Pesco Sannita. Storia di un millennio. Mario D Agostino

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1 Pesco Sannita Storia di un millennio Mario D Agostino

2 Dall ultimo lavoro storico di Mario D Agostino abbiamo estratto il Sesto Capitolo. CAPITOLO VI REAZIONE FILOBORBONICA E BRIGANTAGGIO Le fasi conclusive della divisione del demanio di Monteleone si intrecciarono con le vicende connesse all unità d'italia. Per la verità, stando almeno ai rapporti sullo «spirito pubblico» inviati, nel corso del 1855, dal giudice regio Felice Faraone alla Segreteria di Stato della Polizia Penale, sembrava che nel circondario di Pescolamazza la situazione fosse completamente sotto controllo. In questi resoconti, infatti, si affermava che «le opinioni politiche in generale erano pel Governo Monarchico di S. M. Ferdinando Secondo, che la condotta de passati compromessi politici andava migliorando, che le voci sull andamento del Governo erano plaudenti, che i sentimenti erano preponderanti a favore del Real Governo, di attaccamento e di devozione all Augusta e Sacra persona del Re, che il costume pubblico era piuttosto lodevole, che i regolamenti di polizia venivano osservati in maniera soddisfacente, che, infine, erano santificati i dì festivi» 1. Al momento opportuno, però (1860), Pescolamazza aderì al Centro insurrezionale vitulanese offrendo un gruppo di uomini armati a Giuseppe De Marco che stava organizzando il corpo garibaldino dei Cacciatori irpini 2. Il comitato promotore pescolano era costituito da Alfonso Cini, Francesco Molinara e Filippo Pennucci 3. Una parte consistente della popolazione (sia galantuomini che gente comune) si mantenne, però, fedele a Francesco II. Fu così che, quando nell'estate del 1861 la reazione dilagò nella parte settentrionale della provincia di Benevento, Pescolamazza ebbe la sua rivolta filoborbonica. Le prime avvisaglie si ebbero già la sera del 7 agosto allorché alcuni paesani che avevano assistito alla vittoriosa sommossa reazionaria scoppiata a Pago durante la processione di S. Donato, ritornando a casa, acclamarono gli ex regnanti. Il popolo, comunque, preso un po' alla sprovvista, non aderì alla manifestazione. E la cosa, per il momento, non ebbe nessun seguito. Solo il giorno successivo la sedizione esplose veramente grazie all'apporto determinante dei rivoltosi di Pago. Questi, infatti, preceduti da un gruppo di Pescolani (per lo più donne e ragazzi), giunsero in paese armati di archibugi, scuri e mazze. Qui, aiutati da una folla urlante, legarono un lenzuolo ad una pertica e lo fissarono a mo' di bandiera all'olmo che era nella piazza. Mario D Agostino: Pesco Sannita 2

3 Poi, dopo aver tolto dal quartiere della guardia nazionale lo stemma sabaudo ed i ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi ed aver messo al loro posto i quadri di Francesco II e di Maria Sofia, chiamarono a raccolta gli sbandati locali e, insieme a loro, setacciarono le case del paese requisendo armi e munizioni. La sera del 9 agosto la sedizione ebbe nuovo impulso con l'arrivo di Francesco Esci 4 che, proveniente da Fragneto Monforte alla testa della sua banda, fatte le solite acclamazioni per Francesco II, ordinò ai compaesani di illuminare a festa le finestre e, prima di andar via, lasciò una diecina di uomini a presidiare il quartiere della guardia nazionale. Il paese, però, restò in mano ai reazionari solo per poche ore. All'alba del 10 agosto, infatti, il colonnello Gaetano Negri, proveniente da Benevento alla testa di una colonna di bersaglieri, dopo aver circondato il palazzo degli Orlando 5, costrinse a venir fuori tutti gli uomini della famiglia facendoli spingere a calci e pugni attraverso la piazza. Fece legare, poi, Luigi Orlando 6 all'olmo e, accusandolo di essere promotore della rivolta, ne ordinò la fucilazione immediata. Il condannato, prima di cadere sotto i colpi dei bersaglieri, ebbe appena il tempo di ricevere l assoluzione dal figlio prete Giandonato 7. Mario D Agostino: Pesco Sannita 3

4 A differenza dei paesi vicini, Pesco, ben guardata dalle forze dell'ordine 8, fu appena sfiorato dal brigantaggio che infuriò, tra il 1860 ed il 1870, in tutta la provincia 9. Solo tre, infatti, sono gli episodi che, direttamente o indirettamente, lo riguardano: il saccheggio della masseria Gianquitto, nei pressi dell'abitato (marzo 1862) 10, l uccisione della giovane circellese Beatrice Maiorano (febbraio 1863) 11 e l'assassinio di Filippo Pennucci avvenuto, in territorio beneventano, per mano del brigante Michele Caruso 12. Mentre, però, la morte della Maiorano avvenne casualmente, entro i confini pescolani, durante uno scontro a fuoco tra alcune guardie nazionali di Circello ed un gruppo di briganti a cavallo, l'assassinio del Pennucci è degno di rilievo per la ferocia con cui fu commesso. Il Caruso, dopo un duro scontro con i soldati a Francavilla, si rifugiò con la sua banda in una masseria delle Camerelle presso cui Filippo Pennucci, insieme al figlio Giuseppe, lavorava come garzone. Qui giunto chiese di essere ragguagliato sull'esito di un biglietto ricattatorio inviato alcuni giorni prima al proprietario del fondo. Non appena il Pennucci riferì la risposta negativa del suo padrone, il capobanda «lo stese a terra con due fucilate». Siccome, poi, Giuseppe piangeva per la morte del padre, il Caruso sparò un colpo anche contro di lui ferendolo alla spalla sinistra. 1 ASN, Dicastero dell Interno e Polizia della Luogotenenza, fs. 69, fasc ALFREDO ZAZO, Il Sannio nella rivoluzione del I Cacciatori irpini, Cooperativa tipografica Chiostro di S. Sofia, Benevento, 1927, p Ibidem, pp Cfr. anche ANTONIO MELLUSI, op. cit., p Francesco Esci, in realtà, più che un reazionario puro deve essere considerato un vero e proprio brigante convertitosi alla causa filoborbonica. In passato, infatti, aveva avuto problemi con la giustizia. Tanto è vero che, il 6 giugno del 1844, era stato incluso dal decurionato in un elenco di 28 individui che dovevano essere vegliati tutte le notti dalla polizia e «sino all orora rimanere nelle proprie abitazioni» Mario D Agostino: Pesco Sannita 4

5 perché, pur non essendo mai stati condannati per insufficienza di prove, erano soliti commettere furti nell abitato e nelle campagne (cfr. doc. n. 16 dell'appendice). 5 Si tratta dell'edificio che, sede dell asilo infantile Giovanna Orlando per circa un decennio a partire dal 1945, oggi, completamente restaurato, ospita la sala consiliare ed il Museo civico. L'attuale residenza degli eredi della famiglia, invece, fatta costruire nella prima metà dell Ottocento da Lorenzo Pennucci, passò solo verso la fine del secolo nelle mani del cav. Luca Orlando. 6 Luigi Orlando, molto attivo nella vita pubblica, era stato più volte decurione e, al momento dei cambiamento di regime, ricopriva la carica di capo urbano. Ad accusarlo presso il governatore Gallarini fu Giuseppe Calandra, giudice del mandamento di Pescolamazza (cfr. MARIO D'AGOSTINO, La reazione borbonica in provincia di Benevento, Fratelli Conte, Pozzuoli, 2005, p. 94). 7 La Sezione d'accusa della Corte di Appello di Napoli, nella sentenza del 12 maggio 1863, ritenne responsabili dei disordini scoppiati a Pescolamazza tredici individui del paese (Pasquale Antonelli, Stanislao Basile, Nicola Boffa, Pietro d'amico, Bartolomeo De Angelìs, Vincenzo De Maria, Giuseppe De Simio, Lorenzo De Simio, Pietrantonio Esci di Cosimo, Giandomenico Gifaldi, Nicola Orlando di Giovanni, Pietro Pennucci e Gabriele Sabella) e quattro componenti della banda Esci (Nicola Cirelli, Nicola D A1oia, Filippo Volpicella ed Angelo Picozzi alias Angelo Pica che tanta parte ebbe poi nell'eccidio dei soldati piemontesi avvenuto a Casalduni l 11 agosto del 1861)..Solo quattro degli imputati (Stanislao Basile, Pietrantonio Esci, Giandomenico Gifaldi e Pietro Pennucci) furono considerati promotori e capi della rivolta mentre gli altri venivano classificati come semplici cooperatori. Nell'elenco, come si vede, non compaiono i nomi dei principali promotori della reazione: Luigi Orlando e Francesco Esci. Questo non perché i due fossero ritenuti innocenti ma semplicemente perché all epoca dell'istruzione del processo essi erano già morti. Anche Francesco Esci, infatti, era stato fucilato il 24 settembre del 1861, insieme a Michele Zeuli da Alberona, in contrada Vignale di Iorio (cfr. MARIO D'AGOSTINO, op. cit., p. 129). 8 Pesco disponeva di una forza pubblica molto nutrita in quanto, oltre che sulla guardia nazionale, poteva contare anche sulla presenza fissa di forze di polizia. Nei bilanci preventivi del comune per gli anni 1864 e 1865, infatti, sono riportate, rispettivamente, le somme di lire 127,50 e 7,57 per «quota sul fitto per la casa dello ufficio di delegazione di Sicurezza pubblica del Mandamento di Pescolamazza e di Paduli» (ACPS, Bilanci di previsione dal 1864 al 1876). Per quanto riguarda la guardia nazionale, comandata fin dal 23 ottobre del 1861, con il grado di capitano, da Leopoldo Pennucci fu Lorenzo (legale), si conoscono i nomi di tutti gli altri graduati del 1865: Salvatore D Aloia fu Sisto (legale) e Luciano Sabella fu Angelo (proprietario), luogotenenti; Carmine Girardi (industriante) e Nicola D Andrea fu Raffaele (proprietario), secondi tenenti; Giovandomenico Vetere fu Giovanni (agricoltore), sergente foriere; Donato De Simio fu Luigi (massaro), Carmine Sabella fu Domenico (calzolaio), Antonio Sabella fu Angelo (viaticale), Saverio Guerra di Giandomenico (calzolaio), Luigi Pennucci fu Giuseppe (massaro), Pietro Giacomo Sabella fu Saverio (muratore), sergenti; Nicola Molinara fu Andrea (proprietario), caporale foriere; Sabatino Gianquitto (viaticale), Luigi Sabella fu Domenico (muratore), Ambrosio Pilla fu Andrea (ferraro, sostituito nel 1866, causa morte, da Erasmo Marino), Michele Saccone di Vincenzo (calzolaio), Giandomenico Pilla di Ambrosio (ferraro), Francesco Pennucci di Giuseppe (massaro), Pietro Miranda di Filippo (falegname), Alberto Orlando fu Alessio (sarto), Silvano Viglione di Pietro Giacomo, Pietro Coretto di Francesco (calzolaio, sostituito nel 1866, causa morte, da Francesco D Agostino di Nicola Giovanni) e Giuseppe Sabella fu Saverio (calzolaio), caporali (ASBN, Brigantaggio: versamento Museo del Sannio, fs. 6 e 7). Per quanto riguarda i militi semplici se ne conoscono solo dieci nominativi: Salvatore Vetrone di Crescenzo (contadino), Crescenzo Meola fu Giambattista (sarto), Carmine Gagliardi di Angelo (contadino), Francesco Saverio D Amico fu Nicola (contadino), Andrea Pilla di Saverio (contadino), Giovanni Iadanza di Crescenzo (contadino), De Palma Pasquale fu Crescenzo (contadino), D Andrea Giuseppe fu Giovanni (agricoltore), Caruso Giovan Domenico fu Antonio (contadino) e Basile Stanislao di Giovanni (proprietario) (Ibidem, fs. 7). Degna di nota è la notizia che tra i summenzionati componenti della guardia nazionale ci fosse anche Stanislao Basile. Siccome questi, infatti, il Mario D Agostino: Pesco Sannita 5

6 12 maggio del 1863 era stato rinviato a giudizio dinanzi alla Corte di Assise di Benevento, insieme a Pietrantonio Esci, Giandomenico Gifaldi e Pietro Pennucci, come «autore e capo» della rivolta filoborbonica scoppiata a Pesco nell agosto del 1861 (cfr. in proposito MARIO D AGOSTINO, op. cit., pp ), ciò vuol dire che era stato riconosciuto innocente. 9 LUISA SANGIUOLO, Il brigantaggio nella provincia di Benevento , De Martini, Benevento, ASN, Brigantaggio, fs Ibidem. 12 ASN, Commissione brigantaggio, fs. 4, fasc. 50. Per quanto riguarda la data esatta dell'avvenimento ci sono dei dubbi. Nella ricostruzione fatta dal maggiore dei carabinieri comandante la divisione di Benevento si parla del 5 ottobre 1863, mentre nel verbale della 40a seduta della Commissione provinciale per la repressione del brigantaggio l'avvenimento si fa risalire alla sera del 10 settembre dello stesso anno (cfr. in proposito i docc. nn e 17.2 dell'appendice). Vita da briganti può essere acquistato, al costo di 12 euro, presso Vereja Edizioni Via Gaetano Rummo, Benevento- Tel. 0824/ Mario D Agostino: Pesco Sannita 6