SOLUZIONI NEGOZIALI ALLE CRISI DI IMPRESA

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1 SOLUZIONI NEGOZIALI ALLE CRISI DI IMPRESA di Maria Cristina Giuliodori Nel nostro Paese per più di sessanta anni la materia fallimentare è stata disciplinata dal RD 267/1942. Una disciplina che ha visto la luce in un momento storico in cui l impresa agricola e la proprietà terriera costituivano le principali attività a fronte di una percentuale altamente inferiore di imprese commerciali. Il fallimento ha rappresentato per molto tempo la procedura liquidatoria destinata a distruggere l impresa, a raccoglierne le ceneri da destinare ai creditori in un ottica decisamente punitiva nei confronti del soggetto insolvente. Una disciplina che ha inevitabilmente mostrato i suoi punti deboli di fronte alla modifica negli anni e allo sviluppo del tessuto connettivo dell economia italiana. L impianto normativo fondato sul RD del 1942 ha perciò formato oggetto di rilevanti modifiche, a partire dal 2005, tra cui spiccano tutte quelle soluzioni flessibili che mirano al salvataggio e alla ristrutturazione dell impresa e che nel nostro titolo definiamo propriamente negoziali. Sono nati nuovi istituti finalizzati a consentire una composizione negoziale della crisi d impresa senza ricorrere alle procedure concorsuali, al fine di poter, da un lato, tutelare il ceto creditorio e, dall altro, cercare di 1

2 risollevare l impresa stessa rilanciandola sul mercato. Istituti che vanno, sotto il profilo degli effetti dell accordo, dalla mera esenzione della revocatoria fallimentare, all omologazione giudiziale di un patto vincolante anche per i creditori dissenzienti. In particolare, è stata prevista la possibilità, per l imprenditore, di effettuare atti, pagamenti e concessioni di garanzie su propri beni in esecuzione di un piano idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell impresa ed assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista (art. 67, comma 3, lett. d, l.f.), con esenzione di tali atti e pagamenti dalla eventuale azione revocatoria, in caso di successivo fallimento Al Piano di Risanamento detto comunemente anche Piano Attestato possono fare ricorso tutti i soggetti in stato di difficoltà economico-finanziaria, equiparabile allo stato di crisi, passibili di fallimento (id est imprenditore commerciale ex art. 1 LFall.). In assenza di un espressa indicazione nel dettato normativo sopra citato, si può ragionevolmente dedurre ciò dalla esenzione della revocatoria fallimentare: beneficio che non sarebbe ragionevole applicare a soggetti non fallibili. Il Piano Attestato consiste in un progetto unilaterale predisposto dall imprenditore, assistito da un advisor, contenente il riassetto dell impresa da un punto di vista economico-finanziario. Si tratta di un atto che non richiede necessariamente un preventivo accordo con i 2

3 creditori ne una sua pubblicazione nel Registro delle Imprese, ne un controllo (di legalità o di merito) da parte dell Autorità giurisdizionale. Ciò che occorre è l attestazione di un professionista, iscritto nell albo dei revisori contabili e con i requisiti per la nomina a curatore fallimentare, che ne dichiari la fattibilità e la ragionevolezza. C è un elemento di grave incertezza che questo strumento presenta, sottolineato a più riprese da dottrina giurisprudenza: non sussistendo oneri di pubblicità alcuna, esso viene esibito al giudice solo a fallimento aperto per contrastare l azione revocatoria del curatore. Il timore è che davanti all evidente insuccesso del tentativo di salvataggio dell impresa, il giudice ritenga che quel Piano era fin dall origine inidoneo al superamento della crisi e conseguentemente non riconosca l esenzione dalla revocatoria fallimentare. Non è neppure previsto che l imprenditore debba informare previamente tutti i creditori dell iniziativa che intende assumere per risanare l impresa. Gli accordi con i singoli creditori potranno essere formalizzati con distinti atti, e sarà l ipotesi più ricorrente, come anche attraverso un unico atto. I documenti così redatti dovranno essere richiamati nel piano di risanamento e costituirne la base concreta per la sua formulazione. Poiché non è previsto un adesione dei creditori al piano di risanamento, non è neppure prevista la possibilità di contestarlo. I creditori verranno vincolati soltanto dagli eventuali accordi negoziali di ristrutturazione dei debiti 3

4 da essi sottoscritti e non dal piano di risanamento in quanto tale, che resta un documento depositato e conservato presso la sede dell impresa, individuale o collettiva, insieme alla relazione dell esperto e a tutti i documenti a esso allegati. Gli Accordi di Ristrutturazione dei debiti sono un nuovo istituto introdotto nella legge fallimentare (art. 182 bis) dal DL 35/2005 come ulteriore strumento per la soluzione delle crisi di impresa alternativo al fallimento. Si tratta di accordi stipulati tra l imprenditore commerciale, individuale o collettivo, in stato di crisi ed un quorum qualificato di creditori (60%). Tale maggioranza va computata per somme e non per teste, facendo pertanto riferimento all importo dei crediti di cui sono titolari i creditori anche privilegiati - che vi aderiscono e non al numero dei creditori che siglano l accordo, potendo essere quest atto firmato anche da un solo creditore, purché risulti essere titolare di un credito pari al sessanta per cento di tutti i debiti dell impresa, chirografari e privilegiati. L Accordo deve prevedere modalità per il soddisfacimento dei creditori non aderenti. L art. 182 bis lascia alle parti ampia libertà di determinare modalità ed obiettivi, senza prefissare alcuno schema. La norma non richiede particolari formalità, se non l utilizzo della forma scritta, atteso che l accordo deve essere pubblicato nel Registro delle imprese e depositato in Tribunale (del luogo in cui l impresa ha la 4

5 sua sede principale). Il Giudice vi imprime, attraverso l omologazione, il sigillo di legittimità. L Accordo di ristrutturazione deve essere accompagnato da una relazione redatta da un professionista, con i requisiti per la nomina a curatore fallimentare ed iscritto nell albo dei revisori contabili, che attesti l attuabilità dell accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. L accordo, sottoscritto dal legale rappresentante dell impresa e dai creditori che vi hanno aderito, deve essere depositato presso il Tribunale del luogo dove l impresa ha la propria sede principale, nelle stesse forme previste per la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Devono allegarsi: - una relazione aggiornata, predisposta a cura dell impresa, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell impresa stessa; - uno stato analitico ed estimativo delle attività e l elenco nominativo dei creditori, con l indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; - l elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; - il valore dei beni ed i creditori particolari degli eventuali soci con responsabilità illimitata; - la predetta relazione dell esperto. L accordo di ristrutturazione deve essere pubblicato nel Registro delle imprese ed acquista efficacia dal giorno 5

6 della sua pubblicazione. Da questo momento può essere eseguito sia pure con effetti ancora precari in quanto destinati a venir meno in caso di mancata omologa da parte del Tribunale. Dalla suddetta data di pubblicazione decorre il termine 30 giorni entro cui i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione. L opposizione si giustifica perché in caso di fallimento i creditori estranei sarebbero pregiudicati dall irrevocabilità degli atti esecutivi dell accordo e dalla prededucibilità accordata ad alcuni crediti. Trascorso tale termine il Tribunale decide sull omologazione con Decreto motivato reclamabile avanti la Corte d Appello. Decreto pubblicato nel Registro delle imprese ex art. 17 LFall. La presentazione della domanda di omologazione comporta per i creditori anteriori, la preclusione dall esercizio di azioni esecutive e cautelari per un periodo di 60 giorni. Ma in forza della legge 122/2010 di conv. DL 78/2010, il debitore, già in fase di trattative può chiedere al Tribunale di essere posto al riparo dalle azioni cautelari ed esecutive anticipando così le suddette preclusioni. Ai sensi del già citato art. 67/3 lett. e) LFall gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell accordo omologato non sono soggetti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento. Nel silenzio della Legge, in caso di inadempimento del debitore, i creditori aderenti possono chiedere la 6

7 risoluzione o l adempimento coattivo, secondo la disciplina generale prevista in materia contrattuale. Ovviamente, in caso di risoluzione, il loro credito si ricostituirebbe nella sua veste originaria, perdendo efficacia qualsiasi riduzione o dilazione stabilita nell accordo. Nel caso di successivo fallimento del debitore, l accordo mantiene inalterata la sua efficacia, a meno che le parti non abbiano espressamente contemplato nell accordo che la dichiarazione di fallimento costituisca condizione risolutiva del contratto stesso. La legge 122/2010 ha stabilito che in caso di apertura del fallimento dopo l omologazione dell accordo di ristrutturazione (disciplina che comprende anche il concordato preventivo) i finanziamenti erogati da banche e intermediari finanziari in funzione della domanda di omologazione o in esecuzione dell accordo, il compenso del professionista incaricato della relazione sull accordo, nonché i finanziamenti dei soci nella misura dell 80% sono tutti crediti prededucibili. 7

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