APPUNTI di ECONOMIA MONETARIA (CORSO PROGREDITO) Giancarlo Bertocco*

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1 APPUNTI di ECONOMIA MONETARIA (CORSO PROGREDITO) Giancarlo Bertocco* Corso di Laurea Magistrale Anno Accademico *Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi durante le lezioni tenute nell anno accademico , dalle studentesse Debora Diana e Federica Geranio che ringrazio. 1

2 Indice Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi) 3 PARTE PRIMA: LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA) DELLA FINANZA 1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream Il ruolo degli intermediari finanziari Finanza e crescita economica La neutralità della finanza: l analisi di Merton e Bodie 53 PARTE SECONDA: LA TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA La moneta bancaria e la natura del credito (Cannan/Schumpeter/Hicks) Moneta bancaria e fluttuazioni del reddito e dell occupazione Teoria della preferenza per la liquidità e fluttuazioni del reddito La teoria dei fondi mutuabili La risposta di Keynes alla teoria dei fondi mutuabili Decisioni di investimento, aspettative e incertezza Moneta bancaria e decisioni di investimento La spiegazione delle fluttuazioni del reddito e dell occupazione Speculazione e intraprendenza nell analisi di Keynes

3 Presentazione del corso (Le due interpretazioni della crisi) Un corso di economia monetaria si occupa, evidentemente, di moneta. Occuparsi di moneta significa spiegare qual è il ruolo della moneta nel sistema economico. Nel corso di Macroeconomia abbiamo descritto modelli macroeconomici in cui compare il mercato della moneta: Domanda e Offerta di moneta. I concetti di domanda e offerta di moneta sono importanti. Cosa significa domandare moneta? Non significa desiderare moneta. Moneta fondo di valore: componente della ricchezza, domandare moneta significa decidere di impiegare una parte della ricchezza in moneta. Offerta di moneta: creazione di moneta Quantità di moneta esistente vista da due prospettive diverse: chi crea moneta, chi possiede moneta. Nel corso di Macroeconomia abbiamo visto due diverse teoria della moneta, due diverse spiegazioni del ruolo della moneta. TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, teoria neoclassica della moneta. TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA. TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA, Principio della neutralità della moneta. Cosa significa? Non significa che la moneta è irrilevante poiché essa riduce i costi dello scambio rispetto ad una economia di baratto. La quantità di moneta non conta; reddito e ricchezza di un paese non dipendono dalla quantità di moneta in circolazione. Y e N dipendono da fattori reali, non da fattori monetari. Economia di mercato, basata sul sistema dei prezzi, raggiunge spontaneamente l equilibrio di piena occupazione grazie a: i) flessibilità dei salari; ii) flessibilità del tasso di interesse. (vedere successivamente) Variazioni di M influenzano i prezzi; l inflazione è un fenomeno monetario. 3

4 TEORIA KEYNESIANA DELLA MONETA. Afferma il principio della non neutralità della moneta. Keynes critica la teoria neoclassica: afferma che una economia di mercato non è in grado di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione. Una economia di mercato è caratterizzata da fluttuazioni del reddito e dell occupazione che dipendono dalle fluttuazioni della domanda aggregata: D Y non vale la Legge di Say (vedere successivamente) La moneta non è neutrale perché è un elemento importante per spiegare le fluttuazioni del reddito e dell occupazione. Per Keynes un economia monetaria non è semplicemente una economia in cui si usa moneta, ma è una economia in cui la presenza della moneta è un elemento importante per spiegare le fluttuazioni del reddito e dell occupazione; per spiegare perché non c è piena occupazione Modello IS-LM: M r I Y Questa è una sintesi di alcuni argomenti trattati nel corso di macroeconomia; in questo corso di occuperemo di un argomento strettamente collegato alla moneta: la FINANZA. In questo periodo storico esiste una ragione particolare che giustifica l attenzione per il tema della Finanza e della relazione tra Moneta e Finanza ed è costituito dalla profonda crisi economica che ha colpito l economia mondiale a partire dalla seconda metà del In questi anni sono stati pubblicati moltissimi lavori che analizzano le cause della crisi e tutti questi lavori sottolineano che all origine della crisi economica c è stata una crisi finanziaria; questo rende particolarmente importante studiare il fenomeno della finanza. L obiettivo di questo corso è studiare il ruolo macroeconomico della Finanza e quindi analizzare le cause della crisi. Cominciamo a dare una prima definizione di FINANZA. 4

5 Il fenomeno della Finanza si fonda sui concetti di Debito e di Credito. Un sistema finanziario è costituito dall insieme dei mercati, degli strumenti finanziari e delle istituzioni che rende possibile e che gestisce queste relazioni di debito e di credito. Quindi l importanza macroeconomica del sistema finanziario è legata al numero di creditori e debitori e all ammontare dei questi contratti di debito/credito. Esiste una stretta relazione tra MONETA e FINANZA perché la moneta è l oggetto tipico del rapporto tra creditori e debitori. Il tipico contratto che lega creditori e debitori è quello con il quale il creditore cede una certa quantità di moneta al debitore il quale si impegna a restituire al creditore, ad una certa scadenza futura, lo stesso ammontare di moneta aumentato di un premio costituito dal tasso di interesse. Questa semplice definizione di Finanza ci permette di dare una prima definizione del concetto di CRISI FINANZIARIA. Si ha una crisi finanziaria quando un numero significativo di debitori non è in grado di restituire il prestito ottenuto. La crisi finanziaria che ha dato origine alla crisi economica mondiale è stata provocata dalla insolvenza di una particolare categoria di debitori; si tratta di coloro che, soprattutto negli Stati Uniti, avevano sottoscritto una particolare tipo di mutui costituito dai MUTUI SUBPRIME. Per descrivere le caratteristiche di questi mutui subprime consideriamo, in primo luogo le caratteristiche di un mutuo. Un mutuo è un prestito garantito dal valore del bene che viene acquistato con questo finanziamento, ad esempio una abitazione. In caso di insolvenza del debitore, il creditore ha il diritto di vendere il bene che è oggetto della garanzia, la casa, ottenendo in questo modo il rimborso del prestito. Il mutuo è quindi, tipicamente, una operazione poco rischiosa per il creditore, tipicamente una banca, per due ragioni: i) la banca presta una somma che copre fino al % del valore dell abitazione, quindi da un lato finanzia soggetti che possiedono un capitale sufficiente ad 5

6 acquistare una parte significativa dell immobile e dall altro ottiene in garanzia un bene il cui valore è significativamente superiore a quello del prestito. In questo modo si tutela dal rischio di una caduta del valore del bene che garantisce il prestito; ii) in secondo luogo la banca normalmente finanzia soggetti che dimostrano di possedere un reddito che consente loro di soddisfare gli impegni di restituzione del prestito. I mutui subprime sono una categoria di mutui particolarmente rischiosi perche non soddisfano queste due condizioni. Si tratta infatti di mutui che: i) venivano concessi per importi pari o addirittura superiori al valore dell immobile che doveva essere acquistato; ii) venivano concessi a soggetti che possedevano redditi molto bassi Nei primi anni del decennio passato, si è registrato, soprattutto negli Stati Uniti, un forte aumento di questa particolare categoria di mutui. Nei primi anni i mutuatari furono in grado di far fronte al loro impegno di restituzione del prestito e non si registrò un alto numero di insolvenze poiché da un lato prevedevano per i primi anni condizioni favorevoli di rimborso, cioè basse rate, ed inoltre questa basse rate erano favorite anche dai bassi tassi di interesse che si registravano in quel periodo. Ma a partire dal i tassi di interesse cominciarono a salire e le rate di rimborso diventarono più onerose; questo provocò un forte aumento delle insolvenze, cioè del numero dei mutuatari che non furono in grado di rimborsare il prestito. Queste insolvenze legate alla forte incremento dell erogazione dei mutui subprime, provocarono la crisi finanziaria. L altro elemento che caratterizza questa esperienza è costituito dal fatto che la crisi finanziaria non ha colpito soltanto il sistema finanziario e quindi una parte del sistema economico, cioè non ha colpito soltanto le banche che hanno erogato i mutui e i clienti delle banche che avevano acquistato i titoli di credito emessi dalle banche, ma ha dato origine ad una profonda crisi economica. 6

7 L economia mondiale si trova infatti a partire dal in una profonda recessione, la peggiore recessione dopo la crisi del 29. La crisi attuale è stata associata alla crisi del 29 e ad un altro evento di importanza storica: la STAGFLAZIONE degli anni 70 del secolo scorso. La crisi mondiale quindi non è un evento di secondaria importanza, ma un fenomeno di rilevanza storica, cioè un fenomeno che sarà ricordato nei libri di storia, come è ricordata la crisi del 29 e la stagflazione degli anni 70. Dobbiamo sottolineare che i primi due eventi hanno avuto un impatto enorme sulla teoria macroeconomica, in quanto hanno spinto gli economisti a modificare lo schema teorico utilizzato per interpretare il funzionamento del sistema economico. La crisi del 29 ha dato origine alla nascita della macroeconomica moderna. Come abbiamo visto nel corso di macroeconomia, la crisi del 29 è all origine della nascita della teoria Keynesiana. La Grande Depressione ridusse la fiducia degli economisti nei confronti della teoria classica che affermava che una economia di mercato è in grado di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione e le crisi potevano essere soltanto fenomeni passeggeri che venivano superati spontaneamente dal sistema economico grazie alla flessibilità dei salari e del tasso di interesse. Nel 1936 Keynes pubblicò la sua opera fondamentale in cui sosteneva che una economia di mercato è soggetta a fluttuazioni del reddito e dell occupazione e che la flessibilità dei prezzi e dei salari non è in grado di evitare significative e prolungate cadute del reddito e dell occupazione. La teoria Keynesiana sostituisce la teoria neoclassica e diventa la teoria dominante negli anni fino agli anni 70 quando si manifesta il fenomeno della Stagflazione. I primi decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, gli anni 50 e 60 furono caratterizzati da alti tassi di crescita del reddito, da alta occupazione e 7

8 da bassa inflazione e questi significativi risultati vennero considerati come un effetto dell efficacia delle politiche keynesiane. Negli anni settanta la situazione cambia significativamente: la crescita rallenta ed aumenta significativamente l inflazione, questa combinazione di stagnazione e di alta inflazione viene indicata con il temine di stagflazione. Questo nuovo fenomeno spinse gli economisti a mettere in dubbio l efficacia delle politiche Keynesiane. Inoltre a partire dagli anni sessanta l economista americano Milton Friedman elaborò una profonda critica nei confronti della teoria keynesiana che mostrava che le politiche keynesiane erano efficaci soltanto in condizioni particolari (in presenza di illusione monetaria). La critica di Friedman alla teoria keynesiana ebbe un effetto enorme sulla teoria macroeconomica; indusse gli economisti ad abbandonare la teoria keyneisiana e ad accettare una nuova teoria elaborata sulla base delle critiche di Friedman, che riproponeva le conclusioni fondamentali della teoria neoclassica, cioè della teoria che Keynes aveva criticato negli anni trenta. A partire dagli anni 70 la teoria dominante è costituita da una nuova versione della teoria neoclassica che afferma la validità di due fondamentali proposizioni di questa teoria: i) che un economia di mercato è in grado di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione; ii) il principio della neutralità della moneta (teoria quantitativa della moneta) Ci possiamo quindi chiedere se anche questa crisi, come è avvenuto in conseguenza degli altri due fenomeni a cui essa è stata associata, indurrà gli economisti a modificare la teoria macroeconomica. Questa è una domanda che si sono posti molti economisti in questo periodo, dando risposte differenti. Un primo esempio che possiamo citare è costituito da un importante economista italiano, Guido Tabellini, rettore della Bocconi il quale ritiene che non sia necessario modificare il modello teorico: 8

9 Non c'è alcun dubbio che la crisi in corso sarà ricordata come un evento d'importanza storica, paragonabile alla Grande Depressione del '29 e alla spirale inflazionistica che è seguita al crollo di Bretton Woods e al primo shock petrolifero negli anni 70. Entrambi quegli eventi hanno avuto un profondo impatto, non solo sulla realtà economica e politica, ma anche sul mondo delle idee. La Grande Depressione ha portato alla rivoluzione keynesiana e ha trasformato il modo di pensare su ruolo e obiettivi della politica economica e sui confini tra stato e mercato. L'inflazione degli anni 70 è stata seguita dalla controrivoluzione monetarista guidata dalle idee di Milton Friedman E questa volta? Vi sarà un'altra rivoluzione nelle idee degli economisti circa i compiti della politica economica e il funzionamento di un'economia di mercato?io penso di no. (Guido Tabellini, Il mondo ritorna a correre l Italia non si fermi, Il Sole 24 ore, 24 giugno 2009). Economisti altrettanto autorevoli ritengono invece che la crisi attuali dimostri i limiti della teoria mainstream e ritengono quindi necessario abbandonare la teoria mainstream e recuperare l insegnamento di economisti come Keynes. Questa è la posizione di due premi Nobel dell economia come Joseph Stiglitz e Paul Krugman. Stigliz ad esempio afferma: Continua lo scambio di accuse su chi è responsabile della peggior recessione mondiale dai tempi della Grande Depressione: i finanzieri che sono stati incapaci di gestire il rischio o i regolatori che non sono riusciti a fermarli. Ma una parte non indifferente della colpa spetta agli economisti di professione. Hanno rassicurato i regolatori fornendo modelli di mercati che si auto-regolavano, si auto-correggevano ed erano efficienti. Regnava sovrana l ipotesi del mercato efficiente. Oggi l economia è andata a rotoli insieme, si può sperare, al paradigma economico che prevaleva negli anni prima della crisi. (Stiglitz, ) Prima di analizzare le ragioni su cui si basano queste due contrapposte proposizioni, conviene ricordare in maniera più precisa l impatto che i due precedenti fenomeni hanno avuto sulla macroeconomia, poiché in questo modo possiamo ricordare alcuni aspetti significativi della teoria mainstream. 9

10 La crisi del 29, come abbiamo già ricordato può essere considerata l evento che ha dato origine alla nascita della teoria Keynesiana. Come abbiamo visto nel corso di macroeconomia, la tesi fondamentale sostenuta da Keynes consiste nell affermare che un economia di mercato è soggetta a crisi, a fluttuazioni del reddito e dell occupazione e non è in grado di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione. Secondo Keynes le fluttuazioni del reddito e dell occupazione sono provocate dalle fluttuazioni della domanda aggregata dovute soprattutto all instabilità delle decisioni di investimento. Possiamo ricordare gli aspetti più significativi della teoria di Keynes partendo dal modello neoclassico che Keynes critica. Il modello neoclassica viene descritto considerando due mercati: il mercato del lavoro e il mercato dei beni. Il mercato del lavoro è caratterizzato da: - funzione di domanda di servizi di lavoro da parte delle imprese, N d funzione decrescente rispetto al salario reale e coerente con il principio di massimizzazione dei profitti delle imprese: N d = f con f < 0 - funzione di offerta di lavoro che riflette il comportamento delle famiglie, N s funzione crescente rispetto al salario reale: N s = g con g > 0 In corrispondenza di N d = N S avremo un livello occupazionale pari a N E, ossia l equilibrio di piena occupazione. 10

11 W P Ns N d W P E Equilibrio di piena occupazione Nd N s N E N d ; Ns Figura 1 Affinché le imprese possano massimizzare i profitti occorre anche che esse riescano a vendere tutto ciò che producono. In altri termini secondo la Teoria Neoclassica condizione necessaria affinché si realizzi il reddito di piena occupazione è che esista una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione: D = Y PO Il reddito di piena occupazione è il livello di reddito che viene prodotto quando vengono impiegati N E lavoratori. Il reddito dipende dal livello occupazionale infatti Y = Y (N) e più precisamente si tratta di una relazione diretta in quanto all aumentare del livello di occupazione, il livello di reddito aumenta. Quando N = N E allora Y = Y PO. Dunque secondo la Teoria Neoclassica condizione necessaria affinché si abbia una domanda aggregata capace di assorbire il reddito di piena occupazione è: D = Y PO D= C (Y; r) + I ( attesi ; r), 11

12 Se vogliamo specificare le condizioni necessarie affinchè: D = Y PO poiché i consumi dipendono dal reddito dobbiamo inserire il valore di Y PO nella funzione dei consumi, quindi otterremo: C (Y PO ; r) + I ( attesi ; r) = Y PO Y PO C (Y PO ; r) = I ( attesi ; r) risparmio S S (Y PO ; r) = I ( attesi ; r) Perché si realizzi l equilibrio di piena occupazione è necessario che il tasso di interesse (r) assuma il valore in corrispondenza del quale gli investimenti sono uguali al risparmio di piena occupazione. Figura 2 N s Equilibrio di piena occupazione N d N E N E N d ; N s Teoria Keynesiana Y r S (Y E ; r) S (Y PO ; r) Y PO Teoria Neoclassica r 1 r E E E Y E Funzione di produzione aggregata I ( attesi ; r) Y = h ( ; N) N N E N E N S = I S; I 12

13 Keynes critica la teoria neoclassica affermando che normalmente in una economia di mercato il livello degli investimenti assume un valore inferiore rispetto a quello dei risparmi di piena occupazione. Se I<S(Y PO ) allora il livello della domanda aggregata D<Y PO ; in questo caso le imprese non riusciranno a vendere tutto quello che producono quindi ridurranno il reddito e l occupazione. In altri termini, secondo Keynes vale il principio della domanda effettiva (e non la legge di Say come per la Teoria Neoclassica): le decisioni di produzione delle imprese dipendono dal livello della domanda aggregata e il sistema economico non è normalmente in grado di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione. Keynes spiega in vari modi le ragioni per cui normalmente gli investimenti sono inferiori al flusso dei risparmi di piena occupazione; la spiegazione presentata nel modello IS-LM consiste nel sottolineare il fatto che il tasso di interesse non dipende dalle decisioni di risparmio e di investimento, ma è un fenomeno monetario dipende cioè dalla domanda e dall offerta di moneta e quindi può assumere un valore differente da quello coerente con l equilibrio di piena occupazione pari ad r E. Supponiamo infatti che assuma un valore pari a r 1 > r E. Secondo la teoria neoclassica lo squilibrio tra S(Y PO, r 1 ) > I verrebbe eliminato dalla riduzione del tasso di interesse; secondo Keynes invece, questo squilibrio sarà eliminato dalla variazione del livello del reddito. Il reddito si abbasserà fino a quando non si raggiungerà Y E < Y PO a cui corrisponde un livello di occupazione pari a N E < N E ; e questa situazione di disoccupazione involontaria rimarrà anche in presenza di un salario reale pari a W/P E C è un secondo aspetto, oltre al primo che riguarda la spiegazione della crisi e delle fluttuazioni del reddito e dell occupazione, della teoria keynesiana che abbiamo sottolineato nel corso di macroeconomia. Questo secondo aspetto riguarda il ruolo economico dello Stato. Keynes afferma infatti che esistono strumenti che possono essere usati dalle autorità di governo per incrementare il reddito e l occupazione; questi strumenti sono costituiti dalla politica fiscale e dalla politica monetaria. Come abbiamo ricordato la teoria keynesiana divenne la teoria dominante dopo la fine della secondo guerra mondiale e fino agli anni 70 quando si manifesta il fenomeno della stagflazione che la teoria keynesiana non sembra in grado di spiegare. Negli anni 60 13

14 infatti il modello keynesiano tradizionale costituito dal modello IS-LM aveva subito una importante innovazione costituita dall introduzione della curva di Phillips. La curva di Phillips è il risultato di uno studio empirico sulla relazione tra le seguenti due grandezze: tasso di variazione dei salari monetari: = tasso di disoccupazione: u = = In particolare: Curva di Phillips 0 u u 0 Figura 3 La curva di Phillips è caratterizzata da: relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di disoccupazione: = f (u) con f <0 esiste un particolare valore del tasso di disoccupazione in corrispondenza del quale il tasso di variazione dei salari monetari è pari a 0: se u = u 0 = 0 Per spiegare questa relazione decrescente tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di disoccupazione si può assumere che la forza contrattuale dei lavoratori, cioè la capacità dei lavoratori di ottenere aumenti salariali, vari in funzione del livello di reddito e quindi del livello di occupazione: in corrispondenza di un alto tasso di disoccupazione la forza contrattuale dei lavoratori sarà bassa in quanto questi ultimi subiscono la concorrenza dei disoccupati; quando invece il tasso di disoccupazione è basso il tasso di 14

15 variazione dei salari monetari è elevato e quindi la forza contrattuale dei lavoratori è consistente. La curva di Phillips può essere rappresentata anche come relazione crescente tra tasso di inflazione e il reddito reale: Curva di Phillips: le due curve sono equivalenti 1 0 Figura * * u 1 u 0 u Y 0 Y 1 Per spiegare questa relazione assumiamo che le imprese domandino lavoro in maniera coerente con il principio di massimizzazione dei profitti 0 0 le imprese assumono un numero di lavoratori N in corrispondenza del quale la produttività marginale del lavoro è pari al salario reale: 1 Y N PMaL (N) = da cui P = Esiste dunque una relazione diretta tra prezzi e salari monetari e quindi tra tasso di variazione dei salari monetari e tasso di inflazione. In corrispondenza della combinazione 0 si ha: u = u 0 N = N 0 Y = Y 0 = 0 (ossia W t = W t-1 ) = 0 In corrispondenza della combinazione 1 invece si ha: 15

16 u 1 < u 0 N 1 > N 0 Y 1 >Y 0 1 > 0 1 > 0 Il modello keynesiano degli anni sessanta, basato sulla curva di Phillips, portava a concludere, a differenza del semplice modello IS-LM con prezzi e salari dati, che livelli maggiori di reddito e quindi di occupazione possono essere ottenuti solo a fronte di tassi di inflazione più elevati. Tra Y e esiste quindi una relazione crescente. Il modello IS-LM con Curva di Phillips entrò in crisi negli anni 70 quando si sviluppò il fenomeno della stagflazione la bassa crescita dei redditi e l elevata inflazione erano infatti incoerenti con questo modello. La stagflazione è incoerente con il modello IS-LM con curva di Phillips il quale prevede invece una relazione crescente tra inflazione e reddito. stagflazione stagflazione 0 Figura 5 u 1 u 0 u 0 Y 0 Y 1 Y Alla fine degli anni sessanta una critica teorica nei confronti modello keynesiano IS-LM con curva di Phillips. Padre della controrivoluzione monetarista la quale determinò il declino della teoria keynesiana fu Milton Friedman. Friedman criticò la relazione della curva di Phillips affermando che il modello keynesiano basato su questa relazione assume che i lavoratori si comportano in 16

17 maniera irrazionale in quanto continuano ad aspettarsi un tasso di inflazione pari a zero anche quando l inflazione effettiva è maggiore di zero. L equazione della curva di Phillips è: Y=f( ) Quindi in corrispondenza di Y= Y 0 si avrà = 0 e in corrispondenza di Y α > Y 0 si avrà α> 0, ad esempio =5%. Friedman mostra che questa relazione è stabile solo se i lavoratori di fronte ad un tasso di inflazione del 5% continuano ad aspettarsi un tasso di inflazione pari a 0 ma questo è appunto, irrazionale. Possiamo illustrare l irrazionalità di questo comportamento ricordando il concetto di tasso naturale di disoccupazione. E il tasso di disoccupazione coerente con l equilibrio di piena occupazione, cioè con una situazione in cui domanda e offerta di lavoro sono uguali e quindi il prezzo del lavoro, cioè il salario è stabile; quindi il tasso naturale di disoccupazione e il tasso di disoccupazione coerente con un tasso di variazione dei salari monetari e dei prezzi pari a zero. Il tasso naturale di discoccupazione corrisponde a u 0. In particolare, secondo Friedman il tasso naturale di disoccupazione è diverso da zero (u 0 0) nonostante sia coerente con l equilibrio di piena occupazione poiché: Ns = occupati + disoccupati Nd = occupati + posti vacanti Si tratta di posti di lavoro che le imprese intendono occupare, ma che non sono ancora stati occupati perché le imprese sono ancora in fase di selezione del personale. La presenza di posti vacanti ha senso solo se si elimina l ipotesi di l omogeneità dei lavoratori assunta dal modello IS-LM, ossia l ipotesi per cui essi hanno tutti le stesse caratteristiche e qualità. Sapendo che l equilibrio di piena occupazione si ottiene in corrispondenza di Nd = Ns, si avrà: OCCUPATI + POSTI VACANTI = OCCUPATI + DISOCCUPATI POSTI VACANTI = DISOCCUPATI 17

18 DISOCCUPAZIONE FRIZIONALE = disoccupazione temporanea legata al fatto che le imprese non hanno ancora terminato il processo di selezione del personale. il tasso naturale di disoccupazione ha due caratteristiche fondamentali: 1. è coerente con la stabilità dei salari monetari, ossia con = 0; 2. è coerente con la piena occupazione, ossia con Nd = Ns. Affinché si possa ottenere u 1 < u 0 è necessario un livello di occupazione N 1 > N 0. Per ottenere N 1 è a sua volta necessario che: Ns = N 1 ossia che i lavoratori siano disposti a lavorare al salario reale S ; Nd = N 1 ossia che le imprese siano disposte ad occupare N 1 lavoratori al salario reale D. Poiché il livello dei salari reali che spinge i lavoratori a offrire N 1 unità di lavoro è diverso dal livello dei salari reali che spinge i datori di lavoro a dare occupazione a N 1 lavoratori, ossia poiché D < S, le condizioni per ottenere u 1 sembrano irrealizzabili. Secondo Friedman invece il passaggio da N 0 a N 1 è realizzabile solo nel caso in cui i lavoratori soffrano di illusione monetaria, ossia confondano i salari monetari con i salari reali. Per definire il concetto di illusione monetaria occorre introdurre l ipotesi fondamentale secondo cui i salari monetari e i prezzi vengono fissati in tempi diversi: 0 t 1 18

19 Ns Curva di Phillips Nd N 0 N 1 Nd; Ns = 0 u 1 u 0 u N s S Equilibrio di piena occupazione E D N d N 0 N 1 N d ; N s Figura 6 Nel momento 0 vengono fissati i salari monetari sulla base della contrattazione tra imprese e lavoratori; i prezzi, invece, vengono fissati dalle imprese durante il periodo t cioè in un momento successivo a quello in cui avviene la contrattazione tra imprese e lavoratori. Per questi motivi, l equazione della funzione di offerta di lavoro Ns cambia nel modo seguente: 19

20 Ns = f Ns = f Wt e Pt venivano fissati nello stesso momento. I prezzi vengono determinati dopo la contrattazione quindi al tempo 0 i lavoratori conoscono solo i salari monetari e non anche il livello dei prezzi per definire l offerta di lavoro i lavoratori devono elaborare una previsione circa il livello futuro dei prezzi ( ). Di conseguenza il salario reale atteso dai lavoratori sarà pari a. Per quel che riguarda, invece, la funzione di domanda di lavoro Nd, al tempo 0 le imprese conoscono Wt e saranno esse stesse a determinare il livello dei prezzi durante il periodo t, quindi la funzione di domanda di lavoro resta pari a Nd = g Una volta definite queste ipotesi ci chiediamo quali sono le condizioni necessarie affinché anche in questo caso si possa ottenere N 1 > N 0 : Ns = N 1 se = S Nd = N 1 se = D < S Avremo quindi: = S > D = > < 20

21 Sarà quindi possibile ottenere N 1 > N 0 a condizione che i lavoratori sbaglino le loro previsioni sui prezzi al tempo t: <. Lo squilibrio tra salario reale atteso e salario reale effettivo offerto dalle imprese si può realizzare solo se i lavoratori soffrono di illusione monetaria, ossia sbagliano a prevedere il livello futuro dei prezzi. Es. supponiamo di avere: - W 0 = 1, PMaL (N 0 ) = 1 e quindi P 0 = = 1 - PMaL (N 1 ) = 0,95 Per ottenere N 1 > N 0 occorre che: Ns = N 1 se = S = 1,05 i lavoratori sono disposti ad offrire N 1 unità di lavoro se il salario reale atteso è pari a 1,05 Nd = N 1 se = D = PMaL (N 1 ) < PMaL (N 0 ) 0,95 1 N s S = 1,05 E 1 D = 0,95 Figura 7 N d N 0 N 1 N d ; N s = 1,05 da cui = 1,05 * 21

22 Si supponga che i lavoratori si aspettino prezzi stabili e quindi pari a quelli del periodo precedente in questo caso avremo: = P 0 = 1 Di conseguenza: = 1,05 * = 1,05 * 1 = 1,05 Per essere indotti ad espandere l occupazione i lavoratori dovranno ricevere un aumento del 5% del salario monetario che, data la stabilità dei prezzi, viene dagli stessi interpretato come un aumento del 5% anche dei salari reali. Dall espressione dei salari effettivamente ottenuti = PMaL (N 1 ) = 0,95 si ricava che il prezzo fissato dalle imprese per assumere N 1 lavoratori è pari a P t = = 1,1 <. È quindi possibile espandere l occupazione da N 0 a N 1 solo se i lavoratori sbagliano le proprie aspettative circa il livello futuro dei prezzi. Le aspettative dei lavoratori possono essere espresse anche in termini di tasso di inflazione: Tasso di inflazione atteso al tempo t: = = = 0 Dato che i prezzi attesi sono stabili, il tasso di inflazione atteso è pari a 0. Tasso di inflazione effettivo al tempo t: = = = 10% É possibile espandere il livello di occupazione da N 0 a N 1 solo se i lavoratori commettono un errore di previsione circa il livello del tasso di inflazione, ossia solo se <. In particolare, l errore di previsione determina una discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario reale effettivamente percepito dai lavoratori stessi. 22

23 Questo ha una conseguenza importante: il tasso di inflazione coerente con un determinato livello di reddito e quindi di occupazione non è costante, come afferma il modello keynesiano, ma dipende dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori. Infatti è possibile ottenere Y>Yo solo se i lavoratori commettono un errore di previsione quindi la relazione stabile non è tra il livello del reddito e il tasso di inflazione, ma tra il livello del reddito e l errore di previsione. Per ottenere Y 1 > Yo l errore di previsione deve essere pari a 10 punti percentuali: = 10%, questo implica che se il tasso di inflazione effettivo da associare a Y 1 dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori. Chiediamoci quale dovrà essere il tasso di inflazione che si dovrà realizzare in t+1 per ottenere sempre un livello di reddito pari a Y1. La risposta è che questo valore dipenderà dal tasso di inflazione atteso dai lavoratori. Se i lavoratori si aspettano un tasso di inflazione pari a 0 allora il tasso di inflazione effettivo necessario a mantenere Y 1 sarà sempre pari a 10%. Questa, osserva Friedman è l ipotesi implicita nella curva di Phillips che afferma che esiste una relazione stabile tra reddito e tasso di inflazione; questa ipotesi assume però che i lavoratori si comportino in modo irrazionale poiché in presenza di un tasso di inflazione pari al 10% continueranno a prevedere un tasso di inflazione pari a zero. Friedman ipotizza che i lavoratori elaborino le loro aspettative di inflazione mediante un meccanismo di aspettative adattive, cioè in base ai valori passati dell inflazione; in questo caso se osservano un tasso di inflazione pari al 10% non si aspetteranno un tasso di inflazione pari a zero, ma un tasso superiore a zero: >0. In questo caso il valore del tasso di inflazione coerente con Y 1 non potrà rimanere pari al 10% ma dovrà raggiungere il livello in corrispondenza del quale l errore di previsione, da cui dipende la distanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario reale effettivamente pagato dalle imprese, sia sempre pari a 10 punti percentuali. 23

24 Quindi affinché in t+1 si mantenga un livello di occupazione pari a N 1, l errore di previsione del periodo t+1 deve essere uguale all errore di previsione del periodo t: = Errore di previsione in t+1 10% 0 Errore di previsione in t Friedman mostra quindi che esiste una relazione stabile non tra Y e bensì tra Y e l errore di previsione dei lavoratori quindi si avrà Y = g ( - e ), invece della originale curva di Phillips che presuppone che e = 0 e quindi corrisponde a: Y = f( ). In termini lineari avremo: Y = Y 0 + ( ); quando = 0 il reddito sarà al suo livello naturale, soltanto con un errore di previsione superiore a zero si potrà ottenere un valore del reddito reale superiore a Yo. Se assumiamo che i lavoratori elaborino le loro aspettative in base al meccanismo delle aspettative adattive, allora doppiamo concludere che è possibile espandere il livello dell occupazione e del reddito (Y 1 ) solo se le autorità monetarie accettano un tasso di inflazione continuamente crescente. La figura 8 mostra che la posizione della curva di Phillips dipende dal valore di Condizione necessaria affinchè il livello di reddito rimanga pari a Y 1 è che le autorità monetarie siano disposte ad aumentare continuamente la quantità di moneta; questo però è una ipotesi irrealistica poiché nessuna autorità monetaria è disposta a accettare un tasso di inflazione crescente. Ci possiamo chiedere allora quali sono gli effetti di una variazione della quantità di moneta ad un tasso costante. Quali sono ad esempio, gli effetti della decisione delle autorità monetarie di aumentare la quantità di moneta al tasso annuo del 10%; Possiamo rispondere a questa domanda in termini logici: e 24

25 l inflazione tende ad un valore finito, infatti abbiamo visto che l inflazione potrà crescere continuamente soltanto se la quantità di moneta cresce continuamente; l errore di previsione commesso dai lavoratori tende a 0, infatti l errore di previsione è costante solo se l inflazione è crescente; se l errore di previsione tende a zero, il reddito tende al livello naturale Y 0 In conclusione, se il reddito tende a Yo, allora la variazione della quantità di moneta non avrà alcun effetto permanente sul reddito e provocherà soltanto un aumento del tasso di inflazione. Quindi nel lungo periodo, al di fuori del caso di inflazione crescente, la politica monetaria non è in grado di influenzare il livello del reddito; le autorità monetarie possono soltanto scegliere il tasso di inflazione da associare al livello naturale del reddito; se decidono di variare la quantità di moneta al 10% otterranno un tasso di inflazione del 10%; se scegliessero un tasso del 20% provocherebbero un tasso di inflazione del 20% ecc. nel lungo periodo quindi, la curva di Phillips diventa verticale (figura 8) = 20% = 30% Curva di Phillips nel lungo periodo (t+2) 3 = 10% = 0 = 20% (t+1) = 10% (t) Curve di Phillips nel breve periodo Y 0 Y 1 Y Figura 8 Y 0 è pari al reddito naturale Y N, il quale corrisponde al tasso naturale di disoccupazione u 0 coerente con l equilibrio di piena occupazione. 25

26 In corrispondenza di Y 0 si ha proprio il tasso naturale di disoccupazione u 0, il quale, essendo coerente con un tasso di inflazione stabile, è definito NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate Unemployment). In corrispondenza di Y 1 > Y 0, invece, si ha u 1 < u 0 e quindi un tasso di inflazione crescente. La conclusione di Friedman circa gli effetti della politica monetaria, cioè delle variazioni della quantità di moneta coincidono con quelle della teoria quantitativa della moneta. Friedman quindi propone di superare la teoria keynesiana e di accettare una nuova versione della teoria neoclassica basata sul concetto di tasso naturale di disoccupazione, sull introduzione delle aspettative adattive, che sarà definita monetarismo. L opera di Friedman ha avuto un impatto enorme sulla evoluzione della teoria macroeconomica; a partire dagli anni 70 diminuisce il consenso nei confronti della teoria keynesiana. Negli anni il monetarismo subisce una significativa evoluzione grazie all introduzione del concetto di aspettative razionali; Robert Lucas è il principale artefice di questa nuova versione del monetarismo che è definita nuova macroeconomia classica e che diventa la teoria mainstream cioè la teoria generalmente accettata dagli economisti, mentre la teoria keynesiana diventa una teoria minoritaria. C è un aspetto paradossale in questa evoluzione della teoria macroeconomica: abbandono della teoria keynesiana e affermazione del monetarismo e della nuova macroeconomia classica. Dobbiamo ricordare infatti che la teoria di Keynes si basa su due punti fondamentali: i) una spiegazione delle ragioni per cui una economia di mercato è soggetta a crisi, a fluttuazioni del reddito e dell occupazione; ii) la specificazione di strumenti, politica fiscale e monetaria, che possono essere usati per spingere il sistema verso la piena occupazione. La critica di Friedman si concentra sul secondo punto; egli ha dimostrato che le politiche keynesiane possono funzionare soltanto in certe condizioni; ha dimostrato che: 26

27 i) in un mondo in cui i lavoratori chiedono aumenti dei salari monetari proporzionali all incremento del reddito, cioè non sono disposti ad accettare incrementi di reddito e di occupazione a salari monetari costanti, ii) non è possibile attraverso politiche keynesiane espandere in modo permanente il livello di occupazione oltre a quello naturale che corrisponde alla situazione in cui l errore di previsione è pari a zero. L aspetto paradossale della reazione degli economisti alla critica di Friedman sta nel fatto che questa critica non affronta il primo punto della teoria di Keynes, cioè non mette in discussione la spiegazione della crisi e della instabilità del sistema economico. Infatti il problema che Keynes poneva non era quello di espandere il livello dell occupazione oltre la piena occupazione; Keynes affermava che anche nel caso in cui i salario reale desiderato dai lavoratori fosse pari a W/P E, fosse cioè coerente con la piena occupazione ciò non è sufficiente per garantire la piena occupazione poiché è necessario che si creino le condizioni affinchè le imprese riescano a vendere ciò che producono. Questo aspetto della teoria Keynesian, il primo punto, è stato completamente dimenticato. Si tratta di una reazione paradossale; sarebbe come se, facendo un esempio che riguarda la medicina, di fronte alla dimostrazione dell inefficacia di una certa medicina nel curare una determinata malattia, i ricercatori invece di concludere che è necessario trovare un farmaco più efficace concludessero che la malattia non esiste. Dopo aver ricordato schematicamente la reazione degli economisti di fronte alla crisi del 29, e alla stagflazione degli anni 70, ritorniamo o alla domanda che ci siamo posti: la crisi attuale indurrà gli economisti a modificare il modello teorico generalmente accettato prima della crisi come è successo nei due casi precedenti? Abbiamo visto che esistono opinioni nettamente diverse: i sostenitori della teoria mainstream sostengono che non è necessario abbandonare questa teoria; al contrario gli economisti Keynesiani ritengono che sia necessario abbandonare la teoria mainstream e ripartire da Keynes. 27

28 Queste due diverse risposte sono associate a due diverse spiegazioni delle caratteristiche della crisi finanziaria e della crisi economica. Il primo gruppo di economisti, che accetta la teoria mainstream e considera un economia di mercato come una economia intrinsecamente stabile, capace di raggiungere spontaneamente l equilibrio di piena occupazione considera la crisi come un FENOMENO ACCIDENTALE, UN INCIDENTE TEMPORANEO, cioè come un fenomeno estraneo al normale funzionamento del sistema economico. La crisi viene considerata quindi, come la conseguenza del comportamento scorretto o fraudolento di alcuni soggetti o istituzioni finanziarie ed economiche. Il secondo gruppo considera la crisi come un FENOMENO STRUTTURALE, cioè come un fenomeno strettamente connesso al normale funzionamento del sistema economico, cioè come un fenomeno che può essere spiegato in base alle caratteristiche stesse di un sistema finanziario complesso. Possiamo spiegare la differenza tra queste due interpretazioni con un esempio molto banale. Paragoniamo la crisi ad un incidente aereo. La prima spiegazione che considera la crisi come un incidente temporaneo afferma che la crisi (l incidente) non può essere stato provocato da problemi al motore, cioè da problemi strutturali, poiché il motore (il sistema economico) è efficiente, ma deriva o dall imperizia del pilota o dal fatto che il pilota fosse ubriaco; in entrambi i casi la responsabilità ultima della crisi deve essere attribuita all istituzione che avrebbe dovuto valutare l abilità del pilota o impedire ad un pilota ubriaco di pilotare l aereo. La seconda spiegazione invece, pur non escludendo naturalmente che la crisi (l incidente) possa essere provocata da un pilota incapace o ubriaco, sottolinea che il motore non è strutturalmente sicuro e quindi che questo rende le crisi (gli incidenti) possibili. Quindi i sostenitori di questa seconda tesi ritengono necessario al fine di evitare le crisi non soltanto incentivare i controlli per evitare che piloti ubriachi o incapaci si mettano alla guida di un aereo, ma ripensare al modo di costruire gli aerei e quindi, mettono in discussione il modo tradizionale di costruire gli aerei. 28

29 Vediamo un esempio di queste due diverse interpretazioni. La prima è sempre di Tabellini, il quale ritiene che non si debba abbandonare lo schema teorico mainstream e quindi considera la crisi come un incidente temporaneo: Come sarà ricordata questa crisi nei libri di storia economica? Come una crisi sistemica e un punto di svolta, oppure come un incidente temporaneo e presto riassorbito dovuto ad una crescita troppo rapida dell innovazione finanziaria? Se guardiamo alle cause delle crisi, e alle lezioni da trarne, la risposta è senz altro la seconda. In estrema sintesi, la crisi è scoppiata per via di alcuni specifici problemi tecnici riguardanti il funzionamento e la regolamentazione dei mercati finanziari, ed è stata acuita da una serie di errori commessi durante la gestione della crisi. Sebbene si tratti di problemi complessi, essi possono essere affrontati e risolti con adeguate seppure profonde riforme della regolamentazione finanziaria. Se sapremo imparare da questi errori e gestire bene l uscita dalla crisi, il mondo dell economia tornerà a essere come prima, anzi meglio di prima, con meno eccessi e più stabilità. Parlare di crisi del capitalismo, di fine della globalizzazione, di crisi di un sistema e di un modo di pensare, sarebbe una solenne stupidaggine (Guido Tabellini, Idee e regole per il mondo dopo la tempesta, Il Sole 24 ore, 7 maggio 2009). Un sostenitore della seconda interpretazione è il premio Nobel Paul Krugman che accusa gli economisti mainstream di non aver saputo prevedere la crisi proprio perché il modello teorico da essi accettavano consideravano la crisi come un evento accidentale e quindi avevano in pratica cancellato l idea che una crisi potesse verificarsi: Pochi economisti avevano intuito che la crisi stava arrivando, ma l aspetto più grave è un altro: la possibilità che nell economia di mercato potessero verificarsi dei fallimenti catastrofici non rientrava nel loro orizzonte. Negli anni d oro, gli economisti finanziari si erano convinti che i mercati fossero intrinsecamente stabili, che i titoli e le altre attività finanziarie avessero sempre un prezzo giusto. Nelle loro previsioni non c era nulla che lasciasse immaginare un crollo come quello dell anno scorso. Cosa è successo agli economisti? E che strada prenderanno ora? Gli economisti sono andati fuori strada perché hanno confuso la bellezza, rivestita di calcoli matematici affascinanti, con la verità. Prima della grande depressione la maggior parte degli economisti pensava che il capitalismo fosse un sistema perfetto o quasi. Quell idea 29

30 diventò insostenibile di fronte alla disoccupazione di massa, ma quando il ricordo della grande depressione è svanito, gli economisti sono tornati ad innamorarsi della vecchia visione idealizzata: un economia in cui individui razionali interagiscono in mercati perfetti. Tornare a Keynes, ecco cosa penso che debbano fare gli economisti. In primo luogo devono accettare la scomoda realtà che i mercati finanziari sono ben lontani dalla perfezione, che sono soggetti a incredibili abbagli e alla irrazionalità della folla. In secondo luogo, devono riconoscere che l economia keynesiana resta la migliore struttura a nostra disposizione per spiegare recessioni e depressioni. In terzo luogo dovranno fare del loro meglio per inglobare nella macroeconomia le realtà della finanza (Paul Krugman, Gli errori degli economisti, 18 settembre 2009). In queste lezioni analizzeremo queste due interpretazioni della crisi. Per compiere questa analisi abbiamo bisogno di conoscere in che modo la teoria mainstream da un lato e quella keynesiana dall altro, analizzano il ruolo della finanza. Quindi nelle prossime lezioni descriveremo LA TEORIA NEOCLASSICA DELLA FINANZA e la TEORIA KEYNESIANA DELLA FINANZA. Nella seconda parte del corso analizzeremo le due interpretazioni della crisi. 30

31 LA TEORIA MAINSTREAM (NEOCLASSICA) DELLA FINANZA Possiamo specificare tre aspetti fondamentali della teoria mainstram della finanza che riguardano: 1. La definizione della relazione tra moneta e credito (finanza); 2. la teoria degli intermediari finanziari, cioè la spiegazione delle ragioni della presenza di intermediari finanziari; 3. la relazione tra sistema finanziario e crescita economica. 1. Moneta e credito secondo la teoria mainstream. Abbiamo osservato che esiste uno stretto legame tra moneta e credito poiché la moneta è l oggetto tipico di un contratto di credito. Riconosciuta questa ovvia relazione, dobbiamo osservare che il primo elemento che caratterizza la teoria mainstream della finanza consiste nel distinguere nettamente moneta e credito, cioè nel separare nettamente il fenomeno della moneta dal fenomeno del credito. Possiamo distinguere due ragioni che giustificano questa posizione della teoria mainstream. A) In primo luogo, la teoria mainstream afferma che la natura del fenomeno del credito è indipendente dalle caratteristiche dell oggetto del contratto di credito. Abbiamo detto che l oggetto tipico del contratto è costituito dalla moneta; questo però non esclude, che l oggetto del credito possa essere qualunque altro bene. La teoria mainstream afferma che le caratteristiche del fenomeno del credito non cambiano in relazione all oggetto del credito. Sia nel caso in cui l oggetto del credito sia un cavallo che nel caso in cui sia una somma di denaro, il creditore riceve dal debitore la promessa che egli restituirà l oggetto del credito ad una data scadenza impegnandosi a corrispondere, eventualmente, un premio al creditore. Quindi il fenomeno del credito non deve essere confuso con la moneta poiché questo fenomeno può esistere indipendentemente dalla moneta. 31

32 B) Concentriamoci ora sui contratti di credito che hanno per oggetto moneta Anche in questo caso, secondo la teoria mainstream, è necessario separare nettamente moneta e credito cioè è necessario distinguere nettamente il processo di creazione della moneta dal processo di creazione del credito e quindi distinguere nettamente il mercato della moneta dal mercato del credito e questo significa distinguere domanda e offerta di moneta rispetto a domanda e offerta di credito. I concetti di domanda e di offerta di moneta li conosciamo, li abbiamo descritti nei corsi di macroeconomia e di economia monetaria; vediamo di specificare le caratteristiche delle funzioni di domanda e di offerta di credito secondo la teoria mainstream. Questo ci permette di sottolineare un elemento fondamentale della teoria mainstream della finanza. La teoria mainstream della finanza sottolinea infatti che esiste una stretta relazione tra le funzioni di domanda e offerta di credito e le decisioni (le funzioni) di investimento e di risparmio. Ricordiamo le caratteristiche di queste due funzioni: a) le decisioni di investimento vengono associate alle imprese che per realizzare la produzione ricorrono a due fattori produttivi: lavoro e capitale. L impresa realizzerà quindi una decisione di investimento quando deciderà di aumentare lo stock di beni capitali. Le decisioni di investimento vengono prese confrontandone i costi (ossia il valore monetario dei beni capitali che dovranno essere acquistati) e i benefici (ossia i maggiori profitti che deriveranno dalla realizzazione dell investimento). b) le decisioni di risparmio vengono prese invece dalle famiglie che percepiscono redditi da lavoro e da capitali. La loro scelta riguarderà l utilizzazione di questi redditi: consumo o risparmio. La scelta di non consumare oggi parte del reddito è finalizzata ad un espansione dei consumi futuri. Tale scelta viene effettuata confrontandone costi (ossia i minori consumi presenti) e benefici (ossia i maggiori consumi futuri resi possibili dalla decisione di risparmiare) e dipenderà, in primo luogo, dal reddito corrente e dai redditi attesi. 32

33 L elemento fondamentale che permette di spiegare la relazione tra domanda e offerta di credito e decisioni di investimento e di risparmio è costituito dal fenomeno della dissociazione tra decisioni di risparmio e di investimento, cioè è costituito dal fatto che decisioni di risparmio e decisioni di investimento vengono prese da soggetti diversi. Se infatti i soggetti che investono (le imprese) fossero anche i soggetti che risparmiano allora il fenomeno del credito e quindi della finanza, afferma la teoria mainstream, diventerebbe irrilevante (Gurley and Shaw). Il fenomeno del credito diventa importante e quindi importante il ruolo della finanza, quando esiste un forte grado di dissociazione tra decisione di risparmio e di investimento, quando cioè chi investe non risparmia e chi risparmia non investe. Possiamo distinguere i soggetti economici in due categorie: famiglie e imprese ed assumere che le famiglie che ricevono redditi da lavoro e da capitale in forma monetaria, prendano decisioni di consumo e di risparmio, mentre le imprese prendono decisioni di investimento. In questo caso le imprese potranno realizzare gli investimenti soltanto se ottengono moneta attraverso un contratto di credito, cioè se esprimono una domanda di credito. Domanda di credito a cui si contrappone l offerta di credito che coincide con i reddito monetari risparmiati dalle famiglie e che le famiglie sono disposte a prestare alle imprese. L offerta di credito è determinata dalle decisioni di risparmio L S = S; la domanda di credito è determinata dalle decisioni di investimento L d = I. Un mercato è definito oltre che dalle funzioni di domanda e di offerta anche da un prezzo il quale, reagendo agli squilibri tra domanda ed offerta, dovrebbe fissarsi al livello che garantisce l equilibrio del mercato cioè al livello che assicura l equilibrio tra domanda ed offerta; cioè al livello che assicura: L S = L d (mercato del credito) A cui corrisponde l equilibrio tra risparmi e investimenti: S = I (mercato dei beni) L equilibrio tra risparmi e investimenti è la condizione che garantisce l equilibrio sul mercato dei beni (condizione IS), quindi come ricordiamo dal corso di 33

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