Briciole. Le donne. Il teatro e la scrittura per il. la malattia oncologica. a a cura di. Associazione Oltre l Orizzonte Pistoia

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1 Briciole Le donne Dal si Il cibo raccontano sè all'altro è vita Storie Alimentazione, di donne che salute, benessere hanno solidarietà affrontato psichico la malattia oncologica Il teatro e la scrittura per il a a cura di Anna Kira Garante Pellegrini a cura e e Leda Daniela di Spagnuolo Papini Consociazione Elisabetta Bernardini Nazionale Associazione Oltre l Orizzonte gruppi e Giovanna donatori sangue Franchi Fratres Pistoia Associazione Lilt Firenze

2 Trimestrale del Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana n , luglio-ottobre 2013 Reg. Tribunale di Firenze n del 21/07/2004 Direttore responsabile Cristiana Guccinelli Redazione Cristina Galasso Prodotto realizzato nell'ambito di un sistema di gestione certificato alle norme Iso 9001:2008 da Rina Services Spa con certificato n /04 è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli atti dei corsi di formazione. I volumi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato della Toscana i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati. Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle tematiche di maggiore interesse e attualità. 2

3 PREMESSA Alexander Peirano, presidente Lilt Firenze La Sezione Fiorentina della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori ha promosso e portato avanti negli anni il Premio Le donne si raccontano. Storie di donne che hanno affrontato la malattia oncologica con entusiasmo e passione, consapevole dell importanza di questa iniziativa nata nel cuore dell associazione. L idea è germogliata infatti nel 2007 all interno del Servizio Donna come p rima, che si occupa di dare assistenza alle donne operate di tumore al seno e in cui operano quaranta volontarie formate. Volontarie che accolgono, ascoltano e accompagnano, confidenti di paure e speranze, amiche che possono capire e confortare, perché quasi tutte hanno lottato a loro volta contro il tumore. È dalla loro intuizione e dalla loro esperienza al Centro di Riabilitazione Oncologica, dove ha sede il Servizio, che ha preso vita Le donne si raccontano. Molte delle partecipanti al Premio hanno fatto al Ce.Ri.On. il loro percorso riabilitativo e nei loro racconti descrivono l accoglienza che vi hanno trovato e il conforto della presenza del volontariato. La Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori opera da novant anni su tutto il territorio nazionale occupandosi di prevenzione, promozione di una cultura della diagnosi precoce e sostegno al malato oncologico e alla sua famiglia durante le varie fasi della malattia. Questa attenta vicinanza a coloro che si trovano ad affrontare un tumore è spesso accompagnata dalla collaborazione con gli enti locali, in particolare sanitari. La Lilt ha infatti da sempre nella sua mission la volontà di integrare e supportare il Servizio Pubblico, stimolando la riflessione e l intervento su aspetti che spesso restano ai margini del percorso di cura, ma che sono invece così significativi per il paziente. Anche il Centro di Riabilitazione Oncologica è nato con questo obiettivo e siamo orgogliosi di poter affermare che la collaborazione tra l Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica e la Lega contro i Tumori è un esempio unico di sinergia tra pubblico e privato, dove il volontariato rappresenta un completamento e un arricchimento dell offerta sanitaria. Il Ce.Ri.On può operare anche grazie al prezioso sostegno di Corri la Vita e del suo Comitato Organizzatore presieduto da Bona Frescobaldi, che ogni anno donano risorse preziose e indispensabili per il proseguimento dell attività. Gli scritti che in questi anni ci sono arrivati ci sembrano così preziosi e significativi che, fin dalla prima edizione del Premio, il nostro desiderio è stato quello di riuscire a pubblicarli per condividerli con tutti. La sensibilità e la generosa disponibilità di Cesvot hanno fatto sì che finalmente questo progetto venisse realizzato. Desidero ringraziare tutte le persone che si sono avvicendate nelle giurie del Premio in questi anni e che hanno dedicato il loro tempo e la loro attenzione con 3

4 passione e coinvolgimento: Andrea Bonacchi, Alma Borgini, Annarita Caputo, Gioia Cipparrone, Fioretta Falorni, Giovanna Franchi, Grazia Grifoni, Paolo Lippi, Maria Cristina Manca, Guido Miccinesi, Maria Grazia Muraca, Mariella Orsi e Riccardo Poli. Il mio pensiero va a tutte le donne che hanno partecipato, alla loro forza, al loro coraggio, al loro esempio. Mi auguro che questa pubblicazione possa rappresentare un compagno di viaggio per chi dovrà affrontare il difficile cammino dell esperienza di malattia: in queste parole possano trovare un aiuto, un sostegno, un conforto. 4

5 Stefania Saccardi, vice sindaco Comune di Firenze È con grande piacere che vediamo concretizzarsi l uscita di questa raccolta di racconti ed esperienze. Queste scrittrici hanno il merito di aver deciso coraggiosamente di scavare dentro loro stesse, di smuovere anditi dolorosi e reconditi, trovando le parole per dire, per raccontare un passo doloroso del loro cammino. Ognuna avrà trovato la sua personale motivazione per condividere la propria storia e la propria battaglia; ciò che è certo è che ognuna di loro ha trovato la forza di accettare una messa in discussione dolorosa e profonda e di condividere, per sé e per le altre, un percorso molto intimo. Sono storie che testimoniano del crollo del mondo e delle sue certezze e della sua lenta e faticosa ricostruzione, del consolidamento di alcuni affetti e della perdita di altri, del forzato ricalibrare le proprie priorità, di come gli amori diventino fonti di forza e di approdo nella tempesta ed, infine, del volgere lo sguardo dentro di sé per riuscire a guardare avanti e lontano. Le emozioni e le tappe della lotta al tumore diventano in questi racconti i nuovi cardini sui quali misurare il tempo, sui quali misurare le proprie priorità, la propria vita. Dalla lettura di queste esperienze emerge inoltre un aspetto fondamentale: le strutture ed i centri di sanità, corollari di capacità e di umanità, sono il riparo obbligato per coloro che si trovano a dover compiere un passo dopo l altro nelle cure mentre dentro infuria una battaglia cieca ed attorno il mondo pare disfarsi. Faccio mie su questo le parole di Alessia Ballini, amica scomparsa due anni fa ma mai perduta, donna delle istituzioni che si è confrontata ed ha combattuto con la malattia: Da quando la mia vita ha svoltato e mi hanno consegnato una nuova carta d identità, quella che ognuno di noi ha in tasca e che chi è fortunato non dovrà mai tirare fuori, ho capito il significato impagabile, incomparabile di una sanità pubblica efficiente ed universale. L istituzione che si fa carico di te, quando tu non puoi. Lo Stato che ti affianca, che ti sorregge, quando ne hai bisogno. Che tu sia ricco o povero. Comunitario o extra. Uomo o donna. Religioso o ateo. Questo è lo Stato che voglio. Che non mi invade, non mi prevarica. Che ha cura di me. Che mi rispetta. Che mi lascia libera. Che lascia libera la mia coscienza di decidere per me, per la mia vita. Ogni storia è storia a sé anche se purtroppo ogni donna toccata dalla malattia si trova forzatamente ad attraversare alcuni passaggi obbligati e dolorosi. Spero che questa pubblicazione possa costituire un piccolo grande sostegno, una testimonianza utile. Ringrazio perciò la Lilt che con le quattro edizioni del premio, ed adesso con questa pubblicazione ha messo gambe ed ali a queste storie, amplificando le voci di coloro che si sono messe in gioco, decidendo di donare e compartire con gli altri un pezzo di sé così prezioso. 5

6 Bona Frescobaldi, presidente Corri la Vita È con grande emozione che leggo i racconti che descrivono il percorso di queste nostre simili, aggredite subdolamente dal cancro. Il carattere, il coraggio, il panico, l attaccamento alla vita, il senso di responsabilità e la possibilità di reazione di queste donne spesso giovani e con bambini piccoli, sono un esempio straordinario per tutti. Spesso ho pensato che nelle donne c è il Dna degli eroi, infatti riescono spesso a fronteggiare delle situazioni tragiche e molto difficili. Ricordo tempo fa lessi delle righe scritte da una ammalata che riusciva a vedere la sua malattia perfino con allegria, e la cura di chemio come una sfida, una gara per vincere. Ecco questo è forse quello che dobbiamo cercare di fare: considerare il cancro come una malattia, non come una condanna, avendo fiducia nella ricerca, nel progresso delle cure che avviene ogni giorno in tutto il mondo e nell amore dei familiari e degli amici che ci sono vicini e ci sostengono. Abbiamo iniziato Corri la Vita ormai undici anni fa con l appoggio e l organizzazione della Lega Tumori e con il prezioso ed indispensabile aiuto di tanti volontari che ci seguono con generosa disponibilità. È per il Comitato Organizzatore e per me personalmente, motivo di orgoglio e di gioia il poter, in qualche modo, dare sollievo e conforto a chi ne ha bisogno. 6

7 Gianni Amunni, direttore Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica e Istituto Toscano Tumori L Oncologia fa ampio uso di statistiche, protocolli e indicatori per analizzare fenomeni generali su ampie popolazioni di pazienti. Questo rispetto verso la scienza ed i suoi metodi asettici convive sempre di più con una diffusa attenzione agli aspetti relazionali, alla qualità di vita, che non possono prescindere dal vissuto individuale di ogni singolo paziente. La medicina narrativa, che si fonda sul racconto, sulle esperienze e sulle sensazioni, è oggi uno strumento eccezionale per vivere meglio il ruolo di curante, di paziente, di familiare, ma anche di manager della sanità o di semplice cittadino. Leggere queste pagine ci costringe a sentire ciò che il paziente prova davvero, a capire come vengono sentite certe procedure, a verificare se la nostra organizzazione è davvero funzionale, oltre che alla malattia, anche al malato e ai suoi bisogni. Per questo, scienza ed emozione devono stare insieme, per questo occorre indagare con la stessa determinazione la malattia e l esperienza di malattia. La medicina narrativa non può essere qualcosa per pochi affezionati cultori, ma deve avere dentro di se la volontà di contaminare la scienza nella prospettiva di una più opportuna reciproca contaminazione. Allora narrare diventa la forma più avanzata della denuncia, o della protesta, o del plauso e soprattutto lo strumento formidabile per dare un valore più profondo alle competenze di quanti, come parenti o come curanti, combattono quotidianamente la loro battaglia contro il cancro. 7

8 Maria Grazia Muraca, responsabile Centro di Riabilitazione Oncologica Firenze Non è abituale, in una struttura di riabilitazione oncologica, chiedere ai pazienti di scrivere la propria esperienza di malattia per partecipare ad un concorso letterario. Al Centro di Riabilitazione Oncologica (Ce.Ri.On.) di Firenze, che offre un servizio di riabilitazione ambulatoriale, fisica e psicologica ai malati oncologici, è successo anche questo. Circa 5 anni fa alcune volontarie del Servizio Donna come prima della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori di Firenze hanno avuto questa grande intuizione e mi hanno chiesto di coinvolgere i pazienti del Ce.Ri.On. in questa iniziativa. I primi approcci sono stati difficili ed anche un po imbarazzanti. Chiedere a soggetti comuni e, per di più malati, di trasformarsi in scrittori per narrare quel particolare pezzo della propria vita in una forma così nuova di comunicazione, richiedeva tanto coraggio. Superati i primi momenti, però, ho scoperto che gran parte dei pazienti ha bisogno e desiderio di raccontarsi, di guardarsi dentro e di ascoltarsi, di prendersi il tempo per ripercorrere tutta la propria storia e di condividerla con altri. Sembrava strano ma, di fatto, è solo la velocità del vivere attuale che ha ridimensionato quel bisogno di raccontare al medico, quasi come al confessore, il proprio percorso di malattia, e non solo di malattia. Era normale quando nel rapporto tra medico e paziente c erano tante meno macchine e tanti meno esami, trovare il tempo per la riscoperta medicina narrativa e prendersi il tempo per scambiarsi parole, gesti e sostegno umano. Scrivere compensa un po questa mancanza ed al Ce.Ri.On abbiamo cercato di dare una risposta anche a questo bisogno. Il concorso letterario è diventato negli anni uno strumento terapeutico: il narrare scrivendo è diventato uno dei tanti modi per migliorare la propria accettazione della malattia. In questi anni molti pazienti del Ce.Ri.On. hanno partecipato al concorso con lavori veramente inaspettati e straordinari. Inoltre molti degli operatori sanitari, che si occupano di oncologia, hanno avuto modo di scoprire ed imparare tanto dalla lettura degli scritti di questi impareggiabili pazienti. 8

9 Fioretta Falorni, volontaria Servizio Lilt Donna come prima Quante storie di donne ho ascoltato dall inizio del mio volontariato a Donna come prima! Durante le nostre chiacchierate, quando la signora operata già stava risalendo la china del dolore e della paura, accadeva talvolta che tirasse fuori un librettino e mi facesse leggere una sua poesia o un suo racconto. L ho scritto per me, ma te lo faccio leggere perchè sei diventata un amica, mi diceva. E mi raccontava che quando rimaneva sola, si metteva a scrivere per raccontare su quel foglio di carta ciò che non riusciva a dire a voce, forse per pudore, forse per paura di angosciare i propri cari e così dava sfogo e consistenza ai propri pensieri più intimi Leggevo storie incredibili, percorsi ospedalieri allucinanti, sofferenze atroci sopportate con coraggio e in silenzio, baratri di solitudine, voglia di urlare che non si può essere lasciate sole in questi momenti, ma anche gioia per essere riuscite ad uscire dal tunnel nero della disperazione ed aver ritrovato fiducia e serenità e qualche volta anche una nuova vita, diversa e più consapevole. Quelle storie così importanti non dovevano essere lasciate nei cassetti; così io pensavo. Dovevano essere conosciute e persino potevano aiutare altre donne ad affrontare con lo stesso coraggio tutti i passaggi della loro malattia e la strada per la guarigione. Ma come raggiungere tutte queste pazienti scrittrici e raccogliere i loro racconti? Pensai allora che Donna come prima avrebbe potuto indire un premio letterario a cui potevano partecipare tutti i racconti, poesie, diari, lettere etc. di quelle signore che avevano affrontato la malattia oncologica. Avremmo così dato loro spazio e voce e inoltre avremmo raccolto anche una notevole documentazione del lavoro svolto dal nostro Servizio Donna come prima. Avuta l approvazione e il sostegno entusiasta di tutta la Lega Tumori, potemmo così indire nel 2007 il primo Premio Le donne si raccontano. Come simbolo fu scelto un ventaglio, in quanto l ideogramma giapponese di questa parola significa Orizzonte che si apre e con esso volevamo augurare alle nostre care amiche offese dalla malattia un nuovo orizzonte aperto davanti alla loro vita. E così partimmo con la prima edizione. Avemmo una notevole quantità di lavori, tutti molto emozionanti, tanto che la scelta dei primi tre fu davvero difficile. Decidemmo comunque che tutte erano meritevoli dello stesso premio e per riconoscimento avremmo dato loro il medesimo ventaglio con stampati tutti i loro nomi. Arrivammo emozionate alla cerimonia di consegna dei premi nei locali della Biblioteca Comunale di Sesto Fiorentino, affollata da tante persone commosse e fu un successone. Poi venne la seconda edizione premiata nella Sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi, la terza nel Salone de Dugento e la quarta addirittura nel Salone de Cinquecento in Palazzo Vecchio. 9

10 Credo che tutte noi della Lega Tumori di Firenze che abbiamo contribuito al successo di questo progetto ci sentiamo commosse e orgogliose. Alle tante donne che si sono rivolte a noi durante il periodo della loro malattia possiamo dire che anch esse ci hanno dato tanto: soprattutto ci hanno fatto riflettere sul coraggio che supera la paura, sulla speranza, sulla grande volontà di vivere che dà la forza per guarire e per guardare con mente e cuore rinnovati a tutto ciò che ci circonda. Saluto con affetto tutte le signore che ho incontrato a Donna come prima, la nostra storica fondatrice Roberta Ciurekgian, le mie colleghe volontarie, i professionisti del Ce.Ri.On e tutti gli amici della Lega Tumori Firenze. 10

11 INTRODUZIONE Introduzione Elisabetta Bernardini e Giovanna Franchi, Lilt Firenze Date parole al dolore. Il dolore senza parole agita il cuore oppresso e lo spinge a spezzarsi. William Shakespeare, Macbeth Le parole di Shakespeare illuminano il senso che vuole avere il premio di scrittura Le donne si raccontano. Storie di donne che hanno affrontato la malattia oncologica, bandito dalla Sezione fiorentina della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori per la prima volta nel L invito a descrivere la propria esperienza, a farne partecipi gli altri, a farla diventare un momento di comunicazione e di apertura di cui tutti possono fare tesoro, è allo stesso tempo un invito ad alleggerire il cuore dando voce a quelle emozioni che spesso sembrano così difficili da esprimere. Donne di età diverse, che hanno raccontato fasi diverse della malattia. Un insieme di storie eterogeneo e al tempo stesso armonico, dove non si nascondono il dolore e la paura, ma dove è sempre presente la voglia di vivere e combattere, condividendo esperienze e ricordi, emozioni e desideri, sogni e speranze. Il linguaggio è quello del caleidoscopico mondo delle donne, pieno di ironia, introspezione, intensità, gesti piccoli e grandi, solidarietà e condivisione. Non era facile fare una suddivisione tematica in un universo così ricco di storie. Come primo criterio abbiamo deciso di mantenere la successione temporale delle quattro edizioni. All interno di queste, abbiamo poi cercato di mettere in luce alcuni temi che, pur con stili diversi e con diversi vissuti di malattia, legano come un filo le esperienze raccontate. Il rapporto con i medici e con le terapie, l affiorare delle paure, il sostegno e l ascolto, la presenza di amici e familiari ma soprattutto il grande amore per la vita che abbraccia tutte le storie 1. Vogliamo ricordare che non si tratta di un concorso letterario: sono racconti di vita la cui bellezza dirompente non è legata all aver usato una certa forma di scrittura o un corretto stile, ma emerge dall essersi messe a nudo, condividendo con il lettore le parti più intime, le speranze, le paure, la disperazione e il coraggio. Linguaggi semplici e diretti, ricordi, diari di malattia, lettere. Niente è mai banale, nulla già sentito: ognuna di loro ha messo se stessa e quindi la propria unicità e personalità in ogni frase. Il risultato è una lettura appassionante e coinvolgente che riesce sempre a stupire. Nelle varie edizioni del Premio, le giurie che si sono avvicendate hanno sempre usato lo stesso criterio di giudizio, che è stato quello di segnalare come vincitori i racconti più evocativi, ma di sottolineare la significatività di tutti. In accordo con 1 Ai racconti non sono state apportate modifiche, se non correzioni di refusi grammaticali e piccoli adeguamenti formali, in accordo con le linee editoriali di Cesvot. 11

12 Le donne si raccontano. Storie di donne che hanno affrontato la malattia oncologica questo, anche noi abbiamo deciso di non evidenziare in maniera particolare i premiati (sono solo segnalati nelle note ma non rientrano nei criteri di suddivisione) perché condividiamo che la vittoria è davvero di tutte le partecipanti. Come chiave di lettura vorremmo solo darvi un breve cenno di spiegazione per alcuni acronimi che ritornano spesso nei racconti e che non tutti possono conoscere, soprattutto chi non opera nel settore e la cui descrizione può aiutarvi a capire le strutture e gli enti che accompagnano e supportano la persona colpita da tumore, dalla diagnosi alla riabilitazione. La Lilt - Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori è un Ente Pubblico sotto l Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Da novant anni la Lega opera in ambito oncologico su tutto il territorio nazionale in cui è presente con oltre cento Sezioni Provinciali. La Lilt - Sezione di Firenze è presente sul territorio fiorentino occupandosi di prevenzione, assistenza domiciliare e riabilitazione oncologica. Tra i suoi Servizi ricordiamo Donna come prima, fondato da Roberta Ciurekgian Scandurra nel 1986, per dare un aiuto concreto alle donne colpite da tumore al seno. In molti racconti presenti in questa pubblicazione si cita questo Servizio e soprattutto si elogiano le sue volontarie, oltre quaranta, molte delle quali hanno a loro volta subito un intervento per tumore della mammella. L Ispo - Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica è un Istituto Scientifico della Regione Toscana e nasce nel 2008 ereditando professionalità e competenze del Cspo - Centro per lo Studio e la Prevenzione Oncologica che aveva sede in viale Alessandro Volta, e che per oltre quarant anni ha operato nell ambito della prevenzione oncologica primaria e secondaria. Dalla stretta collaborazione tra la Lilt e il Cspo, diventato poi Ispo, nel 2005 nasce il CeRiOn-Centro di Riabilitazione Oncologica Firenze nella struttura di Villa delle Rose, realizzato anche grazie ai preziosi contributi della manifestazione Corri la Vita ideata da Bona Frescobaldi. Lo scopo del Centro è quello di accompagnare il paziente oncologico in un percorso riabilitativo psico-fisico integrato e personalizzato, grazie alla sinergia tra diverse figure professionali. Molte delle partecipanti alle diverse edizioni del Premio sono o sono state pazienti del CeRiOn e nei loro scritti raccontano come il percorso, a volte iniziato con una difficoltà ad affidarsi ad operatori e volontari, si sia poi rivelato un esperienza sorprendente e profonda di crescita personale e di riconoscimento delle proprie risorse, che le accompagnerà per tutto il resto della loro vita. Di questo lavoro porteremo con noi l emozione e il coinvolgimento che ogni storia ci ha dato, anche dopo tante riletture e il grande esempio di forza, coraggio e determinazione di queste donne straordinarie. 12

13 PARTE I La prima edizione del Premio,

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15 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto Un giorno di novembre di Rossella Ciulli Parte I Un giorno di novembre, un foglio, una parola carcinoma. Inizia così la storia, una storia di ansia, paura, rabbia, dolore e il mondo che nonostante tutto continua a girare. Tutto questo potrebbe far pensare a una storia di terrore e invece no, è la storia di una di noi, di una donna che si ritrova con i piedi su una zolla di terra mentre il mondo attorno è crollato, è anche la storia di come si può tornare a vivere, sorridere, fare progetti e sognare. Io sono arrivata a Villa delle Rose una mattina di gennaio e mai nome mi è parso più fuori luogo, io non mi sentivo una rosa ma un ramo secco e pieno di spine, spine pronte a far male a chiunque si fosse provato a dirmi dai tirati su, non ci pensare, è tutto passato. Ero rientrata a lavorare da una settimana e le colleghe non riuscivano a capire come mai io volessi frequentare questo centro, per loro era tutto passato, non dovevo nemmeno parlare di quello che mi era successo, di quello che avevo provato e che continuavo a provare, non capivano e continuano a non capire perché ogni tanto piangessi, perché non riuscivo più a ridere. In casa la situazione non era diversa, sembrava di vivere alle soglie del cimitero, tutti che ti domandano come stai, ma nessuno che si chiede come mai non vuoi alzarti più dal letto, tutti che ti guardano come se fossero convinti che domani non ci sarai più. Con questo fardello sulle spalle ho varcato quel cancello, ed è stata la cosa più bella che possa aver fatto. Il primo impatto l accettazione, tutti sorridono, poi la visita, la dottoressa che ti ascolta, e voglio ribadire ascolta, è tanto che nessuno lo fa più. Il primo incontro con la psicologa, Alice, è difficile, io ho paura, sono sulla difensiva, arrabbiata, ma allo stesso tempo ho voglia di prendere quella mano che mi viene porta, e la prendo. Inizia la rinascita, con tanta paura e tanta sofferenza, i pezzi iniziano a tornare a posto, le compagne di percorso ti aiutano, gli incontri diventano un appuntamento importante, da non perdere, peccato che tutto sia intervallato da esami, controlli, oncologo, chirurgo, ma la voglia di vivere torna insieme alla voglia di lottare, di sognare, di fare programmi per il futuro. Riesci a perdonare le amiche che non hanno saputo starti accanto, questa cosa che finisce in oma fa paura, e ad apprezzare quelle che non credevi l avrebbero fatto, ma la cosa più importante sei te, ti rendi conto che le cose le stai facendo per te, non per gli altri, marito figli genitori colleghi amici, ma solo per Te. Adesso varcando il cancello penso che nome non è mai stato più bello, Villa delle Rose, mentre attraverso il giardino mi sento davvero una rosa, piccola, un bocciolo stentato ma pur sempre una rosa. Non so come finirà questa storia, se un giorno sarà solo un brutto ricordo o se seguiranno altri capitoli, so solo che non sarò più sola, qualcuno sarà sempre al mio fianco. Grazie Villa delle Rose. 15

16 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto Il mio grande dubbio di Lucia Di Matteo Il raccontarci ci invita a guardare indietro, ma allo stesso tempo si guarda avanti divenendo così itinerario di apprendimento. Non è mia intenzione cimentarmi in una vera autobiografia: desidero semplicemente raccontare un periodo importante della mia esperienza, della mia vita. Era il 1984 mio marito dipendente della Telecom fu trasferito d ufficio da Napoli a Firenze. In quel periodo insegnavo nei corsi di formazione professionale fuori Napoli, precisamente nella zona di Nola. Quei luoghi, in seguito al terremoto del 1980, erano degradati e non sicuri poiché, per carenze di bilancio e per poca cura, non erano stati sottoposti ad un attenta e necessaria manutenzione dopo l accaduto, così anche alcune scuole furono dichiarate pericolanti e tutto il personale fu messo a disposizione in attesa di nuovi incarichi. Fui contenta del trasferimento di mio marito, in questo modo avrei potuto lasciare la città di Napoli che, oltre alle consuete difficoltà di una città particolarmente caotica, si cominciavano ad avvertire i disagi e le problematiche di una città terremotata. Il mio trasferimento lavorativo fu particolarmente difficile: non vi erano disposizioni tali da potere consentire un trasferimento tra enti regionali, dunque dall Amministrazione Regionale Campana non potevo essere trasferita all Amministrazione Regionale Toscana. Nonostante questo avevo venduto casa a Napoli e comprato a Firenze, ed i miei figli avevano già iniziato la scuola. Iniziai così a fare la pendolare tra Firenze e Napoli, ero molto stressata: una donna di 42 anni con due bambini di 10 e 8 anni, in una città sconosciuta e con un lavoro a molti chilometri di distanza. E il papà di questi bambini? C era ed era (e lo è ancora) il classico uomo assente a tutto quello che può essere il menage familiare il classico uomo che si lascia scivolare addosso qualunque cosa senza il minimo coinvolgimento. Tornavo così a Firenze per svolgere frettolosamente tutte le necessità dei ragazzi che in sostanza erano affidati alla tv, alla nonna ed ad un papà presente, ma sempre e comunque così assente. Un giorno ero più stressata e depressa del solito; mi accorsi di avere al seno come un durone che mi faceva male, avevo il seno grande e spesso mi faceva male, ma sicuramente questo era un qualcosa di anomalo. È importante ricordare che nel 1985 per i tumori al seno non c era una conoscenza così avanzata come lo è oggi, che se ne parla con più consapevolezza. A quel tempo conoscevo un chirurgo dell ospedale di Careggi, che mi ricevette per un esame più approfondito. Durante quella visita il dottore mi aspirò del liquido che, con grande soddisfazione di entrambi, concluse che non era neanche il caso di esaminarlo perché si presentava limpido. Io non dimenticherò mai la vista di quello zampillo che usciva dalla siringa che poi fu svuotata nel lavandino della stanza dell ospedale. Il dottore mi disse di stare tranquilla che avrei fatto una radiografia e che mi avrebbe tolto, con un piccolo taglio laterale, questo 16

17 Parte I piccolissimo nodulo che mi dava fastidio. Le cose non andarono così. Feci la radiografia e solo con questo esame il 25 aprile del 1985 entrai in ospedale. La mattina seguente alle 7,30 mi venne iniettata la pre-anestesia e mi portarono in sala operatoria, ma il mio dottore non era ancora arrivato, il reparto era del Prof. T. (andato in pensione dopo pochissimi giorni dal mio intervento). Il Prof. T. mi chiese a quale seno dovevo essere operata, io ero stordita, impaurita, mi sentivo molto sola, come ho detto mio marito assente-presente non mi dava minimamente quella sicurezza o amore che avrei dovuto avere in un momento così particolare e delicato, risposi al professore che era il seno sinistro... e non ricordo più niente. Sotto l effetto dell anestetico, ho avuto la sensazione di percepire che i medici stessero parlando di me, che non era quello il tipo d intervento che mi doveva essere fatto, ma questa per me è stata solo una percezione e nessuno me ne potrà mai dare conferma o smentita. Quando iniziai a svegliarmi sentii sul seno sinistro un peso che non mi lasciva respirare e da qui mi resi conto che avevano asportato tutto il seno... avevo punti da dietro alla schiena fino allo sterno. Non conosco vocaboli che possano esprimere le sensazioni che provai quando presi coscienza di questa mia mutilazione. Quando cominciai ad alzarmi dal letto mi vidi piatta da un lato e mi vergognavo, ma la mia reazione mentale mi diceva che ero viva, avrei dovuto superare tutto per l amore dei miei bambini che ancora avevano bisogno di me ed erano troppo piccoli, avrei voluto stare con loro ancora qualche anno, non mi importava dell aspetto fisico perché ero viva. Dovetti aspettare 20 giorni che arrivassero da Milano (non so il perché!) i risultati della biopsia. Ancora oggi, e quindi a distanza di 22 anni mi chiedo perché fu portata a Milano? Perché non c era la possibilità di fare questa analisi a Firenze? Perché sulla cartella clinica, che è oggi in mio possesso, non ho una diagnosi chiara del mio male e se davvero ho avuto quel male? Perché in un operazione così radicale non mi hanno svuotato l ascella o il muscolo pettorale? Perché dopo non mi hanno fatto fare cure di alcun genere? È sempre stato un mio dubbio... e sempre lo sarà e, vi assicuro, che è grande! Solo chi ha subito un intervento del genere può veramente capire che la menomazione di una donna avviene anche, e forse soprattutto, a livello psichico. La protesi esterna mi dava fastidio e mi pesava (come ho detto avevo il seno molto voluminoso) inoltre i miei figli avevano capito il disagio che provavo e, a volte, vedevo in loro imbarazzo. Così iniziai il lungo percorso d informazione per un eventuale ricostruzione, infatti non avendo fatto la chemioterapia potevo ricostruirlo anche subito. A quel tempo chiedevano somme che non potevo permettermi, inoltre i medici che consultai non si assumevano alcuna responsabilità sull esito della ricostruzione. Mi vennero proposte varie soluzioni, ma ero sola anche questa volta e mi era difficile decidere, non avevo un marito con cui poter condividere e prendere una decisione. Credo che la solitudine, specialmente in questi casi, ammazzi più di una malattia, 17

18 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto poiché si rimugina il tutto senza potersi confrontare. Incominciai ad interessarmi e ad informarmi, incontrai la signora Roberta Ciurekgian, anche lei aveva vissuto la mia esperienza, una donna dinamica e piena di voglia ad aiutare tante altre donne, aveva capito che in queste situazioni particolari è necessaria solidarietà, e non isolarsi, insomma avevo incontrato una persona da imitare. Cominciai così a frequentare il suo gruppo, che avrebbe chiamato in seguito Donna come prima in via della Pergola; qui incontrai altre donne ed insieme avevamo l opportunità di confortarci e confrontarci e frequentare insieme la piscina per tenere in allenamento le braccia. Dopo quasi due anni dall intervento conobbi il prof. M. di Pisa che era, ed è, un bravo chirurgo plastico e presi subito appuntamento; non appena vide la mia cartella clinica ed esaminò la situazione mi disse queste testuali parole: Signora questo è un giallo, lei dormiva ed io non c ero!. Attesi la chiamata dall ospedale di Pisa e, sebbene questo lasciasse molto ma molto a desiderare (la chirurgia plastica non era ancora così di moda come lo è oggi) il Prof. M. mi diede tanta fiducia e serenità, e ne avevo estremamente bisogno. La struttura era un vecchio appartamento adibito ad ospedale dove mancavano i più basilari elementi di igiene, ma a me interessava il chirurgo, poiché era stato colui che col suo sorriso e con la sua pazienza mi ha dato la possibilità di superare i due interventi successivi necessari per la totale ricostruzione. Ancora oggi gli sono riconoscente: sono dovuta ritornare da lui 5 anni fa per il cambio della protesi (ma questa volta all Ospedale di Cisanello... un vero ospedale!), infatti con gli anni si è sempre più perfezionato il tipo di silicone da usare in questi casi. Tra un operazione e l altra continuavo ad andare a Napoli perché, per vari motivi, non potevo permettermi di lasciare il lavoro, ma il motivo principale era che avevo deciso che non appena i ragazzi avessero raggiunto l autonomia economica avrei scelto la separazione sebbene nel frattempo avessi cercato, per quanto mi era possibile, di salvare il mio matrimonio in quanto credo nella famiglia e, nonostante tutto, amavo mio marito. Nel 1988 finalmente dopo aver mosso la politica ed i Santi ottenni il comando nella Regione Toscana al Servizio Demanio e Patrimonio. Mi fu assegnata la gestione degli immobili della Regione Toscana un lavoro totalmente nuovo per me, ma ebbi la fortuna di incontrare una collega, che poi è diventata la Dirigente del servizio, con la quale oltre a lavorare insieme, mi ha sempre dato tanta fiducia e serenità permettendomi quindi di lavorare veramente con piacere. Siamo col tempo diventate amiche con la A maiuscola, mi ha aiutata a superare alcuni momenti fondamentali della mia vita (avrei da dire ancora tanto ma lo farò in un altro momento). Trascorrevano comunque i momenti, le ore, che si trasformarono poi in giorni e finalmente in anni, dalla mia malattia. Questo mi rasserenava l animo, tranquillizzava la mia mente ed allontanava in me il pensiero e la paura della possibilità dell eventuale ritorno del male. Stavo tornando ad essere forte. 18

19 Parte I Come mi ero proposta infatti non appena i ragazzi si inserirono nel mondo del lavoro lasciai mio marito. Oggi sono in pensione. Ho la mia piccola e amata casa che considero come la mia seconda pelle. Ho 64 anni e sono serena. Ho rincontrato qualche signora dei tempi del Ogni volta che ripenso a quel periodo della vita ho il cuore in subbuglio, avevo 42 anni ero disponibile a credere in positivo, avevo voglia di progettare ero un vero vulcano. Rispetto ad allora, sebbene molti avvenimenti siano accaduti, e nonostante tutto, non sono una donna così diversa da allora In quei momenti è vero tutto sembra confuso, irreale, fuori dalla propria dimensione tutta la normalità della vita perde in un attimo significato, tutto diventa intrecciato ed annodato come un gomitolo di cui non si riesce a trovare il giusto filo per rimettere ordine, per capire da che parte iniziare. Spesso nella testa c è un unico pensiero intransigente di volere azzerare e cancellare tutto, ma poi, con il tempo, il desiderio di riprendere in mano la propria vita, di tornare ad essere padrone di sé prende il sopravvento. Il tempo, solo questo concetto e solo questa parola riesce a spiegare quanto i minuti, le ore ed i giorni diventino per le donne mastectomizzate, per noi donne mastectomizzate, come un fiume in piena, che riesce a trascinare con la sua forza e la sua potenza tutto quello che circonda. Il trascorrere del tempo infatti riesce a restituire una nuova vita, regalare una rinascita, dimostrando soprattutto a noi stesse, ma anche a chi amiamo, quanto sia forte la volontà di volere ricominciare, con maggiore vigore e forza, dal punto in cui si è stati costretti a lasciare. In alcuni momenti ho sentito come se la mia nuova vita uscisse da me, prepotentemente, come se in quel momento io fossi solo un contenitore. Sono fermamente convinta che la vera cura per sé stessi sia riuscire a fare pace con la propria memoria, lasciando emergere e vivere il presente, lasciando che il passato si acquieti, accresciuto di questa esperienza. Forse solo così si può tornare pienamente alla vita, vivendola forse in modo più profondo perché adesso quell Io tessitore è più vigile, perché ha imparato a convivere con un esperienza che adesso è inscindibilmente parte di sé. Vorrei poter dimostrare oggi, attraverso la mia esperienza, che quando casca una tegola come questa, la cosa più importate è circondarsi di affetto e di persone che già hanno attraversato questa esperienza negativa, e lasciarsi aiutare a superare i lunghi momenti difficili, per ritornare di nuovo sé stesse. La Villa delle Rose a distanza di 22 anni mi sta dando ancora questa possibilità Grazie! 19

20 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto Scrivere per me è sempre difficile di Marisa Giunti Scrivere per me è sempre difficile. Scrivere sulla mia malattia, anzi sulle mie malattie lo è ancora di più. Già perché le malattie sono numerose e croniche. Comincio dal tumore al seno che è solo la più recente e che mi serve per raccontare le mie scoperte nel campo delle mie malattie. Quando partecipavo ai gruppi di auto aiuto organizzati da Donna come prima in via Pascoli con la guida di Giovanna N. mi sono accorta, incontro dopo incontro, che mentre le altre signore parlavano dei problemi conseguenti l operazione al seno, io continuavo a parlare della mia gamba poliomielitica ed a pensare ai condizionamenti che ne avevo avuto. È stato durante e dopo quegli incontri che ho messo a fuoco alcune cose del mio rapporto con la malattia in generale, e con la polio in particolare. Mi sono ammalata a tre anni. Non ho ricordi di quando camminavo senza zoppicare. Il mio corpo non mi è mai piaciuto e specialmente la mia gamba. Per molto tempo ho scaricato su di lei tutte le responsabilità di quello che mi capitava o che non mi capitava, specialmente negli anni dell adolescenza. Poi negli anni dell università e dopo gli studi, gli impegni nel sociale e l insegnamento mi sono sentita meno oppressa. Il trucco che ho messo in atto è stato quello di scacciare il pensiero della mia gamba. Ho cercato di vivere senza farmi limitare troppo da lei: nuotare, andare in bici e in motorino, prendere la patente e guidare l auto, viaggiare, arrivare ai rifugi in alta montagna dopo aver camminato anche otto ore e soprattutto vivere con gruppi di amici con cui condividevo sogni e ideali, insegnare con passione e coinvolgere nelle mie passioni gli alunni e qualche volta anche i colleghi Certo, quando mi specchiavo in qualche vetrina, mentre camminavo mi veniva da chiedermi, chi era quella che camminava così ma l essenziale era continuare a camminare. Non so dire se mi sono resa conto di questi pensieri durante i gruppi di auto aiuto o se già li avevo pensati prima. Quello che però è certo è che è stata la prima volta che li ho espressi ad alta voce, che ne ho parlato con persone che mi hanno ascoltato e capito. Avevamo in comune corpi offesi dalla malattia e a nessuna importava quale fosse la malattia. Da allora mi capita di essere più tollerante verso questo mio corpo, di pensare alla mia gamba come una parte di me di cui mi occupo con tenerezza e con affetto. Cerco di riconciliarmi con le mie imperfezioni pensando che siamo tutti imperfetti ed allora mi aiuta sentirmi allegramente imperfetta. 20

21 Parte I Un tunnel verso la luce di Raffaella Sabino Oggi, venerdi 25/05/07, sono in servizio di volontariato nella sede di Donna come prima e ho avuto occasione di parlare del bando Premio Letterario Le donne si raccontano indetto dalla nostra associazione. Non abbiamo fatto grande pubblicità allo stesso, è una nostra lacuna e ora cercheremo di rimediare: allora, visto che la scadenza è molto vicina (prima scadenza 31/7) ho pensato di cimentarmi personalmente in una specie di racconto-diario-lettera, perchè la collega volontaria che ha avuto l idea di attuarlo e che si sta adoperando al massimo, possa avere una rosa di lavori da sottoporre alla Commissione Giudicatrice. Parlare di testimonianza e/o emozioni in relazione a percorsi di malattia oncologica nel mio caso è veramente aprire una porta stagno (si, quella della stiva di una nave) è un fiume in piena che potrebbe essere difficile arginare senza commuovermi troppo. I ricordi, le sensazioni, potrebbero sopraffarmi e impedirmi di continuare a scrivere ma devo farmi forza perchè voglio concorrere al premio, ormai ho dato la mia parola. Da dove cominciare? Dalla malattia di mio padre, da quella di mia madre o la mia? Forse è giusto dalle ultime due, perchè sono avvenute quasi in parallelo, stranamente mia madre aveva 21 anni più di me, era bella, giovane, sembrava mia sorella, spero almeno la maggiore ripetevo sempre a chi ce lo diceva. Appena il medico di famiglia mi telefonò in ufficio per dirmi che aveva visitato mia madre e che subito dovevo portarla al Cspo, sentii una stretta acutissima allo stomaco: non potevo immaginare, nemmeno nelle più nere previsioni quello che ci sarebbe capitato. La diagnosi prevedeva l operazione subito: era carcinoma infiltrante. I medici di Careggi e l oncologa (alla quale va la mia più profonda riconoscenza) faticarono non poco per convincere mia madre che non era la forma di mastite che lei credeva di avere sin dalla nascita di mio fratello e del suo allattamento al seno (meno male, non il mio, che sono la maggiore) e che doveva subire l asportazione totale (dx). Mia madre pur non dimostrandoli assolutamente, aveva 78 anni e non aveva mai partecipato né a screening né aveva mai fatto mammografie; ai suoi tempi non era previsto, né nella mentalità comune delle donne fare prevenzione come è ora grazie all attenzione richiamata sulla materia da tutti gli operatori del settore e non. Io invece, solo una generazione dopo, avevo iniziato presto a fare prevenzione. Già a 35 anni (e anch io come mia madre ne dimostravo circa dieci meno) avevo fatto la prima mammografia ed ero entrata nel programma previsto negli anni 80 per la patologia. A novembre 99, quindi, ero stata chiamata per la consueta mammografia biennale, mia madre era già stata operata il 26 marzo dello stesso anno. Quando ai primi di dicembre mi richiamarono dal Cspo per approfondimento urgente ero fuori Firenze e sottovalutai la cosa. Già, due anni prima, era accaduto e mi ero spaventata inutilmente. Senza alcuna paura e con molta calma, nonostante continuassero a 21

22 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto cercarmi, mi presentai dopo 2 settimane al Cspo e in quel momento la mia vita subì un accelerazione inaudita: non accettavo l idea che fosse successo anche a me, criticavo Dio, che non aveva saputo esentarmi da questo dramma salvando una delle due, mi rammaricavo perchè ciò che mi accadeva avrebbe potuto sconvolgere la faticosa tranquillità nella quale avevo avvolto mia madre. Sono stata operata il 28/12/99 e per non spaventare mia madre che era ancora scossa dalla sua menomazione fisica (aveva avuto un bellissimo seno!) e psicologica, le dissi che ero necessaria, saltuariamente, ancora in ufficio mentre ero in prepensionamento già 5 giorni dopo la sua operazione: era una promessa che avevo fatto a me stessa qualora fosse accaduto ancora, perchè non avevo potuto stare vicino a mio padre durante i 2 anni della sua malattia quelli intercorsi per la diagnosi infausta e la sua morte nel Non posso proprio ricordare, senza commuovermi, quanto mio padre avesse voglia di vivere, aveva poco più di 70 anni e voleva godersi il meritato riposo dopo 40 anni di ininterrotto lavoro. Della mia malattia non ho avuto coscienza, se non dopo la morte di mia madre nel Ero molto concentrata su di lei perchè richiedeva la mia presenza cosante, il mio affetto, temendo di essere lasciata sola come da mio fratello che aveva seguito la sua inclinazione di lavorare all estero dopo la laurea. I 5 anni trascorsi durante la malattia di mia madre sono stati abbastanza sereni per lei che dopo qualche tempo si era ripresa e non aveva dolori. Io la portavo in macchina dappertutto: a fare colazione nelle più belle pasticcerie di Firenze e Montecatini, al mercatino a comprare le verdure che tanto amava, in campagna e nella sua casa nel Sud dove appena arrivava cominciava a cantare. Era allegra mia madre, le piaceva parlare tanto con me, leggere romanzi d amore, vedere film dove i protagonisti erano re e regine. Per me la serenità era durata un anno meno perchè nel 2003, dopo una radiografia di controllo si erano scoperte metastasi ai polmoni (e poi al fegato). Ho cercato con l aiuto dell oncologa di farle capire che era necessario fare cure, accertamenti; lei per un po mi ha seguita poi non ha voluto più fare niente. Ho trascorso gli ultimi 10 mesi della sua vita in simbiosi con lei, non voleva che la lasciassi un attimo, ho sofferto molto nel vederla che si spegneva ogni giorno di più, ma ora sono abbastanza contenta perchè lei ripeteva sempre che aveva avuto una buona vita, spero anche per la mia presenza. Da 3 anni, con tanti impegni per sistemare cose di famiglia, sto cercando di ricrearmi interessi che avevo quando lavoravo e che non potevo seguire per mancanza di tempo. Continuano i controlli richiesti: sto bene, faccio volontariato anche presso la Misericordia di Firenze, sto riprendendo i viaggi all estero che facevo durante le ferie e il prossimo anno rientrerà in Italia mio fratello con la sua ultima figlia, una bellissima bambina di 10 anni, la porterò a visitare tutte le cose belle di questa città, dove non sono nata ma che amo profondamente per le sue bellezze artistiche, per la sua civile umanità e dove ho conosciuto le belle persone che sono le volontarie di questa utilissima associazione chiamata Donna come prima e grazie alle mie esperienze dolorose ma formanti e al loro aiuto mi sento: donna più di prima. 22

23 Parte I Ho 50 anni di Vincenza Stinco Ho 50 anni e tutto è cominciato 5 anni fa. Erano i primi di agosto del 2002 quando, mentre facevo colazione la mattina prima di andare a lavorare, mi tocco casualmente il seno destro e sento un nodulo duro. Rimango perplessa, ma non troppo impaurita: avevo fatto la mammografia alla fine del mese di marzo e andava tutto bene, com era possibile che ad agosto si fosse manifestato un tumore? Penso piuttosto ad una cisti, e mi riprometto di chiamare il Centro di Prevenzione Oncologica nei giorni seguenti tenendo presente che in agosto non sarà facile avere un appuntamento in breve tempo. Vado a lavorare, telefono al Centro, descrivo il mio problema e mi danno un appuntamento per il 29 agosto. Intanto i giorni passano ed io mi confido con una mia amica che appare subito molto preoccupata per me e di sua iniziativa telefona ad una dottoressa di sua conoscenza e che lavora al Centro di Prevenzione Oncologica, prospettandole il mio problema. La dottoressa le fissa un appuntamento per il giorno successivo e cioè in data Onestamente ero piuttosto seccata di questa interferenza, e quasi decido di non andare e di farmi visitare il 29 agosto come previsto. Ma la mia amica insiste e, alla fine, per non mostrarmi scortese di fronte al suo interessamento, decido di andare. Il 14 agosto 2002 alle ore 9 la mia amica mi accompagna alla visita e, da quel momento la mia vita ha preso un percorso terribile, estremamente doloroso, e che sembra non debba mai finire. Si trattava, infatti, di un carcinoma maligno di dimensioni piuttosto grosse e pertanto da togliere il prima possibile. Non riuscivo a credere che una cosa così terribile fosse capitata proprio a me un incubo che coinvolgerà tutta la mia famiglia. Penso ai miei figli, uno di 14 e l altro di 18 anni, e a mio marito che adoro, il quale rimane profondamente colpito dalla notizia e, disperato, piange insieme a me. Ho pianto tanto, non riuscivo a nascondere la mia disperazione, poi mi sono imposta di mostrarmi forte, almeno di fronte ai miei ragazzi, che, alla notizia, rimangono molto male, ma, grazie alla loro spensierata età, non danno segno di capire del tutto la gravità del problema. La cosa che più di tutto mi terrorizzava era la chemioterapia, la paura di perdere i capelli e di tutti i disturbi collaterali della terapia. Comincia così la mia odissea; l intervento e i successivi controlli. Proprio da uno di questi controlli viene evidenziata una piccola macchia scura alla parte sinistra del bacino. Vengo inviata da un ortopedico oncologo che mi tranquillizza dicendomi che, secondo lui, non si tratta di niente di serio: forse una caduta o un angioma; comunque non gli dà molta importanza. Dopo pochi mesi iniziano i dolori alla gamba sinistra, talmente forti da non riuscire più a camminare correttamente, infatti zoppico vistosamente. Solo in quel momento mi viene diagnosticata una metastasi 23

24 Capitolo 1. Il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze: l accoglienza, l aiuto, l ascolto ossea all altezza del bacino. Quella macchia a cui nessuno aveva dato importanza era aumentata e mi stava consumando le ossa e, successivamente, non solo il bacino, ma anche la colonna vertebrale. Sono in preda a dolori fortissimi che solo la morfina riuscirà ad alleviare. Di nuovo chemioterapia e radioterapia. Perdo tutti i capelli e vomito frequentemente; insomma sto malissimo sia fisicamente che psicologicamente. Mi accorgo di essere entrata in un tunnel da cui non uscirò più: gli stessi dottori mi dicono che non potrò più guarire, e quindi per loro l importante è fare in modo che il male non si diffonda ulteriormente e soprattutto che non colpisca organi vitali. Il tempo passa, ritorno a lavorare, mi faccio forza tanto che tutte le persone che mi conoscono ammirano il mio coraggio. Anche in famiglia cerco di comportarmi normalmente, per non far soffrire i miei figli, che intanto cominciano a capire che le cose non vanno affatto bene e li vedo tanto preoccupati per me. Si dimostrano molto affettuosi e premurosi nei miei confronti e la cosa mi conforta: capisco di avere l amore e la comprensione di tutta la mia famiglia che vive con me questa terribile esperienza. Nel 2006, dopo soli tre mesi dalla fine di un ennesimo ciclo di chemioterapia, al consueto controllo vengono evidenziate numerose metastasi al fegato. Per me è la fine. Ora penso veramente con terrore al mio futuro. Quanto mi resterà da vivere? Mi si affaccia nella mente quella parola che mai ho voluto pronunciare, fiduciosa che con le cure sarei migliorata, cioè la parola morte. Sono davvero alla fine? La cosa più insopportabile è non poter più vedere i miei figli e mio marito, le uniche persone che amo veramente. Sono disperata, piango tanto ma poi, come le altre volte, cerco di reagire e di andare avanti con coraggio. Il lavoro riesce in parte a distrarmi, ma il pensiero è sempre lì, alla mia salute, alla mia paura. Capisco di aver bisogno di un aiuto psicologico che mi aiuti ad accettare quello che mi sta capitando e pertanto inizio a frequentare il Cspo, un centro per la riabilitazione oncologica, che mette a disposizione di chi ha avuto esperienze con problemi oncologici, psicologi molto validi e attività di gruppo molto interessanti. Trovo una psicologa molto brava che mi sarà di grande aiuto, con la quale posso aprire il mio cuore e la mia mente liberamente, senza dovermi costringere a fingere una forza interiore che in realtà, forse, non possiedo. Anche i corsi di gruppo mi sono stati di aiuto: mi hanno permesso di confrontare la mia esperienza con quella di altre persone che hanno avuto esperienze oncologiche. Al momento attuale, dopo numerosi cicli di chemioterapia, sono migliorata. Le metastasi al fegato sono quasi scomparse, quindi sono più serena e capisco che la cosa più importante per chi è colpito da queste malattie, è trovare la forza di combattere con tutte le proprie forze, evitare di lasciarsi andare, evitando così che la terribile malattia possa prendere il sopravvento. L umore, in questi casi, è molto importante. Io, ora che sto meglio, vivo la vita in maniera quasi normale. Mi sono molto avvicinata alla fede e prego molto. 24

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