BIODIVERSITÀ, BIOTECNOLOGIE E BIOETICA NELLO SVILUPPO AGRARIO E NELLA LOTTA CONTRO LA FAME di José Esquinas-Alcázar*

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1 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 209 BIODIVERSITÀ, BIOTECNOLOGIE E BIOETICA NELLO SVILUPPO AGRARIO E NELLA LOTTA CONTRO LA FAME di José Esquinas-Alcázar* Premetto che ciò che dirò deve essere visto nel quadro del grande problema della fame, e per questo è necessario considerare i fattori «biodiversità» e «risorse naturali» come materia prima sulla quale si basa la produzione agricola e alimentare. Devo anche chiarire che il termine «biotecnologie», come definito nella Convenzione sulla diversità biologica, significa «qualunque applicazione tecnologica che usi sistemi biologici, organismi viventi, o suoi derivati, per produrre o modificare prodotti o processi per usi specifici». La precisazione è meno scontata di quanto sembri. Per un equivoco molto diffuso, infatti, con questo termine vengono normalmente indicate solo le applicazioni più recenti della biologia, e non si considera, per esempio, che anche coltivando un terreno in modo tradizionale si usano tecniche e procedure che devono essere considerate biotecnologie a pieno titolo. In questa prospettiva, le biotecnologie non sono altro che strumenti di lavoro utili a tutti coloro che operano con «materia prima» di natura biologica. Va da sé che, come tali, esse non sono né buone né cattive, ma necessarie per realizzare qualcosa. * Genetista, Presidente del Sub-Comitato di Etica per l Alimentazione e l Agricoltura della FAO Le opinioni e i punti di vista espressi in questo testo sono riferibili unicamente all autore, e non riflettono necessariamente quelli della FAO. 209

2 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 210 José Esquinas-Alcázar Come ha spiegato Michael Fox nel suo efficace intervento, è sempre possibile fare un uso inappropriato e talvolta inquietante delle biotecnologie. Personalmente, tuttavia, ritengo che si possano concepire anche usi più accettabili e sensati di quelli che egli ha prospettato. L importante è avere l onestà intellettuale di riconoscere che le biotecnologie agricole più recenti necessitano di regole, e in particolare di regole che si fondano su principi etici. Il che non significa disconoscere il ruolo fondamentale della scienza nel processo di decisione politica, perché è soltanto grazie alla conoscenza scientifica che si apprendono le innumerevoli potenzialità offerte dalle nuove scoperte e dalle nuove applicazioni, siano esse biologiche o di altro tipo. Significa soltanto affermare che nel guardare alle potenzialità della tecnologia e nel decidere in quale direzione incanalarla dovremmo sempre farci guidare dal nostro spirito deontologico. Oggi le decisioni che riguardano gli usi della scienza e della tecnologia non richiedono soltanto le competenze della sfera tecnica, ma anche le valutazioni provenienti da sfere differenti. In particolare, se da una parte sono la scienza e le tecnologie a indicarci che cosa si può fare, dall altra dovrebbe essere l etica a indicarci che cosa si deve fare (e che cosa non si deve fare) con determinati strumenti. La differenza sostanziale che si pone tra scienza ed etica è che la prima cerca di parlare il linguaggio della razionalità, occupandosi di oggetti materiali e di quantità misurabili per elaborare «certezze», mentre la seconda parla il linguaggio della morale, ed è soltanto attraverso i valori morali che l umanità può stabilire dove vuole andare, quale futuro scegliere e come usare i mezzi resi disponibili dalla scienza. Ed è evidente che i valori morali entrano in gioco soprattutto quando questi mezzi rischiano di essere impiegati per finalità che a livello sociale destano forti resistenze. Oggi dobbiamo prendere coscienza che su molte questioni, come quelle sollevate dall agricoltura e dall alimentazione, le scelte escludono molto spesso le considerazioni etiche. Anzi, normalmente i parametri e i valori necessari per prendere le decisioni vengono fissati dalle regole del mercato e dai fautori, talora acritici, della tecnica. Ma se la posta in gioco è il futuro dell alimentazione e dell agricoltura, è necessario comprendere che automaticamente sono in gioco anche le possibilità di sussistenza delle prossime generazioni, nonché il futuro della biodiversità. Ci si aspetta che nel 2030 la 210

3 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 211 Biodiversità, biotecnologie e bioetica popolazione mondiale possa arrivare a toccare gli 8,5 miliardi di persone (un aumento di 2 miliardi rispetto alla popolazione attuale), di cui il 90% vivrà nei paesi in via di sviluppo, cioè nelle regioni maggiormente svantaggiate del globo. Si pone quindi il non facile problema di assicurare alimenti sufficienti e soprattutto accessibili per tutti. Deve essere chiaro che, a fronte di un impegno così importante, è del tutto privo di senso pensare che i criteri di valutazione e di decisione possano essere lasciati unicamente al mercato e alla tecnocrazia. La fame nel mondo Ovviamente questa riflessione è collegata in modo diretto alla questione della fame nel mondo. Come molti sanno, anche a seguito della pubblicazione dell ultimo rapporto annuale della FAO sulla sicurezza alimentare, le cifre della fame globale non sono qualificabili con mezzi termini: sono semplicemente scandalose. A tutt oggi oltre 850 milioni di persone vivono in condizioni di sottonutrizione o malnutrizione e, come conseguenza, ogni anno ne muoiono 15 milioni. Ogni due secondi la fame uccide un essere umano, nella maggioranza dei casi un bambino, cioè il soggetto umano più debole ed esposto in qualsiasi società del mondo. Non saprei come altrimenti definire questa situazione, se non come un atrocità che si consuma alla luce del sole e della quale siamo tutti responsabili. I dati della fame sono talmente cruenti da farci apparire i conflitti, le malattie e le altre calamità che mietono centinaia di migliaia di vittime in tutto il pianeta come eventi secondari. Ed è necessario comprendere che i problemi di immigrazione che abbiamo in Europa hanno spesso alla base un calo dell accesso alle risorse agricole e alimentari. Ecco allora che occuparsi della fame dovrebbe essere percepito come un imperativo politico da tutte le grandi potenze del mondo. Un obiettivo che dovrebbe essere incluso nell agenda delle diplomazie e delle istituzioni internazionali, se non per un improvviso sentimento di filantropia globale, almeno per una forma di egoismo illuminato. Infatti, riducendo la morsa della fame che affligge le aree povere del pianeta, molti problemi, compresi quelli collegati all immigrazione verso le aree ricche, verrebbero attenuati. 211

4 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 212 José Esquinas-Alcázar Al Vertice mondiale sull alimentazione organizzato dalla FAO nel 1996, i piu alti rappresentanti di quasi duecento paesi stabilirono un obiettivo ambizioso, decidendo che entro il 2015 la popolazione affamata del pianeta si sarebbe dovuta ridurre del 50%. Ma al ritmo attuale questo obiettivo è solo un miraggio e, in assenza di un inversione di rotta, tale resterà per molto tempo ancora. Il contesto globale in cui si sta delineando questo trend, inoltre, evidenzia una contraddizione incredibile: quest anno, per la prima volta nella storia, è stato reso ufficiale il dato secondo cui il numero mondiale degli obesi è uguale al numero degli affamati. La cruda realtà conferma che la fame non dipende dalla quantità di alimenti che vengono prodotti, perché con il cibo che si produce a livello globale si potrebbe nutrire il doppio della popolazione attuale. C è invece il problema dell accesso agli alimenti, della povertà, della giustizia. La FAO è l organismo delle Nazioni Unite che ha il compito di lavorare affinché la sottonutrizione cessi di essere una tragedia epocale. Ebbene, pochi sanno che il bilancio biennale della FAO corrisponde al budget che due paesi del mondo destinano alla produzione di cibo per animali da compagnia in una sola settimana, o che il bilancio FAO di sei anni è inferiore alle spese mondiali in armamenti di un giorno, pari a milioni di euro 1. Ecco allora che il fallimento nel raggiungere l obiettivo siglato nel 1996 al Vertice mondiale della FAO si mostra nella sua completa crudezza: un problema insoluto per mancanza di volontà politica. La biodiversità come materia prima Venendo alla questione che lega la biodiversità agricola alle biotecnologie e alla bioetica (anche se più che di biodiversità forse dovremmo parlare di risorse naturali in senso lato), è necessario sollevare alcune domande. Che cos è l agricoltura se non l applicazione di diverse tecnologie per trasformare la terra, l acqua, l aria e la biodiversità in qualcosa di commestibile? E che cosa sta accadendo a queste risorse naturali, sulle quali si fonda il futuro dell umanità? 1 Istituto internazionale di Studi per la pace di Stoccolma,

5 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 213 Biodiversità, biotecnologie e bioetica Undici milioni di ettari di teritorio vengono deforestati ogni anno e più della metà di tale superficie diventa terra arida e non produttiva. La crescente competizione per l acqua sta spostando l attenzione politica sulla necessità di una migliore distribuzione e di un più efficiente utilizzo delle risorse idriche. Il consumo idrico per l irrigazione ammonta al 70% (al 90% nei paesi in sviluppo) del consumo totale di acqua, ma inefficienze croniche nell uso dell intero sistema di irrigazione colpiscono poco meno della metà delle risorse idriche utilizzate per le colture. Per formazione e passione personale, è evidente che sono interessato soprattutto all altra risorsa fondamentale per la sopravvivenza umana, cioè la diversità biologica. Va chiarito che quando parlo di biodiversità non parlo del panda gigante o della balena azzurra, che devono certamente essere tutelati, perché sono importanti sul piano ecologico e anche perché sono animali molto affascinanti, ma che tutto sommato cominciano a godere di una «buona immagine» presso l opinione pubblica per la loro naturale capacità di sollecitare la nostra sensibilità e immaginazione. Quando parlo di biodiversità, almeno in questa sede, parlo delle risorse genetiche di interesse agroalimentare (Plant genetic resources for food and agriculture, PGRFA), ossia della diversità biologica del frumento, del riso, del mais, della patata, ecc. Per la nostra mente queste risorse sono certamente meno affascinanti della megafauna a rischio di estinzione, tuttavia non ci si dovrebbe mai scordare che esse ci permettono di nutrirci. Ma torniamo alle domande: come viene utilizzata questa biodiversità? Lungo la storia dell umanità sono state utilizzate per l alimentazione tra e differenti specie vegetali, mentre oggi ne vengono coltivate non più di 150. Fra queste, dodici provvedono a più del 70% dell approvvigionamento alimentare umano, e solo 4 frumento, riso, mais e patata forniscono circa il 60% del nostro fabbisogno calorico. A quanto pare, non stiamo usando in modo responsabile le risorse biologiche necessarie per un agricoltura sicura, e non le stiamo nemmeno valorizzando. Tra l altro, stiamo limitando le nostre scelte di mercato, il che fa emergere una dimensione forse un po trascurata della biodiversità agricola, che però è strettamente collegata alla questione della conservazione. Oltretutto, non solo il numero delle specie è importante, ma 213

6 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 214 José Esquinas-Alcázar anche e soprattutto la diversità biologica intraspecifica. Per chiarire questo concetto, vorrei soffermarmi per un momento su alcuni eventi storici che spiegano perché questo tipo di diversità biologica è essenziale, soprattutto per le poche colture che utilizziamo oggi. Nel XVI secolo, dall America fu portata in Europa una coltivazione del tutto sconosciuta, la patata. La patata si sparse così rapidamente nel Vecchio continente che tre secoli dopo costituiva già la base dell alimentazione di molti paesi europei, soprattutto di quelli ad alto tasso di umidità dove i cereali non erano adatti (come l Irlanda e altre isole) ma anche delle regioni centrali. Nel 1837 fece la sua comparsa una malattia parassitaria scatenata dal fungo Phytophtora infestans, che per la sua capacità di deteriorare i tessuti fogliari e produrre lesioni marcescenti nei tuberi riuscì a uccidere gran parte delle coltivazioni di patata europea. L ondata di fame che colpì l Irlanda e le altre zone dell Europa dipese proprio dalla mancanza di diversità biologica nelle coltivazioni di tuberi importati dall America. Le patate europee infatti erano biologicamente uniformi e sensibili al parassita, per cui dalla comparsa del fungo all infestazione di gran parte delle coltivazioni di tuberi del continente il passo fu brevissimo. In pratica, accadde che la mancanza di variabilità genetica delle patate, apprezzabile anche dalle loro caratteristiche esterne, come il colore invariabilmente marrone chiaro o la forma tondeggiante, ebbe come esito una vulnerabilità assoluta alla malattia. E siccome non fu in alcun modo possibile trovare sostanze chimiche biocide contro il parassita, o altre soluzioni che potessero fermare il decorso dell epidemia, in soli due anni, solamente in Irlanda, quasi tre milioni di persone morirono di fame e due milioni dovettero emigrare negli Stati Uniti. Il risultato fu che oltre il 50% della popolazione irlandese fuggì o perì, e anche nel resto dell Europa la tragedia fu enorme. A un certo punto, però, qualcuno ebbe l idea a dir poco felice di andare a vedere che cosa accadeva nelle terre d origine della patata, ossia in Perù, in Bolivia, in Equador, e trovò che in quei territori le patate non erano tutte uguali ma ve n erano anche di altri colori (dal violaceo al rossastro) e di forme e dimensioni diverse. In questa enorme diversità fu possibile trovare anche la resistenza biologica al fungo Phytophtora infestans, che molti secoli prima gli abitanti dell America Latina avevano avuto modo di conoscere e sconfiggere con un arma intelligente e davvero efficace: la biodiver- 214

7 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 215 Biodiversità, biotecnologie e bioetica sità intraspecifica. Il problema alimentare venne così risolto grazie alle patate resistenti importate da un continente che, a ben guardare, era molto più povero e arretrato dell Europa. Va detto che quello descritto sopra non fu un caso isolato. Nel 1972, per citare un esempio più recente, negli Stati Uniti si generò una situazione per certi versi simile a quella dell Europa ottocentesca. In questo caso però la pianta implicata era il mais e la malattia l elmintosporiosi, provocata dal fungo Helminthosporium maydis. L elmintosporiosi distrusse più del 50% del mais coltivato negli Stati Uniti del Sud, perché si trattava di mais ibrido, nel quale si era utilizzata come base di androsterilità citoplasmatica un unica varietà che era suscettibile al parassita. Ciò si tradusse in coltivazioni che nell intera regione derivavano da questa varietà cerealicola biologicamente omogenea. Anche in questo caso si tentò di trovare pesticidi idonei a debellare l infestante, ma lo sforzo non sortì risultati, e quando si cercò la resistenza spontanea alla malattia ancora una volta la soluzione venne scovata proprio laddove la diversità della pianta era stata conservata, ovvero in Africa. Di nuovo fu il Sud del mondo a risolvere i problemi del Nord. Per certi versi, tra l altro, fu una fortuna che questo evento, che mise in ginocchio gli agricoltori di una regione rurale del mondo assai importante, avesse avuto luogo in un paese fortemente sviluppato. Infatti le autorità nazionali degli Stati Uniti presero molto sul serio il problema e lo affrontarono con tempestività. Se ne occupò persino l Accademia delle scienze americana, che dopo avere convocato d urgenza una conferenza sulla vulnerabilità genetica delle grandi coltivazioni agricole, diede alle stampe un libro molto interessante sullo stesso tema. Le preoccupazioni per le sorti delle varietà genetiche delle pochissime specie vegetali che oggi utilizziamo trovano quindi un solidissimo fondamento razionale. C è molto semplicemente l esigenza di tutelare la diversità agricola per garantire il futuro della sicurezza alimentare. E su questo punto cruciale, oltretutto, emerge con chiarezza l interdipendenza tra i paesi del mondo. Un interdipendenza che può essere espressa in termini quantitativi, visto che, per la diversità genetica delle coltivazioni più importanti, in media il sistema agroalimentare di un paese dipende dagli altri per il 70%. Nel caso dell Italia, per esempio, tale dipendenza è del 71-81%. Si deve aggiungere anche che questo scenario conferma il dato per cui le 215

8 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 216 José Esquinas-Alcázar aree del Nord del mondo sono molto più dipendenti di quelle del Sud, il che costituisce una novità interessante, perché si capovolge la tradizionale concezione di «paesi ricchi» e «paesi poveri». I paesi più ricchi di dollari e tecnologie, infatti, sono spesso i più poveri di risorse naturali necessarie all alimentazione e all agricoltura. Che la massima diversità biologica si concentri nelle zone tropicali e subtropicali del globo tipicamente nei paesi in via di sviluppo è una nozione documentata e inconfutabile. Tuttavia va considerata anche un interdipendenza che, come abbiamo visto nei casi della patata e del mais, riguarda la resistenza alle malattie e agli infestanti di interesse agrario. Nei territori d origine, le colture agricole hanno avuto modo di sperimentare buona parte delle aggressioni parassitarie che possono danneggiarle, e hanno mantenuto la capacità di sviluppare le difese spontanee che ne hanno aumentato le probabilità di sopravvivenza. Anche questo rappresenta un aspetto fondamentale della biodiversità: un patrimonio incalcolabile che abbiamo ereditato dai nostri antenati, verso il quale dovremmo avvertire un obbligo morale a favore dei nostri figli. Oggi, con il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l alimentazione e l agricoltura (International treaty for plant genetic resources for food and agriculture, ITPGRFA), abbiamo l obbligo non solo morale ma anche giuridico di conservare per le generazioni future il patrimonio cui accennavo poco sopra. Tornando alla questione dell interdipendenza, in verità essa non riguarda unicamente la diversità biologica ma anche quella culturale. Queste «due diversità» mescolate insieme con molte altre espressioni della diversità costituiscono la vera valvola di sicurezza che permette di affrontare l imprevedibilità dell ambiente e dei bisogni umani. Dunque, quando si parla di diversità, bisognerebbe parlare di diversità a tutti i livelli: la diversità dei sistemi agricoli, per esempio, si riflette nel coadattamento tra la pianta, l uomo e il mezzo ambientale in cui essa cresce e si sviluppa. Tale coadattamento è la madre delle innumerevoli tipologie di sistemi agricoli che si possono avere e questo ci porta a prendere coscienza del fatto che il mondo ha bisogno di una maggiore cooperazione internazionale, che deve essere chiaro non è una scienza ma una necessità culturale, oltre che umanitaria. 216

9 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 217 Biodiversità, biotecnologie e bioetica Le biotecnologie come strumento Vorrei ora soffermarmi sulle biotecnologie che, come precisato sopra, sono meri strumenti di lavoro che nella pratica agronomica consentono di agire sulla diversità biologica e sulle altre risorse naturali. Non è superfluo ribadire che le biotecnologie non vanno identificate soltanto con le manipolazioni del DNA che permettono di produrre organismi transgenici. Le biotecnologie sono qualsiasi intervento umano in grado di trasformare la biodiversità materia prima che può essere trattata a nostro beneficio, possibilmente con grande competenza, attenzione e rispetto per il suo valore. I geni non si inventano né si creano (semmai si combinano e si ricombinano), ma esistono in natura grazie all evoluzione biologica nel corso di miliardi di anni, e sono stati selezionati dall uomo da quando è cominciata l agricoltura circa anni fa. Nel gioco del lego, è possibile costruire una casa, un palazzo, un ponte, ma solo a condizione che nella scatola siano presenti tutti i pezzi che consentono di giocare. Senza questi pezzi non si può costruire nulla. In senso metaforico, allora, la diversità biologica è la scatola, e le risorse genetiche sono i pezzi utili per giocare a costruire case, palazzi, ponti. Poi esistono gli strumenti (le biotecnologie) che si possono usare per realizzare cose buone e cose meno buone. Un coltello usato per tagliare il pane e distribuirlo alle persone si trasforma in uno strumento di condivisione, cioè «positivo». Ma un coltello usato per uccidere una persona si trasforma in uno strumento di morte, cioè «negativo». Qui allora si entra di nuovo nell ambito degli interrogativi etici. Che uso voglio fare degli strumenti di cui dispongo? Quali sono i miei obiettivi? Chi definisce questi obiettivi? Queste sono tutte domande che comportano risposte di carattere etico-politico. Non si devono inoltre sottovalutare i rischi connessi con la potenza delle tecnologie. Le tecnologie diventano sempre più potenti, come è stato messo in rilievo da Fox. Il suo contributo ha giustamente rilevato che una tecnologia può non essere neutra, non solo perché può essere usata differentemente per scopi positivi o per scopi negativi, ma anche perché può provocare involontariamente danni irreversibili contro noi stessi. Un coltello elettrico è molto più efficiente nel tagliare, ma presenta anche una probabilità maggiore che chi lo usa si ferisca involontariamente. Per questo richiede, 217

10 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 218 José Esquinas-Alcázar rispetto a un normale coltello manuale, un attenzione maggiore e una capacità superiore di controllo. Con le biotecnologie più recenti abbiamo lo stesso problema, perché esse sono sempre più potenti ed efficaci nell alterare la struttura fine del mondo biologico. Da ciò nasce il bisogno di applicare intelligentemente il Principio di precauzione. Nella storia umana anche il fuoco è diventato uno strumento importante, al punto che ha drasticamente mutato il destino e le possibilità di sviluppo di tutta l umanità. Ma prima che l uomo imparasse a usarlo e controllarlo è stato causa di distruzione, e ancora oggi sappiamo che se non controlliamo il fuoco in modo appropriato, o se lo usiamo in condizioni in cui può sfuggire di mano, esso si trasforma in uno strumento micidiale. La bioetica per decidere che cosa fare La direzione da imprimere allo sviluppo tecnologico e l attenzione che si deve prestare ai rischi che esso comporta sono quindi momenti fondamentali della decisione politica. Oggi però lo sviluppo tecnologico procede molto rapidamente e non lascia il tempo necessario a questo tipo di pianificazione. Una buffa storiella che si raccontava durante la mia infanzia, narrava di un pilota di aerei che un bel giorno, perduta la rotta di volo, disse ai passeggeri: «Cari passeggeri, è mio dovere informarvi che ci siamo persi, ma non c è ragione di preoccuparsi manteniamo una velocità formidabile». Oggi si pone un paradosso molto simile a quello evidenziato da questa storiella: spesso lo sviluppo tecnologico sembra privo di finalità, ma ci piace celebrare il passo sempre più rapido con cui procede. Se il fine ultimo dell uomo è essere felice, è legittimo ritenere che, almeno in parte, il suo raggiungimento possa essere assicurato da un buon tenore di vita. D altro canto è altrettanto evidente e ben documentato dalla ricerca sociale che la sola ricchezza materiale non consente di raggiungere quel fine. Non si tratta solo del tradizionale luogo comune per cui il denaro non permette di acquistare la felicità. Gli studi di psicologia sociale indicano chiaramente che la ricchezza non genera la felicità, anche se nella nostra società è luogo comune presentarla come un suo prodotto. Negli USA, tra la fine 218

11 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 219 Biodiversità, biotecnologie e bioetica degli anni Cinquanta e l inizio del nuovo secolo, il reddito medio della popolazione (a parità di potere d acquisto, in dollari 1995) è più che raddoppiato, ma la percentuale della popolazione che dichiara di essere più felice è rimasta stabile. Un indagine condotta tra il 1990 e il 2000 in oltre 60 paesi del mondo ha evidenziato che il rapporto tra ricchezza materiale e felicità è direttamente proporzionale fino a un reddito di dollari annui (a parità di potere d acquisto, in dollari 1995), soglia oltre la quale la felicità non cresce più anche se la ricchezza aumenta. I dati ci dicono che esistono società più felici nei paesi del cosiddetto «mondo povero» che in quelli del «mondo ricco». In questi paesi la relazione tra ricchezza e percezione di benessere è differente, anche perché la maggioranza delle risorse finanziarie delle persone e delle famiglie viene impiegata per soddisfare bisogni primari. Per queste culture, il raggiungimento della felicità dipende dal fatto di avere una buona condizione di salute, cibo sufficiente a sfamare se stessi e gli altri famigliari, relazioni sociali appaganti, tempo da dedicare a se stessi, ai figli e agli amici, ecc. Tutti aspetti che nella società dei consumi sono sempre più trascurati e spesso difficili da realizzare. Ecco allora che non potendo godere dei piaceri originali si va alla ricerca dei facili surrogati, salvo poi scoprire che i surrogati sono funzionali soltanto ad aumentare i consumi (e ad asciugare il portafoglio) e non ad accrescere il benessere personale. Detto questo, resta il fatto che nei piani di sviluppo della gran parte dei paesi del mondo si utilizzano unicamente indicatori economici e sociali per rappresentare il benessere, mentre raramente si considerano gli indicatori di felicità. Poco sopra si parlava della relazione tra biodiversità, biotecnologia e bioetica. Ebbene, attualmente la nostra società può disporre di una tecnologia che è in grado di utilizzare la biodiversità in modo inimmaginabile fino a non molti anni fa, vale a dire trasferendo geni tra organismi differenti, e addirittura tra regni biologici differenti. Una pianta di fragola è stata geneticamente modificata per crescere a -10 C (una temperatura normale solo in regioni come il Canada settentrionale) grazie alla trasformazione biologica ottenuta con geni di un pesce artico. La domanda spontanea è: qual è il fine di tutto questo? Serve forse per sfamare il mondo? Serve per sfamare le popolazioni, in media benestanti, di paesi come la Norvegia o il Canada? È stato forse incentivato il livello di felicità di quelle popo- 219

12 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 220 José Esquinas-Alcázar lazioni grazie alla possibilità di produrre fragole che crescono in mezzo al ghiaccio? Il sospetto, in realtà, è che l unico risultato sia stato quello di avere reso più poveri i tradizionali paesi esportatori di fragole, come il Cile e l Algeria, che dalla nuova tecnica che consente di produrre «fragole polari» non avranno certo ricavato un giovamento per la loro bilancia commerciale. Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l alimentazione e l agricoltura A questo punto, dal momento che il mio punto di vista vuole essere il più possibile improntato al pragmatismo, vorrei portare una testimonianza positiva di come sia possibile cambiare le cose, mettendo al centro dell attenzione la sicurezza alimentare e l equità. Negli ultimi anni, la comunità internazionale ha deciso di darsi uno strumento di governance per così dire, un framework, un marchio politico internazionale a tutela delle risorse fitogenetiche, per il perseguimento della sostenibilità ambientale e della giustizia sociale. I suoi obiettivi sono la conservazione e l uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l alimentazione e l agricoltura, e la distribuzione equa dei benefici derivanti dal loro uso. Va infatti precisato che, nell esercizio della loro sovranità, i paesi aderenti hanno optato per un regime di condivisione sia delle risorse sia dei benefici che ne possono discendere, invece di limitarsi a fissare dei meccanismi per la loro appropriazione. Così la distribuzione dei vantaggi derivanti dall utilizzo delle risorse fitogenetiche di interesse agroalimentare si realizzerà attraverso scambi di informazioni, trasferimenti di tecnologie e una serie di altri strumenti volti ad assicurare l accesso alle conoscenze e la giustizia sociale. Per esempio, è stato previsto un sistema multilaterale che si applica a 64 colture e piante da foraggio, volto a favorire l accesso alle risorse fitogenetiche e l equa ripartizione dei benefici connessi. Le risorse saranno disponibili per la ricerca scientifica e il miglioramento genetico, a condizione che venga riconosciuta una parte dei benefici monetari derivanti dall eventuale commercializzazione di prodotti da esse ottenuti, salvo usi ulteriori a fini di ricerca e miglioramento (caso in cui il pagamento sarà volontario). 220

13 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 221 Biodiversità, biotecnologie e bioetica Ma c è un altro punto importante. Per la prima volta nella storia dei trattati internazionali, nell ITPGRFA sono stati formalmente inseriti i diritti degli agricoltori, per premiare l enorme contributo che essi hanno dato e continuano a dare alla conservazione e allo sviluppo delle risorse fitogenetiche. A garanzia di questi diritti, si è deciso che debbano essere i governi a individuare e adottare gli strumenti necessari affinché venga tutelata anzitutto la protezione delle conoscenze tradizionali, ma anche il diritto di partecipare a tutte le decisioni nazionali che riguardano le risorse fitogenetiche. Resta il fatto che il principale beneficiario del Trattato è la società nel suo complesso: i consumatori che potranno contare su una maggior disponibilità di alimenti e prodotti agricoli; la comunità scientifica che potrà accedere a risorse fitogenetiche di importanza fondamentale per la ricerca e il miglioramento delle piante; i centri internazionali di ricerca agronomica ai quali il Trattato offre una base giuridica di lungo periodo; e infine i settori pubblico e privato ai quali viene assicurato l accesso a una vasta gamma di varietà genetiche per lo sviluppo agricolo. Ovviamente il Trattato ha richiesto molti anni di preparativi e negoziati per poter vedere la luce, anche perché la materia in discussione era tecnicamente complessa e politicamente controversa: stabilire un collegamento tra agricoltura, commercio e protezione dell ambiente. Nel novembre 2001, la Conferenza della FAO ha sancito finalmente l accordo con il riconoscimento internazionale e l adesione di quasi tutti i paesi che hanno partecipato ai tavoli negoziali (Stati Uniti e Giappone sono i soli che si sono astenuti). Il 29 giugno 2004, in occasione della riunione di Madrid, l ITPGRFA è entrato ufficialmente in vigore assumendo potere vincolante. Ad oggi la sua ratifica è stata formalizzata da 111 Paesi, il che dimostra l enorme interesse che suscita. Il direttore generale della FAO l ha definito «una pietra miliare nelle relazioni tra nord e sud del mondo». Sotto il profilo della normativa internazionale, ovviamente, l ITP- GRFA ha lo stesso valore di altri grandi trattati come il Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico e la Convenzione sulla biodiversità. Il suo organo direttivo è formato dai governi che l hanno ratificato almeno 90 giorni prima dell appuntamento di Madrid, affrontando questioni importanti come il livello, la forma e le modalità dei 221

14 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 222 José Esquinas-Alcázar pagamenti per la commercializzazione delle risorse fitogenetiche e altri meccanismi fondamentali. Il passo successivo del Trattato sarà lo sviluppo di legislazioni e regolamenti interni che consentiranno la sua piena e corretta implementazione. Il potere vincolante dell ITPGRFA, infatti, non può prescindere dall elaborazione di norme nazionali, anche se la sua ratifica sarebbe già sufficiente a renderlo legge nazionale. Conclusione Per arrivare alla conclusione, va ribadito che la tecnologia va vista come uno strumento, così come il mercato e addirittura la scienza. Questi infatti sono tutti strumenti che devono essere utilizzati per andare in una direzione che solo noi possiamo decidere. È questa la metafora dell etica: il futuro appartiene a tutti noi, e tutti insieme dovremo esercitare il diritto di decidere dove andare. Noi scienziati insieme con i politici, i decisori e i tecnocrati abbiamo il dovere di non trascurare mai che, in ogni momento della nostra attività, operiamo su mandato sociale. La nostra generazione ha una responsabilità che nessun altra generazione del passato ha avuto. Oggi abbiamo le conoscenze e le tecnologie per sconfiggere definitivamente la fame e rendere più vivibile la Terra, ma, al tempo stesso, anche per rendere la fame più cruenta e distruggere irreversibilmente il pianeta. È quindi a noi che spetta l onere di decidere quali scelte fare. Non possiamo permetterci di illuderci che le cose stiano diversamente, perché, se ci illudiamo, altri decideranno per noi. Abitiamo un piccolo pianeta più che mai dominato da una tremenda interdipendenza grazie alle tecnologie, alle comunicazioni, a Internet, ecc. Cento anni fa, un esperimento realizzato all interno di un paese poteva sortire, nel peggiore dei casi, conseguenze locali. Ma all alba del terzo millennio si possono soltanto concepire esperimenti e conseguenze globali: uno scenario in cui la precauzione diventerà sempre più una risorsa preziosa. Il prossimo esperimento riguarderà il futuro dell umanità, la fine della fame, oppure, più allegoricamente, la sorte di una barca. Se in questa barca si formeranno falle irreparabili non importa se in 222

15 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 223 Biodiversità, biotecnologie e bioetica Africa, in Asia, negli Stati Uniti o in Europa affonderemo tutti insieme. Il problema della fame non è, e non sarà, il problema di coloro che hanno fame, ma è, e sarà, il nostro problema, il problema di un umanità intera. Occorrono più informazione, più trasparenza, più democrazia, più senso di responsabilità. I paesi anglofoni usano due ottime parole per indicare tutto questo, accountability e governance: se i concetti che esse sottendono fossero davvero praticati, avremmo sia la rotta sia la nave per poter andare dove vogliamo andare. BIBLIOGRAFIA Altieri M.A., Merrick L.C., «In situ conservation of crop genetic resources through maintenance of traditional farming systems», Econ. Bot., 41, 1987, pp Brush S. (ed.), Genes in the Field: On-farm Conservation of Crop Diversity (International Development Resources Centre/International Plant Genetic Resources Institute/ Lewis, Boca Raton, Florida Brush S., «Providing farmers rights through in situ conservation of crop genetic resources», CGRFA Background Study Paper No. 3 [online], <ftp://ext-ftp. fao.org/ag/cgrfa/bsp/bsp3e.pdf> (1994). CGRFA, «Progress report on the development of a network of in situ conservation areas», GIAHS home page [online], <ftp://ext-ftp.fao.org /agcgrfa/cgrfa9/r9w13e.pdf> (2002). Chang T.T., in The Use of Plant Genetic Resources, Cambridge Univ. Press, Cambridge Esquinas-Alcázar J., «Protecting crop genetic diversity for food security: political, ethical and technical challenges», Nature, 6, 2005, pp FAO, «The State of Food Insecurity in the World (SOFI)», Annual FAO Report, FAO, «The state of the world s plant genetic resources for food and agriculture», [online], < AGP/AGPS/Pgrfa/pdf/ swrfull.pdf> (1997). FAO, «International Treaty for Plant Genetic Resources for Food and Agriculture», FAO Conference, Rome [online], ftp://ext-ftp.fao.org/ag/ cgrfa/it/itpgre.pdf (2001). FAO, «World agriculture: towards 2015/2030», FAO corporate document repository [online], < url_file=/docrep/005/ Y4252E/Y4252E00.HTM> (2005). 223

16 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 224 José Esquinas-Alcázar Fowler C., Hodgkin T., «Plant genetic resources for food and agriculture: assessing global availability», Annu. Rev. Environ. Resour., 29, 2004, pp Gardner G., Assadourian E., «Rethinking the Good Life», in State of the World 2004, Worldwatch Institute, Jarvis D.I., Zoes V., Nares D., Hodgkin T., «On-farm management of crop genetic diversity and the Convention on Biological Diversity s programme of work on agricultural biodiversity», Plant Genet. Resour. Newsl., 138, 2004, pp Jarvis D.I. et al., A Training Guide for In Situ Conservation On-farm Version 1, International Plant Genetic Resource Institute, Rome Kloppenburg J.R. jr (ed.), Seeds and Sovereignty The Use and Control of Plant Genetic Resources, Duke Univ. Press, Durham, North Carolina Mangelsdorf P.C., «Genetic potentials for increasing yields of food crops and animals», Proc. Natl Acad. Sci., USA, 56, 1966, pp National Research Council, «Genetic Vulnerability of Major Crops», National Academy of Sciences, Washington DC Palacios X.F., «Contribution to the estimation of countries interdependence in the area of plant genetic resources», CGRFA Background Study Paper No. 7 Rev. 1 [online], <ftp://ext-ftp.fao.org/ag/cgrfa/bsp/bsp7 E.pdf> (1998). Prescott-Allen R. & Prescott-Allen C., Genes from the Wild 2nd edn, Kogan Page, London Shands H., «Plant genetic resource conservation: the role of the gene bank in delivering useful genetic materials to the research scientist», J. Hered., 81, 1990, pp Ten Kate K., Laird S., The Commercial Use of Biodiversity: Access to Genetic Resources and Benefit-Sharing, Earthscan, London Van Hintum T.J.L., Visser D.L., «Duplication within and between germplasm collections. II. Duplication in four European barley collections», Genet. Resour. Crop Evol., 42, 1995, pp

17 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 225 DALL AGROINDUSTRIA ALL AGROECOLOGIA di Jean-Pierre Berlan* L agricoltura industriale trasforma il petrolio in merci commestibili grazie all uso di un insieme integrato di input industriali. Per essere efficienti, questi input (macchinari, fertilizzanti sintetici, pesticidi, irrigazione) non devono soltanto adattarsi reciprocamente come gli ingranaggi di una macchina, ma devono farlo tenendo conto che le piante e gli animali vanno subordinati a questo arsenale tecnologico (la parola «arsenale» si riferisce all origine di questi input, risalente alla prima guerra mondiale). Questa agricoltura industriale porta ancora lo stigma della sua origine: il ricorso alla violenza per sottomettere la natura e diventarne artefici e proprietari. A tale riguardo, i cloni chimerici brevettati, ossia gli «organismi geneticamente modificati» (come li ha ingannevolmente battezzati la corporation Monsanto), sono l ultima e irreversibile arma di questo arsenale. Gli OGM, più che aprire le porte a un futuro di abbondanza ecologica, rappresentano la massima espressione dell agroindustria e rafforzano l insana dipendenza degli agricoltori da un sistema già ammorbato dai pesticidi. Negli Stati Uniti e in Europa il trionfo dell agricoltura industriale si è concentrato sulla produzione e sull aumento della produttività. Sebbene questi criteri abbiano poco senso, da quando l industrializzazione dell agricoltura ha avviato l era della saturazione per- * Agronomo, Direttore di Ricerca, INRA Montpellier, Francia 225

18 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 226 Jean-Pierre Berlan manente del mercato, la loro celebrazione stravagante ha messo a tacere le critiche. Negli anni 60 e nei primi anni 70, alcuni autori per esempio, Rachel Carlson e Barry Commoner hanno colto alcuni aspetti distruttivi dell agroindustria (o, più in generale, della nostra hybris tecnologica), ma ci volle tempo perché si facesse strada la consapevolezza che l agricoltura industriale stava minando le basi del proprio successo e che era necessario intraprendere un nuovo corso. Solo in anni recenti la vulnerabilità, o l insostenibilità, del sistema agroindustriale è divenuta palese, mentre il successo dell agricoltura biologica e la comparsa dell agroecologia hanno fornito una nuova cornice concettuale che ha messo in rilievo come l agricoltura industriale sia il problema e non la soluzione. L agroecologia è molto più di un semplice ricettario di tecniche volte a far lavorare gratuitamente la natura per noi, evitando le ingenti spese associate agli input industriali. Più che a sottomettersi alla natura, l agroecologia mira a instaurare un amichevole collaborazione con essa. Per questo richiede un cambiamento drastico del nostro modo di vedere il mondo e una riorganizzazione delle nostre relazioni sociali. Due generazioni fa, i contadini allevavano i loro cavalli perché trainassero degli attrezzi semplici, li nutrivano con l avena e il fieno che essi stessi producevano, usavano il loro letame come fertilizzante, riseminavano i semi che avevano raccolto e tenevano i risparmi sotto il materasso o su un conto di risparmio. Gli agricoltori di oggi si avvalgono di macchine Fiat o John Deere, le nutrono con combustibili Total, spargono fertilizzanti Norsk Hydro, vendono i cereali raccolti alla Cargill, li riacquistano dalla Nestlé e seminano ciò che è stato brevettato dalla Monsanto ricorrendo a un prestito rinnovabile del Crédit Agricole. Eppure, usiamo ancora lo stesso termine, «agricoltura», per designare due realtà lontanissime tra loro. A questa nuova agricoltura conviene conservare la confusione terminologica tra l «uovo» di una gallina felice che scorrazza su e giù alla ricerca di insetti e l «uovo» di una macchina deponitrice di uova casualmente dotata di penne, confinata in una cella di un metro quadrato (insieme ad altre dieci sfortunate) che confina con altre centinaia di celle in cui sono stipate migliaia o addirittura milioni di infelici detenute nutrite con mais, soia e antibiotici. Alcuni grandi storici, come Fernand Braudel e, più di recente, Eric Hosbaum, hanno 226

19 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 227 Dall agroindustria all agroecologia compreso come la fine dell agricoltura dei contadini sia un punto di svolta epocale nella storia dell umanità. L agricoltura industriale infatti non è il normale sviluppo di quel processo che ha avuto inizio dodicimila anni fa con la domesticazione degli animali e delle piante e che ha forgiato l umanità, ma una deviazione incontrollata. L espressione «agricoltura industriale» sta a indicare proprio la trasformazione del petrolio in merci alimentari attraverso la tecnologia. L agricoltura industriale e la prima guerra mondiale L odierna agricoltura industriale è il risultato di un movimento nato all epoca della Rivoluzione industriale e sviluppatosi nel corso di due secoli, che ha avuto un accelerazione drastica intorno alla prima guerra mondiale: i fertilizzanti a base di azoto nascono a partire dal metodo Haber per la sintesi catalitica dell ammoniaca, brevettato nel 1908 e sviluppato su scala industriale da Carl Bosch per scopi bellici. A quel tempo, il Cile era la fonte principale di salnitro, usato per la produzione di munizioni e fertilizzanti. Poco dopo lo scoppio della guerra, a causa del rischio di non ricevere più approvvigionamenti dal Cile, la Germania iniziò a produrre ammoniaca. Il metodo Haber-Bosch diede un contributo decisivo alla nascita dell industria bellica, ossia alla mobilitazione di tutte le risorse scientifiche, tecniche, informative, finanziarie e umane annullando, in un certo senso, la distinzione tra civile e militare. Il contributo di Haber all industrializzazione della guerra non si fermò qui. Egli convinse le forze militari tedesche a usare i gas nei combattimenti, nonostante le armi chimiche fossero proibite dai trattati internazionali, e sovrintese personalmente al primo utilizzo del cloro a Ypres, nell aprile del 1915; più tardi, inoltre, mise a punto il terribile gas mostarda, usato per la prima volta nel luglio del Haber aveva una mente fertile, inventò il bombardamento Bunteschiessen, che consisteva nell uso iniziale di Maskenbrecher (un irritante a base di arsenico molto penetrante) a cui seguiva un secondo bombardamento con una sostanza come il gas mostarda. Alla fine del conflitto, temendo di essere perseguito come criminale di guerra, si rifugiò in Svizzera. I suoi timori ebbero breve durata, dal momento che nel 1920 gli fu attribuito il Premio Nobel per la 227

20 *05.Biotecnocrazia :49 Pagina 228 Jean-Pierre Berlan chimica, per il suo lavoro sulla sintesi dell ammoniaca da impiegare come fertilizzante. Haber fu l incarnazione dello scienziato moderno, incapace di vedere le conseguenze distruttive delle sue imprese (fino a rasentare la stupidità). I gas velenosi testati su organismi viventi, insetti e mammiferi, spianarono la strada agli insetticidi. Nel 1919, quando la Germania lanciò un programma segreto per la guerra chimica, fu proprio lui a sviluppare il Zyklon B, un fumigante destinato a un futuro infelice. Dall altra parte dell Atlantico, intanto, la penuria di manodopera per i lavori agricoli provocata dalla prima guerra mondiale fece accelerare la produzione e l adozione del primo trattore leggero, il Fordson (presentato nel 1917), che fu esportato in Gran Bretagna e in Unione Sovietica. Fu così che la prima guerra mondiale gettò le basi dell agricoltura industriale (fertilizzanti, pesticidi, macchinari), anche se l instabilità degli anni 20 e 30 del secolo scorso, nonché la grande depressione degli anni 30, ne ritardarono la diffusione mondiale fino al termine del secondo conflitto. In agricoltura, ovviamente, il successo di questi input industriali richiese l adattamento di impianti e animali appositamente selezionati. Per esempio, negli anni 30 le prime macchine per la raccolta del mais non diedero risultati soddisfacenti perché le pannocchie tendevano a cadere al suolo prima che la macchina potesse prenderle. Questa caratteristica del mais era desiderabile per la raccolta manuale, e infatti era stata appositamente selezionata, ma con le macchine raccoglitrici costituiva soltanto un problema. Bisognava dunque selezionare nuove varietà di mais più saldamente attaccate al fusto e più adatte alla raccolta meccanizzata. Un altro esempio è rappresentato dalle diverse varietà di cereali (grano, orzo, mais e altri) che risposero positivamente all aumento nell uso di fertilizzanti azotati a basso costo. Le piante mostravano una crescita vigorosa, ma le grandi spighe che si sviluppavano cadevano a terra e i selezionatori furono costretti a selezionare «varietà» capaci di ovviare al problema. «Rivoluzione verde» in fin dei conti significò poter selezionare piante adeguate alle pratiche e agli input industriali. Nei primi anni 50, gli agronomi della Ford Foundation si recarono nel Sud-Est asiatico per cercare di controllare le «rivoluzioni rosse» contadine, e si resero conto che fornire fertilizzanti a base di azoto non era suffi- 228

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