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1 BARBARA LANATI PARIS-NEW YORK: Gertrude & Marcel Il titolo che ho scelto tradisce un incertezza di fondo. La stessa che si prova quando ci venga chiesto di parlare di amori lontani e mai dimenticati. Lontani nel tempo e nello spazio ma, come avviene quando si tratta di amori veri, sempre rincontrati sotto spoglie, maschere, parole solo apparentemente diverse. Non ti abbandonano perché per qualche tempo lasciano spazio ad altri e poi si impossessano della tua curiosità, del tuo desiderio di rivederli. Così, almeno, è per me. E per molti di noi. Cominciò tutto molti anni fa. Era Gertrude Stein che provocava la mia pazienza e sconcerto. The Making of the Americans, interminabile, incomprensibile, non era scritto né secondo le regole dello stream of consciousness, né della dilatazione dello sguardo e della coscienza, ma piuttosto del loro rovesciamento. 1 Infatti è Eadweard Muybridge che torna in mente in questo caso lui e i suoi esperimenti di ripresa del movimento con andamento snervante, lento. Ripetitivo ed entropico: a metà del romanzo di Gertrude Stein mi parve di trovarne la chiave di lettura. Era come in Muybridge: il cavallo, colto in ogni frazione della sua corsa, oppure una figura femminile, un abito lungo passi quasi uguali eppure quasi impercettibilmente diversi l uno dall altro, frammento dopo frammento. Il tempo non ritrovato ma fermato sulla carta, scandito in frazioni minime di secondi che lo fissavano e nello stesso istante lo dilatavano per sempre. Ma quelle di Gertrude Stein erano sequenze di parole, collane di lessemi, fotogrammi che scivolavano gli uni negli altri per disegnare la storia di due famiglie. E della loro storia dicevano l immobilità del mondo di cui erano parte, raccontavano la paralisi. L entropia. 31

2 BARBARA LANATI Per Stein l America era anche questo. L America che si era lasciata per sempre alle spalle, portando con sé le lezioni di William James sulla scrittura automatica rivisitata dall intelligenza sottile di Hugo Müstenberg, compagno di studi e di lavoro che non è un caso nel 1915 dava alle stampe un breve saggio intitolato Film 2 insieme a un trattato interminabile e lucido sulla società e sulla cultura americane, The Americans. 3 Scriveva della middle-class che in America mostrava le sue prime idiosincrasie di gusto e tendenze. Dunque, The Making of the Americans. Una sorta di lungo addio all America che Gertrude Stein focalizzava per sempre sui movimenti lenti, assonnati delle figure degli Hersland - un film fatto di pochissime sequenze colte secondo le regole della slow-motion, à ralenti. Congelate, per sempre. 4 La stesura di The Making of the Americans durò anni, quelli che si impiegano a dimenticare gli spazi in cui si è cresciuti. Per Gertrude Stein erano la casa di Oakland, quella di Baltimora e poi Harvard e Radcliffe gli spazi dell adolescenza e degli inizi. Intanto a Parigi si consolidava la sua amicizia con Picasso e Matisse, ma soprattutto l incontro con il lavoro di Cézanne. Come lei, anche i suoi due fratelli Leo e Michael Stein, trasferitisi in Europa, acquistavano e collezionavano. Leo vendeva anche. Michael accumulava e portava in America. 5 Lei no. Acquistava e conservava, poi appendeva alle pareti dello studio di Rue de Fleurus e guardava e scriveva. Scriveva guardando, ascoltava laconica gli ospiti di passaggio nutriti dalle torte cucinate dalla compagna Alice, anche lei espatriata e decisa a fare del Vecchio Mondo il suo Nuovo Mondo. Una patria nuova, ma più colorata, movimentata, libera, come era Parigi in quegli anni. Entrambe, Gertrude e Alice, erano sufficientemente bien rangées da non doversi accontentare su indicazione della famiglia di un marito, come spesso capitava alle loro coetanee americane in cerca di iniziazione culturale in Europa. Si trovarono e fu solidarietà per sempre. Dai suoi ospiti Gertrude Stein imparava la lezione di Cézanne, senza dover passare giornate su trattati d estetica e affrontare interminabili discussioni sullo stato dell arte. Mirare all essenza parallelepipedo (non cubo!), sfera e cilindro. Forme semplici, per arrivare al cuore dell oggetto e del suo scheletro: forme che, affiorando alla superficie della tela, la spogliassero di orpelli decorativi, di sfumature, di sfondi alle immagini. Bandite le risonanze romantiche e sentimentali bandite anche le allusioni prospettiche. Bandite le allusioni di qualsiasi tipo. Le cose, le figure erano lì così com erano, strappate alla loro storia. Percorse dallo sguardo severo di chi dipinge, ne scrive o cataloga. Così fu Tender Buttons, che vide infine le stampe nel 1914: un esperimento cubista, dadaista ante litteram? Difficile a dirsi. 6 32

3 Molto più tardi, ormai famosa, Gertrude Stein accetterà di spiegare che cosa avesse in mente. 7 Nei mesi in cui lavora a Tender Buttons, su intervento di Alfred Stieglitz e dietro pressione di Mabel Dodge Luhan, da Parigi manda alla rivista americana Camera Work due ritratti uno di Matisse e uno di Picasso che saranno pubblicati nel numero di agosto del La sua scrittura accompagna le riproduzioni dei loro lavori, rispetto ai quali sceglie di essere complementare più che esplicativa. I suoi due word portraits sono ritratti in cui Gertrude Stein scrive obbedendo così si prefigge alle regole e ai ritmi dell estetica di Matisse e Picasso. Alla cripticità, se non altro agli occhi dei non addetti ai lavori, delle riproduzioni fotografiche delle loro opere, si coniuga quella della scrittura di Gertrude Stein non racconto o descrizione, ma parola modellata sull oggetto di cui si dice. In Lectures in America confesserà: I continued to do what I was doing in The Making of the Americans. I was doing what the cinema was doing. I was making a continuous succession of the statement. Più tardi, attraverso di lei, venne per me l incontro con Duchamp e l accostamento alla sua arte irriverente, divertita e divertente. Ancora più radicale di Gertrude Stein, nel 1915 avrebbe fatto, con irrequietezza e intelligenza, il suo stesso viaggio ma à rebours: Stein dal nuovo al vecchio mondo, Duchamp dal vecchio al nuovo. Sarebbe andato a New York perché non sopportava Parigi: Je ne vais pas à New York, je pars de Paris. 8 Gli sarebbe parsa la città più bella del mondo, una gigantesca opera d arte fatta di tubi, metropolitane, di costruzioni in ferro e di cast iron buildings. Quando nel 1915 arrivò a New York, Duchamp non aveva soldi. Lavorò per qualche tempo alla Morgan Library e poi si mantenne insegnando francese, la lingua in cui Gertrude Stein non avrebbe mai scritto pur parlandola e vivendola quotidianamente in Francia. Ma, si sa, le strade dell arte sono infinite e ognuno percorre o percorreva allora la propria. Così, almeno, Gertrude Stein, che sempre si sentì o volle sentirsi americana laddove Duchamp scelse di essere, fino alla fine, nomade. Fu il suo il pensiero artistico più lucido del Novecento, capace al contempo di non prendere troppo sul serio la sua stessa persona e l arte e di affrontare seriamente la vita e le vicende di uomini e donne che in quei primi tragici decenni del secolo rifiutarono il senso di appartenenza a qualunque nazione e nazionalismo. Nomade per scelta e cittadino del mondo. Grazie a Walter Pach e John Quinn, organizzatori dell Armory, frequentava la 291 accolto dall ospitalità intelligente di Stieglitz. Era, si direbbe oggi, un postmoderno ante litteram. A pensarci bene, il postmodernismo l ha inventato lui. Che altro è LHCOQ se non un gioco postmoderno, l accostamento divertito e dissacrante 33

4 BARBARA LANATI tra una grande opera della classicità e la frettolosità autironica di chi vive il Novecento come un cul de sac della storia dell Occidente? 9 Se per Henry Miller Parigi era il plesso solare del mondo, per Duchamp New York era il centro propulsore dell arte e il Greenwich Village ne era il cuore. Là voleva vivere e sempre là, una sera, salendo sull arco di Washington Square proclamò il Village la nuova Bohemia, la terra della libertà. Duchamp era a quel punto in ottima compagnia. Di lui si diceva che con Sarah Bernhardt era il francese più famoso in America. Affascinati, sedotti dalla sua intelligenza e ironia, dalla sua eleganza un po blasée, lo sguardo in tenso, occhi azzurri in un volto perfetto faceva innamorare uomini e donne. I tratti normanni, la tendenza a sdrammatizzare: Cela n a pas d importance era il suo intercalare preferito. Quinn, Walter Arensberg, Walter Pach e il gruppo di Stieglitz lo adottarono e costituirono la sua nuova famiglia. Washington Square, dunque. Intorno alla piazza, bassi edifici abitati da déracinés di ogni genere e artisti, scrittori e pittori potenziali che, quello era il senso del gioco, appartenessero ad una comunità giovane, se non altro nello spirito, che spingeva chi ne era parte a trasformare il mondo. Con loro, Duchamp, anche lui intento a rileggere la storia e, concorde con il gruppo, a ri-raccontarla e trasformarla. Se John Reed ( ) era stato ed era ancora la mente politica del gruppo insieme a Emma Goldman, la presenza di Duchamp costituiva una sorta di identico rovesciato dell impegno e della militanza dei primi due. Entrambi operavano su fronti diversi ma complementari. L obiettivo era quello di cambiare lo stato delle cose, senza tuttavia essere del tutto consapevoli dell efficacia della loro azione. Anche se con il senno di poi va riconosciuto che, pronubo il mercato, il gusto nel campo dell arte si modifica molto più velocemente di quanto non si modifichi nel campo della politica. Duchamp aveva scelto quale ambito di vita quello dell understatement sarà sufficiente ricordare i titoli di alcune delle sue opere di quel periodo: Nu descendant un escalier n.2, 1912 Museum of Art, Philadelphia, Collezione Louise e Walter Arensberg; Roue de bicyclette, 1913 originale disperso, Collezione Arturo Schwarz, Milano (1951, Collezione Sidney e Harriet Janis, MoMA, New York); Broyeuse de chocolat n. 1, 1913 Museum of Art, Philadelphia, Collezione Louise e Walter Arensberg; The, 1915 Museum of Art, Philadelphia, Collezione Louise e Walter Arensberg; In Advance of the Broken Arm, 1915 Indiana University Art Museum, Bloomington, donazione parziale di Mrs. William Conroy; Trébuchet, Indiana University Art Museum, Bloomington, donazione parziale di Mrs. William Conroy

5 Creare e distruggere pochi esemplari di un opera imitati decennio dopo decennio da soi-disant artisti, regalati oppure venduti per pochi dollari. Con il suo progetto estetico Duchamp intendeva provocare galleristi e antiquari e nel contempo prendere le distanze dai musei che avevano ormai irreggimentato l arte secondo secoli e paesi, che spedivano consulenti intelligenti o li importavano, come nel caso dell inglese Roger Fry assunto dal Metropolitan per organizzarne la ristrutturazione concettuale e per rastrellare il possibile dalla vecchia Europa. Il capofila del gruppo, peraltro studioso di alto livello, Bernard Berenson, che oltre a occuparsi dei suoi studi in Italia, soprattutto il Rinascimento, fu tramite esemplare tra l arte europea e i collezionisti americani privati Isabella Gardner Stewart e pubblici quali il Museo di Boston o la Pierpont Morgan Collection, fonte di totale dépaisement per chi oggi dall Europa arrivi a New York. Quasi un esempio imbarazzante di ingordigia, di voracità nei confronti di opere provenienti dall Europa medievale e rinascimentale: vasi, pannelli, manoscritti trecenteschi, che più che l amore per l arte da parte di Mr Morgan ne ricordano la ricchezza e l esibizionismo. Da tutto questo in quegli anni Duchamp si teneva molto lontano. Il museo doveva apparirgli come una macchina tritacarne, come una sorta di baratro in cui l arte sparisce e perde qualsiasi valore. Certamente Duchamp concordava con Picasso che a Parigi, conversando con Gertrude Stein, aveva spiegato come fosse venuto ormai il momento che i quadri uscissero dalle loro cornici: i quadri volevano essere altro e altrove. Non quadri, ma tele che nulla avrebbe dovuto imprigionare al proprio interno né cornici né musei. Più audace di Picasso, Duchamp conia il termine ready-made e dunque stabilisce dell oggetto scelto e così catalogato, il valore : uno scolabottiglie, un pettine, un attaccapanni, una ruota appoggiata su di uno sgabello. Una pala di quelle che si comprano per pochi dollari ai grandi magazzini incorniciata dal bianco di una parete al Museo d Arte di Filadelfia, quasi si trovasse lì per caso, come la finestra installata al MoMA, Fresh Widow. Fu l inizio dell arte contemporanea e della Pop Art sotto l influenza di tutti quei prototipi che sarebbero usciti dal suo studio per invadere i musei d arte moderna del Novecento. Raccontano di un modo diverso di fare arte, di un diverso rapporto fra arte e realtà quotidiana che si offrisse all arte appunto perché essa la assumesse al proprio interno in quanto tale. Perché la incorpori senza cornici, rieducando lo sguardo alla bellezza della quotidianità: al mistero che si annida in un sasso, alla purezza della linea dei raggi di una ruota, di un bullone, di un ponte, di una scala di legno, del telaio di una finestra. È ovvio che non solo quello interessava Duchamp. Certo gli interessava la purezza 35

6 BARBARA LANATI della forma al di là della retorica. Stieglitz aveva aperto la stessa strada, che correva parallela alla strada aperta da Duchamp. Insieme Stieglitz e Duchamp, il primo negli anni immediatamente precedenti all Armory Show, il secondo in quelli che lo seguirono, raccontano del bisogno di ripensare uno spazio in cui dare spazio all arte che a quello spazio sappia sottrarsi. Al di là dell oggetto prescelto, i loro lavori raccontano il desiderio di sottrarsi al mercato. A quel punto, meglio una galleria piccola, autogestita come fu la 291, per Djuna Barnes la soffitta vicino al tetto di qualsiasi altra soffitta al mondo [ ]. Là l insonnia non era una malattia ma un ideale e Adolf Wolff, prigioniero politico detenuto nell isola di Blackwell scriveva: Qui in prigione tutto è istituzionale, uniforme, abitudinario, dogmatico, accademico, contato, serrato, sgarrato, senza speranza. Lì al 291 tutto è libero, informale: entusiasmo, lotta, risultato, realizzazione, espansione, ebbrezza, gioia, vita. L ho sempre sentito, ma ora più che mai, che dopo il mio piccolo studio il 291 è per me il posto più libero e di più puro respiro per ciò che è comunemente chiamato anima. 11 Meglio le Little Galleries, cioè la 291, e l incertezza economica del gruppo, dunque la coerenza. Come dimenticare che all editore che le avrebbe pubblicato The Making of the Americans e le aveva chiesto di mettere delle virgole per dare respiro al lettore, Gertrude Stein acconsentì e quando il libro fu in bozze le cancellò una per una mettendo così in pericolo la pubblicazione del libro stesso? La coerenza paga, se non altro nel tempo. Walter Arensberg riuscì a raccogliere alcuni dei lavori di Duchamp che non prendevano sul serio neppure gli amici acquirenti. Grazie alla generosità della coppia Arensberg, che peraltro era parte del gruppo, ai musei d arte moderna di Filadelfia, al MoMA di New York e alla collezione Schwartz di Milano, qualcosa di autentico è rimasto. A Duchamp interessava soprattutto pensare a un opera, decidere che l oggetto x o y fossero un opera d arte. Il beneplacito del mercato dell arte, attento allora come ora a incontrare e pilotare il gusto dei potenziali acquirenti, benestanti e desiderosi di decorare le proprie abitazioni con pezzi raffinati, gli era del tutto indifferente, anzi sgradito. Il successo che l Autobiografia di Alice B. Toklas ebbe in America imbarazzò a tal punto Gertrude Stein, ignorata dai più fino al 1934, da renderla incerta se accettare l invito. Le sembrava di tradire se stessa. Poi decise di andarci e dopo qualche settimana ritornò a Parigi, per sempre. 36

7 Foto di gruppo: l Armory Show Dunque New York e Parigi, inizio secolo. Meglio New York-Paris. Paris pronunciato con l accento sulla a come fosse una parola americana. In questo modo lo pronunciavano i giovani cui il dollaro permetteva visite temporanee e talvolta definitive soste a Parigi. Gertrude Stein, le sorelle Claribel ed Etta Cone, Peggy Guggenheim, tutte jeunes filles bien rangées che, coniugando intelligenza e capitali economici, quasi per gioco iniziano alcune fra le più importanti collezioni d arte del Novecento. Accanto a loro, obbedienti jeunes filles, forse non ancora bien rangées, certo en fleur dal punto di vista della salute e del patrimonio venivano in Europa per apprendere le manners e i rituali europei, 12 espatriate alla ricerca di un cognome prestigioso da aggiungere a quello della famiglia. Altre invece, con discrezione, erano allontanate dalla ricca provincia americana e non solo perché lontano dagli occhi potessero finalmente vivere rapporti sentimentali e instaurare relazioni familiari con amanti dello stesso sesso. Se Henry James romanziere ci illustra quanto complessa, variegata e reale fosse la progettualità matrimoniale di molti viaggi verso il vecchio mondo, il comportamento di James uomo e fratello compiacenti i genitori e il fratello William prova quanto, anche in ambienti di raffinata cultura e benessere patrimoniale, una sorella omosessuale continuasse ad essere causa di inquietudine. Alice James, accudita con la benedizione dell intera famiglia dalla compagna (poi infermiera solerte e affettuosa) vivrà a Londra, mantenuta e di tanto in tanto visitata da Henry e William. È facile, molto facile scivolare da una capitale all altra quando si parla di inizio secolo. Capitali dell arte più che del denaro, New York, Parigi e Londra sono i vertici di quel triangolo magico che cambierà la storia dell arte del Novecento. Meglio, le tre punte che finalmente affioreranno alla superficie di un iceberg che si era andato addensando nel corso di diversi decenni. Sulle vicende di quell iceberg e di come si sia andato a formare molto si è detto, ma in questa sede ci compete solo quanto riguarda New York, sebbene nulla accada a New York che non abbia radici altrove. Interlocutori, messaggeri d amore, viaggiano dal vecchio al nuovo mondo e viceversa. Parlano di arte, politica, denaro, si interrogano sul secolo a venire. Si chiedono quale sarà il ruolo dell arte, che cosa sia e per chi fare arte. Edward Steichen e Stieglitz si erano incontrati nel 1900 grazie a Clarence H. White. Fu simpatia a prima vista. Reciproca. Steichen divenne per Stieglitz il trait d union ideale fra lui e l Europa. Giovane, pieno d energia, curioso di tutto ciò 37

8 BARBARA LANATI che lì appariva di innovativo, Steichen, che fino al 1914 vi si sarebbe recato con regolarità, segnalando a Stieglitz opere, scritti, saggi che sarebbero apparsi su Camera Work, fondata da Stieglitz nel Il mercato non interessava nessuno dei due. L innovazione, il cambiamento, entrambi. Naturalmente un implicazione molto sfumata del titolo che ho scelto ha a che vedere con il film di Wim Wenders Paris, Texas e con la sua proposta di revisione dei modi in cui, almeno per il protagonista e per Wenders, è possibile ripensare l idea di famiglia: cosa sia cioè la famiglia sul finire del Ventesimo secolo. Come pensarla, ripensarla, interrogandosi sul rapporto che l uomo solipsista del Novecento ha con il tempo, lo spazio e con le sue origini personali; con il bisogno di ritrovare à rebours quello spazio preciso da cui tutto è cominciato. Come nel film, parto da una foto sbiadita, o meglio della nascita della fotografia stessa a New York. La fotografia lascia che le altre arti la modellino e la segnino per influenzarle a sua volta. Nell istantanea immaginaria che ho in mente, al centro in piedi Stieglitz, seduta alla sua destra Gertrude Stein, in piedi accanto a Stieglitz, Marcel Duchamp, tra i due, John Reed. Sullo sfondo, intenti a chiacchierare, inconsapevoli di essere ripresi, Steichen, Mabel Dodge Luhan, Alice B. Toklas e Paul Strand. Fatta eccezione per quest ultimo, tutti si sono incontrati almeno una volta. Di persona, a Parigi in Rue des Fleurus nel salotto artistico di Gertrude Stein. Tutti e ben più di una volta si sono incontrati alla 291, la galleria artistico-letteraria che Stieglitz apre/fonda nel 1905, al 291 della Quinta Avenue di New York. Le loro vite personali e private si intrecciano e, come i loro lavori, rimandano l uno all altro. Nessuno, nel gruppo, sospetta di essere responsabile di una svolta epocale nella storia dell arte e della politica. Nessuno nel gruppo sa di essere in modo esplicito o implicito responsabile di un evento che avrebbe cambiato la storia dell arte: l Armory Show. La Association of American Painters and Sculptors Inc. organizzò l apertura al pubblico della mostra da tutti conosciuta come Armory Show, il 17 febbraio L edificio molto ampio e severo rimane là dov era nel 1913, vuoto e intimidente, oggi sulla Lexington Avenue, fra la 25ma e la 26ma strada. Walking distance dal cuore del Village, l Armory accolse per il periodo in cui durò la mostra centinaia di curiosi, scandalizzati visitatori e acquirenti. Chiuse sabato 15 marzo per poi emigrare prima a Chicago (634 opere), dal 24 marzo nove giornate frenetiche per Kuhn e Pach che si assunsero l onere e il compito di accompagnare la mostra presso il Chicago Art Institute fino al 16 aprile. A Chicago fu un succès de scandal ma non di vendite. Nonostante il fermento culturale della città, soprattutto letterario e teatrale, i ricchi, ovvero coloro che 38

9 si sarebbero potuti permettere il lusso di comperare opere, la visitarono ma non si sbilanciarono né in giudizi né tanto meno in acquisti. L evento che a New York aveva scandalizzato il presidente Theodore Roosevelt si spense quasi in sordina a Boston. Le opere erano ridotte a 244. L affluenza di pubblico molto più bassa di quanto fosse stata a New York, forse perché alla mentalità tra il conservatore e lo snob dei bostoniani non era piaciuto arrivare per terzi, o forse perché infastidiva sospettare che i pezzi migliori fossero già stati acquistati nei precedenti eventi. Certo Roosevelt aveva dato voce, con piglio politico e dispregiativo, alla maggioranza silenziosa americana. Entrando nel merito di alcune opere europee, quella di Duchamp in primis, Roosevelt annunciava alla nazione: Questo non significa che io accetti minimamente l opinione che alcuni critici hanno degli estremisti europei i cui quadri sono qui esposti. È vero, come affermano i campioni di questi estremisti, che non può esserci vita senza cambiamento e che temere ciò che è diverso o non abituale è contrario alla vita. Tuttavia è altrettanto vero che il cambiamento può voler dire la morte e non la vita, regresso invece che progresso. Probabilmente noi sbagliamo nel prendere sul serio la maggior parte di questi quadri. È probabile che molti di essi riflettano l astuto apprezzamento che i pittori fanno nei confronti della possibilità di rendere remunerativa la stravaganza, come fu nel caso di P.T. Barnum e della sua falsa sirena. [...] Dei cubisti è giusto che si interessino coloro che trovano soddisfazione nei disegni che si trovano nei giornali della domenica, quelli che il lettore colora seguendo i puntini. [...] Non c è nessuna ragione per cui alcuni non possano chiamarsi Cubisti o Ottagonisti, Parallelopipedisti o Cavalieri del Triangolo Isoscele, o Confraternita del Coseno, se lo desiderano; per esprimere un alcunché di serio o permanente, un termine è fatuo quanto un altro. Per esempio prendiamo il quadro che per qualche ragione è intitolato Uomo nudo che scende le scale. Nel mio bagno ho un tappeto Navajo veramente bello che, secondo una qualsiasi corretta interpretazione delle teorie cubiste, è un opera di gran lunga più soddisfacente e decorativa. Ora, se per qualche imperscrutabile ragione a qualcuno andasse a genio di chiamare questo tappeto il ritratto, diciamo, di Uomo ben vestito che sale una scala, il titolo si adatterebbe ai fatti altrettanto bene che nel caso del quadro cubista dell Uomo nudo che scende le scale. Dal punto di vista della terminologia entrambi i titoli funzionerebbero ai fini di una ricerca (da quattro soldi) di effetto; e dal punto di vista del valore decorativo, della sincerità e del merito artistico, il tappeto Navajo è infinitamente superiore al quadro. 13 Certo, Roosevelt non aveva mai frequentato la 291, dove si erano allestite 39

10 BARBARA LANATI e mi limiterò a citare soltanto alcuni degli eventi mostre quali quelle di disegni di Rodin (2-21 gennaio 1908), di acquerelli e litografie di Matisse (6-25 aprile 1908), fotografie di Alvin Langdon Coburn (18 gennaio- 2 febbraio 1909), di Balzac illustrato da Rodin e fotografato da Steichen (8-18 maggio 1909); poi le fotografie di Marius de Zayas, altro irriverente e lucido membro del gruppo (aprile 1910); 83 disegni e acquerelli di Picasso (28 maggio- 25 aprile 1911), disegni infantili età dai 2 agli 11 anni (11 aprile-10 maggio 1912) e ancora 16 studi di New York di Francis Picabia (17 marzo 5 aprile 1913), per non menzionare quella del novembre 1914 con 18 sculture africane, benché in teoria successiva all Armory Show. L avesse fatto, Roosevelt si sarebbe risparmiato quella gaffe patetica su Duchamp e il tappeto Navajo perché si sarebbe appunto interrogato sullo stato delle cose, riflettendo anche da politico sul perché gli fosse venuta in mente proprio quella analogia. Chi stava disprezzando? Da chi stava veramente avvertendo i suoi concittadini, suggerendo che era il caso di mantenere le distanze? Dall arte d avanguardia europea che sembrava invadere irriverente le gallerie e poi i musei americani, oppure da quella autoctona americana che, nonostante tutto, aveva mantenuto la purezza della sua tradizione nei secoli? Tuttavia, a spegnere l interesse dei bostoniani all Armory di Boston forse fu proprio l assenza di artisti americani che avevano infatti deciso all unanimità, data la limitatezza dello spazio alla Copley Hall, di ritirare i propri lavori dalla mostra per permettere agli Europei di essere conosciuti anche nella raffinata New England. Il curatore del catalogo, infatti, precisava nell introduzione: A causa della mancanza di spazio, nessuna delle opere di artisti americani verrà esposta a Boston. I membri dell Associazione hanno preferito ritirare tutte le loro produzioni quadri e sculture piuttosto che operare scelte, includere cioè alcuni e ritirarne altri. Hanno valutato che ciò che più contava era dare la massima visibilità alla sezione europea della Mostra Internazionale. 14 Scelta di grande eleganza da parte della AAPS, una posizione di estrema apertura nei confronti del nuovo e un segnale chiaro di come anche attraverso l arte possa passare una scelta politica. Così provando a ipotizzare, con le informazioni e il senno di poi, quali fossero le ragioni dello scalpore (a New York) o della freddezza (a Boston) nei confronti dell Armory Show, potremmo avanzarne almeno due. Potrebbe essere stata proprio la contrapposizione fra opere europee provenienti dal cosiddetto vecchio mondo e la produzione locale in teoria nuova, giovane come si sentiva l America, a disturbare il pubblico ad un tratto costretto a riflettere sulla differenza tra i due linguaggi figurativi. A sospettare 40

11 cioè che proprio l arte europea fosse più giovane, innovativa, pensata per un pubblico attento, intelligente. Per un pubblico non impegnato a contemplare e acquistare opere la cui funzione fosse quella di decorare saloni e ingressi di grandi ville o prestigiosi appartamenti di nuovi ricchi o di cripto-nostalgici del vecchio mondo. Oppure ancora, il coverage dato dalla stampa a partire dal giorno dell apertura della mostra a New York poteva aver ormai esaurito qualunque forma di curiosità. Che dire? Non ci è dato di saperlo oggi, solo di ipotizzare. Quello che è certo è che se qualcosa era cambiato, come aveva sostenuto Virginia Woolf a proposito della First Post-Impressionist Exhibition organizzata alla Grafton Galleries di Londra, allora qualcosa era cambiato nel Qualcosa cambiò anche nell anno di grazia (più avanti spiegherò per quale ragione così lo etichetto) 1913 a New York, Chicago e Boston in America. All you can eat Vorrei dunque tornare a New York, a quella primavera infuocata dal punto di vista delle reazioni dell opinione pubblica e soffermarmi su un dettaglio che riguarda la mostra. Al termine, con vero spirito manageriale al contempo autoironico, gli organizzatori invitarono giornalisti e opinion leaders non a una conferenza stampa, ma a un pranzo molto dadaista nello spirito. Si racconta infatti che le cameriere cantassero e ballassero, che l alcool scorresse a fiumi e che il Beefsteak Dinner servito nel ristorante Healy s, all incrocio tra Columbus Avenue e la 66ma Strada, comportasse come ovvio un menù. Sull invito, oltre alle indicazioni sul luogo e sulla data dell evento, gli organizzatori avevano inserito sotto la parola menù all you can eat and drink (molto americana come battuta!) ma, è questo il punto su cui desidero soffermarmi, sotto la frase avevano riprodotto il famigerato Nudo che scende la scala di Marcel Duchamp, quasi quel lavoro rappresentasse la sineddoche della mostra e insieme la sua punta estrema. Monito e avvertimento dello stato delle cose nel campo dell arte a New York. Monito e avvertimento dell impossibilità di pensare l arte senza pensarla anche insieme a chi la stava pensando oltreoceano. Che cosa mai rappresentava quel nudo che scendeva la scala? Cosa, chi era? E se avesse avuto a che vedere con le sequenze di Muybridge, i fotogrammi che si incalzavano per inseguire e paralizzare il movimento? Per fermare il tempo. Oppure era una citazione irriverente e al contempo molto colta nei confronti della pittura preraffaellita, del famoso The Golden Stairs (1880, Tate Gallery, 41

12 BARBARA LANATI Londra) di Edward Burne Jones? Figure femminili vestite di bianco, una teoria di corpi sottili, giovani donne angelicate che scendono con passi lenti e sinuosi alla volta di chi le sta guardando, quasi che a loro volta, nonostante la dolcezza delle linee, volessero scendere e uscire dalla prigione dorata del quadro che le incornicia. E se così era, fino a che punto partendo da quella situazione Duchamp inseriva nel suo discorso figurativo la lezione cubista (la forma ridotta all essenziale) e quella della fotografia? Non stavano forse guardandosi gli uni con gli altri in quegli anni, fin dalla nascita della fotografia? Non era forse vero che Julia Cameron guardava alla pittura e Burne Jones e il gruppo dei Preraffaeliti guardavano a loro volta alla fotografia? 15 Ma a quanti allora, senza le informazioni e gli strumenti che abbiamo oggi, poteva venire in mente ammesso che sia plausibile un ipotesi del genere? Sospetto, perché altro non possiamo fare, che dell opera di Duchamp infastidisse oltre alla non figuralità, la non verosimiglianza con qualsiasi forma appunto riconoscibile : il nervosismo del tratto che quasi meccanicamente si ripete, il silenzio discreto del colore spento e, quasi quanto sopra non bastasse (siamo nel 1913), la giustapposizione lavoro-titolo. La scala certo è riconoscibile, come non intravederla? Ma il nudo? Dov è il nudo? E se è ovvio che si tratta di una figura umana, di che sesso è? Quanto agli altri tre lavori di Duchamp, lo stesso mistero, ma meno scandalo o attenzione: Le Roi et la Reine entourés des nu vites (1912) e Portrait de joueurs d échecs (1911), entrambi oggi al Philadelphia Museum of Art, Arensberg Collection, e infine Nu (1911), oggi alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia. Per Marcel Duchamp, che non era ancora stato in America (si racconta che ci fosse stato per l inaugurazione dell Armory Show, ma non è vero), fu l inizio di un avventura artistico-culturale che l avrebbe coinvolto fino alla fine dei suoi anni. Sapeva che così sarebbe stato perché così aveva deciso, come attesta la lettera spedita a Walter Pach in data 27 aprile 1915 che sopra citavo. Uno stacco netto, preciso, di cui nel 13 certo non aveva consapevolezza, ma che nel giro di due anni l avrebbe portato ad adottare a sua volta, così come Gertrude Stein aveva fatto nei confronti di Parigi, New York quale sua nuova madrepatria. Quando il 15 giugno del 1915 Duchamp raggiunge New York, New York si era ormai trasformata dal lontano Uguale nella sua struttura e fisionomia esteriore le strade perfette, lineari, parallele come nel disegno di un bimbo tagliavano l isola di Manhattan in sezioni precise, fatta eccezione per la parte sud era però cambiata. Molto era successo dopo l Armory Show. Tanto era dovuto proprio alla mostra, che, oltre al disprezzo dei laudatores 42

13 temporis acti, aveva sollevato l interesse dei giovani collezionisti. Il progetto di svecchiare l arte, come spesso accade, 16 si accompagna a quello di rinnovare e incrementare le vendite del nuovo. Tant è che il 1913 vide, dopo l Armory Show, la nascita di piccole e coraggiose gallerie d arte. Non era solo calcolo, era un fenomeno che aveva a che vedere con un processo allargato, capillare di rinnovamento culturale. Procedeva parallelo con la nascita delle riviste letterarie che alla nuova poesia e narrativa spesso accompagnavano scritti di estetica e di teoria dell arte. La rivista The New Free Woman nel 1914 era diventata The Egoist. Glebe aveva dato alle stampe un numero intitolato Des Imagistes curato da Pound. Era nata The Woman Rebel su iniziativa di Margaret Sanger; nel marzo del 1914 era stata fondata The Little Review, nelle stesse settimane in cui Susan Glaspell e Jig Cook (su cui andrebbe fatta un altra interessante riflessione) avevano comperato una casa a Provincetown, oasi della pittura, della scrittura e della trasgressione. Nel novembre del 14 era nata New Republic ( a journal of opinion which seeks to meet the challenge of a new time ), viva ancora oggi. E accanto alle riviste, le piccole gallerie, sofisticate e raffinate. Così, oltre alle già nate, la antesignana 291 e la Macbeth Gallery che aveva ospitato la mostra degli Otto, aprirono la Daniel Gallery (13 dicembre 1913) che per quasi vent anni sarebbe rimasta lo spazio privilegiato dell arte d avanguardia americana, la Montross Gallery (febbraio 1914) e ancora lo stesso mese la Bourgeois Gallery. In marzo la Carroll Gallery e nell ottobre del 1915 la Modern Gallery sponsorizzata da Walter Arensberg, diretta da Marius de Zayas. L inaugurazione coincise con una mostra di Picasso, Picabia e Braque. New York canonizzava e benediva Parigi e la sua arte. Accanto alle gallerie, le collezioni private che si sarebbero nel tempo trasformate paradosso dei paradossi nei templi dell arte contemporanea: la Bliss Collection, il futuro MoMA; la Arensberg il futuro Philadelphia Museum of Art e ancora la Eddy Collection, il nucleo di partenza del Chicago Art Institute. L inizio della fine o la fine dell inizio? Dunque questo era stata la 291. Di questo era stata indirettamente responsabile se non altro per chi l aveva frequentata. Era stata. What is 291?, questa la domanda che Stieglitz aveva rivolto alle persone che regolarmente vi si riunivano, la sera, per discutere e progettare fin dal novembre del 1905, da quando lui e Steichen avevano fondato le Little Galleries of Photo-Secession per poi 43

14 BARBARA LANATI ribattezzarla semplicemente 291. Quando la domanda fu posta, suonò come un congedo. Risposero in circa settanta e meno di dieci erano fotografi: gli interventi furono raccolti nel numero di luglio di Camera Work che vide le stampe nel Nel 1915 il gruppo storico di Camera Work si era sciolto e aveva perso gran parte degli abbonati che ne permettevano e sostenevano la pubblicazione. Pur continuando a essere la persona che era e a credere nel lavoro che aveva fatto, nel riconsiderare la strada che aveva aperto per altri, Stieglitz sentiva che una stagione si era chiusa. E poi lo scoppio della guerra sembrava aver alienato agli occhi di molti l immagine gioiosa, dissacrante, rivoluzionaria che la pittura europea e la scrittura sperimentale da cui anche quella americana era stata contagiata avevano proiettato dell Europa, di quel vecchio mondo che per qualche anno era sembrato, grazie all Armory Show, più giovane. Non solo, ma nell immaginazione di molti sospettosi e increduli dovevano essere sembrati segnali di una guerra prossima fin dall Armory Show già la 291, Camera Work, l Armory stesso e tutte quelle piccole riviste antiaccademiche, antitradizionali e autogestite. Costituirono una sorta di gioioso e insieme pericoloso controcanto al senso di compiacimento o benessere meritato che i benestanti appunto d America sentivano o si raccontavano di aver raggiunto. In ultima istanza, l Armory Show e chi l aveva rappresentato avevano significato una sorta di segnale o di annuncio involontario (forse) della crisi dei modelli culturali e politici su cui si fondava la vera rooseveltiana democrazia americana. L annuncio di un caos a venire. Forse allora aveva avuto ragione Theodore Roosevelt. Quell arte, la sua estetica tra l anarchico e il dissidente, metteva e avrebbe messo in crisi i modelli culturali e politici su cui si fondava la democrazia americana. Forse era vero : erano, quegli artisti e quegli scrittori, i portatori sani di un immoralità dilagante e sottile che costituiva il filo tenue e nel contempo un solido legame di comunicazione fra il fronte europeo e quello americano. Non a caso The Masses, rivista di sinistra su cui erano apparsi capitoli dell Ulisse di Joyce, sarebbe stata una delle riviste più censurate: unmailable fu il verdetto, nel Fu come se si stesse chiudendo quella che era davvero stata la stagione d oro di New York e della sua intelligentsjia. L arrivo di Duchamp avrebbe tenuto vivo lo spirito irriverente del gruppo, ma il Village da fucina di cultura alternativa era ormai diventata una sorta di zona residenziale per artisti e dissidenti benestanti. Dal Village, gentrified in buona parte degli isolati, furono espulsi neri e working class e spostati nella parte più bassa dell isola di Manhattan. Se Stieglitz si 44

15 chiedeva What is 291?, (non a caso aveva scritto a un amico in occasione dell Armory: Una cosa è certa: artisti e pubblico avranno capito l importanza dell opera compiuta da noi e da Camera Work. Questo è il nostro grande contributo alla mostra. ), che dire allora dei reportage della New York Tribune intitolati Who is who in New York Bohemia? E della guida al Village in cui si segnalavano ristoranti - compreso quello di Polly Holladay e Hippolyte Havel, aperto nel 1913 al 137 di McDougal Street, il preferito dai Provincetown Players e da altri, tra cui John Reed ed Emma Goldman - e locali in cui anche i benpensanti newyorkesi, guerrafondai inclusi, gente danarosa dell uptown sarebbero potuti andare a cenare sentendosi, per una sera, radical chic? Che dire delle guide in cui si indicavano gli indirizzi delle abitazioni di figure cult dell intelligentsija, quelle di cui sorridere o da deridere in pubblico con i propri amici o di cui fare argomento di pruriginose conversazioni. Ad esempio, Mrs Mabel Dodge, versione disinvolta, vedova ed eterosessuale di Gertrude Stein trasferitasi da Firenze al n 23 della Quinta Avenue nel novembre del Aveva scelto di vivere a due passi da Washington Square e insieme a Gertrude Vanderbilt Whitney aveva finanziato l Armory Show. Sì, proprio lei anche se poi come tutti sanno gli organizzatori erano stati Walter Pach, Walt Kuhn e Arthur Davies. Sì, Mrs Dodge che lo stesso anno era diventata l amante di John Reed un corpo da atleta, un volto da attore, carismatico intellettuale di sinistra e John l aveva lasciata per una maestrina di Chicago. Una parvenue del mondo dell arte dal corpo di ninfa, fotografata nuda sulle spiagge di Provincetown. Sì, Mabel Dodge, che durante la loro storia d amore aveva organizzato insieme a lui il Paterson Strike Pageant in quell irripetibile 1913, al Madison Square Garden. Circa 800 dei dipendenti della Dorothy Silk Mill di Paterson, New Jersey, avevano iniziato lo sciopero nel gennaio. Reed era andato a Paterson per raccogliere materiale e lì era stato arrestato, ma nessuno era riuscito a dissuadere il gruppo dall organizzare il Pageant, così quando nel luglio fu tutto pronto, erano più di un migliaio le persone che da Paterson avevano raggiunto New York per assistere allo spettacolo. Sfilare, assistere, essere presenti. Scenario spettacolare in cui più di mille, percorrendo la Quinta Avenue avevano raggiunto Madison Square. Negli anni Sessanta lo si sarebbe detto event. Sì, un evento pensato da Mabel Dodge, organizzato da Reed: le quinte del palco disegnate da Robert Edmund Jones e dipinte secondo le indicazioni di John Sloan. Arte e politica si fondevano, così come in quel magico 1913 le vite di Mabel e John Reed. Quando i due si erano incontrati, la mostra dell Armory era finita da poco. Fu un amore travolgente, soprattutto per Mabel, cui Reed tuttavia, nel novembre 45

16 BARBARA LANATI dello stesso anno e dopo un di lei tentato suicidio, avrebbe scritto: Non posso vivere con te. Mi soffochi, mi schiacci. Tu vuoi uccidere lo spirito che è in me. L irrequietezza di Reed non era solo uno stato d animo di fondo, ma si riferiva piuttosto al suo amore per l impegno politico e il lavoro. Nel dicembre del 1913 Reed partì per il Messico. Scriverà articoli ironici e autoironici su se stesso come reporter e puntuali su quella rivoluzione che avrebbe ingoiato e disperso per sempre un altro grande, troppo poco rappresentato, della letteratura americana: Ambrose Bierce. Dal Messico, Reed parte per Bucarest reporter durante la prima guerra mondiale dove Mabel nel luglio del 1915 gli rispedirà l anello che lui le aveva regalato. Raccontano che Reed lo abbia buttato in un canale. L anello era accompagnato da una lettera di Hutchins Hapgood, amico di entrambi, che gli comunicava la fine della loro storia. Dunque il senso della privacy vittoriana era sconosciuto al gruppo. Essere pubblici a quel punto era anche una scelta politica. Equivaleva a essere antiborghesi, anticonformisti. D altra parte gli incontri con il dottor A. A. Brill nel salotto di Mabel, sempre nel dicembre del 1913, erano stati oltre che lezioni sulla psicoanalisi freudiana cui il gruppo si iniziava proprio allora, vere e proprie sedute terapeutiche collettive. Il segreto era bandito. L inconscio messo a nudo. Donna molto particolare, Mabel. Molto ambiziosa anche. Forse. Tuttavia entusiasta e generosa. Fu lei infatti il tramite fra Stieglitz e Gertrude Stein. L aveva conosciuta nella primavera del 1911 a Parigi e ospitata con il fratello e Alice B. Toklas a Villa Curonia, a Firenze, in autunno per diverse settimane. Sarà il tramite fra la scrittura sperimentale figurativa di Gertrude Stein, in particolare i word portraits di cui sopra si parlava, e Camera Work (agosto 1912). In cambio dell ospitalità a Firenze, Stein avrebbe scritto il word portrait di Mabel Dodge: Portrait of Mabel Dodge at Villa Curonia, un lavoro che ha indotto parecchi steiniani, me inclusa, a interrogarsi sull identità del soggetto lì ritratto. In fondo, una donna molto chiacchierata e particolare che organizzava a casa sua serate a base di pejote per artisti e scrittori. Che avrebbe sposato Michael Sterne, pittore non certo benestante come lei, per lasciarlo nel giro di poche settimane e trasferirsi nel 1917 a Taos, New Mexico. Partiva per il Sudovest con un paio di libri sulla cultura Maya e Azteca che Leo Stein le aveva regalato. Non sarebbe mai più tornata sui suoi passi. Lì avrebbe sposato Tony Luhan, un indiano di grande bellezza, strappandolo alla moglie. Sempre lì avrebbe ospitato, nella sua magica Las Palomas, Jung e D.H. Lawrence, Georgia O Keeffe e Aldous Huxley, solo per citarne alcuni. Mabel dunque si lasciava il Village alle spalle quando nel Village quasi tutto stava diventando spettacolo e gossip. Quanto a John Reed, che dire? Altro stupendo oggetto di pettegolezzo per 46

17 chi dall uptown scendeva a passeggiare al Village. Laureatosi a Harvard il 24 giugno 1910, lo stesso giorno di T. S. Eliot, trasferitosi al 42 di Washington Square e avviato alla carriera di giornalista politico, aveva subito dato alle stampe A Day in Bohemia, un pamphlet autoironico e irriverente nei confronti sia di chi viveva al Village sia della medio-borghesia vittoriana d America. Con quello scritto Reed metteva in pericolo la sua potenziale carriera di giornalista politico, che tuttavia si sarebbe conclusa in maniera brillante a Pietroburgo. Lasciava infatti una delle testimonianze più forti della Rivoluzione Russa, Ten Days that Shocked the World, che Lenin giudicò: Un quadro esatto e straordinariamente vivo di fatti che hanno un estrema importanza di ciò che sono realmente la rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato. Testimone attento (certo di parte, ma anche nel giornalismo dove abita l obiettività?), non si sottrasse mai alla legge: nell aprile del 1918 ritornò in America per essere processato con gli altri redattori di The Masses. L accusa per tutti era congiura contro lo stato. Il processo fu talmente partigiano e censorio che finì nel nulla. Reed tornò in Russia nell autunno del 18, dove morì il 17 ottobre del 1920, tre giorni prima di compiere 33 anni. Ma dilungarsi sulla sua vita e sui suoi scritti implicherebbe l inizio di un altra interminabile, affascinante storia che, come quella dei Provincetown Players o quella della comunità di artisti e scrittori che a Taos dal 1917 si forma attorno a Mabel Dodge, sottrarrebbe troppo spazio alle riflessioni con cui intendo concludere il mio intervento. È a Stieglitz che desidero tornare e al problema della fotografia da cui tutto era partito. A Stieglitz, cui negli ultimi tempi della 291 era parso che gli artisti/fotografi che aveva appoggiato e fatto conoscere avessero ben poco ormai da dire. Si era dissociato dal gruppo cui lui stesso aveva dato vita. Quinn, con l aiuto di Walter Pach, aveva aperto una vera e propria collezione d Arte Moderna chiamata Modern Gallery e che sarebbe in seguito diventata il MoMA. Dunque i quadri ritornavano nelle loro cornici? Se sì, come fu, Stieglitz con coerenza e intuizione geniale disse no. Per lui ci sarebbero stati Georgia O Keeffe, il vero amore della sua vita, e poi Paul Strand, entrambi vergini da compromessi con l establishment. Insieme a loro, i poeti e pochi altri. Come a Duchamp, a Stieglitz non interessava il plauso pubblico. Era altro a contare. Era Steichen, l unico del gruppo fondatore che Stieglitz sentiva ancora vicino. Steichen che aveva viaggiato per lui in Europa, portato come sopra accennavo linfa vitale a Camera Work e alla 291. Steichen, sì. Per quanto alcune sue cadute romantiche in ambito fotografico infastidissero Stieglitz. Quanto allo stato delle cose, o meglio dell arte, Stieglitz disapprovava qualsiasi forma di commercializzazione, di investimento economico che acquirenti e visitatori 47

18 BARBARA LANATI potessero fare nei confronti dei lavori che esponeva. Tuttavia, su richiesta di Georgia O Keeffe e Paul Strand il suo vero erede accettò di aprire un altra galleria. Dapprima fu The Intimate Gallery (Room 303, Anderson Gallery Building al 481 di Park Avenue) nel 1925, poi nel 29 An American Place (Room 1710, al 509 di Madison Avenue). Sperava che si ricreasse lo spirito della 291. La sua filosofia non era cambiata. Raccontano infatti che amasse provocare le persone che gli chiedevano il prezzo di una foto o un quadro esposti chiedendo loro, a sua volta, quanto sarebbero stati disposti a pagare per averlo. Voleva restare fuori dal mercato. Voleva che gli artisti che rispettava lo evitassero come lui. Si allontanò da molti e in molti si allontanarono da lui. Ma come nel caso di John Reed, se quella era la battaglia che scelse di combattere, lo avrebbe fatto fino alla fine, come infatti avvenne. Tra gioco e provocazione, con una punta di snobismo, ma con molta fede nell obiettivo perseguito. Non è un caso che il disegno intitolato Ici, c est ici Stieglitz che Picabia gli diede, fosse riprodotto su Camera Work nell agosto del 1915 e avesse come sottotitolo Foi et amour 291. Se Steichen era stato la persona che aveva sentito più vicina fin dagli inizi della 291, ora, con il passare degli anni, era Paul Strand l erede perfetto di cui aveva sognato e di cui scrisse: His work is rooted in the best traditions of photography. His vision is potential. His work is pure. It is direct. It does not rely upon tricks of process. In whatever he does there is applied intelligence. In the history of photography there are but few photographers who, from the point of view of expression, have really done work of any importance. And by importance we mean work that has some relatively lasting quality, that element which gives all art its real significance. 17 Strand aveva avuto come insegnante d arte alle Ethical Cultural High Schools, Charles Caffin. Caffin amava la fotografia e insegnava a leggerla come arte. Autore di Photography as a Fine Art, come molti in quegli anni, guardava da vicino all arte giapponese. Ne apprezzava la purezza delle linee, il rigore della forma. Ne parlava ai suoi studenti illustrando insieme a quell arte il lavoro di James A. Whistler espatriato in Inghilterra e attento a sua volta alla lezione che proveniva dall Oriente. La tecnica fotografica gliela insegnò Lewis Hine: tecnica, sviluppo e stampa. Della fotografia Strand si innamorò. Nel 1911 fu in viaggio in Europa. Il tour di dovere per ogni potenziale giovane artista: lo colpirono nei musei i dipinti dei Preraffaeliti, i lavori della Scuola di Barbizon, poi, di ritorno a New York, rinnovati incontri con Stieglitz. Stieglitz gli fece apprezzare Matisse e Cézanne, ma soprattutto gli suggerì la strada per differenziare come sarebbe stato il suo lavoro da quello dei contemporanei. Per Stieglitz chi fotografava guardava 48

19 ancora, come peraltro lui aveva fatto agli inizi, al modello di Julia Cameron: soft-focus cioè out of focus, mi si scusi il gioco di parole. La tecnica del soft focus effettivamente donava alla fotografia così come ai lavori di Julia Cameron cui peraltro Camera Work aveva dato agli inizi grande risalto quella luminescente indeterminatezza dei contorni che, se della fotografia faceva arte, di quell arte faceva una sorta di cugina in bianco e nero della pittura impressionista. Non a caso Stieglitz aveva spiegato a Strand: This lens, as you re using it, makes everything look as it is made of the same stuff: grass looks like water, water looks as if it has the same quality as the bark of the tree. You ve lost all the elements that distinguish one form of nature whether stone or whatever it may be from another. This is a very questionable advantage; in fact you have achieved a kind of simplification that looks good for the moment but is full of things which will be detrimental to the final expression of whatever you are trying to do. 18 Pictorial Abstraction, Abstract Expressionism: le mete che Stieglitz aveva dato alla fotografia si realizzavano finalmente nel lavoro di Strand. Così come Stieglitz le aveva pensate. Pure, pulite, immacolate. Le figure, le immagini ferme, paralizzate nella loro bellezza discreta e allo stesso tempo assoluta: Abstraction, Bowles ( ); Abstraction Porch Shadows ( ); Wall Street (1915); The White Fence (1916); Blind Woman (1916); Portrait (1916). E non è un caso che, conosciuta meglio la sua opera nel 1915, Stieglitz dedicasse proprio a Strand gli ultimi due numeri di Camera Work e nei mesi di marzo e aprile 1916, una personale alla 291. Fu come se a Strand Steiglitz passasse il testimone della storia della fotografia in America. A Strand avrebbero infatti con attenzione guardato in tanti. Tra gli altri Dorothea Lange e Walker Evans, Charles Sheeler e Charles Demuth, Charles Weston e Diane Arbus. Per Strand come per Stieglitz, da nazionale l espressione artistica (chissà se intendeva iconografica, politica oppure economica?) sarebbe dovuta divenire ed era divenuta universale. Lo scrisse a chiare lettere in un bellissimo intervento nel numero del giugno 1917 di Camera Work. Forse proprio questo la fotografia, la 291 e Camera Work avevano capito. Per quanto ci si sforzasse, per quanto in tanti lo coltivassero e l avrebbero coltivato, il local color era davvero morto. E con il local color, il senso di appartenenza a un genere e a una razza, un paese, una cultura. D altra parte non fu proprio questo il messaggio, per paradosso il senso profondo, nel bene e nel male, della prima guerra mondiale, appunto mondiale nonostante gli sforzi che dopo, in tanti, avrebbero fatto? Vorrei chiudere lasciando la parola proprio a Paul Strand, erede, come ricordavo, esemplare del progetto di Stieglitz. L unico tra i tanti, allora, capace 49

20 BARBARA LANATI di dar corpo al suo sogno: quello di usare la fotografia non per far affiorare alla superficie dell immagine quanto del mondo era andato perso la sua poetica fragile, la temporaneità - ma per cogliere piuttosto quanto lo sguardo aveva dimenticato di raccogliere in sé e lasciato in disparte. Quanto lo sguardo dell uomo e della macchina avevano dimenticato di registrare, o scelto di non farlo, nella retina umana e nella camera oscura in cui le immagini scelte sarebbero dovute riaffiorare così come erano, se non altro nello sguardo dell artista. Things as they are aveva suggerito Gertrude Stein. Readymade aveva risposto Duchamp. Per questo Paul Strand, ripensando agli incontri alla 291 ricorda: It was a place where one felt very alive and very much at home, and you got something every time you went there. There was a real battle going on, a real struggle for recognition of what these people were doing, both photographers and painters [ ] Stieglitz would come in and would explain the right of people to experiment and carry on serious investigations of their medium and its relationship to the life of their time. That kind of conversation was very stimulating because at that time you felt that you were a part of something happening in the world that was going to be very important to many people. 19 NOTE 1 Cfr. Gertrude Stein, The Making of the Americans, trad. it. di Luigi Sampietro e Barbara Lanati, C era una volta gli Americani, Torino: Einaudi, Hugo Müstenberg, The Photoplay: A Psychological Study, D. Appleton & Co, 1916; trad. it di Cecilia Rosso, Film Il cinema muto nel 1916, Parma: Pratiche Editrice, 1980, pp Hugo Müstenberg, The Americans, New York: McClure, Phillips & Co., 1900, pp Rimando alla mia Introduzione in Gertrude Stein, C era una volta gli Americani, op. cit. 5 John B. Hishtower, ed., Four Americans in Paris The Collections of Gertrude Stein and her Family, New York: The Museum of Modern Art, Su questo punto rinvio al mio L avanguardia americana - Tre esperimenti: Faulkner, Stein, W.C. Williams, Torino: Einaudi, 1977 e all edizione bilingue di Tender Buttons uscita in Italia con un introduzione di Nadia Fusini Gertrude Stein, Tender Buttons, trad. it. di Marina 50

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