Irbesartan. Ruolo di nel trattamento. della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito

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1 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito Irbesartan Ruolo di nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa. Periodicità bimestrale - Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano Vol. 8, n. 2 aprile 2005

2 1 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito Pietro Cazzola Sindrome metabolica: nuovi aspetti diagnostici, patogenetici e terapeutici INFORMED vol. 8, n.2, 2005 Il Framingham Study in U.S.A. (1), il Brisighella Heart Study (2) ed il Casale Monferrato Study in Italia (3) hanno chiaramente evidenziato che raramente un fattore di rischio cardiovascolare è presente singolarmente in una popolazione: infatti in circa l 80% dei casi esso si associa ad altri determinanti che agiscono in senso moltiplicativo rendendo il rischio globale marcatamente elevato (Tabella 1). Da un analisi prospettica dei dati dello studio PROCAM (Prospective Cardiovascular Munster) è infatti emerso che per gli uomini di età compresa tra 40 e 65 anni la presenza di diabete o di ipertensione aumenta di 2,5 volte l incidenza di infarto miocardico, mentre tale incremento è di 8 volte quando essi si associano tra loro, e di 19 volte quando si aggiunge qualche alterazione del profilo lipidico (4). La coesistenza nello stesso soggetto di differenti anomalie metaboliche (dislipidemia, ipertensione, insulinoresistenza, obesità e stato protrombotico) è stata, nel corso degli anni, variamente denominata dai diversi Autori ( sindrome X, sindrome dell insulino-resistenza, sindrome del quartetto mortale ), ma attualmente il termine più utilizzato è quello di sindrome metabolica (5-9). Recentemente l IDF (International Diabetes Federation) ha ridefinito i criteri per identificare i pazienti con questa sindrome (10) (Tabella 2). L anomalia alla base dei differenti componenti della sindrome metabolica è ritenuta essere l insulino-resistenza (11). Esistono convincenti argomentazioni che una delle cause di quest ultima possa essere la persistente attivazione del sistema simpatico che, agendo attraverso la stimolazione del sistema reninaangiotensina (RAS), aumenterebbe lo stress ossidativo a sua volta responsabile della risposta infiammatoria osservabile in corso di aterosclerosi, obesità e diabete di tipo 2 (12) (Figura 1). Quattro fattori (n = 169) Obesità + ipertensione + dislipidemia + microalbuminuria 169 (10,8) Tre fattori (n = 468) Obesità + ipertensione + microalbuminuria 166 (10,6) Obesità + ipertensione + dislipidemia 160 (10,2) Ipertensione + dislipidemia + microalbuminuria 127 (8,1) Obesità + dislipidemia + microalbuminuria 15 (1,0) Due fattori (n = 549) Ipertensione + obesità 204 (13,0) Ipertensione + microalbuminuria 187 (11,9) Ipertensione + dislipidemia 94 (6,0) Obesità + dislipidemia 21 (1,3) Obesità + microalbuminuria 20 (1,3) Dislipidemia + microalbuminuria 23 (1,5) Un fattore (n = 304) Ipertensione 202 (12,9) Microalbuminuria 46 (2,9) Obesità 28 (1,8) Dislipidemia 28 (1,8) Diabete 75 (4,8) Totale Tabella 1. Casale Monferrato Study: distribuzione dei fattori di rischio cardiovascolare (3).

3 2 In questo percorso patogenetico il ruolo dell angiotensina II è stato delucidato da studi sperimentali e clinici da cui è emerso che tale octapeptide esercita le seguenti azioni: attivazione del sistema simpatico (13); produzione di radicali liberi (14); incremento dello stress ossidativo (15); induzione di un effetto proflogogeno (16). Da quanto esposto si evince che gli interventi terapeutici per correggere l insulino-resistenza devono essere volti ad interrompere le varie tappe fisiopatologiche, con particolare riguardo al RAS (12) (Figura 2). La conferma di questa strategia di trattamento viene dai positivi risultati già conseguiti con l impiego degli ACE-inibitori e dei bloccanti il recettore di tipo 1 (AT1) dell angiotensina II (17, 18). Per quest ultima classe di farmaci l effetto non si limita alla prevenzione dell insorgenza del diabete, ma si estende anche alla cura delle sue complicanze, come testimoniato dai risultati ottenuti dall utilizzo di irbesartan (19, 20). SINDROME METABOLICA Obesità centrale (definita come circonferenza vita) Uomini Europei 94 cm Donne Europee 80 cm Più due dei seguenti quattro fattori: Aumento trigliceridi Riduzione colesterolo HDL Uomini Donne Aumento pressione arteriosa Aumento glicemia a digiuno 150 mg/dl ( 1,7 mmol/l) o specifico trattamento per questa alterazione lipidica < 40 mg/dl (< 1,03 mmol/l) < 50 mg/dl (< 1,29 mmol/l) o specifico trattamento per questa alterazione lipidica 130/ 85 mm Hg o trattamento per ipertensione precedentemente diagnosticata 100 mg/dl ( 6,1 mmol/l) o diabete di tipo 2 precedentemente diagnosticato Tabella 2. Diagnosi clinica di sindrome metabolica secondo le linee guida dell IDF (10). Figura 1. Patogenesi dell insulino-resistenza a partire dai fattori di rischio (12). Irbesartan Irbesartan è un antagonista dei recettori dell angiotensina II dotato di elevata selettività nei confronti del recettore AT1 (21). Il blocco dei recettori AT1 è definito insormontabile, o non com-

4 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 3 petitivo, per l incapacità dell angiotensina II anche ad elevate concentrazioni di rimuoverlo. Come è noto, l angiotensina II svolge un ruolo importante nella fisiopatologia di diverse condizioni, tra cui l ipertensione essenziale, lo scompenso cardiaco, l insufficienza coronarica e varie affezioni renali associate ad albuminuria (22). Per l uso clinico irbesartan è disponibile in differenti dosaggi (compresse da 150, 300 mg) e anche in associazione con idroclorotiazide (irbesartan 150 e 300 mg + idroclorotiazide 12,5 mg): ciò rende possibile il trattamento personalizzato dei pazienti ipertesi, secondo quanto indicato dalle linee guida ESH/ESC (23). Irbesartan come agonista dei PPARγ I peroxisome proliferator activated receptors (PPARs) sono una famiglia di recettori ormonali nucleari che regolano l espressione di numerosi geni coinvolti nei processi metabolici ed infiammatori (24, 25). Sono stati identificati tre tipi di recettori (α, β/δ e γ), ognuno codificato da un gene specifico e con una differente distribuzione tissutale (24, 25). I PPARγ sono prevalentemente espressi nel tessuto adiposo e a livello intestinale; sono inoltre presenti nei monociti/macrofagi, nell endotelio e nelle cellule muscolari lisce della parete vascolare (24, 25). La loro attivazione modula importanti processi fisiologici: me- Figura 2. Interventi terapeutici per correggere l insulino-resistenza (12). Figura 3 Espressione dell adipose protein 2 indotta da irbesartan e da altri antagonisti dei recettori dell angiotensina II (26).

5 4 tabolismo glucidico e lipidico, differenziazione e proliferazione cellulare, tono vascolare, adesione leucocitaria, coagulazione, infiammazione ed immunità. Da un punto di vista clinico l attivazione dei PPARγ comporta una riduzione dell insulinoresistenza dovuta, non ad un azione diretta sul muscolo (il più importante tessuto sensibile all insulina), ma all effetto di canalizzazione degli acidi grassi verso il tessuto adiposo ed alla liberazione di citochine (TNF-α e adiponectina) da parte di quest ultimo (24, 25). Schupp et al. (26), mediante sofisticate indagini in vitro, hanno evidenziato che irbesartan è in grado di attivare significativamente ed in modo dose-dipendente i PPARγ, promuovendo la differenziazione dei preadipociti in adipociti e l espressione di un marker adipogenico (adipose protein 2) (Figura 3). Clasen et al. (27), oltre a ribadire l attivazione dei PPARγ da parte di irbesartan, hanno mostrato che questa molecola promuove anche l espressione dell adiponectina, un adipocitochina con marcata attività potenziante la sensibilità all insulina (28) (Figura 4). È da sottolineare che irbesartan attiva i PPARγ e promuove la sintesi di adiponectina con un meccanismo indipendente dal blocco dei recettori AT1 (26, 27). Di particolare rilievo è stata la constatazione che l effetto inducente adiponectina di irbesartan è stato confermato anche in vivo su ratti obesi Zucker fa/fa in cui si è registrata un significativa riduzione dell insulino-resistenza (27) (Figura 5). Figura 4 Espressione dell adiponectina indotta da irbesartan e da altri antagonisti dei recettori dell angiotensina II (27). Questi risultati aprono nuove prospettive sull impiego di irbesartan nei pazienti con sindrome metabolica o con diabete, in cui il controllo pressorio e metabolico sono obiettivi terapeutici di pari importanza. Fenomeni patologici legati allo stress ossidativo Con il termine stress ossidativo si definisce in genere un eccessiva formazione di molecole altamente Figura 5 Irbersartan migliora in vivo la sensibilità all insulina misurata mediante HOMA-IR index (Homeostasis Model Assessment Index for Insulin Resistance) (27).

6 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 5 reattive come i radicali dell ossigeno (O 2-, OH, RO 2, HRO 2-, H 2 O 2, HOCl) e dell azoto (NO, ONOO -, HNO 2, RONOO) (28, 29). L NO (ossido nitrico), per la sua azione vasorilassante, antiproliferativa e antipiastrinica, è considerata una molecola vasoprotettiva, tuttavia in presenza dell O 2- (anione superossido) essa si trasforma in ONOO - (perossinitrito), una molecola con numerosi effetti biologici negativi sull endotelio e membrane cellulari (28, 29) (Figura 6). In corso di diabete, l iperglicemia, attraverso vie enzimatiche, nonenzimatiche e mitocondriali, causa l iperproduzione di molecole altamente reattive, la cui quantità supera le difese antiossidanti naturali (28, 29) (Figura 7). Quest ultime sono rappresentate principalmente da alcuni sistemi enzimatici comprendenti la manganese superossido dismutasi (MnSOD), la rame-zinco superossido dismutasi (CuZnSOD), la glutatione perossidasi (GPX) e la catalasi (CAT) (28, 29). L eccesso di molecole altamente reattive, non più neutralizzate dalle difese antiossidanti, causa una cascata di eventi come: Figura 6 Genesi dei radicali liberi in corso di diabete mellito (29). Figura 7 Effetti dei radicali liberi in corso di diabete mellito (29). ossidazione delle LDL; accelerata formazione di prodotti tardivi della glicosilazione non enzimatica (Advanced Glycation Endproducts o AGE);di polioli, di esosamine, di biomolecole dello stress e di protein chinasi C (PKC); migrazione e proliferazione delle cellule muscolari lisce; inibizione della vasodilatazione NO-dipendente;

7 6 che contribuiscono alla patogenesi della disfunzione endoteliale ed alla comparsa delle complicanze micro e macrovascolari osservabili in corso di diabete mellito (28, 29) (Figura 7). Studi su animali e sull uomo hanno evidenziato che l iperglicemia è in grado di stimolare la sintesi di angiotensina II e che quest ultima a sua volta incrementa la produzione di radicali liberi attraverso la stimolazione della NAD(P)H ossidasi: ciò implica che l impiego di farmaci che interferiscono con il RAS possono essere particolarmente utili nella prevenzione dello stress ossidativo indotto dall iperglicemia (28, 29). Irbesartan come farmaco anti-stress ossidativo Chiarelli et al. (30), in uno studio condotto in pazienti con diabete di tipo 1 e con segni precoci di angiopatia (retinopatia, o microalbuminuria, o entrambi), hanno osservato che la somministra- Figura 8 Espressione dell mrna degli enzimi antiossidanti in fibroblasti di adolescenti con angiopatia diabetica prima ( ) e dopo ( ) trattamento con irbesartan (150 mg/die) (29). 5 mmol/l = glicemia normale; 22 mmol/l = glicemia elevata Tabella 3 Effetti di un trattamento a breve termine con irbesartan, con atorvastatina e con entrambi le molecole sulla vasodilatazione flusso-mediata (FMD), sullo stress ossidativo (NT) e su alcuni markers infiammatori (ICAM-1, IL6, PCR) (31). Placebo Atorvastatina Irbesartan Atorvastatina+irbesartan Basale 4 giorni 4 giorni 4 giorni 4 giorni FMD (%) 5,8±0,4 5,7±0,7 7,6±0,6* 7,8±0,6* 9,8±0,3* NT (µmol/l) 0,59±0,7 0,62±0,4 0,40±0,2* 0,43±0,4* 0,31±0,5* ICAM-1 (ng/ml) 268,5±16,4 271,5±13,2 228,5±10,4* 227,7±10,2* 198,5±10,1* IL-6 (pg/ml) 3,0±0,8 3,1±0,7 2,3±0,8* 2,3±0,5* 1,7±0,4* Proteina C-reattiva (mg/l) 2,8±0,7 2,9±0,5 2,0±0,2* 2,0±0,3* 1,5±0,5* * p < 0,01 vs basale; p < 0,01 vs atorvastatina e irbesartan da soli

8 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 7 Tabella 4 Attuali valori di riferimento per definire la microalbuminuria e condizioni cliniche a cui essa spesso si associa. Modificata da (35). zione di irbesartan (150 mg/die per 6 mesi) determina in fibroblasti cutanei un incremento dell attività e dell espressione dell mrna degli enzimi antiossidanti (CuZnSOD, MnSOD, CAT e GPX), sia in condizioni di normoche di iperglicemia (Figura 8). Irbesartan ha inoltre ridotto la perossidazione lipidica cellulare ed i marker sierici dello stress ossidativo (malonilaldeide, prodotti fluorescenti della perossidazione lipidica), con netto miglioramento della funzione endoteliale (riduzione del fattore di von Willebrand, del suo propeptide, del frammento 1 e 2 della protrombina e dell attivatore del plasminogeno cellulare). Ceriello et al. (31), dopo aver verificato che la somministrazione di glucosio, di un pasto ricco in grassi, o di entrambi a pazienti con diabete di tipo 2 produce una riduzione della funzione endoteliale (valutata come vasodilatazione flusso-mediata in corrispondenza dell arteria brachiale) ed un aumento dello stress ossidativo (nitrotirosina) e degli indici di flogosi (ICAM-1, proteina C reattiva, interleuchina 6), hanno trattato i pazienti, in doppio cieco, per 7 giorni o con irbesartan (300 mg/die), o con atorvastatina (40 mg/die), o con entrambi le molecole, o con placebo. L effetto osservato è stato che irbesartan e atorvastatina migliorano significativamente le alterazioni sopracitate, soprattutto quando somministrati congiuntamente. I risultati degli studi condotti in pazienti con diabete mellito confermano l azione antiossidante di irbesartan, già evidenziata anche nei pazienti con coronaropatia (32), e indicano che quest ultima non dovrebbe essere più considerata ancillare, in quanto questa definizione implica l esistenza di un gradiente di importanza negli effetti farmacologici di questa molecola, che il progredire delle conoscenza sta smentendo. Significato clinico della microalbuminuria Con microalbuminuria si definisce un aumento del tasso escrezione urinaria di albumina, i cui limiti sono stati indicati dall American Diabetes Association (33) (Tabella 4). La microalbuminuria rappresenta un segno di nefropatia incipiente e la sua importanza clinica risiede nel fatto che spesso si

9 8 Figura 9 Screening per la microalbuminuria secondo l American Diabetes Association (40). associa a numerose condizioni che comportano un incremento del rischio cardiovascolare (Tabella 4), di cui essa stessa rappresenta un fattore indipendente (34, 35). Le condizioni morbose a cui più frequentemente si associa la microalbuminuria sono rappresentate dall ipertensione e dal diabete mellito. Nei pazienti ipertesi la microalbuminuria ha una prevalenza che varia dal 4 al 46% nelle differenti casistiche (36) e la sua presenza, oltre a significare l esistenza di una compromissione glomerulare (nefropatia incipiente), può indicare l esistenza di danni d organo subclinici a carico di altri distretti (37), come l ipertrofia ven- tricolare sinistra e l aterosclerosi carotidea (38). Per quanto riguarda il diabete mellito, la comparsa di microalbuminuria segue cronologie differenti a seconda del tipo (34). Nel diabete di tipo 1, la microalbuminuria, in genere, non è presente al momento della diagnosi, ma compare 5-10 anni dopo (34); al contrario, nel diabete di tipo 2 essa è frequentemente reperibile già al momento della scoperta clinica della malattia (34), il cui inizio è, per alcuni Autori, databile sino a oltre 6 anni prima (39). In entrambi i tipi di diabete lo sviluppo di microalbuminuria si associa ad un aumento della matrice extracellulare nel compartimento glomerulare e tubulointerstiziale che prelude allo sviluppo della nefropatia conclamata (34). In assenza di interventi terapeutici specifici, l 80% dei pazienti con diabete di tipo 1 e il 20-40% dei pazienti con diabete di tipo 2 con microalbuminuria va incontro a nefropatia conclamata (40). Per il diabete di tipo 2 l American Diabetes Association raccomanda l esecuzione del test di screening per la microalbuminuria al momento della diagnosi, mentre per il diabete di tipo 1 il test andrebbe eseguito dopo 5 anni dalla diagnosi (40) (Figura 9). Numerosi studi hanno valutato il rapporto tra microalbuminuria e mortalità cardiovascolare nei pazienti con diabete mellito sia di tipo 1, sia di tipo 2. In particolare, un indagine condotta in un ampia popolazione di diabetici di tipo 2 ha evidenziato la presenza di microalbuminuria e

10 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 9 Figura 10 Escrezione renale di albumina e mortalità (42). di proteinuria rispettivamente nel 24,8% e nel 20,5% dei casi (41). Nel corso del follow-up durato 12 anni è emerso che il rischio relativo di mortalità cardiovascolare era di 1,84 nei pazienti microalbuminurici e di 2,61 nei soggetti con proteinuria clinica. Anche quando è stata presa in considerazione la mortalità per tutte le cause (Figura 10), per ictus e per eventi cardiaci il rischio relativo è apparso correlato al grado di proteinuria (42), indicando che la microalbuminuria ha un valido potere predittivo della mortalità totale e cardiovascolare, indipendentemente dalla coesistenza di altri fattori di rischio. La spiegazione di ciò sembra risiedere nel fatto che la microalbuminuria è un marker di un alterazione vascolare generalizzata che si sviluppa parallelamente al danno renale. A questo proposito numerosi dati supportano l esistenza di una relazione fra microalbuminuria e disfunzione endoteliale: sono state infatti descritte aumentate concentrazioni plasmatiche di alcuni fattori della coagulazione, delle molecole di Figura 11 IRMA 2: riduzione dell escrezione renale di albumina dopo trattamento con irbesartan (19).

11 10 adesione (VCAM-1), della trombomodulina, dell enzima di conversione dell angiotensina (ACE), dell endotelina, e, per contro, una ridotta attività della fibrinolisi e della protein-lipasi legata all endotelio (43). Irbesartan nel paziente con nefropatia diabetica Che irbesartan potesse svolgere un azione nefroprotettiva in corso di diabete di tipo 2 era apparso evidente da ricerche sperimentali effettuate in ratti diabetici (44). Questo effetto è stato successivamente confermato sull uomo dai risultati dello studio IRMA 2 (IRbesartan in patients with type 2 diabetes and MicroAlbuminuria) (19) in cui il trattamento con irbesartan (300 mg/die) ha ridotto del 38% l escrezione urinaria di albumina in pazienti con diabete di tipo 2, ipertensione e microalbuminuria, normalizzandola nel 34% dei casi (Figura 11). Parallelamente durante i 2 anni di osservazione irbesartan ha ridotto rischio relativo di progressione verso la nefropatia diabetica (definita da un tasso di escrezione urinaria di albumina > 200 µg/min oppure superiore almeno del 30% rispetto al valore iniziale) del 39% alla dose di 150 mg/die e del 70% alla dose di 300 mg/die (p < 0,001 vs controlli) (Figura 12). Di particolare interesse è stato il rilievo che la renoprotezione indotta da irbesartan è apparsa indipendente dall effetto esercitato dal farmaco sulla pressione arteriosa. Figura 12 IRMA 2: incidenza della progressione verso la nefropatia diabetica conclamata durante il trattamento con irbesartan o con placebo (19). Un successivo sottostudio dell IRMA 2 ha evidenziato che con irbesartan 300 mg/die la riduzione della microalbuminuria persiste anche dopo sospensione del farmaco e di tutti gli altri trattamenti antiipertensivi: questi risultati suggeriscono che irbesartan potrebbe indurre, in modo dose-dipendente, un inversione delle anomalie strutturali e/o biochimiche dell apparato glomerulare (45) (Figura 13). Quando nei pazienti con diabete di tipo 2 e ipertesi è già presente un quadro clinico di insufficienza renale lieve e proteinuria, la somministrazione di irbesartan 300 mg/die rallenta con maggiore efficacia la progressione della nefropatia rispetto a quanto osservato con amlodipina (20). Questo è il principale risultato emerso dallo studio IDNT (Irbesartan Diabetic Nephropaty Trial) in cui irbesartan ha ridotto il rischio dell end-point primario combinato (raddoppio della creatininemia basale, insorgenza dell insufficienza renale terminale, morte per qualunque causa) del 20% rispetto al controllo (p = 0,02) e del 23% rispetto ad amlodipina (p = 0,006), mentre quest ultima non ha determinato significative differenze rispetto al placebo (Figura 14). L analisi separata dei componenti dell end-point primario ha mostrato che: irbesartan ha ridotto il rischio di raddoppio della creatininemia del 33% rispetto al con-

12 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 11 trollo (p = 0,003) e del 37% rispetto ad amlodipina (p < 0,001) (Figura 15); irbesartan ha ridotto il rischio di nefropatia terminale del 23% sia rispetto al controllo, sia rispetto ad amlodipina (p = 0,004); amlodipina e controllo non hanno mostrato differenze significative per quanto riguarda sia il rischio di raddoppio della creatininemia, sia il rischio di nefropatia terminale; irbesartan ha rallentato la velocità di raddoppio della creatininemia del 24% rispetto al controllo (p = 0,008) e del 21% rispetto ad amlodipina (p = 0,02); Figura 13. Variazioni del tasso di escrezione urinaria di albumina in relazione ai valori basali (in alto) e alla pressione arteriosa media (in basso) durante il trattamento con controllo ( ), irbesartan 150 mg ( ) e irbesartan 300 mg ( ) e 1 mese dopo l interruzione di tutti i trattamenti antipertensivi. Figura 14 IDNT: irbesartan ha ridotto l end-point primario (raddoppio della creatininemia basale, insorgenza dell insufficienza renale terminale, morte per qualunque causa) del 20% rispetto al controllo e del 23% rispetto ad amlodipina (20). il trattamento con irbesartan è associato ad una significativa riduzione del rischio di scompenso cardiaco congestizio ( 28% vs controllo, p < 0,05; 35% vs amlodipina, p < 0,005) (46). I pazienti trattati nello studio IR- MA 2 e nello studio IDNT avevano la caratteristica di essere, oltre che diabetici, ipertesi e, sebbene l effetto nefroprotettivo di irbesartan sia apparso indipendente dall azione sulla pressione arteriosa, non si poteva escludere che i risultati fossero in qualche modo limitati al paziente iperteso. Sasso et al. (47) hanno fugato questo dubbio evidenziando, mediante uno studio in doppio cieco con crossover, che irbesartan riduce la microalbuminuria anche

13 12 Figura 15. IDNT: irbesartan ha ridotto il rischio di raddoppio della creatininemia del 33% rispetto al placebo e del 37% rispetto ad amlodipina (20). stata colmata da uno studio osservazionale, multicentrico, condotto in Germania su pazienti diabetici ipertesi afferenti agli ambulatori di medici di Medicina Generale (48). I pazienti sono stati trattati con irbesartan in monosomministrazione giornaliera alla dose di 300 o 150 mg in regime di monoterapia, oppure in associazione ad idroclorotiazide12,5 mg ed eventualmente altri farmaci, per ottenere un target pressorio di 135/85. Il passaggio alla terapia con irbesartan (nell 86% dei pazienti alla dose di 300 mg in terapia singola o in associazione), ha determinato una riduzione media della pressione arteriosa sisto-diastolica pari a 23/12 mmhg. Dopo 6 nei pazienti diabetici non ipertesi (Figura 16). Questo effetto terapeutico suggerisce che irbesartan possa agire direttamente sull emodinamica renale e sulla struttura glomerulare (47). In conclusione, i risultati degli studi clinici hanno indicato inequivocabilmente che nei pazienti con diabete di tipo 2, ipertesi o normotesi, irbesartan riduce la microalbuminuria e la progressione della nefropatia diabetica. Tuttavia i trial clinici sperimentali sono condotti su pazienti selezionati e i loro risultati non possono essere estesi automaticamente alla popolazione generale se non sono confermati da studi condotti nel setting della medicina generale. Per quanto riguarda l effetto di irbesartan sulla microalbuminuria questa lacuna è Figura 16 Nei pazienti con diabete di tipo 2 Irbesartan ha ridotto la microalbuminuria anche nei soggetti non ipertesi (47).

14 Ruolo di Irbesartan nel trattamento della sindrome metabolica e delle complicanze renali del diabete mellito 13 Irbesartan nei pazienti diabetici incrementa l attività e l espressione dell mrna degli enzimi antiossidanti e migliora la funzione endoteliale. La microalbuminuria è un marker di nefropatia diabetica incipiente e rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, espressione della disfunzione endoteliale. Figura 17. Nei pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 il passaggio da una terapia con ACE-inibitori ad un trattamento con irbesartan ha ridotto la percentuale dei soggetti con microalbuminuria (48). Irbesartan nei pazienti con diabete di tipo 2 ipertesi e normotesi riduce la microalbuminuria e rallenta la progressione della nefropatia verso l insufficienza renale terminale. Bibliografia mesi il trattamento con irbesartan ha ridotto la percentuale di pazienti con microalbuminuria dal 49,2% al 23,2% (riduzione relativa: 52,8%; p < 0,05) e la percentuale di pazienti con proteinuria dal 6% al 4,4% (riduzione del rischio relativo: 26,7%; p < 0,05). Di particolare rilievo è stata l osservazione che anche i pazienti (n = ) precedentemente trattati con ACE-inibitori hanno tratto giovamento dal passaggio alla terapia con irbesartan: in questo sottogruppo infatti la percentuale di pazienti con albuminuria si è ridotta del 49,6% (p < 0,05) (Figura 17). È inoltre da sottolineare il fatto che la tollerabilità di irbesartan è risultata eccellente: il 99,6% dei pazienti non ha manifestato eventi avversi per tutta la durata dello studio. Conclusioni L angiotensina II esercita un ruolo patogenetico importante nell insorgenza dell insulinoresistenza, condizione alla base di molti componenti della sindrome metabolica. L attivazione dei PPARγ comporta una riduzione dell insulinoresistenza. Irbesartan attiva in modo dose-dipendente i PPARγ, promuove la sintesi di adiponectina e riduce l insulinoresistenza. Lo stress ossidativo presente in corso di iperglicemia favorisce le complicanze macro e microvascolari del diabete. 1. Kannel WB. Risk stratification in hypertension: new insights from the Framingham Study. Am J Hypertens 2000; 13:3S-10S. 2. Borghi C, Dormi A, Ambrosioni E, Gaddi A. Relative role of systolic, diastolic and pulse pressure as risk factors for cardiovascular events in the Brisighella Heart Study. J Hypertens 2002; 20: Bruno G, Merletti F, Biggeri A, et al; Casale Monferrato Study. Metabolic syndrome as a predictor of all-cause and cardiovascular mortality in type 2 diabetes: the Casale Monferrato Study. Diabetes Care. 2004; 27: Assmann G, Schulte H. The Prospective Cardiovascular Munster (PROCAM) study: prevalence of hyperlipidemia in persons with hypertension and/or diabetes mellitus and the relationship to coronary heart disease. Am Heart J. 1988; 116(6 Pt 2): Kaplan NM. The deadly quartet. Upperbody obesity, glucose intolerance, hypertriglyceridemia, and hypertension. Arch Intern Med 1989; 149: Reaven GM. Pathophysiology of insulin resistance in human disease. Physiol Rev 1995; 75(3): Grundy SM. Hypertriglyceridemia, insu-

15 14 lin resistance, and the metabolic syndrome. Am J Cardiol 1999; 83(9B):25F-29F 8. Meigs JB. Invited commentary: insulin resistance syndrome? Syndrome X? Multiple metabolic syndrome? A syndrome at all? Factor analysis reveals patterns in the fabric of correlated metabolic risk factors. Am J Epidemiol 2000; 152(10): Sakkinen PA, Wahl P, Cushman M, et al. Clustering of procoagulation, inflammation, and fibrinolysis variables with metabolic factors in insulin resistance syndrome. Am J Epidemiol 2000; 152(10): International Diabetes Federation. The IDF consensus worldwide definition of the metabolic syndrome. At: Doelle GC. The clinical picture of metabolic syndrome. An update on this complex of conditions and risk factors. Postgrad Med 2004; 116(1):30-2, Pliquett RU, Fasshauer M, Bluher M, Paschke R. Neurohumoral stimulation in type-2-diabetes as an emerging disease concept. Cardiovasc Diabetol. 2004; 3:4 13. Esler M. 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