rapporto reciproco tutti gli elementi della scena osservata. Proprio per questa sua natura comparativa, olistica, l attributo della luminosità è l elemento più importante all interno della nostra percezione visiva. Come ben sanno fotografi, pittori e disegnatori, la visione acromatica, basata solo sul contrasto di luci, è in grado di veicolare tutte le informazioni essenziali ai fini della comprensione della scena osservata. La saturazione (saturation, in inglese) è il terzo ed ultimo ingrediente che contribuisce alla percezione del colore. È la misura della purezza, dell intensità di un colore. La valutazione della saturazione può essere non contestuale o contestuale. Nel primo caso, essa definisce la purezza e la pienezza del colore in rapporto unicamente all intensità della sua percezione isolata. Nel secondo caso, invece, in rapporto ad una superficie bianca sottoposta alla medesima illuminazione. In questa accezione, cioè come valutazione contestuale di luci riflesse, si parla tecnicamente di croma (inglese chroma) piuttosto che di saturazione. Non vi sono però differenze essenziali tra i fenomeni percettivi definiti per mezzo dei due termini, per cui, ai fini del nostro discorso, parleremo di saturazione in riferimento ad entrambe le accezioni. I colori spettrali sono in assoluto i più saturi che noi possiamo osservare. Essi ci appaiono vivi, puri, brillanti, pieni, per nulla mescolati con parti di grigio. Al contrario, un colore poco saturo appare smorto, opaco, grigiastro, poco riconoscibile dal punto di vista della tonalità. Il motivo di questa scarsa riconoscibilità è che un colore poco saturo è il frutto di una mescolanza di luci di diversa lunghezza d onda, ragion per cui differisce profondamente dai colori spettrali che sono invece prodotti da luci di banda molto ristretta. Una radiazione costituita dalla mescolanza di molte lunghezze d onda differenti produce una curva di assorbimento da parte dei coni della retina piatta e senza picchi, che corrisponde alla percezione di un colore grigiastro. Perciò la saturazione si definisce anche comunemente come la misura della quantità di grigio presente in un colore, intendendo con ciò che la mancanza di grigio accoppiata alla piena riconoscibilità della tonalità corrisponde alla massima saturazione, mentre la predominanza del grigio su un colore non facilmente identificabile corrisponde all assenza di saturazione. La sequenza di campioni in (Fig. 1.8) mostra appunto un aumento ordinato della saturazione da
15 1.1 Radiometria e Fotometria 11 sinistra verso destra. Figura 1.8. Differenze di saturazione (con tonalità e luminosità costanti) Il fatto che un colore saturo ci appaia, per così dire, pienamente se stesso, facilmente identificabile, rende possibile accoppiare la misura della saturazione all identificabilità di un colore spettrale nel campione che si sta osservando. Se, cioè, non siamo in grado di dire con certezza se stiamo osservando un rosso, un giallo, un blu, un verde, ecc., allora è sicuro che abbiamo a che fare con un colore non saturo: se, ad esempio, siete d accordo sul fatto che è difficile valutare se i primi tre campioni a sinistra in (Fig. 1.8) appartengano oppure no alla gamma dei rossi, siete anche d accordo sul fatto che si tratta di colori non saturi. Un problema ben noto ad artisti, pittori, grafici e studiosi del colore in generale è la difficoltà di separare psicologicamente, soprattutto in condizioni di scarsa illuminazione, la componente di luminosità dalla componente di saturazione di un colore. Quanto più un colore è scuro, infatti, tanto più è difficile identificarne la tonalità, per poter valutare se esso sia saturo oppure no. Ed inoltre, a complicare ancora le cose, un colore molto saturo appare chiaro e brillante, il che porta spesso l osservatore a giudicarlo più luminoso di un colore meno saturo che riflette la medesima quantità di luce. La tavola in (Fig. 1.9) mostra schematicamente il modo in cui luminosità e saturazione influenzano la visione dei colori: nel grafico la luminosità cresce in passi uguali da nero verso bianco sull asse verticale; la saturazione aumenta in modo corrispondente lungo l asse orizzontale. Pertanto tutti i campioni posti sulla medesima riga condividono lo stesso livello di luminosità; tutti i campioni sulla medesima colonna condividono lo stesso livello di saturazione. Dall osservazione della disposizione dei campioni di colore sulla tavola emergono due considerazioni: 1. la discriminazione degli ingredienti di un colore è più difficile in corrispondenza dei toni scuri; 2. la capacità di discriminare livelli di saturazione differenti è massima in corrispondenza di livelli di luminosità medi. Tra i modelli di rappresentazione dei colori sviluppati sulla base del complesso percettivo tonalità-luminosità-saturazione, sono da citare il sistema di notazione creato da Alfred H. Munsell, assistente presso la Normal Art School di Boston nel 1898, e il modello di rappresentazione digitale noto come HLS (dalle iniziali delle parole inglesi hue, lightness e saturation).
16 12 1 Percezione delle Immagini Figura 1.9. Influenza della luminosità e della saturazione sulla percezione di un colore Le grandezze radiometriche La Radiometria è la scienza che tratta della misura dell energia radiante trasportata dalla luce in ogni porzione dello spettro, quindi, il colore non è importante in radiometria. Lo studio dell energia trasportata dalle onde elettromagnetiche può essere affrontato da un duplice punto di vista, quello della radiometria e quello, più direttamente correlato con la visione umana, della fotometria. La radiometria considera la radiazione come una forma di energia. La fotometria, invece, ne valuta la sua utilità nella visione umana. Essa si occupa quindi della radiazione all interno dell intervallo di lunghezza d onda compresa tra 380 nm e 780 nm, intervallo di sensibilità del sistema visivo. Le definizioni radiometriche invece si possono applicare in linea di principio a radiazioni di qualunque lunghezza d onda, anche se generalmente ci si limita ad un intervallo di lunghezze d onda che vanno da 100 nm a 300 micron.
17 2 Operatori Polinomiali e Razionali per L elaborazione delle Immagini Una vasta classe di operatori non lineari, basati su funzioni polinomiali e razionali dei pixels (luminanza o colore) di un immagine, risultano particolarmente utili in molte applicazioni dell image processing. Questo capitolo mostrerà l utilità di questi operatori in applicazioni come miglioramento della qualità delle immagini (miglioramento dei contrasti, preservazione dei contorni dopo operazioni di denoising), analisi delle immagini(estrazione dei contorni, segmentazione), e conversione di formato delle immagini(interpolazione).
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