La sabbia sottomarina per gli interventi di ripascimento artificiale delle spiagge in erosione: tutela e utilizzo di una risorsa non rinnovabile

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1 La sabbia sottomarina per gli interventi di ripascimento artificiale delle spiagge in erosione: tutela e utilizzo di una risorsa non rinnovabile Francesco Burragato, Paolo Tortora Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Roma La Sapienza" I numerosi ambienti della transizione terra-mare (coste alte, litorali, delta, lagune e sistemi dunari) sono tutti effimeri in tempi non necessariamente lunghi, risentendo anche di minime variazioni delle condizioni a contorno, tipicamente indotte da cause naturali e/o antropiche. In particolare, le fasce litorali sono sistemi deposizionali ad alta continuità laterale, ove forze fisiche (onde, vento, correnti, maree) ridistribuiscono i sedimenti verso i luoghi di momentaneo o definitivo stivaggio (spiaggia emersa, spiaggia sottomarina, dune etc.). In questo modo prende dinamismo e forma l'ambiente litorale, il cui paesaggio evolve di continuo per il rinnovo morfologico imposto dall'erosione e dalla deposizione. Il "sistema litorale" è anche un'entità naturale in perenne ricerca di una condizione d equilibrio dinamico, di fatto raggiungibile solo in stato di perfetto bilancio sedimentario, cioè quando sedimenti in ingresso e in uscita nel e dal compartimento costiero si equivalgono volumetricamente. In questo stato le spiagge si mantengono stabili nel tempo, mentre arretrano o avanzano per eccessi e deficit di bilancio (condizioni di disequilibrio). L'erosione costiera è riconducibile a deficit di bilancio indotti da varie cause, spesso derivanti dall'influenza antropica (D'Alessandro & La Monica, 1999). Ne è esempio la regimazione dei reticoli idrografici e la costruzione di dighe che hanno interrotto il naturale flusso delle sabbie verso mare. Altre possibili cause sono l'estrazione di inerti in alveo e talora sulle spiagge, l'amplificazione della naturale subsidenza per emungimenti di acqua o gas, nonché la costruzione di manufatti portuali o a difesa del lungomare che hanno alterato il trasporto lungo costa. Tra le cause naturali, invece, viene spesso invocata la generale tendenza all'innalzamento del livello marino, la subsidenza da carico, e variazioni del clima d'onda. I fenomeni erosivi affliggono pesantemente i litorali italiani (La Monica & Landini, 1983; Consiglio Nazionale delle Ricerche, 1985; D'Alessandro & La Monica, 1999), per più del 50 % in arretramento, solo in modesta parte in avanzamento, e per il resto in stato di stabilità, spesso però apparente in quanto derivante dall'irrigidimento della costa prodotto dai manufatti presenti. In sostanza si assiste in Italia ad un rapido impoverimento della risorsa-litorale, con altissimi sospetti che un ruolo perlomeno significativo spetti all'impatto antropico, eccessivo per la sostenibilità dell'ambiente costiero (Fierro, 2003). Ricostruzione delle spiagge attraverso ripascimento artificiale Tra i possibili interventi per contrastare l'erosione costiera, oggi si fa spesso ricorso al ripascimento artificiale delle spiagge attraverso versamento di inerti reperiti in cave marine o terrestri. Questa tecnica offre il vantaggio di agire direttamente sulle cause dell'erosione, restituendo all'ambiente il sedimento di cui è carente. Inoltre risolve in un solo atto la crisi litorale, senza i tipici tempi di attesa richiesti affinché gli effetti dalle opere rigide si manifestino. Di contro, l'intervento presenta complessità progettuali ed alti costi esecutivi, ed è pertanto dedicato a spiagge di rilevante interesse paesaggistico e/o economico. Inoltre, non si conclude con il primo pascimento, necessitando di altri versamenti minori che dilazionati nel tempo assicurano la stabilità del litorale ricostruito. Il problema principale rimane in ogni caso l'individuazione di appropriate zone di cava, che contengano rilevanti cubature di sabbie con granulometria idonea, cioè adatte a rimanere in equilibrio sulla spiaggia (Caputo et al., 1993; Tortora, 1994). L'operazione di ripascimento comporta preliminarmente anche studi di tipo conoscitivo, che in genere ruotano intorno ad aspetti quali l'evoluzione storica e recente del litorale, e i processi in atto. Punti salienti sono: la posizione assunta dalla linea di riva nel tempo, il contesto morfologico e sedimentologico della spiaggia, il clima d'onda, le zone a più alto rischio costiero, il circuiti di dispersione delle sabbie, l'entità del trasporto, e la stima del bilancio sedimentario. Altre indagini riguardano invece aspetti maggiormente finalizzati all'intervento, come il calcolo della quantità d'inerte occorrente per la prima ricostruzione della spiaggia e per la sua manutenzione futura (versamenti minori), nonché la predizione delle modificazioni morfologiche indotte dall'uso di specifici inerti (La Monica et al., 1984). Appositi modelli numerici adempiono a questi compiti attraverso routine di calcolo che simulano gli effetti del ripascimento utilizzando riferimenti teorici estratti dai processi naturali (Dean, 1974; James, 1975; Hobson, 1977). Le informazioni derivanti da tutte queste indagini guidano la scelta delle zone di cava opportune, suggeriscono le modalità dei versamenti (come e dove eseguirli), e consentono il computo dei costi dell'intervento. Le indagini di monitoraggio che a questo fanno seguito consentono di tarare i modelli di predizione, che quindi diventano realistici strumenti per la gestione futura del litorale. 1

2 Individuazione di cave marine La ricerca delle zone di cava è oggi preferenzialmente orientata sui fondali della piattaforma continentale piuttosto che in terra-ferma, nel tentativo di abbattere i costi di trasporto dell'inerte, di contenere l'impatto ambientale, e di reperire inerti di granulometria "ottimale" in quanto relativi ad antiche spiagge (Caputo et al., 1993). In quest'ottica, i prerequisiti fondamentali di un giacimento marino sono: (a) volumetria e granulometria soddisfacente al progetto, (b) vicinanza del giacimento dal luogo dell'intervento, (c) battenti d'acqua non superiori ai m di profondità, e (d) assenza o ridotta copertura del deposito sabbioso da parte di sedimenti sterili (limosi). Tali pre-requisiti, insieme con informazioni geologiche tratte da fonti diverse, orientano fin dall'inizio la scelta dei settori marini da indagare. Molto però spetta anche alla sensibilità e all'esperienza degli operatori che, "leggendo" il generale contesto deposizionale, ne individuano le aree di maggior interesse. La ricerca in mare viene effettuata attraverso metodi geofisici unitamente a carotaggi che permettono la raccolta dei primi 5-6 m della colonna sedimentaria (Chiocci & la Monica, 2003). Queste due tecniche, agite insieme, offrono il vantaggio di risolvere vicendevolmente le loro carenze. Infatti, mentre la sismica fornisce una relativa risoluzione del sottofondo marino ma riesce ad evidenziare la continuità fisica delle superfici di strato, i carotaggi consentono una completa risoluzione stratigrafica ma solo per singoli punti: in sostanza questi ultimi vengono utilizzati per tarare le più incerte ma più estese evidenze sismiche. L'indagine sismica viene eseguita di continuo durante la navigazione, che tipicamente segue una maglia di percorsi ortogonali e paralleli alla costa. Ne derivano sismogrammi, veri e propri profili del fondo e sottofondo marino, che analizzati in via preliminare in nave indirizzano la campionatura nei luoghi più propizi. Elementi diagnostici dei depositi sabbiosi sono la loro geometria nastriforme (in genere sono dei cordoni paralleli a costa) e le strutture al loro interno, tipiche della sedimentazione litorale in regime di sollevamento del mare. Analisi più accurate e successive alla ricerca in mare, mirano ad una visione congiunta di quanto offerto dalla sismica e dalla campionatura. La tendenza è a trasferire le evidenze 2D dei singoli profili per poi giungere ad una ricostruzione in 3 dimensioni della stratigrafia del fondale. Ovvii dettagli riguardano la zona di cava, e apposite cartografie sono restituite a specifico indirizzo delle operazioni d estrazione (Tortora, 1994). Cubatura del deposito e granulometria e mineralogia dei suoi costituenti definiscono il potenziale estrattivo del sito, insieme con altri aspetti che possono ostacolare o a- gevolare l'attività estrattiva. Quest'ultima è obbligatoriamente anticipata da studi sull'impatto ambientale per salvaguardare gli elementi naturali del sito e le attività antropiche collaterali (pesca, itticultura, parchi sottomarini etc.). Genesi dei depositi estraibili I depositi marini potenzialmente estraibili non sono altro che antichi corpi litorali (genericamente chiamati "depositi relitti") formati e preservati nel corso dell'ultima trasgressione. Questa, iniziata anni fa con livello-mare a -120 m dall'attuale, si concluse circa 6000 anni fa con il raggiungimento del presente livello (Pirazzoli, 1991). Durante tale intervallo, il rapido innalzamento marino (di ben 120 m) spinse con progressione i sistemi costieri verso terra, imponendogli un lungo cammino (in genere di km ma che in Adriatico supera i 200 km) a partire dal ciglio della piattaforma. La loro migrazione avvenne per continua distruzione del litorale e contemporanea ricostruzione più verso terra, cosicché i depositi che si rinvengono oggi rappresentano porzioni di spiaggia sfuggite al processo distruttivo e poi abbandonate sul fondale. Simulazioni su base numerica (Cowell et al., 1995), suggeriscono che su piattaforme a debole pendenza (le più ricorrenti in Italia) sono possibili tre principali stili evolutivi (trasgressioni neutre, erosive, e deposizionali) in funzione dell'esistente bilancio sedimentario (Fig. 1). Se questo è in perfetto equilibrio, il litorale migra semplicemente sulla piattaforma senza produrvi né erosione né deposizione (caso "a"), mentre causa erosione (caso "b") se è tale bilancio è negativo e deposizione se positivo (caso "c"). Dunque, solo in quest'ultimo caso (purtroppo raro) si formano corpi sabbiosi di possibile interesse estrattivo. Altre condizioni per la loro messa in posto derivano da periodi di momentanea stabilità del mare (comunque accompagnati da bilancio positivo), seguiti da rapide riprese del sollevamento durante le quali significative porzioni del litorale sono abbandonate (Fig. 2a). Fenomeni per certi aspetti simili si verificano anche sotto l'influenza di irregolarità morfologiche della piattaforma, come bruschi incrementi di pendenza (Fig. 2b), o depressioni che seppur di modesta entità intrappolano discrete porzioni litorali, anch'esse interessanti a fini estrattivi (Fig. 2c). Malgrado quanto illustrato, rari sono i depositi sabbiosi sulle piattaforme italiane (Tortora et al., 2001), per la carenza di sedimento che ha accompagnato l'ultima trasgressione, la cui estrema rapidità ha inoltre rappresentato un ulteriore elemento sfavorevole. Pertanto molto sporadiche sono le segnalazioni di depositi del tipo illustrato in Fig. 1c (Brambati & Venzo, 1966; Brambati et al., 1973; Tortora 1996), e in Fig. 2a (Colantoni et al., 1979 e 1990; Correggiari et al., 1996; Trincardi et al., 1996), mentre relativamente più frequenti sembrano essere i casi di Fig. 2b-c sotto l'influenza delle irregolarità morfologiche (Gallignani, 1982; Chiocci et al., 1989; Chiocci & La Monica, 1996). 2

3 Fig. 1 - Per piattaforme a scarsa pendenza, simulazioni elementari che riproducono tre principali tipi di trasgressione marina derivanti dal diverso rifornimento sedimentario (ogni passo temporale si riferisce a circa 300 anni). In (a), il sistema è in perfetto bilancio sedimentario, e il litorale trasla semplicemente sulla piattaforma senza lasciar alle sue spalle né tracce deposizionali né erosive. In (b), il bilancio è negativo (deficit in sedimento), e il litorale migra causando forti erosioni che ringiovaniscono la topografia della piattaforma. In (c), il bilancio è invece positivo e viene abbandonato sui fondali un corpo sedimentario tabulare di possibile interesse economico. Durante l ultima trasgressione, i casi (a) e (b) sono stati la norma nei mari italiani e il (c) l eccezione. Le simulazioni sono state realizzate con lo "Shoreface transaltional Model" (Cowell et al., 1995), che propone dinamiche evolutive attraverso opportune parametrizzazioni (morfologia del complesso costiero, topografia della piattaforma, tassi di sollevamento del mare, rifornimento sedimentario etc.) miranti a ricreare virtualmente specifiche condizioni ambientali. 3

4 Fig. 2 - Simulazioni relative ad alcune condizioni favorevoli per la preservazione dei depositi sabbiosi. In (a), la stabilità del livello marino (passi 0-15) e il forte apporto sedimentario causano un significativo ampliamento del litorale, che viene in buona parte abbandonato sulla piattaforma durante la successiva risalita rapida del mare (passi 16-23). I casi (b) e (c) mostrano invece influenze da parte di irregolarità morfologiche. In (b), il brusco incremento la pendenza della piattaforma determina l'abbandono di un corpo sabbioso di discreta volumetria, mentre in (c) causa di preservazione sono modeste depressioni che intrappolano sedimento. Aspetti legislativi In aree continentali, gli inerti di cava sono considerati tra le risorse non rinnovabili di cui può disporre il proprietario a suo profitto, sulla base della normativa R.D. n con delega alle regioni L n sia a statuto autonomo che nazionale. La loro disponibilità è comunque soggetta a vincoli. L'ultimo, sulla base della 431/85 della 4

5 legge Galasso, qualora la regione di riferimento lo abbia predisposto, è uno strumento attuativo detto in genere "piano delle attività estrattive". In aree marine (spiaggia e fondali), invece, la legislazione appare meno aggiornata alle nuove esigenze. Infatti, l'estrazione in mare può ricondursi a quella sulla terra-ferma solo nel caso di attività minerarie, cioè riguardanti sabbie con minerali metallici (placers) o minerali classificabili tra quelli di 1 categoria R.D , la cui coltivazione, è gestita per delega dalle regioni, pur essendo beni demaniali, che rilasciano apposite concessioni di ricerca e di estrazione. Simili riferimenti mancano invece per i semplici inerti, che sono strettamente trattati con i vincoli demaniali, e con quelli imposti dall'art. 21 L n 179 e dall'art. 35 D.L n 152 relativi però solo alla qualità dell'inerte (non deve contenere inquinanti). Teoricamente, dunque, le sabbie per il ripascimento potrebbero essere reperite in qualsiasi tratto di mare nazionale, anche di là dai limiti amministrativi regionali, e quindi a danno di un'altra amministrazione che vedrebbe impoverirsi una risorsa di sua naturale spettanza. Se rarità e eusaribilità dei depositi sabbiosi marini impongono una loro immediata gestione, c'é da chiedersi chi debba adempiere a questo compito. Si osservi che le regioni sono dotate da tempo di uffici tecnici (ultimo attuato presso le Capitanerie di Porto art. 20L n 179) e osservatori sullo stato delle coste, e dispongono inoltre di alcune normative (RD1907 n 542) che hanno ridefinito il ruolo degli enti locali, sebbene in modo differenziato da regione a regione. Ad esempio, in Toscana è stata tolta ai comuni la tutela delle opere a mare, mentre in Liguria sono demandati ai comuni (salvo approvazione regionale) interventi di ripascimento stagionale. Comunque, a parte questi dettagli, le regioni già svolgono operazioni di tutela sulla propria costa, e sembrerebbe logico che a loro spetti anche la gestione delle risorse marine legate a tale tutela. Il problema appare però di non semplice soluzione, si pensi ad esempio alle regioni i cui mari antistanti sono privi di depositi sabbiosi. Forse occorrerebbe riflettere sulla necessità di una autorità sopra le parti per amministrare le risorse di ciascun mare italiano destinandole alle regioni che vi si affacciano. Riferimenti bibliografici Brambati A., Bregant D., Lenardon G. et al. (1973) - Transport and sedimentation in the Adriatic Sea. Museo Friulano di Storia Naturale, pubblicazione n 20, Udine, 60 pp. Brambati A. & Venzo G.A. (1966) - Recent sedimentation in the northern Adriatic Sea between Venice and Trieste. Studi Trentini Scienze Naturali, 44, Caputo C., Chiocci F. L., Ferrante A., La Monica G. B., Landini B. & Pugliese F. 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