Cover story. Euro forte? Nervi saldi! Intervento Michele Polo (Università Bocconi) Made in Italy alla riscossa

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1 Anno II - 01/2008 Cover story Euro forte? Nervi saldi! Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Milano In caso di mancato recapito si prega inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto Intervento Michele Polo (Università Bocconi) Made in Italy alla riscossa Intervista Mario Zanone Poma (Mediocredito Italiano) Il paradosso dell Euro forte Case history Novamont: una rivoluzione internazionale

2 2 Euro forte? Nervi saldi! di Piero Cannas e Danilo Devigili Taccuino di appunti su internazionalizzazione e strategie da seguire per cavalcare l onda dell economia globale. Invece di esserne sommersi... Made in Italy alla riscossa di Michele Polo Dal suo privilegiato osservatorio, il direttore del Dipartimento di Economia dell Università Bocconi descrive le condizioni internazionali e suggerisce le strategie da adottare Il paradosso dell euro forte intervista a Mario Zanone Poma Molti pensano che il dollaro debole abbia prodotto solo danni. Errore! Per le migliori aziende è stato uno stimolo a diventare più competitive, abbassando i costi e innovando Novamont: una rivoluzione internazionale L azienda guidata da Catia Bastioli è fortemente innovativa in tutto ciò che fa. Quindi non solo nei prodotti o nel modello di business. Ma anche nell approccio ai mercati esteri GLOB NEWS Anno II - N. 1 Settembre 2008 Reg.Tribunale di Milano n. 493 del 06/09/2007 Direttore responsabile: Antonia Negri-Clementi Un vento straniero apre le porte di Cormo Demos Salardi, presidente della storica cooperativa produttrice di infissi e porte in legno, racconta la sua strategia internazionale Creare valore in Polonia intervista con Marco Zini Secondo Marco Zini, il country manager di Indesit Company Polonia, il Paese offrirà opportunità molto interessanti soprattutto nei prossimi cinque anni Innovare per crescere Alberto Albertini, direttore di Methis, descrive come l innovazione rappresenti il cardine della strategia di internazionalizzazione GLOBAL STRATEGY S.r.l. Via Durini, Milano, Italia Tel Fax info@globalstrategy.net Stampa: Emme&Emme S.r.l. Genova COPIA GRATUITA

3 3 Editoriale di Antonella Negri-Clementi Non è il momento dei rimpianti Mentre la cronaca finanziaria scava nelle macerie dei crolli causati dalla crisi dei mutui subprime, abbiamo deciso di cercare conforto nella storia. Storia economica e recente ovviamente, come quella della valuta unica europea. I dieci anni trascorsi dall adesione del nostro Paese all euro ci offrono il pretesto per riflettere sulle conseguenze che questa decisione ha comportato per il sistema imprenditoriale italiano. Lo abbiamo fatto grazie anche al contributo di alcuni osservatori privilegiati, che con le loro analisi e testimonianze ci hanno fornito punti di vista diversi. Il nostro obiettivo non era rinfocolare le polemiche tra i sostenitori e i detrattori della moneta unica: siamo partiti dalla constatazione che oggi l euro è una realtà e quindi abbiamo voluto indagare le possibili opzioni strategiche che si presentano alle imprese italiane per competere sui mercati internazionali. Siamo consulenti e la nostra mission è assistere i nostri clienti nella creazione di valore, in qualunque situazione essi si trovino. In particolare abbiamo maturato una significativa esperienza in processi di internazionalizzazione, che ci permette di affermare, risultati alla mano, che la forza dell euro non è sempre penalizzante per le nostre imprese.anzi,come rileva il professor Polo su queste pagine,ha avuto il merito di stanare le aziende italiane dalla tradizionale ricetta che affidava a periodiche svalutazioni della Lira, il compito di ridare competitività alle nostre merci sui mercati internazionali. Ricetta, aggiungiamo noi, che nel medio lungo periodo impoveriva le imprese e con esse il Paese. Dopo un periodo di naturale assestamento, stiamo assistendo alla ripresa della nostra presenza sui mercati internazionali. Le difficoltà sono ancora molte, e i successi sono attribuibili ad alcune imprese eccellenti che ancora non fanno sistema. Però indicano una strada. Noi abbiamo provato a raccontare alcune di queste storie, molto diverse tra loro perché riguardano multinazionali come Indesit, medie aziende come Novamont e ancora imprese cooperative come Cormo e Methis. La conclusione cui siamo giunti è che non esiste una ricetta facile e scontata: mercati e settori diversi esigono strategie differenti.tuttavia, a nostro avviso, è possibile individuare un fattore critico di successo comune, in grado di stimolare la competitività delle imprese a livello globale e che in Global Strategy abbiamo adottato tra i nostri valori aziendali: il cosmopolitismo, inteso con un duplice significato. In senso geografico, come apertura ai mercati, come evoluzione rispetto all atteggiamento di semplici esportatori; e in senso culturale, come disponibilità verso l innovazione e orientamento alla valorizzazione delle differenze fra civiltà.

4 4 Euro forte? Nervi saldi! di Piero Cannas e Danilo Devigili «Eh la benzina ogni giorno costa sempre di più e la Lira cede e precipita giù svalutation, svalutation Con il salario di un mese compri solo un caffé gli stadi son gremiti ma la gente dov è svalutation, svalutation». Adriano Celentano Piero Cannas Danilo Devigili Grazie a queste strofe, composte ormai più di trent anni fa, il mitico Adriano Celentano, si è forse guadagnato un posto anche fra gli economisti. Pensandoci bene, può darsi che la capacità di previsione del Molleggiato in tema di rapporti fra le valute, e relative conseguenze per il sistema produttivo, non sia da meno di quella degli esperti. Se infatti si vanno a leggere le dichiarazioni e gli studi degli economisti di qualche anno fa, quanti avevano previsto che il dollaro avrebbe sfondato la barriera di 1,6 euro? E quanti, ancora, avevano pronosticato che, nonostante l euro forte, l export delle aziende italiane teoricamente svantaggiate nel biennio sarebbe addirittura aumentato? E, più indietro nel tempo, quanti avevano immaginato che il passaggio dalla lira all euro avrebbe prodotto una fortissima inflazione, penalizzando i consumi interni? Pochi, forse nessuno. La forza della valuta europea pone agli imprenditori italiani alcune domande importanti. Per quanto tempo continuerà ancora? È un vantaggio oppure no? E, se sì, per chi? E quali sono le strategie migliori per cavalcarla? Noi non siamo economisti, in grado di formulare strategie e visioni a 360 gradi. O di scrivere studi. Siamo consulenti, con un approccio pratico, teso alla risoluzione dei problemi dei nostri clienti. Su questi temi, pertanto, vi proponiamo alcuni appunti, formalizzando l esperienza accumulata in molte situazioni. Eccoli. Appunto numero uno Il made in Italy paga L euro forte costringe chi esporta a operare in condizioni sfavorevoli. Un vero e proprio slalom fra ostacoli di ogni tipo. Pertanto, sarebbe stato logico prevedere una grande sofferenza per l export italiano. Invece è accaduto il contrario. I dati del 2006 e del 2007 evidenziano come l economia italiana abbia dato segni di ripresa grazie soprattutto alla crescita dell export in settori tradizionali come abbigliamento, moda, arredamento, alimentari, apparecchiature industriali. Il recupero di competitività si è tradotto nel sorpasso dell Italia su Francia e Regno Unito nell export verso i paesi extra UE. Ma questo fatto è da considerarsi strutturale, ossia distribuito su tutto il tessuto imprenditoriale, oppure è frutto di alcune eccezioni che non fanno sistema? Che cosa è necessario per renderlo sostenibile nel tempo? È ancora troppo presto per fornire risposte certe, i dati però consentono spunti di analisi utili a rendere più chiaro il fenomeno. Una prima evidenza si ha dall analisi dei settori che hanno avuto maggiore successo: tutti comparti legati a una tradizione centenaria, brand del made in Italy riconosciuti nel mondo. Prodotti posizionati nelle fasce alte/altissime del mercato, con ottime marginalità dovute all originalità e a un elevato grado di innovazione. Qui sta una delle chiavi per creare valore sostenibile nel tempo, e questa è la strada che le aziende devono perseguire.

5 5 Taccuino di appunti su internazionalizzazione e strategie da seguire per cavalcare l onda dell economia globale. Invece di esserne sommersi... Appunto numero due Innovare per non farsi copiare. E non solo... La maggior parte dei prodotti che hanno fatto decollare le esportazioni nel biennio o sono già stati copiati oppure lo saranno a breve. Assisteremo presto probabilmente in alcuni mercati e per alcuni prodotti è già avvenuto all arrivo di imitazioni a prezzi notevolmente più bassi e con caratteristiche qualitative, tecniche e di prestazioni apparentemente simili. I consumatori meno esigenti e con minore capacità di spesa, che oggi rappresentano la maggioranza, saranno tratti in inganno. Già tutto finito allora? Probabilmente sì, se le nostre aziende non hanno compreso che la chiave del loro successo è la continua innovazione: essere sempre almeno due anni avanti la concorrenza. Questa è una delle poche soluzioni sicure che renderà le nostre imprese e l intero sistema Paese competitivi, capaci cioé di giocare il ruolo che loro spetta per storia, inventiva e prontezza nel rispondere alle sfide. E qui non contano, o comunque non sono fattori determinanti, l euro forte o debole, il petrolio che cresce e i trasporti sempre più cari. Paradossalmente, questi sono vantaggi competitivi perché andranno ad impattare soprattutto sui prodotti a bassa marginalità espellendoli dal mercato. L innovazione favorisce la competitività anche in vari altri modi. È necessario quindi ampliare il significato classico di innovazione connesso allo sviluppo di prodotti, estendendolo a tutta la catena del valore aziendale a partire dalla strategia,

6 6 L dei analisi trend storici indica chiaramente che fino a oggi l Italia non è riuscita a invertire il lento ma progressivo declino economico rispetto alla crescita dei principali competitor europei fino all organizzazione e ai processi. Innovazione per produrre distintività. Le aziende devono quindi continuamente innovare per distinguersi, sia in termini di prodotto che di processo e, soprattutto, guardare sempre avanti dominando tutte le variabili di scenario. Innovare come processo continuo, intuire i trend e cavalcarli con il maggior anticipo possibile. Come ha fatto Novamont, la cui storia è raccontata su questo numero di Globnews. Appunto numero tre Non cadere nella trappola dei prezzi! L inizio del declino della competitività dell Italia risale ai primi anni 70 e non ha conosciuto alcuna inversione di tendenza da allora: nel 2007 il Paese si è collocato al 46 posto su 131 nella classifica del World Economic Forum. Dal 1971 al 2006 la crescita della produttività è crollata dal 5% allo 0,5% annuo, trascinando con sé la quota di mercato mondiale, calata dal 5% La crescita relativa del Pil procapite dell Italia, Crescita in Italia meno crescita media (Fra, Ger, UK, Spa) 0,04 0,03 0,02 0,01 0 0,01 0,02 0,03 0, Fonte: F. Daveri, Innovazione cercasi, Roma-Bari, Laterza, 2006 (aggiorrnamento ai dati 2006) circa degli anni 80 al 3,7% del 2006; (fonte OCSE). L incremento delle esportazioni che si è verificato nell ultimo biennio purtroppo non modifica questo dato strutturale. L analisi dei trend storici indica chiaramente che fino a oggi l Italia non è riuscita a invertire il lento ma progressivo declino economico rispetto alla crescita dei principali competitor europei (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna). Il tasso di crescita dell economia italiana è diminuito di circa 1 punto percentuale ogni decennio dal 1950 a oggi: crescevamo del 5,5% negli anni 50, adesso siamo allo 0,5%. Inoltre, analizzando la crescita relativa dell Italia, appare chiaro come la performance sia inferiore a quella degli altri grandi paesi europei. L adesione all unione monetaria europea ha ridotto principalmente la volatilità dei cambi, non il tasso reale, che si collocava storicamente su un livello basso e si è ulteriormente deprezzato dopo il Di fatto, l euro ha privato l Italia della possibilità di ricorrere a svalutazioni competitive che avevano effetti di breve periodo sull economia nazionale, ma in cambio ha reso più stabile il quadro competitivo favorendo gli investimenti; un opportunità che purtroppo non è stata sfruttata dalle nostre imprese, le quali hanno riversato la perdita di competitività sui consumatori attraverso l aumento dei prezzi. Si è così assistito in questi ultimi anni al crollo della domanda interna a seguito di un inflazione reale che nessun governo si è mai sognato di certificare, dovuta alla speculazione sui prezzi avvenuta nel primo anno di passaggio dalla lira all euro. Di fatto, questo ha portato a un cambio percepito di 1 euro pari a lire, dimezzando dalla sera alla mattina il potere d acquisto delle famiglie italiane. Il drastico calo della domanda interna, unito al raddoppio dei prezzi al consumo, ha creato in Italia un gigantesco spazio di mercato per prodotti a bassa qualità e prezzo conveniente, con conseguente ulteriore depressione dei già risicati margini economici delle aziende italiane. L italiano medio non si preoccupa più di mangiare pelati

7 7 provenienti dalla Cina, senza nessuna garanzia di qualità, o olio extra-vergine d oliva proveniente dalla Grecia o dalla Tunisia. Il prezzo è giocoforza diventato l unico parametro vincente nell economia quotidiana della maggior parte degli italiani. Il sistema produttivo italiano, abituato a ben altri scenari competitivi, si è trovato totalmente spiazzato. La necessità di ripensare in tempo reale strategie e opzioni produttive ha messo in crisi le aziende, oltretutto inserite in un contesto burocraticolegislativo di riferimento tra i più complessi e farraginosi tra i Paesi evoluti. Il tessuto produttivo ha incominciato a frazionarsi, ognuno è andato per la propria strada, sono mancate una visione e una guida comune su come uscire dall impasse. Alcuni hanno tentato di seguire una strada al ribasso, con qualità e prezzi in picchiata, ma sono naufragati davanti ai costi italiani dei principali fattori produttivi, dal lavoro all energia. Hanno allora pensato di delocalizzare in paesi a basso costo di manodopera, pratica già in voga dagli anni Novanta ma finalizzata non tanto alla sopravvivenza dell impresa quanto al miglioramento di performance economiche già di per sé sostenibili. Anche in questo caso, tuttavia, non hanno creato un vantaggio competititivo rispetto agli altri, ma spesso sono andati a sostituire i concorrenti già ripartiti alla ricerca di paesi con costi sempre più bassi, in un giro del mondo poco sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale. Anche qui poche vie d uscita. Altri ancora pochi per la verità hanno ragionato in modo più lungimirante: analizzando le cause del declino, hanno disegnato nuovi scenari e cercato la via per competere non al ribasso ma al rialzo. Hanno abbandonato la gara sui prezzi focalizzandosi sulla qualità, investendo, innovando e migliorando, aprendosi in maniera responsabile ai mercati esteri, intesi non solo come mucche da mungere sui fattori di costo, ma soprattutto come strumenti potenziali di crescita in termini di margini e ricavi. Insomma, avanza una specie rara di imprenditori che si qualificano per l accurato studio di Paesi e dei mercati e una visione dell internazionalizzazione intesa come capacità di integrarsi nel tessuto economico, sociale e ambientale del Paese contribuendone alla sua crescita sostenibile. Oltre che per strategie di prodotto e marketing specifiche, che hanno consentito ai più illuminati di invertire la tendenza e rientrare nella competizione mondiale. Appunto numero quattro Sfatare il mito della specializzazione produttiva Un altro luogo comune è che le difficoltà dipendono da un errata specializzazione produttiva. I sostenitori di questa tesi ritengono che la globalizzazione abbia esposto alla concorrenza internazionale soprattutto i settori tradizionali, dove maggiore è la competitività dei Paesi a basso costo di manodopera. Se questo fosse vero però non si spiegherebbe la mini ripresa del biennio Recentemente alcuni economisti Hanson, Mataloni e Slaughter, Ando e Kimura, Amiti e Way hanno fornito una diversa lettura delle dinamiche competitive globali, che contiene interessanti spunti di riflessione per lo sviluppo di strategie aziendali finalizzate a rispondere alle minacce e cogliere le opportunità offerte dall internazionalizzazione dei mercati. La prima fase della globalizzazione è stata innescata dalla riduzione dei costi di trasporto che ha reso possibile la produzione dei beni lontano dai mercati di consumo. Questa fase ha effettivamente investito soprattutto i settori più esposti alla concorrenza dei Paesi con basso costo del lavoro. In questa situazione risultavano vincenti le strategie che puntavano ad allargare il gap tecnologico tra le produzioni. Negli ultimi 10 anni le innovazioni tecnologiche hanno consentito una drastica riduzione dei costi delle telecomunicazioni e la semplificazione dei processi di coordinamento. Questo fenomeno ha originato la seconda ondata della globalizzazione che sta investendo la catena del valore delle produzioni, traducendosi nella possibilità di delocalizzare alcune fasi delle attività, non solo manifatturiere ma anche dei servi- Specie rara di imprenditori che si qualificano per l accurato studio di Paesi e dei mercati e una visione dell internalizzazione intesa come capacità di integrarsi nel tessuto economico, sociale e ambientale del Paese contribuendone alla sua crescita sostenibile La prima fase della globalizzazione è stata innescata dalla riduzione dei costi di trasporto che ha reso possibile la produzione dei beni lontano dai mercati di consumo

8 8 Competere nel mondo significa innovare continuamente, puntare sull alta qualità, produrre beni a maggior valore aggiunto, seguire le evoluzioni del mercato, prevedendole in anticipo e cavalcandole zi. Oggi un impresa può scegliere se trasferire in India le sue attività informatiche, in Irlanda la divisione dei servizi alla clientela, in Ungheria la gestione amministrativa e del personale. Questa nuova fase è imprevedibile risulta molto difficile capire dove cadranno le barriere e quali attività della catena del valore saranno coinvolte ed è improvvisa: una fase della lavorazione che fino a pochi anni fa era considerata non a rischio, come la progettazione software, oggi può essere tranquillamente trasferita in India. Non riguarda imprese o settori, ma competenze, quindi impatta soprattutto sui modelli organizzativi delle aziende. E richiede grande capacità di risposta a domande non programmate, che il mercato può sottoporre in qualsiasi momento. In altre parole: flessibilità estrema. Appunto numero cinque Tra tutti i capitali, è quello umano ad avere il maggiore rendimento Per reggere la competizione internazionale, oggi non basta più l artigiano intel- Esportazioni per classe dimensionale di impresa ligente, un po più evoluto degli altri, furbo e gran lavoratore che aveva successo nel tempo che fu. Occorre saper gestire aziende complesse che operano su mercati con regole e culture molto diverse. Qui gioca un ruolo importante il Sistema Paese, che deve produrre Capitale Umano con le conoscenze e le competenze richieste. E questo in Italia non sta avvenendo nei tempi richiesti dai mercati. Ergo, le imprese devono investire e provvedere in autonomia anche a questo aspetto fondamentale. L impresa deve essere presidiata da dirigenti e ricercatori di alto livello, ben preparati, remunerati, motivati e in continuo aggiornamento. Insomma, da risorse umane eccellenti. Far sì che le Risorse Umane ritornino a essere il motore di innovazione continua dell azienda rappresenta tra l altro l unica risposta possibile al sempre più delicato aspetto del mercato del lavoro legato alla stabilizzazione dell impiego. Invece, ancora adesso moltissime aziende italiane risultano intrappolate nella spirale perversa che deprime la crescita in base allo schema secondo il quale la bassa offerta di manodopera qualificata alimenta un modello obsoleto di specializzazione: la produzione di beni tradizionali da parte di reti di piccole imprese. Per evolvere, pertanto, occorre assumere personale qualificato, lasciargli spazio e risorse da investire, aumentare il livello di delega. Una cultura aziendale e un modo di operare che anche la media impresa a capitale famigliare può adottare, magari con la necessaria gradualità Appunto numero sei Per andare all estero ci vogliono gambe solide addetti Fonte: Come sta cambiando l Italia - avv ediz. Il Mulino addetti e oltre addetti milioni di Euro Il grafico pubblicato in questa pagina evidenzia come le imprese con più di 500 addetti esportino quasi il doppio di quelle appartenenti alle classi dimensionali inferiori. Una ricerca di Confindustria ha segmentato la situazione per

9 9 ciascun mercato di riferimento. Le micro-imprese alimentari esportano in media il 5,2% del fatturato; le piccole il 25,6%; le medie il 29,7%; le grandi il 39,5%. Per fare un altro esempio scelto, le micro-imprese attive nel conciario esportano il 6,5% del loro fatturato, le grandi il 37,3%. Nel tessile e abbigliamento, le piccole aziende esportano il 16,8%, le grandi il 54%. Questi dati non stupiscono affatto. Insomma, per andare all estero bisogna avere gambe solide. L imperativo è uno solo: crescere. Diventare grandi, sì, ma quanto? Quanto basta per essere distintivi sul proprio mercato, il che non vuol dire grosso ma vincente e capace di fare qualcosa di speciale. Non tutti possono essere leader del proprio mercato. Ma ogni azienda può ragionare per essere distintiva e in questo modo competere da leader pur non essendolo. Questa è una delle gambe solide che rafforza il posizionamento, garantisce visibilità e risultati coerenti con le dimensioni. La crescita nei mercati internazionali va anche di pari passo con la disponibilità di risorse da investire nei processi di internazionalizzazione. Il contesto competitivo globalizzato e la maggiore lontananza e complessità dei mercati di sbocco, richiedono infatti costi fissi elevati, che possono essere affrontati solo da imprese medio-grandi. Inoltre, un processo di internazionalizzazione comporta livelli di investimento ben più consistenti di quelli necessari per un attività di mera esportazione. Ma non tutte le attenzioni sono da dedicare all esterno dell azienda: la crescita è anche legata a un importante adeguamento dei modelli organizzativi e di governance. Le aziende che riescono più facilmente a ricorrere al capitale di rischio e alle forme avanzate di finanziamento reperibili sul mercato sono evidentemente avvantaggiate rispetto alle tradizionali imprese famigliari, che fanno leva soprattutto sull autofinanziamento e sul credito bancario. E per concludere Siamo convinti che le imprese italiane possano ancora giocare un ruolo rilevante sulla scacchiera mondiale, a patto che accettino il fatto che i driver di crescita sono cambiati. Innovazione nel senso più esteso del termine e Capitale Umano sono le due principali chiavi sulle quali costruire il proprio posizionamento sui mercati, con l obiettivo di essere distintivi e vincenti. Il tempo delle scuse e delle giustificazioni è terminato. Il tessuto imprenditoriale italiano è vivo e competitivo e il mercato è ricco di sfide esaltanti. E Global Strategy ha molto da offrire alle aziende che intendono raccoglierle.

10 10 Made in Italy alla riscossa di Michele Polo Michele Polo, direttore del Dipartimento di Economia Ettore Bocconi «L economia italiana deve ritrovare motivazione e slancio. Lo potrà fare se accetterà la sfida dell innovazione e le potenzialità dei nuovi mercati» L adesione dell Italia all euro all inizio di questo decennio ha profondamente modificato il quadro delle compatibilità e degli strumenti a disposizione della politica economica e delle strategie aziendali. La tradizionale ricetta che affidava a periodiche svalutazioni della lira il compito di ridare competitività alle nostre merci sui mercati internazionali veniva a mancare. Le politiche fiscali, tra cui quelle relative alle varie forme di incentivazione alle imprese, venivano riportate sotto i vincoli di compatibilità del Patto di Stabilità perdendo molti gradi di libertà. Infine la politica monetaria si trasferiva da Roma a Francoforte, sotto la regia della Banca Centrale Europea. Le performance dell economia italiana, sia guardando al tasso di crescita del PIL che alla quota sull export mondiale, sono state in questi anni al di sotto di quelle dei nostri principali partner europei, registrando una crescita media inferiore a quella di Francia e Germania e un arretramento nei mercati mondiali. Negli ultimi due anni si sono aggiunti a questo quadro di difficoltà la forte crescita nella quotazione dell euro, che attualmente oscilla tra 1.4 e 1.6 sul dollaro, e il rapidissimo aumento nel prezzo dei prodotti petroliferi. Da ultimo, gli equilibri economici mondiali vedono profondi e irreversibili cambiamenti con la crescita impetuosa dell economia cinese, i forti progressi di quella indiana e l affacciarsi sull arena internazionale di nuovi protagonisti come il Brasile. Le nuove sfide della globalizzazione rappresentano un terreno difficile e impegnativo per il sistema produttivo italiano. Sui conti delle imprese esportatrici pesano elevati costi. Tra questi, oltre al tradizionale riferimento al costo del lavoro e ai forti oneri fiscali e contributivi, vanno segnalati i differenziali che le imprese sopportano rispetto ai propri concorrenti internazionali su tutta una serie di servizi, da quelli professionali ai trasporti ai servizi energetici e di telecomunicazione, nei quali i processi di liberalizzazione sono ancora in parte incompiuti e le incrostazioni di rendite di posizione si traducono in maggiori oneri per le imprese che tali servizi utilizzano. La sfida della globalizzazione richiede anche una elevata capacità di anticipare e realizzare i necessari processi di ristrutturazione. L euro forte, se penalizza sui mercati esteri di sbocco, rappresenta una preziosa opportunità di contenimento dei costi per le merci importate. Le imprese sono quindi chiamate a riorganizzare i propri processi produttivi spostando gli acquisti di materie prime e semilavorati nell area del dollaro, per beneficiare del cambio forte, e verso Paesi emergenti caratterizzati da bassi livelli di prezzo. Ma la ristrutturazione richiama a più ampi processi innovativi che debbono identificare i punti di forza del sistema produttivo italiano, tradizionalmente sbilanciato verso settori a bassa tecnologia, verso soluzioni innovative e ad alto valore aggiunto. I grandi processi di globalizzazione si presentano infatti con due facce. Da un lato le imprese italiane subiscono la concorrenza dei Paesi emergenti, che oramai evidenziano una capacità di imitazione di molti dei prodotti del sistema Italia. Ma la crescita prorompente di

11 11 Dal suo privilegiato osservatorio, il direttore del Dipartimento di Economia dell Università Bocconi descrive le condizioni internazionali, tutt altro che facili, in cui si devono muovere le imprese italiane. E suggerisce le strategie che devono adottare per volgere le difficoltà a proprio vantaggio grandi Paesi come la Cina e l India costituisce anche una formidabile occasione per le esportazioni delle imprese italiane su questi mercati di sbocco. I nostri principali partner europei hanno intuito da molti anni le potenzialità di quei Paesi quali mercati di sbocco, organizzando una preziosa regia attraverso politiche pubbliche di promozione e rappresentanza. E le grandi imprese francesi e tedesche sono tra gli attori importanti nelle aree emergenti. L Italia ha un ritardo significativo in questi processi. In parte dovuto a una scarsa lungimiranza delle politiche pubbliche. Ma l handicap che caratterizza il sistema produttivo italiano è prima di tutto rappresentato dalle dimensioni aziendali molto piccole di gran parte del tessuto industriale. Le sfide della globalizzazione, la conquista dei mercati emergenti difficilmente possono essere promosse da microimprese con pochi addetti, senza un supporto dalle politiche pubbliche per affacciarsi su mercati sino ad oggi poco conosciuti. La sfida riguarda sia il mondo delle imprese che le politiche pubbliche. Le tradizionali realtà dei distretti sono chiamate ad un nuovo compito, dopo la ristrutturazione e il decentramento produttivo realizzato nei primi anni dell euro. Il compito di coordinare e promuovere le politiche innovative dei piccoli attori locali, di fornire servizi reali a sostegno dell esportazione nei nuovi mercati. Su questi terreni le politiche pubbliche sono chiamate a loro volta a un compito difficile. Assieme alla prosecuzione delle politiche di liberalizzazione, che incidono principalmente nei settori dei servizi, e quindi sui costi delle imprese industriali, è necessario sviluppare una politica industriale che sappia sostenere i processi innovativi e l espansione delle imprese italiane sui nuovi mercati. Una politica di tipo orizzontale che abbandoni la vecchia logica dei sussidi a pioggia e incida invece sulle funzioni cruciali per vincere la gara della globalizzazione. L economia italiana deve ritrovare una motivazione e uno slancio che la allontanino dai bassissimi tassi di crescita di questi anni. Lo potrà fare se saprà prima di tutto evitare le sirene del protezionismo, che promettono di difenderci dallo tsunami della globalizzazione erigendo illusorie dighe di sabbia. Lo potrà fare se accetterà la sfida dell innovazione e le potenzialità dei nuovi mercati. In questo le imprese sono chiamate a riflettere ed affrontare i nodi strutturali che ne frenano la crescita e le politiche pubbliche debbono saper individuare gli strumenti utili in questo processo.

12 12 Il paradosso dell euro forte Intervista a Mario Zanone Poma Mario Zanone Poma Presidente di Mediocredito Italiano «Competere per il futuro significa creare costantemente nuove fonti di profitto» C.K. Prahalad «All inizio il trend dell euro forte è sembrato uno shock assoluto, un ulteriore vincolo per la competitività delle nostre imprese, già penalizzate da una pluralità di fattori. Poi, a due anni di distanza, ho visto che in realtà si è spesso rivelato uno stimolo che ha fatto loro bene. Le ha spinte a migliorare per essere più competitive, a innovare, a posizionarsi su prodotti e servizi di gamma alta. In gergo sportivo, l euro forte è stato un ottimo coach». Parola di Mario Zanone Poma, manager di molta esperienza e molte competenze sui temi legati all internazionalizzazione. Oggi è presidente di Mediocredito Italiano e della Camera di Commercio Italo- Cinese, oltre che consigliere di amministrazione in varie società. In passato ha avuto incarichi operativi ai vertici di grandi aziende, la più nota delle quali è stata Telepiù. «L esperienza degli ultimi due anni ha insegnato che in questo mercato globale chi sa cogliere le opportunità è in grado di rafforzarsi e di porre le basi per un futuro migliore. L apprezzamento dell euro ha anche contribuito ad alcune forme di internazionalizzazione come la delocalizzazione della produzione, che ha consentito di ridurre i costi e di migliorare la competitività. In questo senso possiamo dire che il cambio ha, spesso, indotto ad anticipare cambiamenti che erano comunque inevitabili. In più, la moneta unica assicura stabilità al sistema e mantiene il costo del denaro a un livello accessibile per le imprese. Dobbiamo anche ricordare che, in una fase in cui il prezzo del petrolio e del gas hanno raggiunto i massimi storici, il cambio ha consentito di contenere i costi alle imprese con un elevato livello di utilizzo di energia. Se andiamo a vedere che cosa è successo, le aziende che hanno saputo riposizionarsi tempestivamente» prosegue Zanone Poma, «hanno migliorato la loro competività anche su mercati che, sotto il profilo del costo sembravano improponibili quali i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Pensiamo poi alla Cina, che conosco bene: un azienda che riesce a vendere in Cina merita rispetto perché è riuscita a riposizionarsi bene sia dal punto di vista del prodotto che del prezzo. Un caso di eccellenza: Zegna che ha convinto i cinesi ad aspirare al top della moda, dello stile, del savoir vivre». D. Come presidente di Mediocredito Italiano, lei conosce a fondo la strategia e l evoluzione delle medie imprese italiane: come vede l euro forte e l impatto di Basilea 2? R. «Mediocredito Italiano è presente da oltre 50 anni nell ambito del finanziamento per le piccole e medie imprese. Da quest anno tale ruolo è ulteriormente potenziato grazie ai benefici derivanti dalla fusione fra Intesa e Sanpaolo IMI, che ha permesso di capitalizzare l esperienza di due tra i principali gruppi bancari italiani. Si configura così un nuovo ruolo per la nostra società, vicina ai territori e alle imprese che li animano. Sulla stampa, il livello del cambio euro/dollaro è quotidianamente segnalato come il principale problema per le imprese che esportano ma in realtà il 2007 è stato un anno record per le esportazioni italiane, con una crescita trainata proprio dai prezzi anche sui mercati dell Europa dell Est e dell Asia. Inoltre, un euro forte significa che l economia europea sta meglio di quella sta-

13 13 Molti pensano che il dollaro debole abbia prodotto solo danni. Errore! Per le migliori aziende è stato uno stimolo a diventare più competitive, abbassando i costi e innovando tunitense. Per quanto riguarda Basilea 2, penso che rappresenti l opportunità di mettere gradualmente ordine nel nostro sistema imprenditoriale, incentivando le imprese a dotarsi di mezzi finalmente adeguati per affrontare le sfide della globalizzazione. Non sarà quindi solo un elemento di selezione, ma anche il faro che potrà guidare le politiche aziendali». D. In che modo cercate di essere vicini alle imprese che sono alle prese con questi cambiamenti? R. «Con una consulenza che vada oltre gli aspetti finanziari tradizionali. Oggi una banca come la nostra è in grado di affiancare il cliente nella definizione di strategie di innovazione e poi di finanziarle. Il nostro valore aggiunto va in questa direzione, tanto che abbiamo ingegneri che si occupano di tecnologie e prodotti e non solo di finanza e basta. Le aziende non hanno bisogno solo di soldi, ma di una presenza affidabile, che fornisca loro elementi concreti sulla base dei quali impostare strategie e linee d azione per internazionalizzarsi». D. Quali cambiamenti stanno provocando due anni di valuta forte? R. «La moneta forte ha senza dubbio penalizzato alcuni esportatori. Le imprese italiane, e in particolare le PMI, hanno però da sempre la loro forza nella capacità di adattamento e nella flessibilità. In tal senso possiamo dire che il sistema imprenditoriale ha colto questi segnali orientandosi verso nuovi mercati e verso una diversificazione della produzione, con uno spostamento sulle fasce alte di mercato. È pur vero che, nel medio periodo, le imprese non potranno esimersi dall affrontare il tema del miglioramento della competitività e, quindi, da maggiori investimenti in innovazione, fondamentali per restare in gioco nei prossimi anni. L altra opportunità sta nella valorizzazione dei settori con forte tradizione e peculiarità, che rappresentano un patrimonio per l Italia. Mi riferisco all agroalimentare, alla moda, all artigianato di qualità, eccetera, nei quali le nostre imprese da sempre si collocano in una fascia alta. Per questi settori, in realtà, la globalizzazione significa accesso a nuovi e più ampi mercati». Esportazioni per macroarea Nord Ovest Fonte: Invind Nord-Est Centro, Sud e Isole milioni di Euro

14 14 La soluzione non si trova solo nelle dimensioni. Quello che farà la differenza sarà soprattutto il modello organizzativo delle imprese D. Quali settori industriali sono stati più penalizzati dall euro forte? R. «Sicuramente la meccanica, le piastrelle e il sistema moda, quelli cioé con un elevata propensione a esportare verso aree con valute legate al dollaro. Ma su questi mercati il problema del cambio non è l unico. Ciò che desta più preoccupazione è il rallentamento dell economia statunitense e, in particolare, la contrazione della domanda e dei consumi. Comunque le imprese hanno già dovuto confrontarsi con questo e la soluzione è stata diversificare i mercati di sbocco e il posizionamento della produzione». D. Che cosa possono fare i governi per tutelare le proprie imprese dalla competizione sleale e dalle contraffazioni dilaganti? R. La contraffazione è in effetti un fenomeno crescente che penalizza in modo parti- colare alcuni settori core dell economia italiana, come la moda. Gli effetti negativi sono molteplici sui produttori e anche sui consumatori, che spesso acquistano prodotti fabbricati senza considerare le norme a tutela della salute e della sicurezza. E si pensi ai medicinali! Le azioni per contrastare il fenomeno, spesso promosse su iniziativa degli imprenditori, sono aumentate, ma la lotta deve innanzitutto basarsi sul rispetto delle norme già esistenti e sul rafforzamento dei controlli. È inoltre opportuno che i diversi organi dello Stato coordinino al meglio le proprie iniziative con quelle delle associazioni di categoria, in un quadro che deve sempre più assumere respiro internazionale. Ovviamente, non si devono trascurare attività di sensibilizzazione per sviluppare una vera cultura anti-contraffazione che riguardi tutti (produttori, consumatori, enti), visto che questo fenomeno tutti danneggia». D. Quali sono, a suo parere, i fattori che le medie imprese italiane dovrebbero valutare con maggiore attenzione nello scegliere i Paesi sui quali puntare per internazionalizzarsi? R. «Gli elementi sono diversi. Bisogna innanzitutto tenere conto delle prospettive di sviluppo e dei rischi politici e sociali dei Paesi verso cui ci si orienta. Sono valutazioni spesso complesse, ma trascurarle può portare a scelte pericolose. Le imprese italiane ne hanno consapevolezza e a volte la decisione finale diventa quella di abbandonare i progetti, perdendo grandi opportunità. Ci sono casi di piccole imprese che hanno tentato di internazionalizzarsi e hanno fallito. È fondamentale che tutto il sistema supporti le PMI in questo processo, dalle istituzioni nazionali e comunitarie alle associazioni di categoria, oltre ovviamente al sistema bancario». D. Parliamo della Cina, che come presidente della Camera di Commercio Italo- Cinese lei ben conosce: qual è il modo giusto di affrontarla? R. «La Cina ha rappresentato, negli ultimi anni, il fattore dominante sulla scena eco- nomica mondiale. Un paese con più di 1 miliardo di abitanti e con un PIL che cresce a ritmi vertiginosi rappresenta un elemento di discontinuità straordinaria e anche la sfida più interessante per aziende alla ricerca di nuovi spazi di crescita. I cambiamenti in atto nello stile di vita, l urbanizzazione, la crescita del potere d acquisto dei cinesi rappresentano opportunità straordinarie per le imprese occidentali, che le PMI italiane non stanno ancora sfruttando al meglio. Finora sono state avvantaggiate le imprese dedicate ai beni per la produzione, come i macchinari per l industria. Oggi il quadro economico è cambiato e si aprono nuovi scenari favorevoli per chi produce beni di consumo. Per avere successo in questo contesto è necessario riuscire a vendere il proprio prodotto posizionandolo correttamente, affermando il proprio marchio. Per le imprese italiane l obiettivo è ancora quello di collocarsi nella fascia alta di mercato, operando le scelte corrette in materia di strategia distributiva». D. Quali sono gli errori più comuni degli imprenditori che affrontano il mercato cinese? R. «Spesso, le imprese italiane non hanno saputo cogliere le opportunità che si presentavano perché troppo orientate a raggiungere risultati di breve periodo. Sono state certamente penalizzate dalle loro ridotte dimensioni, che le privavano di importanti risorse da investire nel controllo e nella gestione del processo produttivo, nella logistica, nella distribuzione e nel servizio post-vendita. In generale è mancata una pianificazione nel medio periodo degli investimenti. A volte ci si è limitati a creare uffici di rappresentanza. Né si possono trascurare le differenze culturali, ambientali e sociali: non si può prescindere dal creare organizzazioni locali che siano costituite principalmente da cinesi, e grande importanza va perciò data alle attività di recruiting e di formazione, che sono strategiche. Chi riuscirà a sviluppare i migliori manager locali e a trattenerli nel tempo avrà le maggiori probabilità di successo».

15 D. Considera che anche l Est Europa offra ancora interessanti opportunità per le imprese italiane che vogliono internazionalizzarsi? R. «È senza dubbio questa la zona in cui si sono finora concentrati gli sforzi delle imprese italiane agevolate dalla vicinanza logistica e culturale. Negli ultimi anni l Est Europa è anche divenuto un fantastico mercato di sbocco per le produzioni italiane. L innalzamento del potere di acquisto di una quota sempre maggiore della popolazione si sta, infatti, riflettendo in una crescente domanda di beni di consumo prodotti in Italia. Una conferma in tal senso viene dagli ultimi dati disponibili sui flussi di commercio estero: nel 2006 l Est Europa ha assorbito quasi il 15% delle esportazioni dei distretti industriali italiani. Vorrei citare, in particolare, lo straordinario successo che stanno ottenendo le imprese italiane sul mercato russo e polacco». D. Come risolvere il problema delle piccole dimensioni che non consentono di avere le risorse necessarie per internazionalizzarsi? R. «Il problema non sta solo nelle dimensioni. A fare la differenza sarà soprattutto il modello organizzativo delle imprese. È chiaro che sarà necessario un uso più intenso del capitale e ciò non potrà avvenire soltanto da una crescita interna, ma dovrà passare attraverso processi di aggregazione. I consorzi e le diverse forme di associazione possono rappresentare una soluzione ed è senza dubbio auspicabile la loro diffusione. Ma bisogna anche che cresca una cultura comune e che prevalga la volontà di fare sistema nei confronti dell estero, con un maggior livello di trasparenza tra le imprese di uno stesso distretto. Per reperire i fondi necessari ad affrontare le sfide future sarà fondamentale moltiplicare le fonti di finanziamento, affiancando al tradizionale credito bancario anche altre soluzioni, dai fondi di private equity a un mercato di capitali dedicato alle PMI come il MAC». D. Ancora una battuta: nella situazione attuale, internazionalizzarsi è proprio 15 necessario o si possono trovare alternative valide restando all interno dei confini nazionali? R. «Ognuno di noi è un consumatore e può comprendere come sia cambiata l offerta che quotidianamente ci viene presentata. Oggi, probabilmente, guardiamo le produzioni asiatiche con meno diffidenza rispetto al passato, anche perché dobbiamo riconoscere che la loro qualità è migliorata. Questi sono cambiamenti culturali dai quali non possiamo prescindere, cui si sommano altri mutamenti nelle scelte dei consumatori: si pensi al valore che viene dato alle produzioni biologiche nell alimentare o al design. Le scelte fondamentali devono essere fatte a monte e hanno a che fare con l innovazione, la qualità dei prodotti, l aumento della competitività, il recupero della tradizione nelle aree di eccellenza, e così via. L eventuale decisione di internazionalizzare va inserita in questo contesto e deve essere finalizzata ad ampliare i mercati di riferimento o a ottimizzare le fasi produttive, ma non è assolutamente scontato che questo debba valere per ogni impresa o per ogni settore. L importante è pensarci e non trascurare questa ipotesi». Oggi probabilmente guardiamo le produzioni asiatiche con meno diffidenza rispetto al passato, anche perchè dobbiamo riconoscere che la qualità di questi prodotti è migliorata Esportazioni italiane per alcuni macrosettori Settori tradizionali Fonte: Invind Meccanica Mezzi di trasporto Chimica, gomma e prodotti petroliferi milioni di Euro

16 16 Novamont, una rivoluzione internazionale Catia Bastioli, Amministratore Delegato di Novamont «Le persone eccezionali riescono a vedere non ciò che è possibile o probabile, ma ciò che è impossibile. E visualizzando l impossibile, iniziano a renderlo possibile» Cheri Carter-Scott Novamont ha sede a Novara e realizza il 70% del suo fatturato sui mercati esteri. Il suo approccio all internazionalizzazione è talmente innovativo che merita di essere raccontato in questo numero di Globnews dedicato alle strategie delle aziende per superare i confini domestici. Prima di entrare nei dettagli, è però necessario un passo indietro, spendendo qualche parola sul concetto di innovazione e raccontando chi è e che cosa fa Novamont. L innovazione è la capacità di pensare ciò che nessun altro ha mai pensato. Per le aziende si tratta di qualcosa di vitale. L innovazione, infatti, è la forza trainante della competitività, della crescita, della redditività e della produzione di valore sul lungo periodo. Novamont è una delle aziende più innovative che esistono in Italia. Nata nel 1989 come Fertec nell ambito dell allora Montedison, la società guidata da Catia Bastioli ha conquistato la notorietà internazionale grazie al brevetto del suo prodotto di punta, il Mater-Bi, una sostanza assai simile alla plastica ma biodegradabile (contiene amido di mais, grano e patata). Il Mater-Bi viene utilizzato per produrre le borse per la spesa nei supermercati, sostituendo quelle tradizionali in plastica che, come è noto, sono fonte di inquinamento se disperse nell ambiente. Gli shopper peraltro sono solo uno dei tanti impieghi possibili del Mater-Bi. Questo materiale rivoluzionario può essere usato, ad esempio, per produrre vaschette termoformate soffici e sottili, utili a proteggere frutta delicata come pere e uva. Ma anche per realizzare sacchi che contengono l umido per il compostaggio domestico (di grande successo in Inghilterra, dove le buste finiscono in giardino e diventano humus) oppure teli per la pacciamatura agricola. O ancora, confezioni per cereali, piuttosto che per un infinità di impieghi diversificati. Novamont, che ogni anno cresce e produce utili sempre più interessanti, è anche un valido esempio di come un approccio sostenibile, eco-compatibile ed etico al mondo dell impresa non sia una faccenda da filantropi o anime belle, ma possa produrre valore per gli azionisti in misura consistente. Tuttavia, non è questa la ragione per la quale abbiamo deciso di occuparci di Novamont su questo numero di Globnews: in questa sede ci interessa soprattutto raccontare l approccio estremamente innovativo con il quale l azienda affronta i mercati extra-italiani. «Molte imprese si danno una strategia internazionale ragionando in modo tradizionale: cercano di vendere il più possibile il loro prodotto e pianificano sulla base di parametri consueti, ad esempio i rapporti di cambio dollaro/euro», spiega Catia Bastioli. «La nostra visione è radicalmente diversa. Noi pensiamo in ottica di sistema». D. Che cosa significa ottica di sistema? R. «Il nostro modello di riferimento va oltre la produzione di materiali con la tradizionale logica di sostituzione uno ad uno. Ogni nostro prodotto nasce dall attenta analisi dell intero sistema di riferimento, che comprende il prodotto, il set-

17 17 L azienda guidata da Catia Bastioli è fortemente innovativa in tutto ciò che fa non solo nei prodotti o nel modello di business, ma anche nell approccio ai mercati esteri. Questi infatti vengono fertilizzati prima che i prodotti della società vi siano esposti tore di utilizzo e il territorio in tutte le fasi del ciclo di vita. Una valutazione che include i costi di produzione, distribuzione e smaltimento, nonché i costi di natura ambientale e sociale. Le performance dei prodotti Novamont, se valutate in questa logica di sistema, mostrano a pieno i loro vantaggi economici ed ambientali. La bioraffineria integrata nel territorio è l ulteriore evoluzione di questo modello. Essa è in grado di creare nuove opportunità per tutti gli attori della filiera, dagli agricoltori al mondo chimico, dall industria alla distribuzione organizzata, dalla pubblica amministrazione fino al consumatore finale. È così possibile superare la logica di prodotto, di breve periodo, e ragionare in ottica di sistema a favore della competitività del territorio e del suo livello di qualità e sicurezza». D. Nella pratica, che cosa fate quando desiderate espandervi all estero? R. «Perché il nostro prodotto sia utilizzato occorre che ci sia un sistema economico di contorno teso allo sviluppo sostenibile. Non basta che venga accolta con favore l idea dei sacchetti biodegradabili. Ci vuole una chiara idea di che cosa significano le materie prime rinnovabili, i processi a basso impatto ambientale, il waste management. Il sistema politico-economico deve essere consapevole di come vengono prodotte le materie prime, della sostenibilità dell intero sistema di produzione, di come usiamo i prodotti, di come li smaltiamo». D. E infatti la vostra presenza all estero è concentrata soprattutto in Nord- Europa, dove questa coscienza è più avanzata. Ma là dove questa coscienza non c è, che cosa fate? R. «Lavoriamo per crearla: è questa la peculiarità del nostro approccio! Cerchiamo di diffondere sensibilità verso questi aspetti, che peraltro sono anche molto remunerativi dal punto di vista strettamente economico. Cerchiamo di farci ascoltare dalla leadership di quei Paesi, di influenzarla, di fertilizzarne la cultura. In questo modo, forse non incrementeremo subito le vendite, ma poniamo le basi per una forte diffusione dei nostri prodotti». D. Questo lavoro di fertilizzazione passa anche attraverso la collaborazione con le Università? R. «Certamente. L Università è uno dei luoghi di fertilizzazione più importanti, ma non è certo il solo. La partnership dinamica con imprese, enti, università, istituzioni, organizzazioni non governative ha permesso lo sviluppo di nuovi prodotti e nuovi sistemi in grado di sfruttare le peculiari proprietà delle bioplastiche anche in termini di performance migliori delle plastiche tradizionali e di contribuire a definire strumenti condivisi di verifica e controllo delle loro qualità ambientali. È stato così possibile generare un patrimonio condiviso di conoscenze e prodotti da cui molti interlocutori traggono già oggi benefici tan- Shopper realizzato in Mater-Bi

18 18 gibili. La stretta collaborazione tra Novamont e i dipartimenti di ricerca e sviluppo di imprese appartenenti a differenti settori (waste management, gdo, imballaggio alimentare e non, agricoltura, automotive, salute e sicurezza) ha prodotto esempi di nuove applicazioni dalle efficienti caratteristiche e dai riconosciuti punti di forza ambientali: per Goodyear (pneumatici che offrono performance migliori di quelli tradizionali), Johnson&Johnson, Cartiera Lucchese, Polargruppen e molte catene internazionali della grande distribuzione. In ambito internazionale abbiamo anche partecipato alla stesura dei rapporti della Commissione europea dell industria e dell Eccp sulle bioplastiche da materie prime di origine agricola, riportando come case history alcuni dei risultati più rilevanti dello sviluppo Novamont. Inoltre siamo stati membri fondatori di numerose associazioni, come la European Bioplastics, finalizzata allo sviluppo di materiali biodegradabili certificati, lo European Composting Network, il Biodegradable Products Institute (BPI) e La sede di Novamont a Novara altri, che i limiti di spazio non mi consentono di elencare in questa sede ma che sono tutti rilevanti» D. Dove producete? R. «Per ora produciamo tutto in Italia. Nell ottica della creazione di un sistema territoriale, ci piacerebbe produrre nei Paesi che sono stati fecondati dalla nostra innovazione». D. Che rilevanza ha nella vostra strategia il costo di produzione? R. «Nessuna. Il potenziale di innovazione, e le conseguenti ricadute economiche, sono talmente elevati da rendere minimi, e quindi di nessuna importanza, eventuali vantaggi di costo che potrebbero derivare dal produrre in un particolare Paese piuttosto che in un altro. Comunque, noi rifiutiamo l atteggiamento oggi dominante, che porta molte aziende a cercare i costi di produzione minori nel mondo o a importare materie prime o prodotti di ogni tipo da Paesi cosiddetti low cost. Lo rifiutiamo perché, anche da un punto di vista meramente economico, lo riteniamo distruttivo sul medio-lungo periodo». D. Perché? R. «Farò un esempio semplice ma utile a comprendere il concetto. Supponiamo, ed è ovviamente un mero esercizio di fantasia, che io decida di importare dalla Cina mele che pago un decimo di quello che eventualmente pagherei qui. È verosimile ritenere che quelle mele costino così poco perché sono state prodotte senza rispettare standard ambientali, attraverso coltivazioni intensive che impoveriscono il territorio sul medio periodo, con poco o nessun rispetto per le condizioni di vita e la dignità dei lavoratori. Bene, importando quelle mele io obbligo chi le produce in Italia ad abbassare drasticamente i costi. Cosa che avviene, inevitabilmente, a discapito della qualità del territorio, delle condizioni dei lavoratori e di ogni concetto di economia sostenibile. Quindi io impoverisco il territorio. Creo una competizione basata sull impoverimento. Genero povertà qui e povertà in Cina. Inoltre, quelle mele per fare il giro del mondo devono essere trasportate, consumando inutilmente grandi quantità di carburante, che inquina. Insomma una generale distruzione di valore. Meglio sarebbe che le mele fossero prodotte sia qui e sia in Cina, rispettando condizioni di sostenibilità in tutti e due i luoghi». D. Insomma, occorre cambiare il modello generale che governa la nostra economia... R. «Assolutamente si. Oggi regna un modello di dissipazione. Le persone vengono indotte dal marketing e dalla pubblicità a consumare una quantità enorme, incredibile di oggetti inutili, che contribuiscono a produrre masse gigantesche di rifiuti e costi per la collettività davvero insostenibili. In pochi se ne sono accorti, ma se nel 1990 in Europa venivano prodotti 350 kg di rifiuti all anno per abitante, oggi siamo passati a 500 kg. Occorre passare da un modello dissipativo a uno conservativo. Conviene a tutti».

19 Le schede 19 Un vento straniero apre le porte di Cormo Demos Salardi, presidente della storica cooperativa produttrice di infissi e porte in legno, racconta la sua strategia internazionale Demos Salardi Presidente di CORMO «Allargare i mercati è più difficile che vincere una guerra». John Maynard Keynes Ci sono aziende italiane che hanno compreso per tempo che non basta più il vecchio approccio ai mercati stranieri, quello fatto di export per vendere di più e delocalizzazione produttiva per tagliare i costi. Oggi per competere con successo, occorre internazionalizzarsi, ossia distribuire parti della propria azienda, talvolta anche di valore strategico, in diverse aree geografiche del mondo. E interconnettere queste parti fra loro e con parti di altre aziende, che possono essere clienti, fornitori, partner. Oggi, per essere competitivi ci vuole una presenza diretta. Occorre diventare locali per adeguare i prodotti alle esigenze dei clienti del luogo, sempre più raffinate anche in Paesi che un tempo erano di poche pretese; per avere maggiore tempestività lungo la catena distributiva, riducendo i costi di trasporto e ottimizzando la gestione dei magazzini periferici; per cooperare con efficacia con partner locali al fine di favorire il radicamento nei Paesi scelti. Una di queste aziende è Cormo, storica cooperative emiliana con sede a San Martino in Rio (Reggio Emilia) e tra i leader italiani nella produzione di porte e serramenti. Cormo ha intrapreso una strategia di internazionalizzazione com- plessa e con obiettivi di crescita ambiziosi. Acquisire una presenza all estero importante, che serva anche a superare il problema della ciclicità del mercato immobiliare al quale è, per ovvie ragioni, legato il settore della produzione di serramenti, è diventato un obiettivo prioritario da raggiungere per il management di Cormo. Cormo collabora da tempo con Global Strategy, facendosi assistere nei propri processi di internazionalizzazione e nella gestione della rete commerciale estera. «Nei luoghi in cui investiamo, che per ora sono Est Europa e Turchia, la crescita economica, come sempre avviene, si accompagna a un gusto più raffinato e alla ricerca di un arredamento e di uno stile abitativo più ricercati. Così si crea lo spazio per un prodotto come il nostro, di gamma medio-alta, legato al prestigio e al fascino del made in Italy», spiega a Globnews Demos Salardi, presidente di Cormo. Il manager tiene a precisare che la sua azienda rappresenta qualcosa di molto più importante di un semplice fornitore di serramenti. «Forniamo piuttosto sistemi e soluzioni completi per la cantieristica abitativa. Siamo prima di tutto un azienda che internazionalizza il pro-

20 20 Il fattore SCHEDA critico di successo oltre a quello stilistico, dove il made in Italy è vincente, è rappresentato dalla logistica cioè dalla garanzia sui tempi di consegna e i magazzini di stoccaggio La storia dell azienda Dall anno della sua fondazione come cooperativa di falegnami, nel 1890, Cormo ha vissuto un progressivo incremento del volume d affari e della capacità produttiva, fino a trasformarsi, negli anni 70, da struttura artigiana in vera e propria industria. Oggi è tra i più importanti produttori italiani di infissi in legno ed è diventata una struttura economica e produttiva che opera in più direzioni. La commercializzazione dei suoi prodotti spazia dalla committenza diretta da parte di imprese costruttrici per abitazioni civili alla presenza presso i rivenditori specializzati di porte e finestre.attualmente produce 70 modelli differenziati di porte, sviluppati su 5 linee, 3 linee di finestre e 3 linee di portoncini. La produzione annua attuale è di circa 110mila porte, 10mila portoncini, 90mila infissi esterni e 35mila oscuranti. Il fatturato supera gli 80 milioni di euro annui. L azienda conta su altre unità operative dislocate a Segrate (Milano), Torino e Varese; detiene inoltre varie partecipazioni in aziende del settore. prio know-how figlio di una storia centenaria, facendolo diventare parte integrante dell offerta estera. Ciò crea di fatto un vantaggio competitivo nei confronti dell offerta dei concorrenti, spesso e volentieri limitata al prodotto, e rappresenta una componente importante all interno della partita estera che Cormo sta giocando. Il nostro obiettivo è dare al cliente un servizio tale da risolvere ogni problema, fino alla logistica e all installazione, aspetti importanti almeno quanto la qualità e l estetica del prodotto stesso». La strategia di internazionalizzazione di Cormo prevede l investimento in Paesi con fondamentali macroeconomici in crescita e nei quali, allo stesso tempo, vi sia disponibilità di materie prime. È il caso di Polonia, Croazia, Turchia e Repubblica Ceca, dove Cormo ha aperto le sue prime sedi estere. Inoltre, la società intende «puntare su prodotti ad alto valore aggiunto legati al design italiano, innovativi e certificati e quindi scegliere nuovi mercati dove il made in Italy sia ricercato», spiega ancora Salardi. L idea forte è creare legami stabili nel Paese di interesse, come ad esempio joint-venture con partner locali o investimenti diretti nella rete commerciale. «È importante essere radicati nei Paesi target: man mano che si sviluppano i mercati è necessario individuare risorse specializzate all interno dell azienda che siano dedicate a quello specifico mercato» La strategia di Cormo è «concentrare in Italia le produzioni che necessitano di un livello tecnologico più specializzato, legate per esempio al design» e «delocalizzare le produzioni con minor valore aggiunto». In Polonia, Cormo ha creato una jointventure con Bel-Pol, il più importante distributore locale del settore. L iniziativa rappresenta un investimento importante, destinato a dar vita a una struttura stabile nel tempo e, perciò, ben più impegnativo rispetto ai normali accordi di distribuzione che le medie imprese italiane stringono per vendere i loro prodotti all estero. «È il primo passo verso una presenza significativa in Est Europa e nei Paesi Baltici, a cui guardiamo con notevole interesse per lo sviluppo economico e immobiliare che stanno vivendo e che continuerà ancora nei prossimi anni», dice il manager. Infatti in questo Paese la cui moneta si sta rafforzando anche sull euro Cormo si posiziona in nicchie di mercato ad alto valore qualitativo: si ricercano prodotti di alta gamma e il prezzo non è un fattore decisivo nel processo decisionale del consumatore. In questo caso «il fattore critico di successo, oltre a quello stilistico, dove il made in Italy è vincente, è rappresentato dalla logistica, cioè dalla garanzia sui tempi di consegna, e i magazzini di stoccaggio rappresentano la principale richiesta degli operatori». Inoltre in Polonia vi è disponibilità di una materia prima fondamentale quale il legno e di mano d opera specializzata, fattori importanti per ipotesi di future delocalizzazioni produttive. Per quanto riguarda la Turchia, le motivazioni dell investimento sono diverse. «È un mercato potenziale in grande sviluppo, con una crescita media annua del PIL del 5-6%. Il 50% della popolazione ha meno di 25 anni e il 20% ha una capacità di spesa elevata, con un forte interesse per i prodotti di fascia alta. Perciò le scelte di Cormo si sono orientate su Istanbul, dove risiedono 16 milioni di abitanti e sulla necessità di creare condizioni favorevoli per penetrare con prodotti italiani quale status symbol di prestigio. Per quanto riguarda inoltre i mercati di acquisizione, in Turchia si producono lastre di vetro con un ottimo rapporto prezzo/qualità». «In Croazia la situazione è ancora diversa, molto favorevole per scelte produttive in loco. Per esempio si è deciso di produrre lì gli oscuranti per finestre (basso costo della manodopera: 350/400 euro netti al mese) liberando spazio in Italia, dove è più proficuo puntare su prodotti ad alto valore tecnologico. Sempre in Croazia si può poi programmare un approccio iniziale dal punto di vista commerciale per porte e finestre da sviluppare nel medio termine».

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