UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI M. FANNO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE TESI DI LAUREA GLI INTERLOCKING DIRECTORATES NEL SETTORE FINANZIARIO RELATORE: CH.MO PROF. ANTONIO PARBONETTI LAUREANDO: STEFANO FASOLATO MATRICOLA N ANNO ACCADEMICO

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3 INDICE Introduzione...1 Capitolo I. Letteratura e teorie sulla corporate governance Introduzione Teoria dell agenzia, managerial hegemony theory e stakeholder view Stewardship theory Resource dependence theory Considerazioni finali...27 Capitolo II. Gli interlocking directorates Introduzione Letteratura di riferimento: diverse teorie e prospettive a confronto Collusione Cooptazione ed effetti sulla performance delle imprese interessate Interlocking directorates: il ruolo delle banche Considerazioni finali...60 Capitolo III. Analisi di un campione di imprese finanziarie Introduzione Descrizione dei dati Analisi dei dati Conclusioni...90 Riferimenti bibliografici...95

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5 Introduzione Il presente elaborato affronterà il fenomeno degli interlocking directorates, che si verificano quando un soggetto ricopre l incarico di amministratore in più aziende contemporaneamente. Queste situazioni comportano dei legami tra le società coinvolte, per mezzo dello stesso consigliere che opera nei loro organi amministrativi. Gli studiosi che si sono occupati di questa materia (Mizruchi, 1996) hanno cercato di determinare se la presenza di interlocked directors seguisse particolari logiche e se portassero ad effetti sulle caratteristiche delle aziende coinvolte. Si è notato, infatti, che la presenza di amministratori con più incarichi può portare benefici alle aziende che li accolgono, come diminuzione delle asimmetrie informative e dell incertezza relativa all ambiente in cui esse operano. Accanto a questi benefici, è stato osservato che tali pratiche comportano rischi relativi alla diminuzione della concorrenza e ad una minor tutela degli interessi degli azionisti. Per affrontare tali questioni, si discuterà inizialmente il tema della corporate governance, indicando nel capitolo 1 le teorie manageriali che danno diverse visioni sul ruolo e sul funzionamento del consiglio di amministrazione. Verrà presentata la teoria dell agenzia, per poi illustrare la stewardship theory e la resource dependence view. Nel capitolo 2 sarà affrontato il tema degli interlocking directorates, definendo quali sono le cause del fenomeno, tra le quali la necessità di reperire risorse strategiche per le aziende e la volontà di migliorare la propria reputazione da parte dei soggetti coinvolti. Verranno anche osservati gli effetti di queste pratiche, come la collusione e lo scambio di informazioni. In particolare, si affronterà anche il tema degli amministratori presenti contemporaneamente in banche e imprese operanti in altri settori. Il capitolo 3 presenta l analisi di un campione di imprese finanziarie europee degli anni 2004 e 2009, con cui si è cercato di determinare se la presenza di particolari amministratori che occupano più incarichi, denominati banker e industrial, fosse collegata a determinate caratteristiche delle aziende in questione. Per fare questo, saranno usati metodi statistici come il test sulla differenza tra le medie e l analisi di regressione multipla. In particolare, si osserverà se esistono legami significativi tra la presenza di tali amministratori e le performance delle imprese, misurate con gli indici Q di Tobin e ROA. Verranno analizzate anche le caratteristiche comuni presenti nelle società interessate da questo fenomeno, come i livelli di capitalizzazione e la dimensione, misurata dal totale dell attivo di bilancio. Si giungerà infine alle conclusioni sulla base dei risultati ottenuti con le analisi statistiche dei dati del campione esaminato. 1

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7 Capitolo I. Letteratura e teorie sulla corporate governance 1.1 Introduzione Per corporate governance si intende, in senso stretto, il complesso di disposizioni normative che attribuiscono ai vari organi societari i poteri e le responsabilità di conduzione delle imprese, e i meccanismi che definiscono i controlli sugli organi stessi (Barile e Gatti, 2007). La distribuzione dei compiti a tali organi è di notevole importanza in quanto da ciò dipende, oltre che il funzionamento delle imprese, anche l affidabilità e la credibilità dell intero sistema capitalistico. Tra i contributi più rilevanti che hanno influenzato le fonti legislative in questo campo vanno ricordati i principi definiti dall OECD (2004), secondo i quali il governo societario ha il compito di definire la struttura attraverso la quale vengono fissati gli obiettivi della società, i mezzi per raggiungerli e i criteri con cui controllare i risultati. Il tema della corporate governance è un oggetto di studio molto vasto che non si limita all ambito normativo. Essa è al centro di dibattiti tra gli studiosi da almeno due decenni, ma le sue radici sono da ricercare nei primi studi relativi all organizzazione delle aziende, che si sono sviluppati in seguito alla recessione del 1929 quando si iniziarono a considerare i rischi della separazione tra proprietà e management nelle grandi imprese americane. Questi temi hanno continuato ad essere dibattuti dagli studiosi anche negli anni successivi. Nei primi anni 2000, sulla spinta di una serie di eventi e crisi societarie che hanno obbligato i regolatori e la comunità economica a ripensare le regole che disciplinano i rapporti tra proprietà e management, la questione della corporate governance è stata ulteriormente approfondita. Tra gli argomenti affrontati in questa disciplina si collocano gli interlocking directorates, ovvero la condivisione di amministratori tra consigli di amministrazione di società diverse. Prima di affrontare tale argomento, risulta utile passare in rassegna in questo capitolo le varie teorie che gli economisti hanno sviluppato, al fine di spiegare come funzionano i rapporti tra le parti coinvolte nel governo aziendale. Gli studi in merito alla corporate governance fanno riferimento al funzionamento delle grandi corporation americane, che si caratterizzano per la separazione tra la proprietà e il controllo. Tale situazione genera tradizionalmente il rapporto di agenzia, in cui l agente è il manager, mentre il principale è il soggetto proprietario dell azienda, che nelle società a capitale diffuso corrisponde ad una pluralità di azionisti. Accanto a questi due attori principali, le teorie sulla corporate governance hanno affiancato, nella loro evoluzione, altri soggetti sui quali ricadono le responsabilità e gli effetti dell attività della società. 3

8 La pluralità di definizioni di corporate governance può essere sintetizzata in due insiemi di teorie, una prima che si richiama ad una visione ristretta, ed una seconda allargata (Barile e Gatti, 2007). La visione ristretta di corporate governance considera coinvolti nei processi di governo aziendale solamente le istituzioni e gli individui che sono fisicamente presenti nell organizzazione dell azienda, vale a dire gli azionisti, i manager, il consiglio di amministrazione, e gli organi di controllo interni (il collegio sindacale in Italia). In questa concezione si ritiene degna di considerazione solamente l utilità degli azionisti, che sono visti come gli unici soggetti rilevanti, verso i quali deve rivolgersi il processo aziendale di creazione di valore. La corporate governance in tale visione comprende l insieme di meccanismi che consentono ai proprietari della società di usufruire dei risultati aziendali e di tutelare i loro interessi da possibili pratiche scorrette degli amministratori. La corporate governance nel suo significato allargato considera, tra i soggetti che partecipano al processo di governo dell impresa, non solo le strutture interne all organizzazione, stabilite dalla legge, ma anche altre istituzioni esterne alla società, vale a dire tutti gli stakeholder strategici che forniscono rilevanti contributi nel processo aziendale di produzione economica e che consentono all impresa di creare valore nel tempo (Barile e Gatti, 2007). In questa concezione, la corporate governance diventa dunque l insieme di regole, istituzioni, consuetudini e organi che nella gestione dell attività aziendale devono occuparsi di ponderare gli interessi dei diversi stakeholder verso i quali si orienta il valore creato dall impresa. Gli studi teorici su quest argomento si sono dunque distribuiti tra quelli che adottano una visione ristretta e quelli che assumono la visione allargata. I primi si concentrano sulla composizione del consiglio di amministrazione e anche degli altri organi di controllo interno in termini di numerosità, indipendenza e capacità di proteggere gli interessi degli azionisti nel tentativo di limitare i comportamenti opportunistici del management. I secondi riconoscono l importanza del ruolo degli stakeholder e amplificano le responsabilità dell organo amministrativo che deve gestire i conflitti che sorgono tra i diversi portatori di interesse (Pugliese, 2008). La visione ristretta di corporate governance è collegata alla teoria dell agenzia, che è la dottrina fondamentale che viene richiamata anche negli altri studi sulla governance. Il rapporto sul quale è fondata questa teoria si verifica tra il principale e l agente, dove quest ultimo deve effettuare una serie di operazioni a favore del primo. Nelle società in cui la proprietà e il controllo sono separati, gli azionisti vestono i panni del principale, mentre i manager sono gli agenti. Secondo questa teoria, il consiglio di amministrazione rappresenta l organo aziendale adibito al controllo dell operato dei manager, che sono considerati soggetti 4

9 opportunisti propensi ad agire nel proprio interesse e non a favore degli azionisti per i quali lavorano. Sulla teoria dell agenzia si fonda anche la cosiddetta prospettiva esterna della corporate governance, secondo la quale l obiettivo dell impresa è quello di massimizzare lo shareholder value e di adottare meccanismi di controllo e di incentivazione dei manager che minimizzino i costi di agenzia. Alla teoria dell agenzia si sono contrapposte altre dottrine manageriali che rappresentano il rapporto tra azionisti e manager in maniere differenti, e sono legate all approccio teorico della corporate governance denominato interno. Tra di esse va ricordata la stakeholder theory che studia la corporate governance in una visione allargata, in cui il consiglio di amministrazione non si limita a tutelare gli interessi degli azionisti, ma deve valutare le azioni dei manager anche sulla base delle esigenze di molteplici portatori di interesse. Un altra teoria differente è quella che attribuisce agli amministratori il ruolo di steward degli azionisti. Secondo tale concezione, gli interessi dei gestori della società non sono necessariamente divergenti e disallineati da quelli degli azionisti, anzi i manager sono visti come soggetti in grado di collaborare sinceramente con i soci al fine di creare valore. Per completare la rassegna delle teorie manageriali, è utile affrontare il tema della teoria della dipendenza dalle risorse, in base alla quale le aziende cercano di limitare i rischi e l incertezza che proviene dall ambiente in cui operano attraverso il reperimento di risorse strategiche, attraverso la creazione di legami di vario tipo con i soggetti che le detengono. La teoria della resource dependence è strettamente collegata alla questione degli interlocking directorates, in quanto la cooptazione di determinati soggetti nel consiglio di amministrazione può aiutare la società a stabilire rapporti con altre imprese, ad ottenere determinate risorse, e a limitare i rischi e le asimmetrie informative che si originano nei rapporti dell azienda quando si opera con soggetti esterni di importanza strategica. Nei paragrafi che seguono è riportata un analisi della letteratura delle teorie manageriali. Partendo dalla teoria dell agenzia, si affronteranno i temi della stewardship theory e infine della resource dependence theory. 1.2 Teoria dell agenzia, managerial hegemony theory e stakeholder view Il rapporto di agenzia è definito da Jensen e Meckling (1976) come un contratto per mezzo del quale un soggetto, il principale, assume un agente al quale delega particolari compiti e lo autorizza a prendere decisioni per suo conto. L agente e il principale sono in conflitto di 5

10 interessi perché hanno obiettivi e funzioni di utilità differenti; il principale può limitare le divergenze tra i suoi obiettivi e quelli dell agente sostenendo dei costi per monitorare l attività del suo incaricato, e creando incentivi affinché il soggetto delegato si comporti nella maniera corretta. Al fine di adempiere all accordo stipulato, anche l agente finisce per sostenere un costo (bonding cost), che rappresenta la rinuncia ai benefici personali che potrebbe ottenere se non rispettasse il patto con il principale. Le decisioni prese dall agente nell ambito del rapporto con il suo superiore potrebbero non corrispondere alle scelte ottime che massimizzerebbero l utilità del principale. Il datore di lavoro dell agente può tutelare i propri interessi economici mettendo in atto un meccanismo di controllo sulle operazioni effettuate dell agente. Sulla base di queste considerazioni, è possibile affermare che i costi di agenzia che tale rapporto origina sono i costi di monitoraggio sostenuti dal principale, i bonding costs dell agente e i costi residui che derivano dagli atti non ottimali messi in pratica dall agente. Gli studi sulla teoria dell agenzia si possono dividere tra quelli positivisti, che hanno affrontato il problema del rapporto di agenzia che si viene a creare tra azionisti e manager delle grandi società, e quelli che affrontano il tema principale-agente in modo più ampio, relativo al rapporto tra datore di lavoro e impiegato, acquirente e venditore, avvocato e cliente, ecc. (Eisenhardt, 1989). Le teorie positiviste, prendendo in esame i sistemi di governance delle grandi corporations americane, hanno cercato di definire le pratiche di governo delle società che potessero risolvere il conflitto tra principale (azionisti) e agente (manager). Shleifer e Vishny (1997) sottolineano che la corporate governance si fonda sulla gestione del rapporto di agenzia tra coloro che finanziano l attività imprenditoriale e il gestore dell azienda; la questione fondamentale è proprio quella di determinare un meccanismo efficace affinché i finanziatori dell impresa ottengano un ritorno sul loro investimento. Nel caso delle società per azioni, gli azionisti investono il capitale necessario per il funzionamento dell azienda, mentre i manager si occupano di gestirla. I primi auspicano la massimizzazione del valore dell impresa, invece i gestori sono interessati a rinforzare la loro posizione mettendo in atto, a volte, comportamenti opportunistici per ottenere maggiori retribuzioni e altri benefici personali. La relazione tra azionisti e manager assume dunque le caratteristiche del rapporto di agenzia. Questi due soggetti, infatti, hanno finalità diverse: gli azionisti sono interessati alla crescita del prezzo delle loro azioni e all incasso dei dividendi, mentre i manager sono più propensi, per esempio, a favorire la crescita della società per mezzo di investimenti o fusioni, che aumentano il loro prestigio personale, o anche a concedersi maggiori benefit economici. Gli amministratori esecutivi, dunque, preferiscono 6

11 mantenere le risorse all interno della società anziché distribuirle ai proprietari per mezzo di dividendi. La separazione tra proprietà e controllo dell azienda determina così il conflitto tra l interesse dell imprenditore - manager ad esercitare il controllo dell impresa senza interferenze, e l obiettivo degli azionisti ed altri investitori a vedere remunerato il loro investimento mediante una gestione ottimale. Il conflitto di interesse presente all interno della società tra azionisti e manager può essere ricondotto a tre principali concetti (Matsumura e Shin, 2005): i manager possono potenzialmente appropriarsi di benefici personali monetari o non monetari, che gli azionisti non possono controllare; i manager sono più avversi al rischio rispetto agli azionisti, infatti i soci possono diversificare il loro portafoglio azionario in base alla loro propensione al rischio; l orizzonte temporale considerato dai manager è solitamente diverso da quello degli azionisti: i primi preferiscono concentrarsi sugli obiettivi a breve termine perché il loro rapporto con la società è a scadenza e perché vengono remunerati sulla base dei risultati più vicini temporalmente. I costi di agenzia sono causati dalla razionalità limitata degli attori e dai comportamenti opportunistici (moral hazard) dei manager (Lee, 2009). Per moral hazard si intende la trasmissione incompleta o distorta di informazione ad altri soggetti, al fine di tutelare l utilità propria ma causando inefficienze a danno dell altra parte. Nasce dunque la necessità per gli azionisti di porre in essere dei sistemi per indirizzare il comportamento degli amministratori verso i loro obiettivi. Jensen e Meckling (1976), nel loro saggio sulla relazione di agenzia, affermano che anche se il principale, cioè gli azionisti, sostenesse dei costi per il monitoraggio del manager, probabilmente non raggiungerebbe la massimizzazione della propria utilità che otterrebbe se fosse azionista e manager allo stesso tempo. Per affrontare il problema dei costi di agenzia, devono essere strutturati dei contratti tra le parti, che vincolino il comportamento dell agente e che assicurino il principale (Fama e Jensen, 1983). Migliori performance del manager possono essere ottenute se esiste una certa competizione per ottenere il ruolo di gestire la società in questione. Inoltre, sempre secondo la teoria sviluppata da Jensen e Meckling (1976), i costi di agenzia sono direttamente proporzionali ai costi da sostenere per sostituire il manager. Infatti, se il manager in questione necessita per i suoi compiti conoscenze specifiche, egli risulta più difficile da sostituire, dunque è più propenso ad approfittare di questa situazione cercando di trarre benefici ai danni degli 7

12 azionisti. Oltre alla possibilità di sostituire i manager, i costi di agenzia possono essere limitati mediante un mercato dei capitali efficiente. Se il manager non gestisce al meglio la società, gli investitori esterni che aspirano a migliorare la redditività dell azienda possono acquistare le azioni degli azionisti attuali e, se riescono ad acquisire una partecipazione rilevante, sono in grado di agire per cambiare i manager affinché vengano messe in pratica operazioni più redditizie a favore dei proprietari. Nel caso limite, il nuovo investitore può acquisire interamente la società e sostituirsi al manager, eliminando così i problemi legati al rapporto di agenzia (Jensen e Meckling, 1976). La presenza di un mercato dei capitali e dei manager efficiente non è l unico modo attraverso il quale risolvere il problema dei costi di agenzia. Quando il soggetto che compie le scelte relative alla gestione della società non è lo stesso che ne sopporta i costi, è necessario istituire un sistema di controllo sul suo operato. Dunque, per limitare i costi di agenzia, è fondamentale che gli atti dei manager siano ratificati e controllati da un soggetto terzo che tuteli gli interessi degli azionisti (Fama e Jensen, 1983). L esistenza di un consiglio di amministrazione con i compiti di monitorare l attività del management è fondamentale nelle grandi imprese quotate dove gli azionisti non sono interessati alla gestione dell azienda o non ne hanno le capacità, e le risorse investite sono a completa disposizione degli amministratori. Viene così a crearsi una sorta di organizzazione gerarchica in cui il processo di gestione è articolato tra diversi agenti: quelli di grado superiore si occupano di ratificare le operazioni ideate da soggetti di grado inferiore e di monitorarne la performance. Il consiglio di amministrazione è divenuto così un oggetto di studio, al fine di determinare le caratteristiche che consentano di raggiungere gli obiettivi cari agli azionisti e dunque di ottimizzare la performance economico-finanziaria dell impresa nel lungo periodo. Uno degli aspetti del consiglio di amministrazione che è stato esaminato è la numerosità del board. Un numero adeguato di consiglieri dovrebbe essere sinonimo di garanzia per gli azionisti, e dovrebbe favorire il controllo indipendente dell operato del management. I consigli con un numero eccessivamente elevato di componenti sono stati oggetto di critiche da parte degli studiosi perché in questo caso è stato osservato che i componenti scelgono di non adempiere alle loro mansioni nella maniera necessaria in quanto si aspettano che lo facciano gli altri membri (Pugliese, 2008). Se però il consiglio è composto da un numero esiguo di soggetti, è necessario che essi siano in grado di affrontare efficacemente le questioni relative alle attività della società. Un secondo argomento affrontato dagli studiosi è quello relativo alla composizione dell organo amministrativo, in particolare si è focalizzata l attenzione sulla presenza di 8

13 consiglieri non esecutivi, su quelli indipendenti, e sulla condivisione di amministratori in più società, per determinare come il loro operato abbia inciso sulle performance aziendali. La presenza di amministratori indipendenti e non esecutivi dovrebbe migliorare l obiettività dei giudizi sul management, e aumentare il valore complessivo della società in quanto essi apportano competenze e know how specifici dei settori di provenienza (Marra e Rizzo, 2010). Oltre a questi due argomenti, è stata presa in considerazione anche l importanza del soggetto che assume la leadership del consiglio di amministrazione, cioè il presidente del consiglio o chairman, in contrapposizione alla figura di amministratore delegato (CEO). La separazione del ruolo di amministratore delegato da quello di presidente del board, risulta essere la scelta più adeguata per diminuire i costi di agenzia. Il Codice di autodisciplina italiano (2011) afferma a proposito che l attribuzione di tali incarichi a due soggetti distinti è consigliato anche in sede internazionale: il CEO, grazie alle deleghe ricevute, è il responsabile della gestione della società, mentre il presidente rappresenta la guida del consiglio di amministrazione. Il problema della CEO duality è sorto quando le due cariche sono ricoperte dal medesimo soggetto. Questa situazione è stata ritenuta rischiosa dagli studiosi (Marra e Rizzo, 2010), in quanto l eccessiva concentrazione di potere in un solo individuo può favorire comportamenti opportunistici a danno degli azionisti e dei soci di minoranza. Per migliorare l imparzialità dell operato del consiglio, è stata prevista la figura del lead indipendent director da parte di alcune regolamentazioni nazionali come in Italia; la presenza di tale soggetto a tutela degli amministratori non esecutivi, rappresenta anche una garanzia per i portatori di capitale. La sua istituzione è raccomandata in Italia dal Codice di autodisciplina (2011) nel caso in cui l amministratore delegato ed il presidente della società siano lo stesso soggetto, e anche quando il presidente è il socio di controllo. Il lead indipendent director assume un ruolo notevole per tutelare i soci e per minimizzare i costi di agenzia. Egli ha i compiti di coordinare l attività degli amministratori non esecutivi e di quelli indipendenti, nonché di assicurare loro informazioni complete e tempestive relative all andamento della società e alle materie in esame nel consiglio. In base a quanto detto finora, la teoria dell agenzia rappresenta la dottrina che prima delle altre ha cercato di spiegare il rapporto tra azionisti e manager, e di definire determinate pratiche organizzative per limitare i cosiddetti agency costs. Il bisogno di tutelare lo shareholder value mediante appositi meccanismi di controllo sull operato dei manager o con incentivi di carattere economico e professionale stabiliti nel contratto tra essi e la società è il fulcro della visione ristretta della corporate governance. Alcuni studi su questi temi hanno dimostrato, tuttavia, l esistenza di limiti teorici e pratici sulla capacità di tali meccanismi di limitare l opportunismo manageriale. Anche Shleifer e Vishny (1997) affermano che 9

14 l efficacia dell attività del consiglio di amministrazione è incerta. I manager, infatti, sono dotati di notevole discrezione nel compiere il proprio operato, e solo in caso di manifesta violazione dei diritti degli azionisti il board interviene. Jensen (1993) ha dimostrato, sulla base di numerosi casi concreti relativi ad aziende statunitensi, che i consigli di amministrazione agiscono troppo tardi nel cambiare il management, e lo fanno soprattutto in presenza di crisi societarie. La teoria della managerial hegemony, sulla base dei comportamenti messi in atto dai manager e ad analisi relative al funzionamento della governance nelle corporations americane, sostiene che il board sia in realtà un organo poco incisivo nella vita della società, in quanto esso risulta sostanzialmente controllato dai manager. Queste opinioni sul ruolo del board si basano sulla progressiva separazione tra proprietà e controllo nelle società e sull incapacità degli azionisti di controllare efficacemente i manager ai quali vengono affidati poteri sempre più ampi (Hendry e Kiel, 2004). Un altro fattore legato alla teoria dell agenzia che ha favorito lo sviluppo della managerial hegemony è l asimmetria informativa tra gli amministratori non esecutivi e gli esecutivi. La facoltà dell amministratore delegato di influenzare la selezione dei membri del consiglio di amministrazione e la sua prerogativa di dirigere i consiglieri esecutivi è stata considerata come una prova ancora più forte del potere che il CEO e i suoi assistenti possiedono a danno del consiglio e degli interessi degli azionisti. Secondo i sostenitori di questa teoria, la società viene gestita dai top manager, mentre il consiglio di amministrazione assume un ruolo passivo che consiste solo nell approvare il loro operato. Il board assumerebbe così il ruolo di rubber stamp (Hendry e Kiel, 2004). La letteratura su questo tema ha registrato critiche a tale visione del board; secondo alcuni studiosi, i membri del consiglio di amministrazione possono comunque controllare efficacemente i manager mediante l assunzione e il licenziamento del amministratore delegato (Hendry e Kiel, 2004), mentre secondo altri, come detto in precedenza (Jensen, 1993), il consiglio di amministrazione interviene spesso in ritardo, mancando ai suoi doveri. Le normative nazionali sono intervenute nell ambito della corporate governance definendo la composizione preferibile del board per favorire la protezione degli interessi degli azionisti. Il consiglio di amministrazione è formato da amministratori esecutivi (inside directors), che sono alle dipendenze del management, e da amministratori esterni o non esecutivi (outside directors), tra i quali si trovano gli indipendenti. La presenza degli amministratori indipendenti nel consiglio si è originata nelle corporations americane degli anni settanta in seguito agli scandali che si sono verificati in quegli anni 10

15 (Gordon, 2006). Prima che essi fossero considerati come un importante mezzo per arginare i rischi dell opportunismo manageriale, i componenti del consiglio di amministrazione erano persone di fiducia del CEO, al quale fornivano pareri e assistenza nel processo decisionale. Il board, dunque, pur essendo l organo di governo dell azienda, nella pratica non aveva una reale funzione direttiva, ma consultiva (Ferrarini, 2005), in quanto l amministratore delegato guidava sostanzialmente la società. Gli scandali finanziari degli anni settanta modificarono profondamente l organizzazione degli organi di governo, in quanto si pose maggior attenzione sulla capacità degli amministratori nel consiglio di monitorare efficacemente l operato dei manager. La presenza degli indipendenti nel board aumentò, fino a rappresentare la maggioranza dei membri del consiglio negli USA (Gordon, 2006). Si è cercato dunque di porre rimedio ai rischi definiti dalla teoria dell agenzia attraverso il potenziamento del ruolo di monitoraggio degli indipendenti. Essi controllano i risultati dell operato dei gestori, inoltre si occupano di proporre strategie aziendali da discutere nel board con gli altri amministratori, nonché di approvare i piani industriali e finanziari con i quali vengono valutate le performance dei manager. Gli amministratori esterni (outside directors), come ricordano Fama e Jensen (1983), sono incentivati ad aumentare la loro reputazione di esperti nell attività di controllo del management. Il fatto di sedere in più consigli può infatti favorire la loro crescita professionale e la loro notorietà. E venuto a crearsi in questo contesto il tema dei busy directors, che esamina la capacità degli amministratori presenti nei consigli di molteplici società di svolgere efficacemente i loro compiti. La questione principale che gli studiosi hanno affrontato è quella di verificare se gli outside directors con molteplici incarichi fossero in grado di monitorare efficacemente le decisioni del management nelle società in cui operano. Le organizzazioni che difendono gli azionisti di minoranza hanno spesso criticato le aziende che accolgono nei loro organi amministrativi e di controllo soggetti che detengono cariche equivalenti in altre aziende. Questo perché operare in molteplici organizzazioni determina maggiore responsabilità e carichi di lavoro notevoli che gravano sulla stessa persona. Tali amministratori risultano essere eccessivamente impegnati, e sussiste il rischio che essi non si impegnino abbastanza nel compiere tutte le mansioni alle quali sono chiamati (Andres e Lehmann, 2010). Gli outside directors di una società possono essere scelti tra equivalenti di altre società, o tra gli amministratori esecutivi di altre organizzazioni, o anche tra esperti in materie tecniche come avvocati, professori universitari, professionisti e politici. Quando un manager con incarichi esecutivi in un azienda entra nel board di un altra società come outside director, si 11

16 possono verificare difficoltà nel gestire le molteplici mansioni che gli sono affidate. Dato che le capacità dei manager sono limitate, il tempo e le risorse impiegate nella veste di amministratore esterno di un board vanno ad incidere sulle sue capacità di gestire efficacemente e con attenzione l impresa di cui è amministratore esecutivo. Sono stati spesso invocati, da parte di associazioni che intendono proteggere gli azionisti di minoranza, limiti alle cariche cumulabili contemporaneamente dallo stesso soggetto, con esiti diversi nei vari Paesi. D altra parte, alcuni studiosi hanno verificato che l assunzione di altri incarichi in società esterne può essere utile per l amministratore in questione, anche nel caso in cui egli sia un executive director, in quanto può imparare da tali esperienze nuove pratiche e conoscenze che potrebbero risultare utili all azienda da cui proviene (Perry e Peyer, 2005). Tali abilità possono così portare effetti positivi per gli azionisti della società dove il consigliere esecutivo opera abitualmente. Fich e Shivdasani (2004), nella loro ricerca, hanno definito come busy directors i consiglieri che siedono in tre o più cda. Inoltre, essi hanno considerato, in un campione di imprese statunitensi, quali di esse avesse il consiglio con una maggioranza di busy directors tra gli amministratori non esecutivi. In questo studio, gli autori hanno riscontrato l esistenza di una correlazione negativa e statisticamente significativa tra la presenza di consiglieri con tre o più incarichi nel cda e alcuni indicatori di performance come il market to book ratio, il ROA e ROS. Inoltre, questo risultato è rimarcato dal fatto che quando la maggioranza dei consiglieri non esecutivi hanno molteplici incarichi tali da essere busy, gli indicatori di performance presentano un coefficiente ancora più negativo. Di conseguenza, la diminuzione del numero di membri dell organo amministrativo con molteplici incarichi in altre società dovrebbe favorire la performance di tali aziende (Fich e Shivdasani, 2004). Sul legame che esiste tra la presenza di consiglieri con molteplici incarichi in altre società e la performance di queste imprese sono stati effettuati numerosi studi, che hanno portato a conclusioni differenti. Secondo Ferris et al. (2002) non ci sono legami negativi tra la presenza nel board di consiglieri che ricoprono contemporaneamente cariche in più società e la performance di queste. Inoltre, Ferris et al. (2002) osservano che i consiglieri con tre o più incarichi in società differenti sono maggiormente presenti alle riunioni degli organi nei quali operano, andando così contro la credenza comune che vorrebbe i busy directors meno propensi ad impegnarsi nella gestione delle società dove sono presenti. Anche Andres e Lehmann (2010) hanno analizzato il fenomeno dei busy directors in Germania. Essi hanno verificato che la presenza di consiglieri con tre o più incarichi nel consiglio di sorveglianza delle aziende tedesche considerate non è collegata in maniera 12

17 statisticamente significativa con la performance dell azienda in cui siedono. Andres e Lehmann (2010) hanno effettuato un ulteriore analisi tesa a verificare l importanza della presenza dei consiglieri con più incarichi in una rete di relazioni con altre aziende. In questo lavoro essi determinano che la numerosità delle cariche ricoperte dagli amministratori non è collegata statisticamente al market to book ratio. Invece, quando tali componenti dell organo amministrativo sono posizionati al centro di una rete di relazioni a causa dei ruoli che ricoprono nei rispettivi consigli e della presenza in questi di altri soggetti interconnessi, questo porta a performance negative per le aziende che li accolgono nel board. Da questa ricerca appare che la presenza di consiglieri altamente interconnessi nel board non ha effetti positivi sulla performance dell azienda che li ospita. I CEO delle aziende con risultati economici scarsi sono più propensi ad accettare nel cda amministratori esperti che hanno molteplici incarichi in altre imprese, perché essi possono aiutare a risolvere le loro difficoltà mediante consigli e risorse, ma anche perché essi sono considerati come dei controllori meno attenti a causa dei loro numerosi impegni. Gli outside directors, però, per tutelare la loro reputazione, sono restii ad operare in aziende che rischiano il fallimento; è stato riscontrato che alcuni amministratori preferiscono abbandonare le società in difficoltà, probabilmente per non danneggiare la propria reputazione (Fich e Shivdasani, 2004). Nella loro ricerca, i due studiosi asseriscono che i consiglieri con più incarichi sono quelli che provengono da cda di aziende in buona salute e di grandi dimensioni, a dimostrazione del fatto che queste caratteristiche dell azienda in cui essi operano come amministratori non esecutivi è in grado di favorire la loro reputazione e la nomina in altri board. Queste ultime affermazioni sono in linea con i risultati della ricerca di Ferris et al. (2002), che affermano che le offerte di incarichi in consigli di amministrazione sono più probabili per i directors che hanno operato in società con buone performance, migliorandone la reputazione. Il fatto che un amministratore possieda un pacchetto azionario della società per cui lavora è correlato negativamente al numero di incarichi che egli ricopre in altre società. (Fich e Shivdasani, 2004). Questo accade perché il director risulta intenzionato a proteggere il suo investimento nella società di appartenenza, dunque è probabile che non accetti di assumere altri incarichi che rischiano di diminuire le sue risorse temporali da dedicare alla sua attività principale, che è il monitoraggio dell azienda della quale è azionista. Un altro risultato interessante dello studio di Fich e Shivdasani (2004) è relativo alla dinamica della sostituzione dell amministratore delegato. Egli solitamente viene sostituito quando le performance dell impresa sono insoddisfacenti. Quando nel consiglio di amministrazione la maggioranza degli amministratori non esecutivi ha tre o più incarichi in diversi consigli, la 13

18 probabilità che il CEO venga sostituito quando le performance dell azienda sono scarse è statisticamente inferiore rispetto ai casi di società con meno busy directors. Questo può essere dovuto al controllo meno pressante che tali amministratori compiono, che porta gli amministratori delegati a restare in carica più a lungo, anche se l azienda è in difficoltà e necessiterebbe di un cambio di gestione. L assunzione nel board di amministratori con tre o più incarichi risulta essere collegata ad un aumento della quotazione del titolo della società, perché probabilmente gli azionisti si aspettano che il nuovo consigliere esterno porti consigli e know how utili per l azienda. Tuttavia, quando nell organo amministrativo la maggioranza dei consiglieri esterni sono già impegnati con incarichi in altre società, l assunzione di un ulteriore soggetto con numerosi incarichi esterni è vista negativamente dagli investitori, in quanto Fich e Shivdasani (2004) rilevano che il prezzo delle azioni di tali società diminuisce in questi casi. Nello stesso studio si evidenzia come l uscita non programmata dei busy directors dal board porti ad un effetto positivo sul valore quotato della società. E possibile affermare dunque che la presenza di consiglieri che siedono contemporaneamente in più società può avere effetti positivi quando vengono nominati, perché gli azionisti si attendono da essi informazioni e risorse utili per la gestione, ma questo effetto positivo svanisce quando la loro numerosità in un singolo board risulta eccessiva, in quanto i loro molteplici impegni non permettono loro di svolgere al meglio l attività di monitoraggio sull operato dei manager. Inoltre, ricoprire molteplici incarichi contemporaneamente in più consigli di amministrazione non consente di sostituire prontamente i gestori di queste organizzazioni quando le performance della società sono negative e richiedono un cambiamento al vertice esecutivo. Andres e Lehmann (2010) hanno evidenziato che la presenza di consiglieri con numerose cariche in altre società influenza anche la remunerazione dei manager. Infatti, i due studiosi hanno rilevato che esiste un legame positivo tra la presenza di busy directors altamente inseriti nel network di relazioni tra directors e il livello della remunerazione del CEO. Dato che lo stipendio dell amministratore delegato è considerata un indicatore dell efficacia del monitoraggio effettuato dai consiglieri, i due studiosi affermano che questo risultato prova l effettiva carenza dei consigli di amministrazione tedeschi nell ambito del controllo del management quando sono composti da amministratori altamente connessi. Il tema relativo al legame tra performance aziendale e presenza di consiglieri con cariche esterne è stato affrontato anche per verificare la presenza di casualità inversa. Questo implica che la performance non è bassa a causa della composizione del board, ma potrebbero essere le aziende già in difficoltà che, nel tentativo di ottenere consigli e risorse in momenti di crisi, assumono consiglieri con maggior reputazione ed esperienza. Andres e Lehmann (2010) 14

19 hanno osservato nel loro campione di imprese tedesche che non esistono dati statistici che supportino il legame tra l andamento aziendale e l entrata di nuovi soggetti nell organo amministrativo per risolvere le difficoltà. Sembra dunque che i directors che hanno cariche in altre società non vengano cooptati come risposta ai risultati negativi della società. Perry e Peyer (2005) hanno affrontato il tema delle cariche assunte in più cda da parte degli amministratori esecutivi. In questo studio è stato osservato che il valore dell azienda in cui operano gli executives che vengono cooptati in altre società diminuisce quando esse hanno problemi di agenzia maggiori. Questo si verifica nei casi in cui gli amministratori esecutivi in questione possiedono scarse quantità di titoli della società, e quando nel board non c è una maggioranza di outside directors. Nei casi in cui, invece, i manager hanno azioni della società in misura maggiore della quantità media del campione e quando la maggioranza dei consiglieri nel organo amministrativo è esterno, l effetto dell annuncio della nuova carica dell executive in un altra società risulta essere positivo sul valore di borsa del titolo azionario. Il dibattito sui costi di agenzia, che come appena visto è collegato alla questione degli incarichi assunti dagli amministratori esterni e alla loro effettiva capacità di monitorare il management, si risolve con la necessità di adottare sistemi di controllo più affidabili, tra i quali si possono citare i contratti dei manager che assegnano premi legati all andamento economico dell azienda oppure l attribuzione ai gestori di azioni della società (Jensen e Meckling, 1976; Jensen, 1993), nonché la presenza di consiglieri outsider nel consiglio di amministrazione. Questi ultimi dovrebbero garantire una maggior trasparenza della gestione, ma devono essere effettivamente indipendenti dai soci di maggioranza e dai manager per svolgere al meglio la loro attività di monitoraggio costante delle decisioni operative prese dalla direzione generale della società. Le teorie fin qui presentate si riferiscono alla concezione ristretta di corporate governance, detta anche visione esterna: per tutelare gli azionisti e altri investitori dal rischio di comportamenti opportunistici dei manager, e dunque per allineare gli interessi dei gestori ai loro obiettivi, si può ricorrere a meccanismi di mercato e soprattutto alla costituzione di organi gerarchicamente superiori come il consiglio di amministrazione, con il compito di vagliare l operato dei manager esecutivi (Pugliese, 2008). Numerosi studiosi hanno approfondito la questione della corporate governance seguendo un approccio differente, ossia la concezione allargata o approccio interno di corporate governance. Questo criterio stabilisce che l obiettivo del profitto e del rendimento dell investimento effettuato dai portatori di finanziamenti all impresa non sia l unico fine da perseguire nella vita della società. 15

20 Nasce in questo contesto la teoria degli stakeholder (Freeman, 2004), secondo la quale i manager devono considerare nel loro operato non solo gli interessi degli azionisti, ma anche quelli di un insieme di soggetti portatori di istanze nei confronti dell impresa. L azienda è considerata come un insieme di interessi cooperativi e competitivi, ognuno in grado di fornire utilità all azienda se gestito nel modo adeguato (Donaldson e Preston, 1995). Gli stakeholder sono definiti come i soggetti e le organizzazioni che contribuiscono volontariamente o meno alle attività di creazione di valore da parte dell impresa, della quale sono i principali beneficiari o coloro che ne sostengono i rischi (Ayuso e Argandona, 2007). La creazione di valore inteso come ritorno economico per gli azionisti si associa, in questo caso, alla considerazione di una serie di obiettivi che consentono di soddisfare altri portatori di interesse, verso i quali l azienda ha determinate responsabilità. In questa prospettiva, il consiglio di amministrazione non è valutabile solo in base ai risultati finanziari ottenuti dalla società, ma ha bisogno di considerare e gestire le relazioni con una pluralità di soggetti come i dipendenti, i consumatori, la comunità di appartenenza, e per alcuni anche l ambiente (Jensen, 2001). Questo perché tutti i soggetti che hanno legami con l azienda possono influenzarne l attività, dunque occorre incentivare i manager non solo per raggiungere risultati a beneficio degli azionisti e i portatori di capitale, ma anche per preservare i rapporti con gli altri stakeholder. Valutare le necessità degli stakeholder nel processo decisionale del management dovrebbe portare i gestori a prendere decisioni che non antepongono gli interessi di alcuni di essi ad altri. Le strategie aziendali vincenti da adottare sono quelle che integrano gli interessi di tutti i vari soggetti legati all impresa (Freeman, 2004). Considerando l insieme delle relazioni tra i diversi soggetti e gli organi di governo della società, è dunque possibile raggiungere risultati migliori in termini di profittabilità, stabilità e crescita (Donaldson e Preston, 1995). In questo contesto, la struttura amministrativa della società deve affrontare un problema diverso dalla contrapposizione principale - agente, ossia il bilanciamento delle esigenze dei molteplici soggetti coinvolti, le cui necessità devono essere comprese e soddisfatte per assicurare il loro impegno nei confronti dell organizzazione. Gli stakeholder non sono solo soggetti esterni all azienda in questione, ma sempre più spesso entrano concretamente nell organizzazione della società (Ayuso e Argandona, 2007): è il caso della presenza di amministratori presenti nel board che rappresentano le istanze di portatori di interessi nei confronti della società. Essi riescono così a controllare direttamente l operato dei manager e ad affrontare le problematiche relative agli stakeholder in nome dei quali operano. Il fatto che questi soggetti siano spesso contemporaneamente amministratori di altre società, 16

21 consente di parlare di interlocking directorates. Questo fenomeno sarà spiegato più ampiamente nel secondo capitolo. I critici della stakeholder theory affermano però che i manager usano questa teoria come pretesto per usare le risorse della società a favore delle cause che essi ritengono più adeguate, ma che rischiano di non essere utili per le performance aziendali. Secondo Jensen (2001), i manager rivendicano maggior autonomia dal board e minori vincoli nel selezionare gli stakeholder da privilegiare quando effettuano operazioni finanziarie a loro favore. Sostanzialmente, la teoria degli stakeholder rappresenta l evoluzione della prospettiva unicamente rivolta agli azionisti; il successo dell impresa è qui legato alla soddisfazione delle attese di tutti i portatori di interesse. Non devono però essere dimenticate le aspirazioni dei soggetti che conferiscono il capitale di rischio, i quali desiderano essere remunerati con rendimenti accettabili, e lo sviluppo dell impresa nel lungo periodo. Sulla base di questa dottrina, il ruolo del board non si limita solo a controllare l operato dei manager, ma agisce anche per supportarli nella formulazione della strategia aziendale, che deve ponderare gli interessi degli stakeholder (Babić et al., 2011). 1.3 Stewardship theory La teoria della stewardship è basata sulla considerazione che il problema dell opportunismo manageriale non costituisca la minaccia più importante nella vita aziendale. In particolare, i sostenitori di questa teoria affermano che gli interessi dei manager e dei loro datori di lavoro (gli azionisti e il consiglio di amministrazione) non sono necessariamente divergenti. Si afferma che i gestori della società sono intenzionati a massimizzare la performance dell impresa, e che lo scopo principale dei manager è il raggiungimento del successo ed il miglioramento della loro reputazione di amministratori (Davis et al., 1997). La teoria della stewardship nasce da considerazioni sociologiche, psicologiche e comportamentali in base alle quali il problema dell opportunismo dell agente descritto dalla teoria dell agenzia non è applicabile nell ambito societario nel rapporto azionista - manager. I gestori della società, in questo contesto, non necessitano di incentivi economici per svolgere il loro lavoro al meglio, perché hanno la volontà intrinseca di svolgere un buon lavoro e di custodire al meglio il patrimonio aziendale (Donaldson e Davis, 1991). Diversamente dalla teoria dell agenzia, dunque, si assume che i manager non sono soggetti opportunisti in grado di danneggiare gli interessi degli azionisti, ma rappresentano i loro assistenti fedeli. Dato che essi sono già auto-motivati a compiere azioni in linea con gli 17

22 interessi degli azionisti, la questione principale che la teoria della stewardship cerca di affrontare è la costruzione della struttura dell organo di governo e la definizione dei compiti da affidare agli amministratori nel board, affinché i manager siano avvantaggiati nel cercare di raggiungere i risultati migliori. Secondo questa teoria, il consiglio di amministrazione non è più considerato solo come un organo che deve controllare l operato dei manager per allineare le loro scelte agli obiettivi dei soci, ma diventa un soggetto che svolge il compito di affiancare i manager nella definizione della strategia, lasciando ad essi maggiore autonomia decisionale (Hung, 1998). Il governo societario, in base a questo orientamento, si fonda sul rapporto fiduciario tra i vari attori, e su procedure informali che portano all allineamento degli obiettivi e alla convergenza dei valori dei soggetti coinvolti nell organizzazione (Montefiori, 2009). Nella definizione dell assetto di governance, questa teoria stabilisce alcune linee guida relative alla composizione del cda, alla presenza del CEO duality e alla numerosità del board. Il consiglio di amministrazione dovrebbe essere composto soprattutto da consiglieri con poteri esecutivi, e dunque sottoposti all amministratore delegato in quanto si ritiene che ciò aumenti l efficacia della gestione. Inoltre, la loro conoscenza diretta del settore in cui opera la società dovrebbe favorire le scelte più inerenti e adatte all ambiente competitivo, rivolte ad orizzonti temporali di lungo periodo. Essi dovrebbero restare in carica per più esercizi, in quanto si ritiene che questo determini maggiore fedeltà verso la società. Il ruolo dell amministratore delegato è stato oggetto di numerosi studi nell ambito di questa teoria (Donaldson e Davis, 1991; Dulewicz e Herbert, 2004). L obiettivo di queste ricerche è stato quello di determinare se la sovrapposizione del ruolo di CEO e di presidente del consiglio di amministrazione fosse una pratica collegata a performance aziendali positive o negative. La teoria dell agenzia si differenzia da quella della stewardship in questo punto, infatti la prima prescrive la separazione dei due ruoli. Il CEO dovrebbe limitarsi a gestire la società, mentre il presidente del Cda ha il compito di sovraintendere alle attività di monitoraggio e di discussione delle scelte strategiche della società, nonché quello di proteggere l interesse degli azionisti. Secondo la stewardship theory, invece, l unione delle due cariche in un solo soggetto porta a risultati positivi perché la concentrazione del potere in un unico individuo accresce la responsabilità e può fungere da stimolo ad impegnarsi maggiormente per raggiungere gli obiettivi. L organo amministrativo della società, secondo questa teoria, deve essere snello e con un numero ristretto di componenti che permetta a questo di funzionare in maniera efficiente, senza intralciare l operato dei manager, rendendo veloce il processo decisionale. Inoltre, un 18

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