VERSO UN NUOVO FEDERALISMO FISCALE

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1 Osservatorio sulla riforma amministrativa VERSO UN NUOVO FEDERALISMO FISCALE a cura di LUCA ANTONINI introduzione di ENZO GHIGO GIUFFRÈ EDITORE MILANO 2005

2 Osservatorio sulla riforma amministrativa VERSO UN NUOVO FEDERALISMO FISCALE a cura di LUCA ANTONINI introduzione di ENZO GHIGO GIUFFRÈ EDITORE MILANO 2005

3 PRESENTAZIONE Il volume Verso un nuovo federalismo fiscale raccoglie gli atti del convegno svoltosi a Rivoli il 9 luglio 2004, organizzato dalla Regione Piemonte all interno dei lavori dell Osservatorio sulla Riforma amministrativa. Si apre con un introduzione dell On. Enzo Ghigo, Presidente della Regione Piemonte e Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni Italiane. Questa fa il punto sullo stato dell arte del federalismo fiscale in Italia ed evidenzia le preoccupazioni per i difetti che l attuale sistema (quello stabilito dal d.lgs. n. 56 del 2000) sta dimostrando nella sua applicazione concreta. Gli interventi successivi provengono sia da autorevoli esperti sia dai componenti dell Alta Commissione. Nelle relazioni di questi ultimi (Vitaletti - Presidente, Antonini - Componente, Mazzillo - Presidente del Comitato scientifico, Buratti - componente del Comitato scientifico) si esplicitano alcune conclusioni cui, dopo un anno di lavori, è pervenuta la Commissione. Da questo punto di vista il volume rappresenta la prima pubblicazione in cui si ritrovano esposti i principali orientamenti dell Alta Commissione, al punto che vengono ipotizzate le grandi linee di quello che potrebbe essere il futuro assetto del federalismo fiscale in Italia. Le altre relazioni completano in modo puntuale questo quadro: in particolare quella di Violini declina il processo verso il federalismo legislativo contestualizzandolo all attività svolta dall Osservatorio piemontese; Terna espone la posizione di Confindustria; Caramelli interviene sul luogo comune dei costi del federalismo dimostrando i limiti di questo approccio; Bertolissi, infine, chiude il volume con una provocazione assai interessante sulla responsabilizzazione finanziaria. Nel suo complesso il volume costituisce quindi una novità editoriale che concorre in modo proficuo e qualificato a chiarire il dibattito sul federalismo fiscale. L. A.

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5 INDICE PRESENTAZIONE di Luca Antonini... L OSSERVATORIO SULLA RIFORMA AMMINISTRATIVA DELLA REGIONE PIEMONTE... NOTA DI EDIZIONE di Luca Antonini... V IX XIII INTRODUZIONE di Enzo Ghigo... 1 IL FEDERALISMO FISCALE, OVVERO: DALLE IMPOSTE-MANNA ALLE IMPOSTE-TALENTI? di Giuseppe Vitaletti 1. La visione dominante Sintesi di una possibile alternativa Una riclassificazione dei tributi in funzione dell economia La reiterata negazione del principio di correlazione L applicazione del principio di correlazione al federalismo fiscale L equilibrio tra autonomia, efficienza, solidarietà Una possibile ripresa della linea einaudiana FEDERALISMO FISCALE E PATTO DI STABILITÀ di Luigi Mazzillo I PRINCIPI DI COORDINAMENTO DEL FEDERALISMO FISCALE di Luca Antonini 1. La pagina bianca del federalismo fiscale Le riforme in corso e l attuazione del federalismo fiscale L istituzione e il programma di lavoro dell Alta Commissione La Corte costituzionale e il nuovo art. 119 Cost La Corte costituzionale congela l autonomia impositiva di Regioni e Enti locali... 55

6 VIII Verso un nuovo federalismo fiscale 6. Il nuovo art. 119 Cost. e tributi propri in senso stretto o autonomi Natura e tipologia dei tributi propri Il sistema regionale italiano e i vigenti tentativi di sussidiarietà fiscale Compartecipazioni e tributi propri derivati e autonomi nel quadro del nuovo art. 119 Cost I principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario della Repubblica La nuova autonomia di spesa in base all art. 119 Cost Una sede apposita per gestire il coordinamento della finanza pubblica Patto di stabilità interno e Golden Rule MOLTE IPOTESI, POCHE POSSIBILITÀ: I VINCOLI ALLE SCELTE TRIBUTARIE di Carlo Buratti DAL FEDERALISMO LEGISLATIVO AL FEDERALISMO FISCALE: I PERCORSI DI UNA RIFORMA COSTITUZIONALE IN CORSO D OPERA LETTI ALLA LUCE DEI LAVORI DELL OSSERVATORIO di Lorenza Violini 1. Note introduttive Il principio di sussidiarietà e la centralità dell amministrazione regionale Il processo Bassanini visto dalla parte della Regione Cenni alla sussidiarietà orizzontale Un percorso per l elaborazione di indicatori per la valutazione dei processi di decentramento in atto sia sul piano della sussidiarietà verticale che su quello della sussidiarietà orizzontale Una nota conclusiva sul metodo adottato dall Osservatorio FEDERALISMO E COSTI: CONTRADDIZIONI DI UN APPROCCIO di Vincenzino Caramelli FEDERALISMO: LA POSIZIONE DELLE ASSOCIAZIONI INDUSTRIALI di Pietro Terna UNA RIFLESSIONE SUL FEDERALISMO FISCALE di Mario Bertolissi

7 L OSSERVATORIO SULLA RIFORMA AMMINISTRATIVA DELLA REGIONE PIEMONTE La presente pubblicazione si colloca all interno del percorso di analisi inaugurato dall Osservatorio sulla Riforma amministrativa, organo improntato al metodo della Governance, che la Regione Piemonte ha costituito con lo scopo di monitorare le ricadute che la riforma amministrativa prima e quella costituzionale dopo hanno implicato e implicheranno sotto il duplice profilo dei rapporti sia tra enti territoriali, sia tra questi e i cittadini. Più precisamente, l Osservatorio sulla Riforma amministrativa, previsto dall art. 11, l. r. 44 del 2000, è stato istituito con D.P.R. 20 novembre 2002, n. 13/R presso la Presidenza della Giunta regionale, nell ambito della Segreteria tecnica interistituzionale della Conferenza Permanente Regione-Autonomie locali. I compiti individuati dal regolamento sono di tipo conoscitivo e informativo rispetto alle funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione agli Enti locali e alle autonomie funzionali, nonché alle attività di interesse generale svolte per autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, sulla base del principio di sussidiarietà. L attività di monitoraggio del processo di decentramento amministrativo, che l Osservatorio sta svolgendo insieme alle componenti più significative della società civile piemontese, ha permesso di acquisire dati importanti (disponibili sul sito che consentono di verificare la reale attuazione delle riforme soprattutto in termini di sussidiarietà orizzontale e verticale, adeguatezza, semplificazione, efficacia nonché di avviare nel modo più efficace i progetti diretti ad avvicinare, a diversi livelli e nei vari settori, i cittadini alle istituzioni. Si tratta di elementi indispensabili ai fini di una valutazione oggettiva del percorso del nostro Paese verso il federalismo. Esso dimostra come all implementazione dei poteri regionali, sia corrisposta una decisa apertura verso soggetti diversi da quelli strutturati nella forma burocratica tradizionale, coinvolgendoli nella gestione o nella co-

8 X Verso un nuovo federalismo fiscale gestione dei servizi pubblici (in senso oggettivo). Il processo verso il federalismo, in altre parole, ha favorito il passaggio da una concezione del cittadino, delle sue associazioni e delle autonomie funzionali, come risorse della collettività regionale e non più come soggetti solo controllati dall istituzione pubblica. Più precisamente, la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, accanto ai principi di differenziazione e adeguatezza nel conferimento delle funzioni amministrative, ha fondato un evoluzione verso nuove forme di governance, dirette, da un lato, a rafforzare la collaborazione e il coordinamento tra i vari Enti pubblici e, dall altro, a valorizzare la società civile. Nel contesto di questa evoluzione si giustifica l attività di monitoraggio del processo di decentramento, che è stata avviata dall Osservatorio a partire dal maggio 2003 con la partecipazione di una forte rappresentanza delle componenti più significative della società civile appartenenti al mondo economico produttivo, sindacale, sociale e culturale, chiamato sin dall inizio a contribuire all elaborazione e poi all approvazione del relativo programma di lavoro, segnalando questioni, temi d interesse, problemi e criticità da sottoporre a discussione, monitoraggio, riflessione e valutazione. Individuati, attraverso il programma di lavoro, i filoni e le questioni da sottoporre a monitoraggio sono stati avviati specifici gruppi di lavoro per singole materie. Grazie al notevole impegno del Comitato tecnico dell Osservatorio [costituito da 2 funzionari regionali, dott.ssa Erminia Falcitelli, dott. Giuseppe Ferraro, e da 4 funzionari delle autonomie locali e funzionali: dott. Marco Orlando (Anci), dott. Ciro Mennella (Consulta Unitaria dei Piccoli Comuni), dott.ssa Matita Peroglio (Lega delle Autonomie locali), dott. Alberto Perron Cabus (U.P.P.), dott. Bruno Mandosso (Uncem), dott.ssa Vittoria Morabito (Unioncamere)], al prezioso contributo del segretario ing. Gianni Cesare Rosa, al notevole supporto del Comitato scientifico, coordinato dal prof. Antonini (e composto dai proff. Antonini, Bobbio, Caramelli, Poggi e Violini) è stata sviluppata attività di analisi che ha coinvolto anche soggetti esterni sotto forma di partecipazione e/o collaborazione: Formez, Crisp, Ires, alcune strutture regionali. L attività dell Osservatorio, ora pubblicata sul sito internet della Regione, non solo ha permesso di fare il punto sul processo di decentramento, materia per materia, anche attraverso il monitoraggio finanziario, ma ha sollecitato l elaborazione di specifici indicatori che hanno

9 L osservatorio sulla riforma amministrativa XI consentito e consentiranno importanti valutazioni sui temi sensibili del federalismo. In sintesi, gli obiettivi dell Osservatorio possono essere sintetizzati nei termini seguenti: a) fornire elementi di conoscenza a tutti i soggetti coinvolti nel processo di decentramento in ordine: alla titolarità delle funzioni e compiti conferiti; al livello di attuazione delle funzioni e compiti; all entità dei compiti effettivamente svolti in termini di risorse, attività, utenti; alle modalità di svolgimento dei compiti; b) compiere valutazioni, attraverso analisi comparativa dei dati acquisiti, in termini di efficacia, efficienza e adeguatezza della propria azione da parte dei soggetti interessati; c) valutare le ricadute del processo sul territorio in termini di semplificazione e celerità dell azione amministrativa; d) fornite supporto agli Enti al fine di consentire a ciascuno, nell ambito della propria autonomia, di orientare le proprie politiche sulla base degli aspetti di criticità e performance propri e altrui; e) promuovere il dibattito e la partecipazione della comunità civile sul processo e sugli aspetti applicativi della riforma, sia ai fini di una verifica della condivisione delle scelte pubbliche, sia ai fini di una rivisitazione e riassetto del sistema (condiviso e partecipato) alla luce dei problemi riscontrati e della riforma del titolo V. L Osservatorio è quindi diretto a fornire elementi conoscitivi per una più puntuale rilevazione delle istanze della società, considerata nella sua complessità economica, culturale e sociale; è quindi uno strumento di supporto ai soggetti coinvolti nel processo di riforma, ed in particolare alla Conferenza Permanente Regione-Autonomie locali. Assumendo a suo fondamento i principi di buona governance elaborati dalla Commissione europea, che si traduce a livello locale nella Local governance, l Osservatorio è rivolto pertanto ad implementare la capacità di cooperare a livello locale per affrontare problemi comuni: le buone pratiche possono nascere solo da un efficace diagnosi delle situazioni, delle potenzialità e dei limiti della società locale. Il policy making per lo sviluppo si innesta su questa lettura dei vincoli e delle opportunità della società locale, e tanto più tale lettura è approfondita e ben realizzata, tanto maggiori sono le possibilità di mettere in campo politiche appropriate con il contesto territoriale locale sul quale si propongono di incidere. Questo monitoraggio consente anche una possibilità di adattamento continuo, riaggiustando il tiro per poter identificare meglio i propri obiettivi e le strade per raggiungerli. Consente anche pratiche di

10 XII Verso un nuovo federalismo fiscale benchmarking e di confronto e scambio di esperienze con altre realtà regionali e locali che stanno seguendo analoghi percorsi di sviluppo. Anche questo può aiutare non solo a comprendere meglio l impatto di determinate misure, ma anche favorire la realizzazione di misure innovative legate all interazione tra attori diversi che si trovano ad affrontare problemi simili in contesti regolativi diversi.

11 NOTA DI EDIZIONE Nell ambito dei lavori dell Osservatorio sulla Riforma amministrativa non poteva mancare un approfondimento specifico anche sul tema del federalismo fiscale: l argomento è stato troppo spesso trattato in modo approssimativo, prescindendo dai dati e dalle effettive dinamiche in causa. Soprattutto in quest ultimo periodo il tema del federalismo fiscale è divenuto una sorta di Babele, dove le più disparate opinioni si sono confuse con eccessiva disinvoltura. Emblematico è stato l editoriale con cui un eminente intellettuale su un importante quotidiano ha lanciato, quest estate, l allarme sui costi del federalismo. Questi, sollevando l attenzione preoccupata di molti, ha denunciato che secondo le stime dell Isae, l attuazione del federalismo avrebbe comportato allo Stato una spesa aggiuntiva di 40 miliardi di Euro. Il giorno successivo l Isae, chiariva che quel dato non era il costo aggiuntivo del federalismo, bensì l entità delle risorse da trasferire alle realtà sub statali: non si trattava quindi, come inteso dall editorialista, di una spesa aggiuntiva (un costo), ma di una spesa sostitutiva. Altri dati, invece, sono stati stranamente passati sotto silenzio, come quelli evidenziati dalla Corte dei Conti sul decentramento del personale statale in attuazione della riforma Bassanini. Essi dimostrano non solo che si è deciso di trasferire 21 mila unità (pari al 70 del personale dei Ministeri) rispetto alle 23 mila previste, ma che di quelle ne sono state finora assegnate a Regioni ed Enti locali solo meno della metà. Altri dati evidenziano, infine, un fenomeno ancora più allarmante: a livello statale il numero dei dirigenti dei Ministeri, dopo la riduzione di circa unità tra il 1991 e il 1998 (da a 4.600), nel periodo successivo (fino al 2002) è aumentato fino a raggiungere il numero di unità. Si è così ampiamente superato lo stesso livello di partenza, moltiplicando le strutture amministrative centrali proprio nel momento in cui (per effetto della riforma Bassanini e della Riforma del Titolo V) si dovevano invece attuare il federalismo, l esternalizzazione dei servizi e la sussidiarietà. Appare quindi opportuno che sul tema del federalismo fiscale si

12 XIV Verso un nuovo federalismo fiscale avvii una nuova riflessione che vada oltre quella dittatura di quei luoghi comuni che spesso, senza adeguati riscontri, ha regnato intorno all argomento. L approfondimento voluto dall Osservatorio si è sviluppato, pertanto, chiamando in causa, oltre ad illustri studiosi, i componenti dell Alta commissione sul federalsmo fiscale (ACoff, che è l organo istituzionale, insediato presso la Presidenza del Consiglio, che in quest ultimo anno ha svolto un imponente lavoro di analisi e di elaborazione sul tema. In data 9 luglio 2004 si è svolto, presso il Castello di Rivoli, il convegno Dal federalismo legislativo al federalismo fiscale e le relazioni tenute in quell occasione sono ora riprodotte nel presente volume 1. Le considerazioni e le ipotesi di sviluppo qui prospettate consentono di iniziare a definire le grandi linee di un nuovo modello di federalismo fiscale, fondato su un rinnovato equilibrio tra autonomia, efficienza e solidarietà. Attraverso l applicazione del principio di correlazione, ispirato da una visione einaudiana dell imposta, infatti, può essere superata quella logica di autoreferenzialità dei tributi, cui è imputabile l attuale empasse del modello di finanza regionale e locale. In questo modo si prospetta anche la soluzione ai difetti del d.lgs. n. 56 del 2000 approvato nella scorsa legislatura. I nodi di quel sistema sono clamorosamente venuti al pettine proprio in questo periodo, dimostrandone l inefficacia sia a generare comportamenti responsabiizzanti, sia a garantire solidarietà. Le proteste, di carattere politicamente trasversale, di alcune Regioni del Sud, che si sono spinte fino ad impugnare quel decreto, dimostrano la gravità del problema. In conclusione, il volume intende permettere una nuova chiarezza sul tema del federalismo fiscale, indicando, inoltre, alcune ipotesi attuative che potrebbero completare in modo ordinato ed efficiente il processo verso il federalismo avviato dal nostro Paese, nell ottica di una gradualità e di una solidarietà responsabilizzante. Si ringrazia quindi il Presidente della Regione On. Enzo Ghigo che, nella sua lungimiranza, anche come Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni Italiane, ha voluto fortemente quest iniziativa, la dott.ssa Giuliana Bottero, Capo Gabinetto della Regione, che 1 Si segnala che al convegno è intervenuto anche il prof. Franco Gallo, la cui eccellente relazione, se non ha poi potuto essere pobblicata a seguito del nuovo impegno assunto dal professore come giudice della Corte costituzionale, ha comunque costituito un contributo davvero prezioso che ha orientato i lavori.

13 Nota di edizione XV l ha sostenuta, l Ing. Gianni Rosa, la dott.ssa Erminia Falcitelli e il dott. Giuseppe Ferrarro, efficaci protagonisti dell attività dell Osservatorio, che stanno contribuendo attivamente al suo sviluppo. Torino, ottobre 2004 LUCA ANTONINI

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15 INTRODUZIONE di Enzo Ghigo * L occasione di questo convegno permette di fare il punto su alcune questioni generali che interessano il processo di federalismo italiano e che non possono, come purtroppo molto spesso accade, essere ridotte a slogan retorici o banalizzate come se interessassero solo la parte regionale senza riguardare l intero Paese. Da un corretto sviluppo del processo di federalismo dipende, invece, la stessa competitività del nostro Paese. La competizione in un economia globale tende, infatti, a porsi ormai come competizione tra sistemi regionali, dove le decisioni di insediamento e investimento delle imprese dipendono sempre più da specifiche rendite di localizzazione. I soggetti che operano all interno del circuito economico cercano zone caratterizzate da condizioni che ne favoriscano lo sviluppo: agilità burocratica, flessibilità dei fattori della produzione, equilibrio tra gli stessi, possibilità di cooperazione tra imprese. Da questo punto di vista, la creazione e la gestione di simili condizioni è più facilmente realizzabile a livelli sub-nazionali piuttosto che nazionali. I livelli regionali e locali di governo possono favorire, in particolare, adeguati servizi reali alle imprese: dalla formazione professionale, manageriale e imprenditoriale, alla infrastrutturazione del territorio, alle reti di approvvigionamento (idrico, energetico, ecc.), ai sistemi integrati di trasporto e di comunicazione, al cablaggio e all informatizzazione, ai servizi di disinquinamento. In questo processo del nostro Paese verso il federalismo, la partita del federalismo fiscale non può quindi essere più procrastinata. Vorrei però essere chiaro: sono consapevole che dicendo questo non indico un paradiso dietro l angolo, o una soluzione immediata per tutti i mali da * Presidente della Regione Piemonte. Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni italiane. Presidente dell Osservatorio sulla Riforma amministrativa della Regione Piemonte.

16 2 Verso un nuovo federalismo fiscale realizzare attraverso una veloce attuazione dell art. 119 Cost.. Il discorso è diverso: si tratta di iniziare a considerare seriamente la nuova autonomia finanziaria regionale e locale prevista con la riforma del Titolo V e altrettanto seriamente avviare un processo che potrà e dovrà essere lungo e ponderato, fatto di passaggi graduali e sostenibili. Si dovrà trattare però di un percorso preciso, che consenta alle Regioni, in un quadro di solidarietà e di responsabilizzazione, la disponibilità delle risorse necessarie a governare quel federalismo legislativo che ormai è scritto nella Costituzione e che disciplina non solo il rapporto tra Stato e Regioni, ma anche e soprattutto quello tra le istituzioni, i cittadini e le imprese. Da questo punto di vista, credo che una delle priorità sia innanzitutto quella di pervenire al definitivo superamento del modello disciplinato dal d.lgs. n. 56 del 2000, che da diverse angolazioni si è dimostrato fallimentare. Non nego che il d.lgs. n. 56 del 2000 abbia consentito una evoluzione rispetto al modello di finanza derivata precedente, ma mi sembra opportuno precisare che il d.lgs. n. 56 del 2000, soprattutto nella sua applicazione pratica, si è mostrato portatore di più difficoltà di quante ne abbia effettivamente risolte. Gli obiettivi principali dell ambizioso provvedimento varato con il d.lgs. n. 56 del 2000 erano, da una parte, il superamento della dipendenza dei bilanci degli enti di governo intermedi e locali dalle risorse del bilancio statale e, dall altra, la costruzione di un sistema di trasferimenti perequativi chiaro e condiviso. Alla resa dei conti i risultati sono stati decisamente inferiori alle aspettative. Se quelle erano le intenzioni, la realtà è andata da un altra parte. Per quanto concerne il primo obiettivo, infatti, non è stato garantito quell automatismo nella ripartizione delle risorse fra centro e periferia che, nelle intenzioni degli estensori del decreto, avrebbe dovuto esaltare l autonomia finanziaria di Regioni ed Enti locali mediante la certezza di disponibilità finanziarie adeguate rispetto alle necessità di spesa. Soprattutto non si è trovata un adeguata soluzione alle problematiche connesse alla sistematica sottostima dei fabbisogni sanitari regionali, con la permanente necessità di ricorrere a forme di ripiano ex post. Tutto ciò, unitamente ai forti ritardi nelle erogazioni effettive da

17 Introduzione 3 parte dello Stato, ha causato alle Regioni notevoli difficoltà operative, specialmente per quanto concerne la gestione di cassa. Questi ritardi sono in gran parte imputabili anche al complesso meccanismo predisposto dal d.lgs. n. 56 del 2000, strutturato in diversi passaggi che coinvolgono molteplici livelli istituzionali intesa fra Stato e Regioni sui meccanismi di riparto, successiva delibera del CIPE, approvazione dei d.p.c.m. di determinazione dell aliquota di compartecipazione e di effettivo riparto delle risorse. Riguardo ai meccanismi perequativi, poi, il d.lgs. n. 56 del 2000 ha introdotto un modello che è stato giustamente definito come ibrido : esso, infatti, pur mantenendo una connotazione essenzialmente verticale (in quanto imperniato sul ruolo dello Stato come gestore principale del Fondo perequativo nazionale) presenta anche una connotazione parzialmente orizzontale, rendendo evidente la distinzione fra Regioni contribuenti nette e Regioni beneficiarie nette. In tal modo, lungi dall individuare un efficace soluzione di compromesso, si sono cumulati i difetti principali dei due modelli estremi della perequazione verticale e della perequazione orizzontale, ovvero i rischi, nel primo caso, di ingerenze dello Stato nei confronti della finanza regionale e locale e, nel secondo, di conflitti distributivi fra enti ricchi ed enti poveri. Rischi che si sono puntualmente tradotti in concrete difficoltà operative, anche a causa degli stessi meccanismi perequativi del d.lgs. n. 56 del Questi, infatti, sono stati fondati (sia pure parzialmente) sul riequilibrio delle capacità fiscali (e questa è una scelta condivisibile), ma sono stati imperniati su tributi distribuiti in modo fortemente disomogeneo sul territorio nazionale come l Irap e l Irpef. Proprio questa disomogeneità nella distribuzione ha indotto ulteriori forti disuguaglianze territoriali, attenuando fortemente il carattere solidale del nostro federalismo fiscale, senza d altra parte essere in grado di stimolare maggior efficienza nella gestione del denaro pubblico. Questo credo che sia il vizio di fondo più macroscopico del d.lgs. n. 56 del Un vizio che nella progressiva attuazione del decreto si sta dimostrando sempre più evidente, fino a coalizzare un diffuso malcontento regionale, di carattere politicamente trasversale. Sarebbe stato sufficiente scegliere tributi distribuiti in modo maggiormente omogeneo per evitare quest effetto perverso. È chiaro poi che il quadro è complicato da altre lacune, come ad esempio la mancanza, nel nostro ordinamento, di un organo in grado di funzionare come una vera camera territoriale (si pensi al Bundesrat te-

18 4 Verso un nuovo federalismo fiscale desco) diretta a garantire la compensazione finanziaria fra i differenti livelli di governo. La mancanza di una sede privilegiata di confronto e di negoziazione interistituzionale in materia finanziaria non ha, infatti, consentito di pervenire alla definizione di criteri di riparto in grado di compensare il minor effetto perequativo delle fonti di finanziamento previste dal d.lgs. n. 56 del 2000 rispetto al sistema di trasferimenti erariali precedentemente in essere, con conseguente forte penalizzazione per le Regioni più povere (e specialmente per quelle del Centro-Sud). Ferma restando la necessità di riformare l impianto complessivo del decreto sul federalismo fiscale, nelle more dell attuazione del nuovo art. 119 della Costituzione ed in attesa che l Alta Commissione di studio sul federalismo fiscale completi i suoi lavori, è di estrema urgenza, allo scopo di evitare ulteriori scompensi alla finanza delle Regioni, un intervento correttivo immediato nei confronti dei meccanismi di determinazione della compartecipazione regionale all Iva, dell aliquota dell addizionale regionale Irpef e della compartecipazione regionale all accisa sulle benzine, come dettagliatamente indicato dal Documento approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome del 1 o luglio u.s. (cui rinvio). L attuazione, dal punto di vista finanziario, dell art. 119 della Costituzione costituisce quindi un occasione unica per implementare, nel nostro ordinamento, un modello di federalismo fiscale più efficiente e funzionale e, allo stesso tempo, più in linea con i consolidati valori della solidarietà interregionale e dell efficienza rispetto a quello introdotto dal d.lgs. n. 56 del In questa prospettiva, l enunciazione di un complesso di principi chiari e condivisi finalizzati al coordinamento del sistema finanziario potrebbe consentire di accelerare il processo di modernizzazione della pubblica amministrazione, accrescendone l efficienza e la capacità di stimolare la crescita dell economia e del benessere, come recentemente auspicato anche da autorevoli esponenti del mondo imprenditoriale. D altra parte, la progressiva attuazione del nuovo art. 119 della Costituzione costituisce una condicio sine qua non anche per il buon esito del progetto di riforma costituzionale attualmente in itinere. I due processi riformatori, quello costituzionale e quello ordinario di attuazione e di riforma del federalismo fiscale possono (o meglio debbono) procedere in parallelo, senza che il primo possa ritardare od ostacolare il secondo.

19 Introduzione 5 Peraltro, il completamento, sul versante finanziario, del federalizing process italiano pare in perfetta sintonia con le esperienze giuridiche dei principali Paesi industrializzati (europei, ma non solo), tutte volte a valorizzare l autonoma gestione delle risorse economiche da parte delle realtà locali, pur in un quadro condiviso di principi di matrice statale. Nella medesima prospettiva, la compiuta definizione del sistema di federalismo fiscale può garantire un più efficace concorso da parte di tutti i livelli istituzionali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti a livello comunitario. Per tutte queste ragioni (e per altre che, per motivi di tempo, non è possibile richiamare in questa sede), l esigenza primaria dovrebbe essere quella di dotare l Alta Commissione di studio sul federalismo fiscale di una piattaforma politica condivisa da tutti i livelli di governo, tale da costituire un idonea base di partenza per la definizione delle opportune soluzioni tecniche. Per questo, pare urgente l approvazione, da parte della Conferenza Unificata, dell Accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, eventualmente partendo dalla bozza elaborata e già approvata da Regioni ed Enti locali e presentata fin dal mese di luglio Naturalmente, l attuazione del federalismo fiscale costituisce una questione di estrema complessità. Sarebbe, pertanto, vano cercare di riassumere in poche battute tutte le relative problematiche; in questa sede sarà sufficiente un breve cenno alle questioni che paiono più rilevanti e alle possibili soluzioni di carattere operativo ed ordinamentale. Per la sua urgenza, mi soffermerò quindi in particolare sulla (necessaria) revisione della normativa relativa al c.d. Patto di stabilità interno. Il Patto di stabilità interno nasce come strumento volto a garantire il concorso di tutti i livelli di governo al perseguimento degli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche nazionali imposti dal Trattato di Maastricht e dal Patto europeo di stabilità e crescita. Proprio questa finalità consentiva (e dovrebbe consentire tuttora) di giustificare il suo carattere parzialmente lesivo dell autonomia finanziaria di Regioni ed Enti locali, come affermato dalla stessa Corte Costituzionale (soprattutto nella sentenza 507/2000). Nel corso degli anni, tuttavia, il Patto si è progressivamente allontanato da tale obiettivo, spesso configurandosi come un indebita ingerenza statale nella sfera di autonomia locale, nel frattempo progressiva-

20 6 Verso un nuovo federalismo fiscale mente (e paradossalmente) ampliata da contestuali riforme di carattere strutturale (a partire dalle c.d. riforme Bassanini fino alla già richiamata riforma del Titolo V). In particolare, si è registrata, da un lato, una sempre minore aderenza fra i saldi-obiettivo assunti a parametro di riferimento dal Patto e quelli rilevanti in sede comunitaria, e, dall altro, una sempre più scarsa congruenza degli strumenti predisposti rispetto agli obiettivi di risanamento dei conti pubblici e alle diverse realtà presenti sul territorio nazionale. Ciò è stato parzialmente riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 36/2004, che, chiamata in causa dalle Regioni e pur astenendosi dal dichiarare l incostituzionalità della normativa statale sul punto, ha lanciato un preciso monito al legislatore statale, invitandolo alla revisione del Patto in modo da renderlo, ad un tempo, più stringente e più rispettoso dell autonomia. Questo obiettivo potrebbe essere realizzato in vari modi, ma una soluzione praticabile potrebbe essere quella di estendere anche alle Regioni ordinarie il modello attualmente in essere per le Regioni speciali. Oppure quella di assegnare a ciascun sistema regionale (in quanto comprensivo anche degli Enti locali compresi nel relativo territorio) un obiettivo concordato alla luce delle diverse caratteristiche strutturali delle varie realtà, affidandone poi la gestione agli organi regionali, in collaborazione con quelli degli Enti locali (soprattutto valorizzando il ruolo degli istituendi Consigli delle autonomie locali). Oppure si potrebbero prevedere meccanismi premiali, evitando quindi di fare, come spesso è accaduto, di tutta l erba un fascio, con meccanismi che di fatto hanno invece penalizzato proprio le Regioni più virtuose. Queste modalità potrebbero consentire di risolvere efficacemente il trade off fra ragioni dell autonomia e responsabilità dello Stato di fronte agli organi comunitari per la tenuta dei conti pubblici, superando le rigidità implicite nell assegnazione dei medesimi obiettivi ad enti profondamente diversi per caratteristiche del proprio tessuto socio-economico e valorizzando il ruolo delle Regioni quali organi di raccordo fra lo Stato e gli Enti locali e di governo dei rispettivi territori. A questo riguardo merita sicuramente di essere considerata la questione sulle norme relative all indebitamento (la c.d. golden rule). In tale ambito è estremamente urgente garantire il tempestivo ripristino dell equilibrio dei bilanci degli enti territoriali, individuando una soluzione derogatoria di carattere transitorio che, in attesa della futura revisione organica del federalismo fiscale italiano, consenta agli enti

21 Introduzione 7 medesimi di finanziare mediante ricorso al mercato dei capitali le spese già giuridicamente impegnate, le spese di investimento relative a programmi regionali di spesa a carattere pluriennale in corso di esecuzione, nonché le spese relative a cofinanziamenti di programmi comunitari e di accordi di programma quadro ovvero a cofinanziamenti regionali già previsti da leggi statali e/o da accordi Stato-Regioni. Anche in tal caso, rinvio alla proposta formulata dalle Regioni e tradotta in una bozza di articolato nell ambito del già citato Documento approvato lo scorso 1 o luglio dalla Conferenza dei Presidenti. Un breve cenno, prima di concludere, al tema (molto attuale) dell autonomia tributaria da riconoscere alle Regioni (e, in misura minore, anche agli Enti locali). In proposito, non sembra plausibile prospettare soluzioni di particolare favore per le ragioni delle autonomie, specie a fronte della recente giurisprudenza (forse troppo rigorosa) della Corte Costituzionale (sentenze n. 296/2003 e n. 297/2003) sull Irap e sulla tassa automobilistica. Inoltre, la scarsità delle basi imponibili libere e l opportunità di una progressiva riduzione della pressione fiscale anche a livello locale rendono remota l ipotesi di un massiccio ricorso ai tributi propri da parte delle Regioni. Oltretutto questo comporterebbe un inaccettabile complicazione del sistema tributario nel suo complesso, con evidenti effetti dannosi per i contribuenti e per il sistema produttivo. In questo senso, pare condivisibile l orientamento, che sembra prevalere anche in seno all Alta Commissione, volto ad incrementare il peso delle compartecipazioni (e, in particolare, di quella all Iva, in quanto tributo distribuito in modo piuttosto omogeneo sul territorio nazionale). Per valorizzare l autonomia finanziaria degli enti di governo intermedi (e locali) occorre però garantire loro, in relazione ai tributi compartecipati, sufficienti margini di manovra della leva fiscale, senza ingessare le relative scelte di politica economica. Ciò significa non solo che non saranno più accettabili norme (come quelle sul c.d. blocco delle addizionali) volte a congelare tale autonomia, ma che essa dovrà essere in grado di esprimersi liberamente, consentendo alle Regioni ed agli Enti locali margini di manovra economica attraverso la leva fiscale. In proposito, occorre sottolineare come, a fronte del carattere ormai residuale dei trasferimenti erariali, sarà sempre più stretto il raccordo fra la dinamica del PIL (e, più in generale, degli indicatori di crescita economica) e quella delle entrate di pertinenza dei livelli di governo intermedi e locali. Anche in questa prospettiva, pertanto, occorre garantire alle auto-

22 8 Verso un nuovo federalismo fiscale nomie efficaci poteri volti a reperire le risorse necessarie a coprire le rispettive esigenze finanziarie. Un ultimo dato: dal federalismo spagnolo emerge che se le Comunità non fossero intervenute sui tributi loro attribuiti, negli anni il gettito Irpef sarebbe aumentato del 13,38%, mentre l aumento effettivo è stato stimato in 10,62%. Dunque, complessivamente le Comunità hanno utilizzato i propri poteri normativi sull Irpef, e in particolare la facoltà loro concessa di prevedere agevolazioni e deduzioni, per diminuire la pressione fiscale. Un esempio importante che vale a chiarire come il federalismo fiscale, nel medio periodo, possa anche diventare un fattore di contenimento della pressione fiscale.

23 IL FEDERALISMO FISCALE, OVVERO: DALLE IMPOSTE-MANNA ALLE IMPOSTE-TALENTI? di Giuseppe Vitaletti * SOMMARIO: 1. La visione dominante. 2. Sintesi di una possibile alternativa. 3. Una riclassificazione dei tributi in funzione dell economia. 4. La reiterata negazione del principio di correlazione. 5. L applicazione del principio di correlazione al federalismo fiscale. 6. L equilibrio tra autonomia, efficienza, solidarietà. 7. Una possibile ripresa della linea einaudiana. 1. La visione dominante. Il federalismo fiscale è stato finora inteso in prevalenza come il probabile punto di innesco dei conflitti sociali insiti nel riassetto territoriale dei poteri pubblici. La devoluzione, ovvero l attribuzione ai livelli di governo regionali e locali di funzioni di spesa prima gestite a livello di governo centrale, rappresenta un conflitto, per così dire, istituzionale, con ripercussioni sociali limitate. Il termine federalismo fiscale, nell immaginario collettivo dominante, rappresenta per contro il finanziamento delle maggiori spese decentrate, in prevalenza con tributi propri o con compartecipazioni, anziché con trasferimenti tarati sulle spese, come nel passato. Siccome tributi propri e compartecipazioni, sul territorio, sono in genere molto più sbilanciati delle spese, mentre le dosi di perequazione delle capacità fiscali territoriali possono essere anche notevoli ma non possono essere che parziali, altrimenti sarebbe lo stesso concetto di federalismo fiscale a venir meno, viene inevitabilmente innescato il conflitto sociale. Questo si sostanzia, in particolare, non nel conflitto generico tra ricchi e poveri, ma in quello specifico tra ricchi e poveri delle regioni ricche e ricchi e poveri delle regioni * Presidente dell Alta Commissione di studio per la definizione dei principi generali della finanza pubblica e del sistema tributario.

24 10 Verso un nuovo federalismo fiscale povere, i quali ultimi vedrebbero ridursi i servizi pubblici o dovrebbero pagare molto di più per ottenere gli stessi servizi di prima. Ciò è quanto, in realtà, sta già avvenendo, a seguito delle misure degli ultimi anni, basate: a) sull attribuzione di tributi propri (es. Ici, Irap) e compartecipazioni (es. Irpef, cespiti energetici) per finanziare le spese storicamente gestite a livello subcentrale, in sostituzione di parte dei trasferimenti statali; b) sull introduzione di formule di perequazione a impatto limitato, quali quelle della legge n. 56 del 2000 per le Regioni. Nella visione illustrata all inizio, tale stato di cose potrebbe aggravarsi di molto nel prossimo futuro, a seguito: a) dell ampliarsi del range delle funzioni decentrate da finanziare a livello subcentrale (su tutte l istruzione alle Regioni, come previsto dalla cosiddetta devolution); b) dell avanzamento del processo di attribuzione di tributi propri e compartecipazioni, come implicito nel nuovo art. 119 della Costituzione; c) dell estendersi dei criteri di perequazione parziale ad altri livelli di governo oltre le Regioni, come sarebbe altresì implicito nel menzionato nuovo art Secondo alcuni, la moltiplicazione del conflitto in essere potrebbe raggiungere entità tali da porre le premesse per la disgregazione del paese. 2. Sintesi di una possibile alternativa. Argomenterò nel mio intervento che questo esito è possibile, se in tema di federalismo fiscale si seguono le orme del recente passato, riguardo all attribuzione di tributi e compartecipazioni, nonché in materia di perequazione. Se, viceversa, si seguono le linee innovative indicate nel documento sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, formulato da Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane come base per i lavori dell Alta Commissione di studio da me presieduta, che per legge ha il compito di definire i possibili contenuti esplicativi di tali indicazioni, il giudizio potrebbe invece ribaltarsi. Infatti il federalismo fiscale potrebbe divenire fattore propulsivo della tanto richiesta efficienza del settore pubblico, nonché fattore di coesione sociale, basata sullo sviluppo economico. Il primo elemento a rendere possibile una tale trasformazione è l indicazione, esplicita nel documento menzionato, che i tributi e le compartecipazioni vadano assegnati ai vari livelli di governo facendo ricorso al principio di correlazione tra prelievo e beneficio connesso alle funzioni esercitate, nel segno della responsabilizzazione finanziaria.

25 Dalle imposte-manna alle imposte-talenti? 11 Ciò permette infatti di visualizzare i tributi assegnati come se fossero ricavi, in analogia alle logiche di fondo aziendali. Tale analogia avrebbe un doppio significato: a) le entrate fiscali sarebbero a fronte di un servizio specifico svolto (o di un gruppo specifico di servizi); b) le modalità di ottenimento del ricavo (ovvero la configurazione specifica dei tributi-prezzi) permetterebbero di influenzarne il livello assoluto, in analogia alle politiche di prezzo nel campo aziendale. Mostrerò che ciò, al contrario di quanto si potrebbe temere a prima vista, potrebbe avvenire addirittura nel segno dell aumento del grado di progressività del prelievo tributario, e quindi del rafforzamento del principio di capacità contributiva previsto dalla Costituzione. Il secondo elemento della trasformazione è il richiamo del documento ad un «giusto equilibrio tra autonomia, efficienza e solidarietà». Ciò potrebbe costituire un affermazione generica ma potrebbe anche porre le premesse per contenuti altamente innovativi. Infatti, anche sul fronte della perequazione, viene fornita chiara indicazione per il coniugio tra efficienza e solidarietà, già implicita nell affiancamento del principio di correlazione al principio di capacità contributiva ai fini di un appropriata assegnazione dei tributi e delle compartecipazioni. Data l espressione usata (quella sopra tra virgolette), tale coniugio non potrebbe avvenire lungo linee di ritorno surrettizio al centralismo, ma nel pieno rispetto dell autonomia, e quindi della responsabilità finanziaria. Seguono come corollari trasparenza e flessibilità fiscale, possibilmente entro un quadro di semplificazione. Tali ultimi obiettivi sono specificamente menzionati nel pluricitato documento. In definitiva, vengono poste tutte le premesse perché l equità non si trasformi in assistenza, con superamento di un passato assai negativo in materia. 3. Una riclassificazione dei tributi in funzione dell economia. La prima verifica di questa nuova impostazione può essere svolta a partire dalla realizzabilità del principio di correlazione tra cosa tassata e cosa amministrata. Per non essere astratta, tale condizione deve valere per la massa dei tributi esistenti, e non solo per quelli nuovi, istituibili a seguito dell autonomia decisionale degli enti territoriali venuta in essere dopo l approvazione del nuovo titolo V della Costituzione. Infatti i nuovi tributi, anche a motivo della smisurata estensione del prelievo e della grande fantasia nello sperimentare nuovi imponibili registratesi nel passato, inevitabilmente rappresenteranno solo una piccola frazione del prelievo complessivo.

26 12 Verso un nuovo federalismo fiscale In materia l Alta Commissione ha deciso di partire riclassificando i tributi esistenti in sei grandi gruppi: a) prelievi sugli immobili. In questa area sono stati riportati tutti i principali tributi sulle abitazioni e sugli immobili adibiti ad uso produttivo (Ici; rifiuti solidi; imposte sui trasferimenti, Ire sulle unità immobiliari a disposizione e su quelle date in affitto). Ad essa, in omaggio ad un modo di vedere comune, che raffigura gli oneri sugli immobili non solo in termini di quelli connessi all acquisizione della proprietà e/o all affitto, ma anche in termini di quelli connessi all uso concreto dei medesimi, sono stati ricondotti anche i prelievi sulle utenze (principalmente: le imposte sull elettricità; sul gas metano; sul gasolio da riscaldamento). Al momento i prelievi sugli immobili sono assegnati agli enti territoriali in misura rilevante riguardo a quelli sulla proprietà o sull affitto, e in misura non trascurabile riguardo alle utenze. Ma le potenzialità di un utilizzo più ampio sono ancora notevoli, sia in termini quantitativi, sia in termini di maggiore flessibilizzazione del gettito; b) prelievi sull automobile. In questa area sono stati riportati i prelievi sui mezzi di trasporto per uso civile o promiscuo. I più importanti sono: le accise sulla benzina e sul gasolio destinato alle automobili; il bollo-auto; l imposta di registro; l imposta sulle assicurazioni automobilistiche. Per questi valgono le medesime considerazioni espresse alla fine del punto precedente, con l aggiunta che va svolta una più accurata riflessione su quale sia il livello di governo territoriale più adatto per l assegnazione. Oggi prevalgono le Regioni, ma senza che questa prevalenza faccia seguito a un dibattito approfondito; c) prelievi sui servizi. A questa area sono riportabili diverse tipologie di entrata. In primo luogo i ticket, sanitari, scolastici o di altra natura: vengono dunque in rilievo quelle entrate che tecnicamente sono classificate come tasse, in quanto costituiscono il corrispettivo di servizi specifici a domanda individuale. In secondo luogo vengono qui incluse quelle entrate che la delega per la riforma tributaria approvata dal Parlamento nel 2003 classifica come imposte sui servizi: ad esempio il bollo; le imposte sulle assicurazioni non automobilistiche; le imposte sugli spettacoli; le concessioni governative. Da ultimo vengono considerati i prelievi sui tabacchi, sugli alcolici, sui giochi. Si tratta di entrate che talvolta vengono indicate come tasse sui vizi, ma che, in un ottica più ampia, si possono considerare di tipo ambientale, e in certi casi (tabacco, alcolici) una sorta di ticket preventivo. La massa di gettito complessivo è assai rilevante. Per contro, eccetto che per i ticket, non

27 Dalle imposte-manna alle imposte-talenti? 13 si sono mai seriamente approfondite le potenzialità di assegnazione del gettito a livello territoriale; d) prelievi sulla produzione. Tra i prelievi sulla produzione si possono in primo luogo inserire le accise energetiche non considerate nei prelievi sugli immobili e sulle automobili, tra cui le più importanti sono l elettricità usata per far funzionare i macchinari (in specie dai cosiddetti grandi utilizzatori ), e il gasolio usato dagli autoveicoli adibiti al trasporto delle merci. Poi va considerata l Irap, che è la prima grande imposta generale sulla produzione, in quanto per tutte le attività ne colpisce l emblema, costituito dal valore aggiunto; e) prelievi sui redditi. In Italia essi si articolano su tre voci principali: 1) l Ire, che, oltre ai già menzionati cespiti immobiliari (reddito catastale delle unità tenute a disposizione e reddito effettivo delle unità affittate), colpisce, con aliquota progressiva: i redditi da lavoro (dipendente e autonomo); quelli da piccola impresa; una frazione minima dei redditi da capitale finanziario; 2) l Ires, che colpisce i redditi delle società di capitali; 3) le imposte sostitutive, che colpiscono, con aliquote differenziate, la gran parte dei redditi derivati dal possesso di attività finanziarie; f) prelievi sui consumi. In Europa esiste un unica forma generale di tassazione dei consumi, costituita dall Iva. Le modalità tecniche di riscossione dell Iva hanno purtroppo reso poco visibile il legame tra tale imposta e il suo oggetto imponibile, ovvero i consumi, al punto che c è chi parla di sovrapposizione tra Iva e Irap. Ma tale confusione non ha ragione d essere, in quanto con l Irap viene in rilievo un concetto di offerta, il valore aggiunto prodotto, mentre con l Iva, nonostante la denominazione, viene in rilievo l opposto concetto di domanda, il cui emblema è costituito dai consumi generali. I sei gruppi esauriscono il totale del prelievo tributario. Vorrei mettere in rilievo (d ora in poi parlerò a titolo personale, poiché le tematiche considerate non sono state ancora oggetto di discussione in Alta Commissione) la funzionalità della classificazione rispetto al ruolo nell economia dei cespiti di prelievo, anziché rispetto ad una pretesa valenza in termini della cosiddetta capacità contributiva. Ai fini di quest ultima, la classificazione usuale considera: a) le imposte a carattere patrimoniale (ad esempio, nello schema di sopra, l Ici e il bollo-auto), la cui valenza in termini di capacità contributiva sarebbe ottima; b) i prelievi sui redditi, la cui valenza sarebbe buona, per cui, as-

28 14 Verso un nuovo federalismo fiscale sieme alle imposte patrimoniali, esse andrebbero iscritte nella categoria delle imposte dirette; c) le imposte indirette, in cui la suddetta valenza è più tenue, in vari gradi. Ad esempio l Iva conserverebbe una valenza discreta, mentre per le accise la valenza sarebbe minima. Per l Irap le cose sono più complicate: si tratta senz altro di un imposta indiretta, ma per il modo in cui tecnicamente viene applicata alcuni la collocano formalmente tra le imposte dirette; d) infine le tasse, che rappresenterebbero l antitesi della capacità contributiva, perché nella loro forma pura sono commisurate direttamente ai servizi pubblici ricevuti. Va però sottolineato che, come sopra detto, si tratta di valenze pretese, valevoli al più per i modelli astratti di prelievo (imposta personale progressiva onnicomprensiva; patrimoniale pure onnicomprensiva; ticket tipo prezzo). Il discorso è totalmente diverso per i modelli effettivi di imposizione. In questi, invece, il prelievo sul reddito e sul patrimonio avviene per spezzoni separati, e spesso gli spezzoni più colpiti sono quelli a più bassa valenza di capacità contributiva. Ad esempio la progressività del prelievo sul reddito riguarda ormai pressoché solo i redditi con elevata componente lavorativa, che nelle intenzioni dovevano essere i meno colpiti dall imposta personale. Le imposte patrimoniali riguardano solo i cespiti reali, non quelli finanziari, dove si annidano le grandi ricchezze. Viceversa i ticket, nel momento in cui, nei fatti, sono differenziati a seconda del reddito e/o del patrimonio, vengono a recuperare una progressività, che in talune ipotesi di configurazione può essere comparabile a quella delle imposte progressive e patrimoniali, quando considerate nel loro funzionamento concreto. 4. La reiterata negazione del principio di correlazione. Nella classificazione economica dei tributi sopra illustrata rientrano anche i tributi creati negli ultimi anni e assegnati agli enti territoriali, i più importanti dei quali sono: l Ici (gruppo immobili); l Irap (gruppo produzione); le addizionali sui redditi (gruppo redditi). Va notato in primo luogo che si tratta di tributi nuovi, non esistenti al momento della mega-riforma tributaria degli anni 70. Ovvero la finanza locale è stata usata come luogo di sperimentazione. Ciò è però avvenuto totalmente nel solco del solo principio di capacità contributiva. Infatti l Ici si configura come una classica patrimoniale sulla più tradizionale delle ricchezze, quella immobiliare, senza alcuno specifico riconosci-

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