r ch i g r a f i c live architecture on the web e-journal - rivista semestrale di architettura e arte on-line n. 2 luglio-dicembre 2007

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2 ArchigraficA semestrale di Architettura e Cultura - rivista periodica on-line n. 2 luglio-dicembre 2007 Direttore Giacomo Ricci Comitato Scientifico Pasquale Belfiore Alessandro Castagnaro Gregorio Rubino Sergio Stenti Maurizio Zenga Redazione Elisa Anna Di Palma Francesco Donniacono ISSN opera sottoposta a Creative Commons Licence con restrizioni Stampato in Italia ArchigraficA info: ricci@unina.it INDICE Redazione ArchigraficA Quiz e attitudini p. 3 Giacomo Ricci L architettura tra il perfi do mago Atlante e nonno Ubaldo che se ne va a spasso tra le balene Elisa Anna Di Palma Andare dal maestro p. 10 Elisa Anna Di Palma Scacco alla regina p. 11 Belfiore, Donniacono, La Regina, Ricci, Rubino, Stenti, Zenga Il libro degli amici Francesco La Regina Sulle tesi di laurea ad architettura a Napoli p. 30 p. 5 R E C E N S I O N I p. 37 2

3 Quiz ed Attitudini Archigrafica vorrebbe diventare anche una sorta di laboratorio on-line, un campo di discussione aperta, franca, leale, dove ognuno possa liberamente esprimere la sua opinione. Naturalmente in merito all architettura ed agli studi di architettura. E sarebbe estremamente interessante che lo facessero anche gli studenti, dialogando, proponendo, criticando, mettendo in crisi cose che vanno messe in crisi, denunciando quello che non funziona. Il gruppo che ruota intorno ad Archigrafica ha già iniziato a farlo da un po di tempo. Il primo tema è stato quello della Bellezza dell architettura. Ora l occasione di discussione ci è data dai quiz di ammissione. La posizione di Archigrafica in merito a questa faccenda è di aperta critica, non fosse altro perchè ci sembra assolutamente umiliante che chi ha da poco superato un esame di maturità debba essere sottoposto ad una ulteriore valutazione fatta a base di quiz che non c entrano nulla con la sostanza dell architettura. In breve non siamo d accordo con la cultura selettiva basata sui quiz, non siamo d accordo con la selezione se questa non è fondata su reali criteri di merito e di stretta attinenza con il tema che si è stabilito, non siamo d accordo con il numero chiuso o, come si suol dire, accesso programmato. Ci sembra un fatto stupido, falsamente selettivo, fuorviante. Una volta ai primi anni si poteva iscrivere chiunque. La selezione avveniva e come! Avveniva infatti che, alla fine dell anno, molti cambiavano facoltà perchè capivano, con maggiore convinzione, di non essere portati per la materia. Ma ci dite che cosa c entrano le bracciate che Nonno Ubaldo fa in compagnia delle balene attraversando l atlantico con Villard de Honnecourt o Brunelleschi o Alvar Aalto? Fosse anche un quesito di logica attinente e ben fatto, a noi interessa che la logica sia quella del progetto di architettura, dell analisi dell architettura e delle sue tecniche costruttive. Sosteniamo che nulla, ma proprio nulla vi è di selezione attitudinale nei quiz di quest anno e dei precedenti e che, quindi, si tratta di una reale stupidaggine, una perdita di tempo e denaro. Agli aspiranti allievi di architettura lo scherzo è costato un po di euro a testa. Ma se facciamo la somma su scala nazionale, la quantità di euro non è poca. Provatevi a fare due conti sulla punta delle dita: ad ognuno è toccata una spesa di 20 euro. Ma quanti sono stati gli aspiranti studenti a scala nazionale, ottomila, diecimila, di più? Stiamo parlando, per il solo accesso alle Facoltà di Architettura di circa duecentomila euro? O ci stiamo sbagliando? A cosa sono serviti? Ci piacerebbe saperlo. Tanto per dire, non sono serviti a far crescere nessuno sul piano culturale nè su quello professionale. E già questo basta per affermare che si tratta di una stupidaggine. Noi ne siamo ormai sostanzialmente convinti. Nel frattempo aspettiamo che voi studenti facciate ascoltare la vostra opinione. Ormai i quiz, per 3

4 quelli che sono stati ammessi, sono passati. Ma non tutte le altre corbellerie che il nostro mondo universitario è pronto ad offrirvi. E meglio attrezzarsi, non vi pare? La vosta opinione e la vostra presenza ci sembrano molto importanti. la redazione di Archigrafica 4

5 L architettura tra il perfido Mago Atlante e Nonno Ubaldo che se ne va a spasso con le balene quiz e prove attitudinali di accesso giacomo ricci Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo ( ) Non accetta l idea che ad una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa: egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. Aristotelico per difetto, la sua pedagogia è di conseguenza conservatrice, paternalistica, immobilistica. Così, nel 1961, scriveva Umberto Eco nel suo Fenomenologia di Mike Bongiorno, con la raffinata ironia che costituisce uno dei tratti più singolari della sua intelligenza e degli aspetti più geniali della sua ricerca di autore ed esponente di spicco della cultura italiana contemporanea; fu, questo, un minisaggio rimasto letteralmente memorabile nel panorama letterario dell epoca, quasi una pietra miliare nella storia del Bel Paese del secondo dopoguerra; in poche battute, al di là dell ironia che sfocia direttamente nel comico per le immagini che evoca del noto presentatore, Eco centra limiti, disagi, comportamenti e prospettive dell uomo-massa contemporaneo, le sue aspirazioni (meglio, le sue non-aspirazioni), i confini inamovibili dei suoi orizzonti di significato. Ciò che premeva al futuro autore de Il nome della rosa, era marcare, con l evidenza del paradosso, i limiti patetici della cultura italiana di quegli anni. Mike Bongiorno era, con il suo modo di essere, l emblema di quella società, di quel modo di crescere, di quell annichilimento dell uno accanto all altro, del borghese piccolo piccolo, mediocre, ammutolito di fronte all apparecchio televisivo e nullificato nella massificazione del primo consumo rudimentale degli anni sessanta. Quando lo lessi per la prima volta l effetto che ne ebbi fu lo stesso di vedere Chaplin tritato negli ingranaggi di Tempi Moderni, di Totò in cerca di una casa, inebriato dal ritmo ossessivo dei timbri, che li usa come le bacchette di un fantastico tamburo e marca con l inchiostro il posteriore dell abito bianco del sindaco-onorevole in visita agli uffici comunali; o di Stanlio ed Onlio che ballano e cantano fuori di un Saloon tenendosi i lembi delle giacche impolverate e pesanti tra indice e pollice come fossero eterei tutù, o del giovanissimo Alberto Sordi che doppia Onlio in Guardo gli asini che volano nel ciel, o Fracchia- Fantozzi che miseramente scivola dal suo sedile amorfo-mobile sotto la scrivania di un terribile Gianni 5

6 Agus-direttore, o di Buster Keaton che, alle prese con il salvadanaio per recuperare qualche spicciolo per uscire con la ragazza, finisce per fracassare, a colpi di martello, il muro e sbucare nell appartamento a fianco; o, ancora, di Totò, in tenuta da caprese doc, che premia l imitatore di Picasso facendolo sedere su una sedia, tappandogli un occhio, chiedendo aiuto per tenergli aperto l altro e, finalmente, sputandoci violentemente dentro. Insomma, quella di Eco era una battuta comica, basata sulla dabbenaggine diffusa nella nostra piccola Italia che cominciava a prender fiato dopo una guerra tanto devastante, che il nostro impertinente e geniale studioso di semantica e linguaggio sfruttava in maniera intelligente, per sottolineare, con la forza del paradosso proprio quella che, secondo lui, difettava a Mike Bongiorno una incongruenza fin troppo evidente del nostro sistema di comunicazione televisivo; ricorreva all effetto comico per meglio rendere l idea, per enfatizzarne il risultato dunque. Fin qui nulla di strano. Che un agguerrito critico, abilissimo nell uso sapiente del linguaggio, sfrutti immagini a suo profitto è cosa certamente notevole, ma, a suo modo scontata. Ma permettetemi di rivolgermi a quelli della mia età che hanno letto il bel saggio di Eco: vi aspettavate che, tra Mike Bongiorno e Eco, il più vicino al vero, quello che aveva capito tutto della futura evoluzione del nostro paese e delle sue istituzioni culturali più prestigiose (le nostre Università, per l appunto) fosse il presentatore televisivo? E già: non soltanto Mike Bongiorno è sopravvissuto, vivo, vegeto, attivo e, diciamolo, più simpatico che mai fino ad oggi, diventando anche autoironico (pensate a quando fa il barbone in coppia con Fiorello), ma perché, con una intuizione, questa davvero geniale, ha anticipato l intera filosofia che regola le nostre Università. Come si mostrano queste istituzioni ai giovani che chiedono di accedervi? Quale cultura offrono, come li selezionano? Con complessi sistemi di valutazione attitudinale? Allestendo corsi di accesso, prevedendo strategie, mettendo in piedi scenari adeguati di valutazione, utilizzando le migliori risorse a loro disposizione (cioè i migliori professori che ci sono ancora, nonostante tutto, a dispetto di tutti i tentativi che si fanno per metterli fuori uso) per organizzare corsi preventivi, aprendo loro gli occhi sulla prospettiva scientifica e disciplinare che li attende? Ci aspetteremmo che ad un aspirante medico si mostri la complessità della ricerca sul cancro, le prospettive, le difficoltà, la fatica intellettuale, lo studio quindi la vita difficile che lo attendono. Agli aspiranti studenti-architetti ci aspetteremmo che venisse loro mostrata la straordinaria storia dell architettura, la costruzione della città, le teorie di raffinatissimi intellettuali come Leon Battista Alberti, la genialità sorda, cupa, testarda, incredibile di un Brunelleschi, l ingegno fine di un Eiffel, l incredibile industriosità dei costruttori gotici che seppero, con le sole mani, aiutandosi con corde, pali di legno, asce e scalpelli erigere cattedrali la cui navata centrale arriva all altezza di quasi cinquanta metri, senza la presenza di matronei, lasciando che le pareti potessero essere traforate al punto di inondare di 6

7 luce l interno, in una sinfonia di colori, di chiari e di scuri filtrati dai vetri. Ci aspetteremmo che venisse solleticata la loro intelligenza, la loro curiosità, che venissero mostrate le difficoltà che esistono oggi di erigere alcunché non solo in Italia ma anche altrove, del confronto immane che un costruttore oggi deve affrontare con il nostro pianeta sempre più in difficoltà e l ambiente naturale in un indecifrabile declino, gli elementi impazziti e il caldo che d estate brucia alberi e terra. Niente di tutto ciò. Innanzitutto il sistema di valutazione scelto non si sa perché, da chi, in base a quali motivi, a quale logica e in vista di quali obiettivi è, manco a dirlo e con buona pace di Eco, quello dei quiz, quello di un cervello elettronico, dove A è sempre A, tertium non datur, quiz pienamente aristotelici per difetto nella forma e nella concettualizzazione da piccola enigmistica tascabile di fine settimana; esperienza intellettuale si fa per dire limitata, da consumarsi magari sotto un albero dalla grande chioma, su una panchina, con un cagnone sui piedi e per compagni, a destra e sinistra, due barboni simpatici come Fiorello e Bongiorno, per non guardare le cose, per non affrontare i problemi. Non in saloni enormi, stipati in tanti, in un tempo ristretto, con il cervello che se ne va in tilt e di quello stress non si capisce il perché, la ragione sufficiente, direbbe Rosario Assunto, estetologo, filosofo del paesaggio, cultore dei giardini storici, architetto della natura, critico dell idiozia accademica imperante contemporanea. In altre parole, cari colleghi architetti, presidi, direttori, presidenti di corsi di laurea e così via, non abbiamo a che fare con pensionati di ottant anni che non si aspettano più nulla dalla vita e per tenere sotto strizza il cervello si danno al piccolo rebus, all indovinello, alla pazziella logica che fa ridere, ma con giovani di diciotto, diciannove, vent anni, intelligenti, smaliziati, che i computer li sanno usare bene perché ci sono cresciuti insieme e che, forse, li stanno anche per accantonare perché si sono stufati della loro logica a scatolette cinesi, ne hanno le palle piene di finestre che si aprono, logica d accatto, cad e multimedialità; che non sanno più che farsene di una cultura nella quale A è sempre uguale ad A. Che, spesso, sono inseguiti da presso da un mondo che non li accoglie, che fa di tutto per buttarli tra le braccia della droga, la bianca e pallida signora che, in quattro e quattr otto ti fotte, dà la morte. La nostra è la cultura della complessità e, ci piaccia o no e questo i matematici e i logici seri, quelli che non si sono arresi ad insegnare piccole nozioni di algebra nella scuoletta media di periferia, nei licei o nelle università, lo hanno ben compreso e spendono le loro migliori energie per capirci qualcosa richiede nuove strategie di approccio, più intelligenti, meno schematiche, molto più complesse dell aristotelismo di ritorno di sommesso profilo psicotecnico da forze armate di basso livello. Non sono più validi gli schemi di modellizzazione logica usuali e classici. Può essere che A sia A, ma molto spesso è B, C, D, e forse anche 1, 2 o 3 e, spessissimo, niente di tutto ciò: si tratta del naufragio quasi completo dei nostri schemi di 7

8 astrazione logica; oggi è necessario inventare, ci vuole una cultura che faccia paralleli, debordi di campo in campo, selezioni, saggi, butti via per poi riprovare, sperimentare a più non posso, ci vuole un cervello elastico come un onda, trasparente. Ci vuole quella che Franco Rella, citando Nietzsche, chiamava ragione porosa, capace di farsi penetrare da tutto, da ogni fenomeno e trarre profitto dalle esperienze che stanno, incomprensibili, sotto gli occhi di tutti. Altro che quiz alla Mike Bongiorno! Ma la cosa non si ferma qui. E ben peggio. Se la forma del quiz è noiosa all inverosimile come spettacolo televisivo, essa diventa intellettualmente ripugnante se usata per saggiare l intelligenza di una mente giovane; figuratevi che accade quando si esamina il contenuto di questi quiz! Ma qual è il contenuto? Mi sono reso conto che è difficile accedere al contenuto dei quiz. Perché sono, prima delle prove, ovviamente, segreti. Dopo, lo sono ancora per questioni di privacy. Sono riuscito a scovarne qualcuno tramite la password di mio figlio che li ha sostenuti due giorni fa, superandoli. Così ho scoperto che, per accedere alle facoltà di architettura italiane, si deve, tra l altro, sapere quasi tutto dei francobolli italiani, dalla posizione storica alla lettura del francobollo sotto il profilo estetico, fino a comprendere quando un francobollo nasconde una crisi politica, economica e se è valutabile per la bellezza, per la funzione o per la data di emissione e se è stato emesso per scopi di collezionismo filatelico o per celebrare importanti eventi. Si passa dal significato della luce in Sant Agostino alla prospettiva razionale degli sfondi di Caravaggio, allo spazio d ombra e se il nero pece sia stato lì posto per far risaltare i primi piani. Passando tra reti di numerini sospesi e cancellati, dadi con simboli vari, si giunge alle chiavi di casa, non quelle di Non aprite quella porta (l horror c è ma più avanti, come vedremo) ma quelle che aprono la porta d ingresso ma non la cantina. L aristotelismo da forza militare di base e da enigmistica per vecchietti rincoglioniti, stramazzati dal caldo sotto un albero con la Settimana Enigmistica nelle mani, impazza; Alì Babà se la passa bene ed ha un numero imprecisato di odalische-concubine, alcune con i capelli neri, altre con gli occhi neri, per la precisione i 4/5 hanno i capelli nero avorio e i 3/4 hanno gli occhi neri; tipica domanda da agosto infuocato: quante sono le odalische che hanno sia gli occhi che i capelli neri? Non posso fare a meno di scacciare dai miei pensieri l immagine del solito Totò che, alle prese con il problema di aritmetica del figlio, nel quale si parla dell ortolano che aveva raccolto non so quante zucchine e ne aveva perse tante altre, non ce la fa più e dice: Ma non se ne poteva stare a casa sua e mandava un altro a raccogliere i cocozzielli? E poi non ho potuto fare a meno di crepare dal ridere io a casa mia, davanti al mio computer, tranquillo e rilassato, ma immagino quali saranno stati i commenti dei ragazzi più attenti e smaliziati quando ho letto di un tal Nonno Ubaldo che dice al nipote di aver attraversato l Atlantico e battuto in velocità le balene. Forse, azzardava il quiz, Nonno Ubaldo era un bugiardo. Perché? E di qui tutta una serie di ipotesi sulla natura della bugia; la risposta, non ci crederete, è perché se Nonno Ubaldo ha battuto le balene, non ha potuto attraversare l Atlantico. Confesso la mia ignoranza e sono pronto a non ritenermi adatto 8

9 all insegnamento dell architettura, perché, per quanti sforzi abbia fatto, non l ho ancora capita: perché nell Atlantico non ci sono le balene? Perché le balene non attraversano l Atlantico? Per me, a lume di naso, Nonno Ubaldo sarebbe morto d infarto, correndo per l Atlantico appresso alle balene, dopo i primi venti, trenta metri. E, poi, dipende, dall età; se Telesforo sì, avete capito bene, sono andato a controllare, è questo il nome del nipote di Nonno Ubaldo ha anni come uno studente che s iscrive all Università, Nonno Ubaldo, se ha fatto proprio in fretta e lo stesso ha fatto suo figlio, deve stare sull ottantina o giù di lì e a buttarsi nelle acque dell Atlantico, a quell età, è certamente morto quasi sul colpo, quindi di metri ne deve aver fatti veramente pochi. C è, come ho detto, il finale horror-fantasy, con Angelica, dolce ed intelligente principessa cinese, trattenuta in una stanza ottagonale, con non ricordo più quante porte, dal feroce, perfido mago Atlante e una serie di servi malvagissimi pronta a farla divorare dai draghi se non si rompe il cervello a indovinare chi di loro, tra la stragrande maggioranza che le confonde le idee per perderla, dica la verità. Naturalmente lo schema è sempre quello del sillogismo; stavolta la grande complicazione intellettuale è che le implicazioni sono incrociate e dunque per sbrogliare la matassa si procede a ritroso, per fasi interdipendenti. Nient altro che un piccolo scioglilingua concettuale. Così, se ci riesco, sono architetto. Ma ho ancora la testa che mi gira per via delle risate a proposito del Nonno che se ne va a nuoto per l Atlantico a fare le corse con le balene. E poi mi convinco: con questo mestiere è meglio non averci a che fare. Non sono proprio preparato per insegnare l architettura. Parlerei di Brunelleschi e delle cattedrali. Dei Nonni che fanno le gare, di Barbablù e delle odalische di Alì Babà con gli occhi neri so veramente poco. Preferisco il mio vecchio mestiere tradizionale con il quale si affrontano rompicapo di altra natura: per esempio, come fare una città che funzioni, che sia più bella e che costi poco e che sia anche in accordo con la natura. Come fare per costruire case nelle quali venga la felicità di vivere come quelle che disegnava Wright. Ma questa è un altra storia che mi sembra lontana dai quiz. E, devo dire, anche lontana da Mike Bongiorno che, tutto sommato, non ha mai avuto la pretesa che la sua maniera di essere diventasse procedura accademica di valutazione attitudinale. Non se lo sarebbe mai sognato. Il sogno, anzi l incubo, è venuto in testa a qualche altro che si nasconde dietro la sigla CISIA (Centro Interfacoltà delle Scuole di Ingegneria e Architettura). Addà passà a nuttata diceva Eduardo. Speriamo che passi in fretta. 9

10 Andare dal maestro elisa anna di palma I quiz sono la punta dell iceberg di un sistema universitario che non funziona più nel suo intero: non funziona all ingresso, non funziona durante, non funziona all uscita, e chi vi entra più che sentirsi sottoposto ad una selezione culturale, finisce per sentirsi sottoposto ad una selezione per la sopravvivenza, per la quale spesso i fattori genetici più importanti non sono affatto quelli legati alla cultura. Ma ciò che preoccupa ancor di più è che questa deriva sembra aver investito tutti gli aspetti della società, e nessuno, anche chi grida allo scandalo, può rimanerne immune ancora a lungo. Sono cresciuta in un paese di sarti e calzolai. La maggior parte dei ragazzi, finita la scuola definitivamente(ma non necessariamente finito l obbligo) o solo per le vacanze estive, e quelli più indigenti anche nel doposcuola, andava dal maestro. Il maestro non era quello che ti aiutava a fare i compiti, o dava lezioni di belle arti alle bambine di alto lignaggio, ma quello che ti insegnava ad infilare l ago nella stoffa col medio della mano destra armato di ditale per imbastire la giacca di qualche avvocato napoletano. E a quel maestro si tributava la stessa deferenza dovuta a un professore: per entrambi non c era obiezione che tenesse, genitore che osasse intervenire. Oggi qualsiasi genitore si autoaccuserebbe di sfruttamento minorile, si sveglierebbe tra incubi affollati dallo spettro del telefono azzurro. Anch io, che ritengo di essere stata tra le ultime privilegiate a ricevere quest istruzione e doni preziosi come un telaio da ricamo o una macchina per cucire, non credo che sarei capace di fare la stessa cosa con i miei figli. Ho sempre creduto nel lavoro e nello studio, e metto il lavoro in prima linea perché quella pratica mi ha insegnato anche a studiare, mi ha inculcato il senso del dovere ancor prima di quello della libertà di pensiero, e soprattutto mi ha fatto comprendere che non si è veramente liberi di pensare se non si ha un lavoro che rende indipendenti, un arte che produce e appaga nello spirito e nei fatti. Mio nonno che era sarto, vedendo la sua arte che pian piano impoveriva nella forma e nei contenuti, ha più volte parlato di complotto. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che quelli che pensavano, i dottori, non si accorgessero del male che stavano facendo mentre allentavano tutte le corde, mentre sfasciavano i valori tradizionali più elementari senza proporne altri, a meno di non avere un secondo fine talmente incomprensibile da risultare diabolico. E poi tornava al suo lavoro, ancora con maggiore accanimento e rigore. Non è una sinecura, ma è l unico modello a cui posso guardare per oppormi nel quotidiano a questa ennesima e inspiegabile stortura che, all apparenza, nega solo il libero accesso allo studio, ma alle spalle si porta la negazione di parecchi altri diritti civili. 10

11 Scacco alla regina elisa anna di palma E significativo osservare come, contraddittoriamente, il mondo accademico abbia attribuito, da un lato ai filosofi della corrente nichilista il ruolo di profeti dell interpretazione della tecnologia e dall altro continui a propugnare la tecnologia come strumento di progresso e di controllo dell architettura, perché proprio alla tecnologia tali filosofi attribuiscono un carattere di sopraffazione nei confronti del fare dell uomo. In questa scia si continua ad ovviare all evidente contrasto tra una teoria sicuramente affascinate, che fa del proprio manifesto l accettazione che la verità dell esistenza possa essere additata (si badi bene, non toccata né tanto meno fatta propria, ma solo indicata, in quanto appena percepita essa ci sfugge perché ha un ordine di grandezza superiore alla nostra attuale facoltà di pensare) esclusivamente prendendo coscienza del salto che vi è tra scienza e pensiero autentico, ed una volontà di elevare la tecnologia dell architettura al rango di interprete dei bisogni dell uomo, del luogo e del tempo, semplicemente evitando l argomento o, meglio, raccogliendo stringhe ed enunciati che presi isolatamente riescono ad attribuire alla tecnologia, in quanto matrice scientifica dei saperi artigianali della tèchne, un carattere di appartenenza al poiein e ad affermare che la phýsis (la totalità della natura universale), nella quale la tecnologia si reifica, è il senso più alto della poìesis. Ma la tecnologia è una disciplina che, per la sua stessa natura scientifica, rinnega quegli scarti poetici e poietici, forse gratuiti ma salvifici dal punto di vista epistemologico, che ascrivono l architettura all arte in quanto compiono il salto verso la verità che le scienza esatte, con i loro fragili postulati, non possono compiere. La contraddizione è confermata dal puntuale cambiamento di rotta che i testi di tecnologia dell architettura attuano dopo quella breve parentesi introduttiva che, a seguito dell excursus storico filosofico, non si attarda a specificare come la tecnologia sia, secondo la definizione del Devoto, lo studio delle scienze applicate relative alla trasformazione della materia prima in prodotti d impiego e di consumo, e quindi, nel caso dell architettura, in prodotti d impiego e di consumo per l abitare, e come essa non vada identificata con la tecnica che ne costituisce solo la parte applicativa (dimenticando però 11

12 come sia proprio quest attuazione l unica vera componente del disvelamento e del tra-mandamento nelle teorie filosofiche a cui essi fanno riferimento). Tale cambiamento di rotta si traduce in una trattazione che potrebbe definirsi quasi positivista e che viene mediata, generalmente, da alcune precauzioni d uso che ammoniscono l utente (architetto, manager del processo, costruttore e quant altro) rispetto ad un uso indiscriminato della tecnologia, edulcorandola con gli aggettivi appropriata, sostenibile, sistemica, fl essibile, adattiva, ecc.. Rimane dunque difficile, anche per il tecnologo stesso, sfuggire al monito dell uomo meccanizzato sopraffatto dalla tecnologia produttiva, che giunge a noi sin dalla rivolta romantica contro il mito dell industrializzazione propugnato dalla filosofia utilitarista, e tutti, tecnologi compresi ci troviamo ad osservare, scettici, un pannello fotovoltaico chiedendoci se non sia l ultimo inganno del consumismo e se Owen e Marx non si stiano rivoltando nella tomba. Una seconda contraddizione in merito al successo che le teorie estetiche di filosofi come Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger e i loro epigoni hanno trovato nell elaborazione del corpus teorico della tecnologia dell architettura sta nell irruenza con cui queste teorie propugnano la volontà di affermare l individuo, con il suo portato di creatività, di finitezza, di continuità storica, di causalità e di destino, contro le strutture consolidate del pensiero classico, che ingabbiano la libertà entro le ferree regole della logica, della ragione, dei canoni. Ma è questa una rivolta implicita contro un potere di cui la filosofia si rende scudo, una rivolta che va letta nel contesto dell assolutismo e nella sconfitta subita dal totalitarismo, che ne chiosa drammaticamente la fine. Le regole, i valori, i canoni, siano essi deontologici (se suona eccessivo parlare di morale), culturali, estetici, sono il fondamento in ogni società civile e sono tanto più validi in una democrazia in quanto essa li elabora e li approva in maniera condivisa ed appura il proprio successo sulla solidarietà che il singolo esprime nei confronti di quanto essa ha sancito. Alle regole condivise la società occidentale attribuisce il merito di garantire la libertà del singolo. Perché questo principio non dovrebbe essere valido per l architettura? Uno stato civile non si limita a dettare parametri urbanistici, che nei casi più estremi sono accompagnati da valutazioni paesistiche, da oscuri lasciapassare di burocratizzate soprintendenze, e non lascia che chiunque sia dotato di un idoneo titolo di studio intervenga con una ruspa sul patrimonio dell umanità, quasi vergognandosi di limitare quelle che vengono universalmente riconosciute come deturpazioni ed oscenità, solo perché dovrebbe elaborare e condividere delle nuove regole estetiche, e ritrovandosi così, paradossalmente, nell incapacità di risolvere il contraddittorio tra la garanzia della libertà e la libertà dell arte. Ma l Umanesimo è stato tale in grandezza e bellezza proprio perché ha concentrato l attenzione sull uomo, sulle sue capacità espressive, valorizzando l unicità del singolo nell armonia del tutto. Eppure l Umanesimo non ha disdegnato i canoni estetici, li ha rinnovati, li ha celebrati, e nella capacità 12

13 Il libro degli amici giacomo ricci maurizio zenga Caro Maurizio, mi è venuta un ideuzza. Hugo von Hofmannsthal scrisse un libro che chiamò Il libro degli amici nel quale si prese cura di trascrivere citazioni di altri autori che riteneva meritevoli di essere lette e ricordate. Vorrei inaugurare una cosa simile su ArchigraficA ma che sia più simile ad una scrittura continua quotidiana - o quasi - che un gruppo di persone si scambiano discutendo di ciò che accade loro e, se è il caso, aggiungendo anche citazioni o altro. Vorrei iniziare dal fatto che ieri, in un Consiglio di Facoltà, un professore importante della mia Facoltà - o che almeno a me sembra tale per il suo impegno e la sua presenza costante - ha introdotto l argomento dei quiz di accesso citando il mio contributo su Nonno Ubaldo e Bongiorno in maniera per me molto lusinghiera e, devo dire, che non mi aspettavo almeno da parte sua. Mi sono accorto che lui interpreta il suo ruolo non solo per convenienza, come fanno tutti, ma anche - e forse soprattutto - perché crede ancora nel suo mestiere di professore e architetto. Tutti - che avevano ignorato il lavoro che avevo spedito ad ognuno di loro - si sono accorti dell importanza dell argomento e, dopo un intervento del tal professore e mio, mi hanno tributato una specie di trionfo. Il Consiglio di Facoltà, preside in testa, ha deciso di inviare una mozione alla Conferenza dei presidi perché dia fine allo sconcio di domande che non hanno niente a che vedere con l architettura. Non ho alcun dubbio che la mediazione del professore in questione sia stata fondamentale nel far decidere i miei colleghi a prendere una posizione. Si sposa quest atteggiamento con quanto diceva il prof. Sartori - che mi piace moltissimo per la sua intransigenza intellettuale - qualche sera fa parlando degli italiani definendoli conservatori, pavidi e sostanzialmente cazzisti quest ultimo termine è ovviamente una mia libera traduzione - forse troppo disinvolta - di un suo pensiero come sempre rigoroso. Devo dire di non sopportare più quest atteggiamento diffuso dei nostri connazionali falsamente neutrale, preoccupato, soprattutto, di portare, in ogni occasione, soprattutto il culo a casa al posto di esprimere liberamente il proprio pensiero. Credo che la nostra misera penisola abbia bisogno di impegno in ogni campo. Il Libro degli amici potrebbe, liberamente, aprire un discorso. Che ne dici, iniziamo? Giro questa mail agli altri? Carissimo Giacomo, la tua idea è tutt altro che una ideuzza e, se ho capito bene, riguarda la possibilità di registrare ciò che di buono e di utile si produce sempre all interno di una discussione che si svolge tra persone che si conoscono e che si stimano, tra amici appunto. 13

14 Persone che, in qualche modo, si vogliono bene e che sono pre-disposte ad accettare il punto di vista dell altro, così come sono aperte alle modifiche del proprio punto di vista se dall altro vengono motivi di riflessione o elementi di approfondimento. Questo aspetto non è poca cosa se si pensa che oggi il dibattito culturale e politico, sia in pubblico che in privato, si svolge sempre e comunque sul piano dello scontro verbale e della contrapposizione sorda alle posizioni dell altro, dando un pessimo esempio di comportamento alle giovani generazioni che per la prima volta si apprestano ad affrontare il confronto con altri su argomenti di carattere politico, sociale, culturale ecc. E anche vero che le sedi in cui esercitare la dialettica del confronto oggi sono scarse ( una volta, ai nostri tempi, c era la sezione di partito, il collettivo politico all Università, la comitiva del bar sotto casa, le riunioni conviviali a casa tua, a casa mia, gli incontri serali sulle panchine dei giardinetti comunali e così via in altre mille occasioni per parlare, per confrontarci e per crescere insieme ), sono spariti i gruppi di discussione di qualunque genere e con essi la stessa capacità di mettersi in discussione o mettere in discussione le idee facendole diventare progetti e quindi costruzione di qualcosa. Tutto ciò che oggi appare come sede di confronto adatta alle discussioni di qualunque genere, se ci fai caso, è finto. A cominciare dalle sedi istituzionali, basti per tutti l esempio del Parlamento dove un Ministro discute di problemi giganteschi ( hai presente il question-time? ) davanti ad una platea vuota, oppure ai Consigli di facoltà, di Istituto, nelle Università o nelle scuole di ogni ordine e grado, dove le discussioni sono interminabili e inutili e dove i rappresentanti eletti non riescono mai, dico mai, ad entrare nel merito dei problemi perchè si fanno i dispetti l uno con l altro. Non esiste nella scuola attuale un luogo, una sede che sia una, nella quale i docenti ( tanto per fare un caso personale ) possano liberamente e con passione discutere del loro lavoro e del come e perchè la scuola sta andando in malora. Non c è la percezione che dei problemi di cui la gente è vittima si possa realmente discutere tra le persone che, di fatto, si accontentano del surrogato televisivo (ormai insopportabile) in cui si discute fintamente di tutto, delle cose più assurde, mettendo a confronto le categorie più disparate (o disperate?) sui temi più incredibili. Per non parlare del cosiddetto reality che ha riempito questo vuoto mentale e dell anima con una paccottiglia indefinita di emozioni finte e di sentimenti precotti in contesti ambientali simbolici, del tutto irreali, che hanno prodotto l effetto di anestetizzare completamente la nostra curiosità di interloquire direttamente con gli altri per confrontare le nostre idee, condividere le emozioni, progettare, costruire, perchè c è tutto in TV già preconfezionato. Dunque puoi immaginare caro Giacomo quanto io sia favorevole alla creazione di una sede di discussione, aperta, libera, diretta in cui parlare di cose su cui si misura il nostro impegno quotidiano. Il blog di Grillo, che tanto successo ha avuto e sta avendo è in fondo una sede di discussione tra amici ( gli amici di B.G. appunto che tuttavia, per la smisurata quantità di contributi diventa impossibile distinguere da un coro ) dove le persone manifestano l estremo bisogno di intervenire, di esprimersi, di fare 14

15 gruppo, di progettare il proprio futuro e di vederlo realizzato. E nell aria questa ribellione dell anima, del pensiero, della creatività che cresce anche dentro di me. In poche parole, sono d accordo... Partiamo! P.S. mi è piaciuto moltissimo il riferimento alle citazioni e alla tua idea di metterne insieme alcune tra le più interessanti. Io direi anche di aggiungere l uso sproporzionato e fuori luogo delle citazioni. Prendi ad esempio questa che ti propongo e che in questi giorni è molto in voga: quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito... (massima cinese ). Ora vai a questo Link e guarda che uso ne hanno fatto e dimmi ( come direbbe Di Pietro ) ma che c azzecca? giacomo ricci siamo partiti, evviva! A proposito del link che proponi e passando di pala in frasca, come diciamo a Napoli, la parola palinsesto della quale tutti fanno un uso spropositato, intendendo, più o meno, la struttura, l organigramma di un evento o di eventi programmabili, in realtà nasce da una necessità. Nel medioevo la carta, almeno fin quando non si fece quella a mano - ad Amalfi, tanto per restare nel territorio che conosco - era sostituita dalla cartapecora che, come dice la parola, veniva dalla pelle della pecora. Costosa in termini concreti - ma anche in termini di vita perchè ogni pagina era ricavata da una pecora, per cui un codice come quello di Villard de Honnecourt, originariamente di un ottantina di pagine circa, era generato dalla strage di ottanta pecore - era riutilizzata ogni vola che si poteva, grattandone il contenuto e sovrapponendo ad esso un nuovo disegno o una nuova pagina. La cartapecora grattata e riutilizzata prendeva il nome di palinsesto. Forse anche per questo e per il fatto che si scriveva a mano, all ombra dei chiostri, il pensiero era più ponderato, più profondo - altro che primitivo!- e le sciocchezze erano meno diffuse. Figurati che cosa succede con l infinità riproducibilità del web e della TV: puttanate a più non posso il cui unico scopo è il rincoglionimento generale e diffuso dell umanità. Vediamo se non fosse possibile cominciare di nuovo a pensare. A proposito della tua osservazione e per restare nella logica del proverbio cinese lo scopo è quello di guardare sempre la punta del dito: tutti devono guardare il dito e non la luna. La luna ci siamo dimenticati dove sta e se mai ci sia stata. francesco donniacono Caro Giacomo, un diario quotidiano o quasi, come tu dici, redatto a più mani e da diverse prospettive potrebbe aiutarci a capire, per quanto é possibile, dove stiamo andando o meglio dove siamo già andati, tentare di invertire 15

16 la rotta è sempre possibile (spero). francesco la regina Caro Giacomo ho apprezzato molto la tua iniziativa e la rivista che dirigi. So bene quanto impegno richiedono cose del genere. Sono sempre stato e sarò sempre uno dei tuoi amici, sono più che felice ed onorato del tuo invito a collaborare. Non ho ancora ben capito se esistono temi specifici che debbono essere trattati, o se tutto il territorio dell architettura può diventare campo di battaglia. Chiariscimi un po le idee, devi aver pazienza, non sono un guaglione come te. sergio stenti Basterebbe fare un pò di sana critica a quello che succede intorno,e con, noi. La critica spaventa; nessuno, con un po di potere, è uso accettare critiche! Ingiurie, offese magari, ma critiche danno ai nervi! Con Pasquale, ad una aulica serafica presentazione, in Facoltà, della Rivista Ananke di Dezzi Bardeschi demmo scandalo! Solo facendo cordiali ma decise critche al piano di recupero della Mostra d Oltremare.La corte degli YES MEN è numerosa, forse maggioritaria e ci teme. Naturalmente c è da evitare il complesso del Grillo..., ma si vedrà. Allora, facciamoci sotto -Allon san enfants - ( chi sa il francese?) giacomo ricci Cari amici, Tanto per iniziare, proviamo, insieme, a rispondere, se siete d accordo, ad alcune semplici domande: 1. quali potrebbero essere le prime battute della prolusione al vostro corso, tenendo presente che si tratta della prima lezione del primo anno ad un ragazzo che per la primo volta sente parlare di architettura? 2. Credete che la vostra condizione personale (di lavoro, di studio, esistenziale) abbia qualcosa a che vedere con la vostra prima lezione o che, come nel caso dei chirurghi l esempio viene da Benjamin il nostro personale debba essere rigorosamente bandito da ciò che trasmettete ai ragazzi? Dico questo perché un professore a me non noto (per sua fortuna) ha esordito con la frase, diretta ai giovani di 18 anni che lo stavano ad ascoltare, se vi siete iscritti ad architettura farete la fame. Forse si tratta di una verità estendibile, comunque, alla maggior parte delle Facoltà italiane ma è un modo di produrre un buon incipit?( Corso di Laurea in Scienza dell architettura, FdA Napoli, a.a , roba dell altro giorno, insomma). In questa prospettiva che fine faranno la matematica, la fisica,la chimica? 3. Qual è la cosa che più vi scandalizza dell attuale ordinamento universitario delle FdA? 16

17 4. Siete stati incaricati di fornire una cassetta degli attrezzi ai vostri giovani uditori. Che ci mettereste dentro? Mi spiego meglio: quali strumenti reali (tipo matita, computer, ecc.), quali strumenti concettuali (studio dell estetica, della matematica, ecc.) quali sentimenti (idee politiche, gusti, autori di cinema e teatro, ecc.) e infine, quale è la cultura di base (manuali del tipo De re aedificatoria, De architectura libri decem,l autobiografia di Wright, L architettura della città di Rossi, Architettura in nuce di Zevi ecc.) di cui ritenete indispensabile l acquisizione? E del tutto ovvio che: 1. potete mandarmi, da subito, a quel paese e con questo chiudere l argomento ritenendolo una colossale cazzata. Per parafrasare Pasquale Belfiore che ama citare il Candido di Voltaire potreste ritenere che questo è il migliore dei mondi possibili e non c è nulla da aggiungere e nulla da togliere: non ridete, perché sono certo che la maggior parte dei componenti della Conferenza dei presidi la pensa proprio così (e dal loro punto di vista, strettamente personale ecco il personale che ritorna non hanno mica torto). 2. Potete sovvertire l ordine e la sostanza delle domande 3. Potete rispondere a monosillabi (o quasi) senza produrvi in un saggio (nessuno se lo aspetta né serve, almeno credo) 4. Potete ritenere che sia sbagliato porre la questione così e che sia altra la maniera per impostare il discorso. 5. Non lo so, aggiungete di vostro. Lo scopo di questa prima discussione potrebbe essere quello di uscirsene con la compilazione di un formulario-scheda per un sondaggio da inoltrare ai docenti delle Facoltà. Quest idea che non mi sembra, sotto vostra correzione, tanto peregrina - è partita da un brillante spunto di Francesco Donniacono, che io istintivamente ho zittito ritenendolo impraticabile nella realtà, e che, invece, ad una riflessone successiva, potrebbe trovare risposte nel web e con mailing list mirate. Lui proponeva di sondare l opinione degli studenti. E a me non sembrava possibile. Così potremmo cambiare l interlocutore e parlare con i docenti, questi, sì, tutti raggiungibili per mail. Si aprirebbe un piccante scenario di chi risponde, di come risponde e di tutti quelli che non rispondono che è poi un interessantissima maniera di rispondere P. ha comprato un piccolo appartamento in un edificio degli anni 50 ( ex INA ) dopo aver venduto la sua grande casa con ampio giardino a piano terra, non potendo resistere all idea di dover vivere lì, da sola, i suoi prossimi anni. I suoi ragazzi ormai sono grandi, indipendenti e prossimi alla costruzione di altrettante famiglie autosufficienti. L acquisto è stato lungamente valutato e ponderato ed ora è prossimo il trasloco, dalla vecchia alla nuova situazione abitativa, non senza sofferenza, dubbi o rimpianti ovviamente. Ci sono certamente grossi vantaggi nel vivere in un piccolo appartamento di edilizia economica ma ce ne sono altrettanti nel vivere in una casa grande e piena di spazi diversi, per giunta con un giardino alberato a due passi dalle finestre del soggiorno e della cucina. Come ti dicevo però le motivazimaurizio zenga 17

18 oni della scelta di P. sono da ricollegarsi in particolare ad un aspetto psicologico a cui si accompagna il suo desiderio di vedere i propri figli sistemati, ognuno con la propria casetta di proprietà, prima che ciò debba avvenire per cause di forza maggiore. E questo è stato possibile proprio grazie alla scelta di vendere la casa grande e comprare tre ( dico tre! ) appartamenti piccoli, uno per sé e due per i figli. Detto questo, vengo al punto che mi preme discutere con te e che nulla ha a che fare con gli aspetti personali della vicenda: Ti sembrerà banale come affermazione ma.le case di oggi non sono più quelle di una volta, a confronto degli alloggi popolari di 60 anni fa, quelle di moderna concezione residenziale fanno veramente schifo! E dico questo avendo confrontato le innumerevoli proposte immobiliari di edilizia nuova, che insieme a P. abbiamo valutato, con le meno numerose offerte di edilizia d antiquariato. Non c è paragone. Un appartamento recente o nuovo addirittura arriva a costare due e anche due volte e mezzo un vecchio appartamento popolare, che popolare poi non è più essendo ormai inglobato nel tessuto urbano, in zona centrale e residenziale, con caratteristiche strutturali, funzionali ed estetiche di assoluto prestigio rispetto alle costruzioni in cartone e polistirolo che stanno invadendo il mercato e il territorio. Un condominio che attualmente ha cinque anni di vita, presenta già i segni del tempo, infiltrazioni superficiali, conseguenti distacchi di intonaco, perdita di tenuta degli infissi, degrado complessivo dei rivestimenti ecc. Uno degli anni 40/ 50 si tiene certamente meglio e, se ristrutturato a dovere, può sembrare molto più solido, resistente e persino più funzionale all uso adeguato alle esigenze di una famiglia contemporanea senza troppe pretese di rappresentanza. Una volta l edilizia residenziale, anche quella popolare era concepita con un criterio che rispettava l uomo, le sue necessità, senza ridurre gli spazi funzionali al minimo della sopravvivenza come è in uso oggi. Oggi tutto è ridotto a mercato e dunque a pura e semplice speculazione: minimi abitativi, spazi ridotti all essenziale, materiali efficaci e sofisticati ma sostanzialmente inaffidabili col tempo, rifiniture inesistenti, aspetto estetico ( a proposito di bellezza ) che non si sa nemmeno cosa sia, tutte le facciate e la distribuzione, interna ed esterna che si assomigliano e che rendono 18

19 il paesaggio urbano una interminabile sequenza di brutture ispirate ad un eclettismo architettonico di quart ordine. Gli architetti ( o meglio i geometri, che pare abbiano più credito presso la clientela attuale, almeno da queste parti ) che ripetono all infinito le stesse idee strutturali e funzionali, spesso ridotti da professionisti a lacchè dell ultimo degli speculatori immobiliari che, con la propria terza elementare, pretende di dettare al tecnico compiacente la propria idea architettonica (!) e così le nostre città si stanno trasformando in quello che tutti possiamo vedere facilmente affacciandoci alle nostre finestre. Ti faccio solo un paio di esempi, tanto per capire esattamente di cosa parlo e su cosa mi piacerebbe aprire una discussione concreta con gli addetti ai lavori e gli amici che frequentano il tuo blog: un mini appartamento di ultima costruzione ( ingresso soggiorno con angolo cottura, camera e bagno, con un garage che è quasi grande come la casa più terrazzino ) costa tantissimo. Sali però dal primo piano al secondo con l ascensore rivestita di moquette e puoi mettere la tua bella macchinetta in spazi coperti e scoperti di tua pertinenza, hai le scale in marmo di Carrara, gli infissi con telecomando, il videocitofono all ultimo grido, ecc. Un appartamento grande un terzo di più, vecchio di 40/50 anni, con due camere, bagno e cucina indipendente, ingresso ( una volta si faceva l ingresso.) due terrazze abbastanza comode, cantina spaziosa, spazio di pertinenza all aperto dove volendo puoi fare anche un piccolo orto, locali condominiali di lavanderia e pareti portanti in mattoni ( dico mattoni, quelli pieni in terracotta non i foratini ) larghe 50 cm. Completamente ristrutturato, impianti nuovi, porte finestre e infissi ecc. Questo costa almeno un 20% in meno di quello nuovo e sai perché la gente compra il nuovo facendo debiti e mutui colossali? Perché non capisce la differenza, vuole stare sempre al caldo e quindi preferisce pareti da 20 cm. Rivestite di polistirolo, vuole stare sempre al fresco e quindi aria condizionata a manetta, vuole riempirsi di telecomandi con cui chiudere finestre aprire porte basculanti, spegnere la luce o abbassare le persiane e, soprattutto, vuole un luogo asciutto e confortevole per la propria automobile, per la quale ha fatto un altro mutuo colossale e che non è disposto a lasciare all aperto. Davanti casa mia hanno abbattuto una grossa villa unifamiliare con un giardino meraviglioso. In tre giorni hanno fatto piazza pulita di tutto ( vedi le foto in sequenza ) il costruttore, un geometra della zona, mi ha detto soddisfatto che ora al suo posto sorgerà in poche settimane una bella palazzina super accessoriata da 9 appartamenti il cui punto di forza saranno due miniappartamenti ciascuno con due bagni. Capisci Giacomo?! 19

20 Due bagni e una camera da letto?! Ma che cavolo ci deve fare la gente di due bagni quando non ha neanche il posto dove mettere la scopa o la paletta? Siamo alla follia pura. Per questo credo che rappresenti una operazione culturale, oltre che economicamente vantaggiosa, quella di riconquistare il vecchio comprando case anche piccole ma senza pretese di lusso inutile, senza accessori superflui ma concepite con altri criteri strutturali, funzionali e forse anche di bellezza. Tu che ne pensi? giacomo ricci Rispondo a caldo, ma credo che ci sia da riflettere. Ovviamente sono atterrito da quanto Maurizio dice a proposito del nuovo, delle competenze professionali in campo e, soprattutto, dei gusti di un certo tipo di pubblico. Ma qui il discorso si fa subito complesso perchè dovremmo interrogarci sul ruolo che la tecnologia assume nel sociale, quali elementi scatena, quale immaginario mette in moto. Perchè la faccenda, a mio parere, parte sempre dalla fantasia e dalla capacità, dei moderni media, di creare bisogni - il più delle volte falsi - come nel caso dei telecomandi, l aria condizionata a manetta, il polistirolo, ecc. Il geometra che specula è, forse - perdonatemi ma la vedo così - la figura più comprensibile del blocco di cose in questione. Logica speculativa la sua: come la volete, calda, cruda, cotta, fredda? Io così ve la servo. Basta che mi pagate. Quanto più possibile naturalmente Questo, in sintesi,. il suo ragionamento. Che non condivido, pr ovvi motivi culturali (non a caso faccio l architetto) ma che ci vede perdenti con tutta la nostra cultura. Che si abbia poi bisogno di tutta l ipertecnologia, su questo, ovviamente, ho una carretta di dubbi. Il telefonino, tanto per cominciare:tranne pochissimi casi, almeno per me, è una vera rottura di scatole. La reperibilità infinita è una delle cose che dovrebbe, al più presto, essere abolita, per legge. Io non voglio essere reperibile a meno che non ne abbia esplicita voglia. I telefonini, i computer, i pulsanti e i telecomandi, a mio parere, sono spazzatura troppo presente e troppo inutile. Ma sul ruolo della tecnologia - nelle varie epoche storiche - sono stati scritti trattati immensi. In sintesi v è una posizione teorica - che mi affascina e che condivido - che pone la tecnologia al primo posto nella configurazione dell immaginario di ogni epoca storica, nella sua capacità di costruire metafore 20

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