LA RESPONSABILITÀ MEDICA

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1 INCONTRO DI STUDI ORGANIZZATO DALL ASSOCIAZIONE FORENSE DI TRINITAPOLI PRESSO IL TRIBUNALE DI TRINITAPOLI SEZIONE DISTACCATA DEL TRIBUNALE DI FOGGIA 23 MAGGIO 2013 LA RESPONSABILITÀ MEDICA ANGELO SALERNO E FRANCESCA VALERIO SOMMARIO: 1. LA RESPONSABILITÀ MEDICA. NATURA GIURIDICA. (ANGELO SALERNO); 2. LA STRUTTURA DELL ILLECITO; 2.1. La condotta; 2.2. Il danno; 2.3. Il nesso causale; 2.4. La colpa professionale; (ANGELO SALERNO, FRANCESCA VALERIO); 3. PROFILI PROBATORI; 3.1. La ripartizione dell onere probatorio tra medico e paziente; 3.2. I mezzi di prova; (FRANCESCA VALERIO); 4. CRITERI DI LIQUIDAZIONE DEL DANNO; 4.1. Il danno patrimoniale; 4.2. Il danno non patrimoniale subito dal paziente; 4.3. Il danno dei prossimi congiunti; (FRANCESCA VALERIO). 1. LA RESPONSABILITÀ MEDICA. NATURA GIURIDICA. Con l espressione responsabilità medica si fa riferimento alle conseguenze sul piano giuridico della condotta dei sanitari, allorchè risulti lesiva dei diritti di terzi o dei propri pazienti. La peculiarità dei rapporti giuridici inerenti la responsabilità dei sanitari deriva dall oggetto del rapporto contrattuale o dell illecito, ovvero la salute, diritto fondamentale dell individuo ai sensi dell art. 32 Cost. La responsabilità medica può nascere da un illecito civile, dall inadempimento di un obbligazione o conseguire, sul piano penale, alla commissione di un reato. Soffermando l analisi sulle ipotesi civilistiche di responsabilità medica, è possibile operare una tripartizione delle principali fattispecie che danno luogo a responsabilità medica, individuabili nel fatto illecito di cui all art. 2043, nell inadempimento contrattuale, di cui all art c.c. e, a seguito dell evoluzione giurisprudenziale che si è sviluppata sin dai primi anni 90, nel contatto sociale. La responsabilità contrattuale da inadempimento si configura allorché sussista un titolo contrattuale che leghi in via diretta e immediata paziente e sanitario; la responsabilità per fatto illecito e la responsabilità da contatto sociale riguardano, invece, le ipotesi di contratto di spedalità tra paziente e casa di cura, pubblica o privata, all interno della quale il paziente venga assistito da un sanitario dipendente della struttura. La responsabilità da fatto illecito, che veniva ravvisata in ragione del fatto che tra il paziente preso in cura dal sanitario e quest ultimo non sussistesse alcun rapporto obbligatorio, ha ceduto il passo, nel corso degli anni, ad una lettura alternativa del fenomeno, che ha incentrato la responsabilità del medico sulla violazione di obblighi di protezione, scaturenti da contatto sociale qualificato con il paziente. Per contatto sociale qualificato si intende la relazione che intercorre tra due soggetti tra i quali il primo faccia affidamento nell adempimento di un dovere di diligenza gravante sul secondo in ragione delle sue qualità tecnico-professionali; il rapporto concretamente intervenuto tra i due soggetti e l affidamento che legittimamente il primo riponga nei confronti del secondo integrano,

2 secondo quanto sostenuto da parte della dottrina e recepito dalla giurisprudenza di legittimità, un fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell art c.c. e, in particolare, a produrre un obbligo di protezione. Il contenuto di tale obbligo si sostanzia nell utilizzo di una adeguata diligenza nell espletamento della propria attività tecnica o professionale, tale da evitare il verificarsi di pregiudizi in capo al soggetto con cui sia venuto in contatto. Pur in assenza di un, sia pure tacito, vincolo contrattuale il soggetto gravato da obblighi di protezione risponderà dei danni cagionati per negligenza secondo la disciplina della responsabilità per inadempimento, e non ex art c.c. Tra le ipotesi in cui la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fatto applicazione dell istituto del contatto sociale qualificato, meritano di essere analizzate quelle relative alla responsabilità del medico nei confronti del paziente, per i danni verificatisi durante la degenza di quest ultimo presso una casa di cura; la responsabilità dell insegnante in ipotesi di autolesioni dell alunno minore; e infine il caso del pagamento di un assegno non trasferibile a soggetto non legittimato da parte della banca emittente o negoziatrice. Concentrando l attenzione sulla responsabilità del medico nei confronti del paziente ricoverato presso una struttura sanitaria su cui è intervenuta a più riprese la Corte di Cassazione 1, occorre delineare la rete di rapporti intercorrenti tra medico, struttura sanitaria e paziente; è un dato pacifico che il medico curante non sia legato da un rapporto contrattuale con il paziente, ma presti la propria opera a servizio della struttura sanitaria; con quest ultima il paziente stipula un contratto atipico c.d. di spedalità comprensivo dell alloggio presso la struttura e delle prestazioni medico-sanitarie; la fattispecie può essere analizzata da due diverse prospettive, che convergono sul rapporto medicopaziente: la prima, condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, si colloca a latere creditoris, ovvero dal lato del paziente, creditore nei confronti della struttura sanitaria e che vede adempiere la prestazione diagnostico-curativa da parte di un terzo, il medico; in capo a quest ultimo, in ragione della obiettiva relazione instauratasi tra i due soggetti, viene ravvisato un obbligo di protezione, consistente nell operare con diligenza al fine di evitare danni al paziente, di cui pertanto risponderà a titolo, lato sensu, contrattuale in quanto conseguenza dell inadempimento all obbligazione primaria di protezione. La ricostruzione in esame individua nella fonte atipica del contatto sociale l origine dell obbligo di protezione per il cui inadempimento il medico può essere direttamente chiamato dal paziente a rispondere dei pregiudizi cagionati. La prospettiva alternativa a quella descritta si pone invece a latere debitoris, ovvero nei panni della struttura sanitaria, tenuta in forza del contratto di spedalità a fornire la prestazione medica al paziente e che, per l esecuzione della stessa, si avvale di un proprio dipendente o collaboratore, a seconda del contratto che lega quest ultimo alla struttura. Ebbene, guardando al contratto tra medico e struttura, avente ad oggetto le prestazioni mediche di cui i pazienti necessitano, alla luce dell evoluzione interpretativa della clausola di buona fede contrattuale, esso comporta, insieme con la prestazione principale, il sorgere di ulteriori obblighi, di protezione, a favore della controparte e dei terzi che si trovino in una situazione di prossimità con l esecuzione del contratto. Appare evidente che il paziente, oggetto della prestazione medica non può non trovarsi in una situazione di proximity con la prestazione principale, e pertanto sarà interessato dal fascio di obblighi di protezione che, ex fide bona, incombono sul medico. Ma, se così fosse, verrebbe a crearsi una sovrapposizione tra i due istituti nella parte in cui individuano fonti diverse del medesimo obbligo di protezione, gravante in capo al medico nei 1 Leading case in materia di contatto sociale qualificato tra medico e paziente è rappresentato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 22 dicembre 1999, n. 589, confermata da Cass. n del 2004, n del 2005 e, più di recente da Cass. SS. UU. 11 gennaio 2008, n. 577, che si sofferma anche sugli aspetti probatori della responsabilità del sanitario.

3 confronti del paziente. Rispetto alla più evanescente figura del contatto sociale e di fronte alla estrema facilità con cui il rapporto di prossimità o di inerenza necessario perché si possa configurare un obbligo di protezione in capo a terzi può essere dimostrato in giudizio, sembra più allora coerente con il sistema codicistico, ricondurre al contratto l obbligo in questione, come obbligazione integrativa che trova il proprio referente normativo nel combinato disposto tra art e art c.c.: non dunque una fonte atipica, e controversa, come il contatto sociale, ma la fonte tipica, seppur elastica prevedendo l art la possibilità di stipulare contratti atipici del contratto. Si supera in questo modo l obiezione che in letteratura è stata sollevata contro l istituto degli obblighi di protezione da contatto sociale, ossia l assenza di una prestazione, tale da configurare un obbligazione senza prestazione, consistente nei soli obblighi protettivi. La prestazione, seguendo la seconda impostazione, sarebbe invece rappresentata nell attività che il medico è tenuto a prestare alle dipendenze della struttura sanitaria. Inoltre la prova della pregnanza della relazione medico paziente risulta alleggerita, trattandosi di ipotesi in cui la posizione di prossimità ed inerenza è in re ipsa. Nel contempo si rinviene un referente normativo espresso per gli obblighi di protezione che, come anticipato, si sostanzia nel combinato disposto tra l art c.c. e la clausola generale di buona fede ex art c.c., come interpretata dalla granitica giurisprudenza della Corte di legittimità nell ultimo ventennio. Occorre infine rilevare come la configurabilità di una responsabilità da violazione di obblighi di protezione, ove dovesse preferirsi una lettura contrattuale di queste fattispecie, cesserebbe di dipendere dalla pericolosa applicazione di parametri metagiuridici di giudizio 2, attraverso cui stabilire se il contatto debba essere ritenuto giuridicamente rilevante, spostandosi l attenzione del giudice, in sede di accertamento, su una quaestio facti relativa al rapporto di prossimità tra terzo danneggiato ed esecuzione del contratto. Alla luce di tali considerazioni, può affermarsi che la responsabilità medica, allo stato dell elaborazione dottrinale e della giurisprudenza più recente, discende dalla violazione di un obbligo, contrattuale diretto o di protezione, e, in entrambi i casi, è soggetta alla disciplina di cui all art c.c. ed al conseguente regime probatorio e normativo. Tra le ragioni che hanno indotto giurisprudenza e dottrina a ricondurre la responsabilità medica nel paradigma contrattuale, oltre ai profili connessi alla teorica degli obblighi di protezione e del contatto sociale, un peso senza dubbio notevole hanno assunto le implicazioni sul versante probatorio. È noto, infatti, che il regime probatorio in tema di inadempimento, a partire dall arresto giurisprudenziale del 2001, risulta molto più vantaggioso per il danneggiato, dovendo quest ultimo soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, 2 Giova a riguardo precisare che, nella presente trattazione, si è sposata una concezione restrittiva di contatto sociale qualificato, che restringe l ambito applicativo della fattispecie alla ipotesi in cui il soggetto su cui viene a gravare un obbligo di protezione svolga un attività tecnica o professionale, disciplinata dall Ordinamento: a qualificare il contatto, e a far ritenere legittimo l affidamento del danneggiato, sarebbero i doveri inerenti alla professione del danneggiante, come specificati dalla legge, regolamenti e usi, raccolti in codici o linee guida, come possono essere i codici deontologici o altre forme di autoregolamentazione di cui si muniscano i rispettivi organi professionali. In questo modo è possibile perimetrare l area di responsabilità da contatto, pur senza colmare la lacuna di tassatività che caratterizza l istituto e che si risolve nell ampia discrezionalità pretoria in materia. Lo stesso criterio è stato proposto per delimitare l area di giuridicità dei rapporti di cortesia, restringendo la responsabilità per i danni derivanti da un eventuale inadempimento alle ipotesi in cui una delle parti eserciti una professione. Ove si dovesse invece non condividere l impostazione descritta, il carattere generale e atipico del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost., e dell inciso che chiude l art c.c., potrebbe ritenersi idoneo a generare obblighi di prestazione qualsiasi contatto che intervenga tra i consociati e, secondo l id quod plerumque accidit e la sensibilità sociale del momento, possa ritenersi idoneo a generare un obiettivo e legittimo affidamento.

4 limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell inadempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto l onere di provare il fatto estintivo dell altrui pretesa. Dall analisi delle pronunce giurisprudenziali in tema di responsabilità medica emerge un tendenziale sfavore verso la posizione del medico, giustificato dalla volontà di tutelare al massimo le ragioni del paziente, quale parte più debole del rapporto. Invero tale regime rischia di introdurre una sorta di automatismo risarcitorio, su cui si fonda, il più delle volte, una responsabilità del sanitario più sentita in base al senso comune che realmente accertata e provata in giudizio. Preliminare all indagine sulla distribuzione dell onere probatorio tra medico e paziente è l analisi della struttura dell illecito del medico, il cui accertamento determina l insorgenza, in capo al paziente, di una pretesa risarcitoria. 2. LA STRUTTURA DELL ILLECITO L illecito del medico potrà dirsi integrato solo qualora si accerti che, a seguito dell inadempimento da parte del medico degli obblighi su di lui incombenti, il paziente abbia subito un danno che sia diretta e immediata conseguenza della condotta del sanitario La condotta Il contenuto dell obbligazione a carico del medico ha ad oggetto un ventaglio di prestazioni che si modella sullo schema del contratto d opera professionale: il medico è tenuto all esercizio della propria attività con obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del contatto sociale instauratosi, e in ragione della prestazione medica conseguentemente da eseguirsi. Rispetto alle prestazioni del medico, in passato, sia in dottrina che in giurisprudenza, ha trovato ampio risalto la distinzione tra obbligazione di risultato e obbligazione di mezzi. Nell obbligazione di risultato ciò che importa è il conseguimento del risultato stesso, essendo indifferente il mezzo utilizzato per raggiungerlo: in altri termini, è il risultato cui mira il creditore, e non il comportamento, ad essere direttamente in obbligazione. In questo tipo di obbligazioni, la diligenza opera solo come parametro, ovvero come criterio di controllo e valutazione del comportamento del debitore. Diversamente, nelle obbligazioni di mezzi, la diligenza è tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del contenuto del vincolo: la prestazione dovuta prescinde da un particolare esito positivo dell attività del debitore, che adempie esattamente ove svolga l attività richiesta nel modo dovuto. In tali obbligazioni è il comportamento del debitore ad essere in obbligazione, con la conseguenza che il risultato è caratterizzato dall aleatorietà, perché dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da altri fattori esterni oggettivi o soggettivi. Invero, negli ultimi anni, tale distinzione è stata smentita dalla giurisprudenza 3, che ha riconosciuto ad essa un mero rilievo descrittivo, in considerazione del fatto che in ogni obbligazione si richiede la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzioni variabili. «Secondo un ormai consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale è priva di incidenza sulla responsabilità dell'esercente di una professione intellettuale la distinzione delle sue prestazioni tra quelle costituenti obbligazioni cd. di mezzi e quelle integranti obbligazioni cd. di risultato e quanto a queste ultime non possono trovare conseguentemente applicazione le disposizioni dettate in tema di responsabilità per difformità e vizi dell'opera dall'art c.c., in forza del rinvio contenuto nell'art c.c., non essendo la norma compatibile con quelle che regolano la prestazione d'opera intellettuale» (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2006, n ). 3 Cfr. Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577.

5 Argomentando in tale direzione può dunque affermarsi che, sebbene la prestazione medica sia generalmente inquadrata nell ambito delle obbligazioni di mezzo, in essa è possibile cogliere pur sempre un risultato dovuto, che non si sostanzia tuttavia nella guarigione clinica, quanto piuttosto nel complesso di cure atte a guarire 4. In base a tale teoria, non è il difetto di un risultato dovuto a connotare la categoria delle obbligazioni di mezzi, ma il fatto che in esse può verificarsi (a differenza delle cosiddette obbligazioni di risultato) una possibile non coincidenza tra la buona cura, che rappresenta comunque un risultato dovuto, e il conseguimento dell interesse primario del paziente creditore, finalizzato alla guarigione. Ad ogni modo, a prescindere dalle disquisizioni teoriche sulla natura della prestazione medica, ciò che conta è chiarire che il contenuto della stessa si sostanzia nell adempimento di una serie di obblighi (finalizzati alla cura del paziente) con la dovuta diligenza, che non sarà quella del buon padre di famiglia, di cui all art. 1176, comma 2, c.c., ma piuttosto quella qualificata, richiesta dalla natura dell attività esercitata, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. Ne consegue che l inadempimento del medico si verifica in tutti i casi di inosservanza e/o violazione, da parte del sanitario, delle specifiche regole cautelari di condotta proprie dell agente-modello del settore specialistico di riferimento (ipotizzandosi tanti agenti-modello quante sono le branche specialistiche della medicina: es. radiologo, cardiologo, etc.). Esso potrà essere commissivo, laddove l errore medico si traduca in una condotta attiva, oppure omissivo, allorché si sostanzi nell omissione delle cautele prescritte dalle speciali regole di condotta, da valutare anche alla stregua dei protocolli terapeutici standardizzati. Sotto quest ultimo profilo va evidenziato che la rilevanza della condotta omissiva discende dal fatto che il medico è soggetto ad un obbligo di garanzia nei confronti del paziente, ovvero l obbligo giuridico d impedire l evento offensivo di beni affidati alla sua tutela. Nel tentativo di effettuare una breve disamina sulla tipologia di condotte che, in concreto, possono condurre all affermazione della responsabilità medica, occorre partire dalla preliminare distinzione tra violazioni poste in essere nella cosiddetta fase diagnostica, inerente al momento ispettivo e conoscitivo dell attività medica, e violazioni attuate nella fase terapeutica, ossia di cura. Nella fase diagnostica possono venire in rilievo l errore o il ritardo del medico nella diagnosi, ossia nel riconoscimento dei sintomi di una malattia nota alla scienza medica ufficiale. La diagnosi sbagliata è una delle ipotesi più frequenti idonee a fondare la responsabilità medica, con conseguente insorgenza del diritto risarcitorio del paziente laddove tale errore abbia provocato delle conseguenze dannose evitabili con una diagnosi corretta. Ciò può derivare semplicemente da una lettura sbagliata di un esame diagnostico, oppure dal mancato riconoscimento di complicazioni insorte durante un operazione chirurgica, che non vengono, dunque, prontamente affrontate. Tra le fattispecie di omessa diagnosi va inquadrato il caso emblematico del medico ginecologo che, omettendo di informare la donna circa le malformazioni del feto, le abbia precluso la possibilità di interrompere la gravidanza. Si tratta del c.d. danno da nascita indesiderata che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, è risarcibile solo qualora l inadempimento dei sanitari sia accompagnato dal positivo accertamento degli ulteriori presupposti della responsabilità civile. Se inizialmente la Cassazione riteneva che, per fondare la responsabilità del medico per lesione del diritto all interruzione di gravidanza, fosse necessario accertare che la gestante avesse in concreto tale diritto, in base ai requisiti richiesti dalla legge n. 194 del 1978, e che lo avrebbe effettivamente esercitato se adeguatamente informata delle malformazioni del feto 5, successivamente ha reso più agevole la prova del secondo requisito per l affermazione del nesso causale. Superando la difficoltà di provare che la donna avrebbe effettivamente fatto ricorso alla pratica abortiva, se informata sulle 4 Cfr. Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2003, n Cfr. Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1999, n

6 anomalie del feto, la Suprema Corte ha stabilito che il fatto che la legge consenta alla donna, in presenza di determinate condizioni, di ricorrere all interruzione della gravidanza, rende legittimo, per il giudice, assumere come normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata 6. Parallelo al caso poc anzi esaminato è quello della nascita di un figlio in conseguenza del fallimento dell intervento di interruzione di gravidanza. In questo secondo caso, però, l errore medico non interviene nel momento diagnostico, bensì nella fase di esecuzione dell intervento. Tra le condotte idonee ad integrare la responsabilità del medico nell ambito della fase terapeutica, ferma restando la correttezza della diagnosi, oltre ai casi di insuccesso dell intervento chirurgico, vanno annoverati, in generale, quelli in cui si verifica un fallimento della terapia praticata sotto il profilo della possibilità di guarigione. Come già evidenziato, alla luce del superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato, se il professionista dimostra di aver eseguito l incarico con la diligenza specifica richiesta dalla particolare natura dell attività professionale che esercita non sarà in linea di massima considerato responsabile dell infelice esito del suo intervento. Peraltro va precisato che la categoria delle obbligazioni di risultato può tornare a rilevare per gli interventi di chirurgia estetica, compresi quelli per protesi odontoiatriche: il paziente, generalmente, vi si sottopone esclusivamente allo scopo di ottenere un effettivo miglioramento estetico e/o funzionale, di solito concordato con il professionista 7. Tra gli obblighi gravanti sul medico suscettibili, in caso di violazione, di fondare una responsabilità risarcitoria, va inquadrato quello di richiedere, prima di sottoporre il paziente ad un intervento chirurgico o a qualunque altro tipo di terapia, la prestazione del consenso informato. Per la ricostruzione del concetto di consenso informato e delle sue dirette conseguenze nell ordinamento, assume rilievo il principio di autodeterminazione del paziente nell accesso alle cure mediche, consacrato dalla nostra Carta costituzionale, quale principio generale, agli artt. 2, 13 e 32, che tutelano la salute come bene primario, sia per l individuo che per la collettività, stabilendo la libertà inviolabile di autodeterminazione di ciascuno, ossia la libertà di scegliere se sottoporsi o meno ad un trattamento terapeutico. Pur essendo l attività medica una attività che si auto-legittima, si rileva come la stessa non possa essere esercitata senza il consenso informato del paziente, la cui sfera personale potrà essere invasa solo se questi, preventivamente informato, vi abbia consentito, mentre non potrà esservi alcuna ingerenza se questi abbia opposto il suo rifiuto. L aggettivo informato accanto al sostantivo consenso si riferisce alla necessità, ovvero all obbligo del medico di informare il paziente su tutti gli aspetti relativi alla sua salute e ai possibili trattamenti affinché questi possa aderire alla decisione clinica in maniera consapevole. L informazione, fermo restando il requisito della sua completezza, realizza il consenso informato solo nel momento in cui viene resa accessibile all interessato ed è effettivamente compresa dallo stesso. Risulta quindi evidente come essa non debba risolversi in una dotta lezione di scienza del 6 Cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 4 gennaio 2010, n. 13 ove si afferma che «Non costituisce oggetto di prova la circostanza che la madre, ove conosciute le malformazioni del feto, avrebbe scelto di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi corrispondente ad un principio di regolarità causale che la donna, ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalità del nascituro, preferisca non portare a termine la gravidanza». 7 Peraltro, il mancato raggiungimento del risultato potrà sì agevolare la prova dell inadempimento del medico, ma ciò non toglie che, qualora il medico abbia eseguito la prestazione con la dovuta diligenza, nessuna responsabilità potrà essergli ascritta: cfr. sul punto Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1997, n , in cui si afferma che «L'obbligazione del professionista nei confronti del proprio cliente, anche nel caso di intervento di chirurgia estetica, è di mezzi, onde il chirurgo non risponde del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attendeva e che egli non è tenuto ad assicurare, nell'assenza di negligenza od imperizia, fermo l'obbligo del professionista di prospettare al paziente realisticamente le possibilità dell'ottenimento del risultato perseguito».

7 medico al paziente, di norma incapace di comprenderla, bensì come questa debba essere resa con un linguaggio chiaro e piano, in ogni caso adeguato al livello intellettivo e culturale del malato. Sul versante del consenso informato, tra le violazioni del medico idonee a fondare una pretesa risarcitoria va individuata innanzitutto l ipotesi di omessa informazione in relazione ai rischi e all alea di un determinato intervento chirurgico, alle condizioni di salute del paziente e ad ogni tipo di informazione necessaria a consentirgli una decisione libera e consapevole in relazione al trattamento terapeutico a cui deve essere sottoposto. Del pari, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in capo al paziente che, pur informato in modo esauriente sul suo quadro clinico, non abbia espresso il consenso a sottoporsi ad un determinato trattamento terapeutico. La Cassazione tende a riconoscere il danno in capo al paziente per mancata acquisizione del consenso anche nelle ipotesi in cui la prestazione del medico sia stata adempiuta nel pieno rispetto delle regole dell ars medica 8. Nella disamina delle violazioni idonee ad integrare la responsabilità medica, vale la pena richiamare una particolare tipologia di fattispecie la cui rilevanza si avrà modo di apprezzare nel proseguo. Si tratta delle violazioni che ineriscono alla regolare e completa tenuta della cartella clinica, ossia del documento in cui è descritto il decorso del ricovero, in particolare per quanto riguarda il suo andamento clinico, che dovrebbe contenere in ordine cronologico i dati anagrafici, anamnestici, clinici, diagnostici e terapeutici, le prescrizioni ed ogni altra informazione di rilievo per la storia clinica del paziente nel periodo di ricovero. La cartella clinica adempie la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, per cui gli eventi devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi. In via di prima approssimazione riservandoci di approfondire in seguito il discorso può dirsi che la difettosa tenuta della cartella clinica, più che autonoma fonte di responsabilità medica, rileva quale figura sintomatica dell inesatto adempimento. Da ultimo, un accenno è opportuno fare a proposito della responsabilità dell ente ospedaliero. Essa, in genere, sorge per effetto dell inadempimento del medico che in essa opera, trovando applicazione la regola posta dall art c.c., secondo cui il debitore che nell adempimento dell obbligazione si avvale dell opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro 9 ancorché non siano alle sue dipendenze 10. Si tratta, in sostanza, della responsabilità per fatto dell ausiliario o preposto, che in realtà prescinde dalla sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato del medico con la struttura sanitaria, essendo irrilevante la natura del rapporto tra i medesimi sussistente ai fini considerati, laddove fondamentale rilevanza assume la circostanza che dall opera del terzo il debitore originario comunque si avvalga nell attuazione del rapporto obbligatorio. Oltre a questa forma di responsabilità, per così dire sussidiaria, della struttura ospedaliera, può venire in rilievo anche una forma responsabilità autonoma della stessa: ad esempio in caso di carente o inefficiente organizzazione relativa alle attrezzature o alla messa a disposizione di medicinali o del personale medico ausiliario e paramedico, o delle prestazioni di carattere alberghiero Il danno Le conseguenze della malpractice medica sono, di regola, rappresentate da un evento dannoso naturalisticamente percepibile, quale il peggioramento delle condizioni di salute del paziente, le lesioni riportate dal medesimo, sino all ipotesi più grave rappresentata dal decesso. Cionondimeno, oltre al diritto alla salute e alla vita, la condotta del medico può arrecare pregiudizio ad ulteriori valori dell individuo costituzionalmente tutelati (si pensi all impossibilità di attendere alle proprie 8 Cfr. Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n Cfr. Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2006, n ; Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n Cfr. Cass. civ., 21 febbraio 1998, n. 1883; Cass. civ., 20 aprile 1989, n

8 occupazioni professionali o abitudini di vita quotidiana), a cui vanno aggiunte le conseguenze dannose che si ripercuotono, in via riflessa, sui prossimi congiunti del malato. Nell ambito della responsabilità medica, resta confermata l impostazione consequenzialistica, ossia l adesione ad un modello di responsabilità in cui la lesione di una situazione soggettiva protetta non è di per sé sufficiente all attivazione del rimedio risarcitorio, ma prelude all ineludibile verifica dell esistenza in concreto di danni derivati alla vittima, pregiudizi che quindi vanno allegati e provati. Nel proseguo della trattazione si avrà modo di individuare, in concreto, le diverse tipologie di danno astrattamente configurabili in conseguenza del comportamento del medico, oltre che di approfondire il profilo attinente alla loro liquidazione Il nesso causale Particolare interesse suscita, nell ambito della responsabilità del medico, l accertamento del rapporto di causalità tra condotta ed evento dannoso. A tal proposito, occorre dar conto del dibattito plurisecolare incentrato sulla possibilità di utilizzare, in ambito civile, le acquisizioni condivise dalla giurisprudenza penalistica sul tema della causalità, e consacrate nella nota sentenza Franzese 11. Il dibattito penalistico, argomentando dalla formulazione dell art. 41, comma 1, c.p., si è assestato su una concezione condizionalistica della causalità, il cui tratto caratteristico consiste nell isolare ciascun fattore astrattamente idoneo a causare l evento, riconoscendogli rilievo condizionante quando presenti un ruolo logicamente essenziale e necessario ai fini della realizzazione dell evento stesso. Assumendo l equivalenza tra loro dei fattori condizionanti, si afferma che la condotta umana è causale quando costituisce una delle condizioni necessarie dell evento, e che tale nesso non è escluso quando concorrono altre condizioni preesistenti, simultanee o sopravvenute. Peraltro, la causalità condizionalistica trova una limitazione nell art. 41 cpv. c.p., secondo cui le cause (cioè le condizioni) sopravvenute escludono la rilevanza causale delle condizioni preesistenti quando sono state da sole sufficienti a determinare l evento. Secondo l opinione maggiormente diffusa in dottrina 12, la norma intende esercitare una funzione limitativa rispetto al principio condizionalistico o di equivalenza causale espresso nel comma precedente, alludendo alla concausa qualificata, idonea ad assumere su di sé, da un punto di vista normativo, tutto il peso dell imputazione causale. In breve, il codice accoglie la teoria della condicio sine qua non, ma vi apporta limitazioni rese necessarie dall esigenza di evitare la proliferazione indiscriminata dell imputazione del fatto per effetto dell eccessiva ampiezza del nesso di condizionamento determinato dal principio di equivalenza causale. Ad ogni modo, al di là delle questioni classiche di cui si è dato brevemente conto, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è sviluppato, negli ultimi decenni, riguarda sostanzialmente i criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale, rispetto al quale la responsabilità medica ha costituito il terreno di maggiore scontro. La questione maggiormente controversa attiene alla possibilità o meno di utilizzare il sapere scientifico probabilistico nell accertamento del nesso causale. Nella richiamata sentenza Franzese, le Sezioni Unite considerano utopistico un metodo di indagine affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi scientifiche universali o dotate di un coefficiente probabilistico prossimo ad uno: tale modello viene ritenuto insufficiente a governare, da solo, il complesso contesto del diritto penale, che si trova di fronte le manifestazioni più varie della realtà. Nell affermare tale principio, le Sezioni 11 Cass. pen., S.U., 10 luglio 2002, n Cfr. tra i tanti, DONINI, Illecito e colpevolezza nell imputazione del reato, Giuffrè, 1991, 296; GALLO, Appunti di diritto penale, Giappichelli, 2000, 110; ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Cedam, 1934, 147 ss.

9 Unite evidenziano la necessità di tenere distinti i due piani della probabilità statistica e della probabilità logica: mentre la probabilità statistica attiene all individuazione della frequenza che caratterizza una determinata successione di eventi, la probabilità logica riguarda la verifica aggiuntiva che il giudice deve effettuare, sulla base del materiale probatorio acquisito nel processo, dell attendibilità dell impiego della legge statistica nel caso concreto sottoposto al suo esame. Partendo da tale distinzione, la Cassazione afferma che i canoni probatori tipici del giudizio penale esigono un approccio valutativo che, lungi dall esaurirsi nell adozione di un coefficiente di probabilità statistica, sia in grado di vagliare, sulla base di tutti gli elementi conoscitivi acquisiti nel giudizio, la pertinenza di quel coefficiente e la sua razionale credibilità rispetto alla singola vicenda processuale. «Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica"» (Cass. pen., S.U., 10 luglio 2002, n ). Tale valutazione, nell ordinamento penale, deve conformarsi, come evidenziato anche dalle Sezioni unite, allo standard dell «oltre ogni ragionevole dubbio» e deve quindi fondarsi sulla solidità della base induttiva e sulla capacità di resistenza dell ipotesi di accusa rispetto alle ipotesi antagoniste o alternative. Trasferendo l indagine sulla causalità nell ambito civilistico, degna di nota è la considerazione per cui ci siano volute ben nove pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 13 tutte in tema di responsabilità derivante da trasfusioni con sangue infetto per riconsiderare l intera materia. Le Sezioni Unite innanzitutto prospettano l insufficienza del tradizionale recepimento in sede civile dell elaborazione penalistica in tema di nesso causale, evidenziando che nel giudizio aquiliano rilevano due momenti distinti: da un lato la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, per la quale la problematica causale presenta rilevanti analogie con quella penale di cui agli artt. 40 e 41 c.p. ed il danno rileva solo come evento lesivo (causalità materiale); dall altro la determinazione dell intero danno cagionato che costituisce l oggetto dell obbligazione risarcitoria, disciplinata dall art c.c., per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite che siano conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo (causalità giuridica). In altri termini, si tratta di distinguere, da un lato, il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa esistere a monte una responsabilità strutturale e, dall altro, il nesso che, collegando l evento al danno, consente l individuazione delle singole conseguenze dannose, con la funzione di delimitare a valle i confini di una già accertata responsabilità risarcitoria. Nell ambito della causalità materiale, a giudizio della Suprema Corte, deve trovare applicazione la disciplina penalistica retta dal principio dell equivalenza causale, temperata dal principio di causalità efficiente desumibile dall art. 41, comma 2, c.p., in base al quale l evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all autore della condotta sopravvenuta solo se questa risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto. Nel contempo non è sufficiente tale relazione per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi attribuire rilievo, all interno delle serie causali così determinate, soltanto a quelle che, nel momento in cui si produce l evento causante, non appaiano 13 Sentenze da n. 576 a n. 585 dell 11 gennaio 2008.

10 del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile secondo il principio della causalità adeguata o della regolarità causale, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche ed imprevedibili secondo un giudizio da compiersi con valutazione ex ante, in astratto e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche del momento 14. La conclusione è, dunque, che i principi generali che regolano la causalità di fatto, in assenza di altre norme dell ordinamento in tema di nesso eziologico, devono ritenersi, anche in materia civile, quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p., integrando gli stessi dei principi di tipo logico e conformi a massime d esperienza. Del resto, le profonde differenze morfologiche e funzionali esistenti tra l illecito civile e quello penale il primo, diversamente dal secondo, è strutturato in forma atipica, ed inoltre il sistema civilistico ammette ipotesi di responsabilità oggettiva, laddove invece nel sistema penale il principio della responsabilità colposa è sancito finanche a livello costituzionale non costituiscono una valida obiezione alla conclusione anzidetta. È vero che la responsabilità civile orbita attorno alla figura del danneggiato, mentre quella penale intorno alla figura dell autore del reato, ma la concreta individuazione di un responsabile è pur sempre necessaria anche nell accertamento della responsabilità civile. Né all imputazione causale può rinunciarsi nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, in cui il criterio d imputazione è generalmente segnato da un allocazione del costo del danno a carico di un soggetto che non necessariamente è autore di una condotta colpevole, ma costituisce per l ordinamento il soggetto più idoneo a sopportare il costo del danno. Ne consegue che, ai fini dell individuazione del soggetto chiamato a rispondere civilmente in conseguenza di un comportamento proprio o di altri, ovvero in conseguenza di fatti di altra natura considerati dalla specifica norma che fonda la responsabilità oggettiva, un nesso causale è comunque necessario tra l evento dannoso e, di volta in volta, la condotta del soggetto responsabile in ipotesi di responsabilità per colpa o per gli altri fatti individuati dalla legge. E la normativa di riferimento è sempre quella penalistica, in assenza di altre norme in materia. Ciò che muta tra processo penale e processo civile è la regola probatoria, in quanto nel primo caso vige la regola della prova «oltre il ragionevole dubbio», mentre nel secondo vige la regola della «preponderanza dell evidenza» o del «più probabile che non», stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti. «Anche in tema di illecito aquiliano l'accertamento del nesso di causalità tra l'omissione di una condotta giuridicamente dovuta e l'evento di danno è soggetto alle regole dettate dagli art. 40 e 41 c.p., secondo cui tale nesso sussiste in tutti i casi in cui possa ritenersi che la condotta colposamente omessa, ove fosse stata tenuta, avrebbe impedito l'evento. Tuttavia l'accertamento della causalità omissiva in sede civile differisce dall'analogo accertamento in sede penale sul piano della prova, perché mentre nel processo penale la diversa posizione dell'accusa e della difesa impedisce di ritenere sussistente il nesso di causalità se non vi sia la prova che la condotta omessa avrebbe impedito l'evento al di là di ogni ragionevole dubbio (vale a dire con quasi assoluta certezza), nel processo civile la paritaria posizione dei litiganti consente di ritenere provato il nesso causale tra l'omissione e l'evento di danno in tutti i casi in cui la condotta omessa avrebbe impedito quest'ultimo con ragionevole probabilità, vale a dire con una probabilità superiore al 50 per cento, che va desunta non solo dalle statistiche eventualmente esistenti, ma da tutte le circostanze del caso concreto» (Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576). Tale standard di certezza probabilistica, anche in ambito civile, non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (probabilità statistica), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all ambito degli elementi di conferma e nel contempo di 14 In senso conforme cfr. Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n

11 esclusione di altri possibili alternativi, disponibili in relazione al caso concreto (probabilità logica). Si riscontra, quindi, un importante convergenza con le enunciazioni delle Sezioni unite penali, che indirizza decisamente l indagine causale, in ambito applicativo, sul versante delle peculiarità di ciascun caso concreto piuttosto che su quello della generica connessione statistica tra condizioni ed eventi. Del resto, tale canone probatorio riguarda non solo l ambito delle causalità ma tutti gli enunciati probatori sul fatto. «E' oramai pacifico, che la certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa/statistica delle frequenze di classi di eventi (cosiddetta probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe mancare o essere inconferente. Così come è pacifico che la certezza probabilistica, rispetto all'ipotesi di nesso causale da accertare, risulta dall'applicazione della regola della probabilità, come relazione logica, rispetto a tutti gli elementi che confermano il nesso causale e all'esclusione di altri elementi alternativi che lo escludano (cosiddetta probabilità logica o baconiana)» (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2013, n. 4792). Un discorso più approfondito deve svolgersi rispetto alla questione della causalità omissiva. La giurisprudenza civile ha, in tale ambito, proposto approcci probabilistici che appaiono coerenti con le finalità di quel sistema, volto più che altro a reintegrare la vittima dell illecito piuttosto che a punirne l autore, e che semplificano molti problemi applicativi. La causalità omissiva è di tipo logico e, dal punto di vista naturalistico, costituisce un nulla, sicché nel giudizio controfattuale volto a verificare il ruolo condizionante della condotta omessa, si colloca non una condotta concreta ma un suo modello astratto: l accertamento di questo tipo di causalità avviene attraverso un giudizio ipotetico che passa attraverso l enunciato controfattuale che pone al posto dell omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato. Questa sorta di idealizzazione è favorita dalla disponibilità di generalizzazioni in ordine a ciò che accade solitamente in casi simili a quello oggetto del giudizio. D altra parte, l uso di tali generalizzazioni non sempre offre dei parametri di giudizio adeguati in quanto esse, oltre a non essere sempre sufficientemente affidabili, spesso non tengono conto dei diversi fattori che influenzano l andamento dei processi eziologici. Restando nell ambito della responsabilità medica, la generalizzazione dice quanti pazienti sottoposti ad una data terapia ne traggono un beneficio, ma non fornisce informazioni differenziate sul rilievo che assumono vari fattori, come ad esempio l età, il sesso, le condizioni generali di salute, ecc. Ulteriori problemi attengono, poi, al momento squisitamente normativo di tale forma d imputazione oggettiva. Nei casi, ad esempio, in cui la condotta richiesta all agente non sia idonea ad elidere il rischio, ma solo a diminuirlo, potrebbe apparire incoerente richiedere, per addivenire all imputazione dell evento, la prova (impossibile) di un ruolo certamente salvifico dell atto mancato. D altra parte, nelle richiamate generalizzazioni statistiche, sono compresi casi in cui l insuccesso della terapia è dovuto, oltre che all errore medico, anche ad un comportamento inappropriato della vittima, sicché appare lecito chiedersi, visto che si è in presenza di un criterio normativo d imputazione, se l agente trascurato possa invocare a proprio favore l insuccesso dovuto a tale ragione. Le difficoltà richiamate rappresentano solo alcune di quelle in grado ostacolare fino a rendere quasi impossibile l accertamento della causalità omissiva in termini di certezza. Si è già avuto modo di accennare al fatto che le Sezioni Unite penali abbiano tentato di superare le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche focalizzando il giudizio probabilistico sulle particolarità del caso concreto, quando esso può essere espresso in termini di elevata probabilità logica. Si tratta, dunque, di assorbire, sul piano processuale, la misura d incertezza che residua

12 quasi immancabilmente nei giudizi di responsabilità medica, richiedendo un approccio valutativo e strettamente connesso alla fattispecie oggetto del giudizio. Non può sottacersi che il giudizio di elevata probabilità logica, se da un lato ha l indubbio pregio di rendere praticabile il giudizio d imputazione dell evento, dall altro rischia di risolversi in una pura formula di stile che sottrae il giudizio ad una verifica concreta e razionale. Tale deviazione si riscontra non di rado nella prassi, quando l evocazione della probabilità logica serve solo quale premessa retorica per accreditare come giustificata una valutazione che non si attiene realmente al canone indicato dalla giurisprudenza, o manca di specificare l itinerario logico e le basi fattuali che conducono al giudizio d imputazione. Infine, una riflessione davvero breve sulla questione della perdita di chance. Essa va collocata nell ambito della causalità omissiva e si configura, ad esempio, quando la mancata diagnosi oppure il semplice ritardo nella stessa abbia provocato la perdita della chance di sopravvivenza del paziente o comunque il conseguimento di un risultato utile per la sua salute. Il problema che si pone in tali situazioni è quello di verificare in che maniera, e soprattutto con quale grado di certezza, la condotta omessa avrebbe evitato la produzione dell evento. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità sembra configurare per il danno da perdita di chance un criterio di dimostrazione causale più tenue rispetto a quello probabilistico, reputando sufficiente anche la sola possibilità che la condotta omessa avrebbe determinato il conseguimento del vantaggio sperato dal paziente La colpa professionale In giurisprudenza e in dottrina è pacifica l opinione secondo la quale la responsabilità del medico per i danni causati nell esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza. Quest ultimo va valutato con riguardo alla natura dell attività (art. 1176, comma 2, c.c.) e, in rapporto alla professione medica, implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale. Infatti, il medico, nell adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall art. 1176, comma 1, c.c., ma è quella specifica del debitore qualificato, ai sensi dell art. 1176, comma 2, c.c., la quale comporta il rispetto di tutte le regole che, nel loro insieme, costituiscono la professione medica. La diligenza, pertanto, assume un duplice significato: quale parametro d imputazione del mancato adempimento e quale criterio di determinazione del contenuto dell obbligazione. L art c.c. pone tuttavia una limitazione alla responsabilità del prestatore d opera in presenza di prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà dal momento che, in tali casi, lo stesso risponderà dei danni solo in caso di dolo o colpa grave. La ratio di tale limitazione di responsabilità, riguardo alle prestazioni che presentano difficoltà tecniche o comunque metodi terapeutici da adottare molto dibattuti, è quella di non mortificare la professione medica e, quindi, l impegno assunto dal medico al momento della scelta della terapia. L orientamento oggi prevalente è quello secondo il quale il medico, in base al combinato disposto degli artt e 2236 c.c., risponde per colpa lieve nel caso di danni arrecati per omessa diligenza ed inadeguata preparazione professionale, mentre risponde per colpa grave o dolo nel caso in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. «In tema di responsabilità le ipotesi di dolo e colpa grave di cui all'art c.c., non ricorrono con riferimento ai danni causati al paziente dalla negligenza o imperizia, ma soltanto per i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà trascendenti la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica, incombendo in tal caso al medico di fornirne la relativa prova. (In applicazione del suindicato principio, la Corte suprema ha confermato l'impugnata sentenza 15 Cfr. Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2008, n ; Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2011, n

13 dei giudici di merito che avevano affermato la responsabilità dell'ente ospedaliero per l'affezione da fenilchetonuria classica che aveva colpito, determinandone la totale invalidità, un minore partorito - dopo regolare gravidanza - nel reparto ostetrico-ginecologico e successivamente dimesso assieme alla madre senza diagnosi e prescrizione particolari, venendo peraltro sin dai primi mesi di vita a manifestare chiari segni di ritardo nello sviluppo psicomotorio, pur dandosi atto che, diversamente da altre Regioni, in Sicilia la prevenzione e la diagnosi precoce della malattia in questione erano affidate alla libera iniziativa dei reparti di neonatologia e alla preparazione dei pediatri neonatologi, si è escluso che nel caso la prestazione implicasse la soluzione di problemi di speciale difficoltà, rilevandosi che in base all'ordinaria diligenza ben avrebbero potuto i sanitari effettuare, subito dopo la nascita i prelievi sul neonato ed inviarli presso i centri specializzati esistenti in Regione per la relativa sottoposizione ai necessari esami di screening metabolici neonatali» (Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2005, n. 2042). Sulla scorta dei principi richiamati può dunque affermarsi che, una volta accertata la sussistenza di un evento dannoso, quale conseguenza della condotta del medico, l unico modo per escludere la sua responsabilità è quello di dimostrare che la prestazione sia stata eseguita diligentemente e che quindi gli esiti dannosi o peggiorativi siano stati determinati da eventi imprevisti ed imprevedibili. La prova liberatoria consiste, dunque, nella dimostrazione che l evento dannoso si è verificato a causa di un fattore estraneo alla sfera soggettiva dello stesso medico e quindi a lui non imputabile. «In tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale. Pertanto, in tema di ripartizione dell'onore probatorio, una volta provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell'attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe al medico dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza che lo stesso ha impedito di ottenere» (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 2012, n ). In materia di colpevolezza dell inadempimento del medico è in un primo momento intervenuto il D.L. c.d. Balduzzi, n. 158 del 2012 che, prima della conversione, al comma primo prevedeva che: «Fermo restando il disposto dell articolo 2236 del codice civile, nell accertamento della colpa lieve nell attività dell esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.» La disposizione in esame confermava la disciplina codicistica dell art c.c. in relazione alle ipotesi di problemi tecnici di speciale difficoltà e detta, in via generale, i criteri cui il Giudice è tenuto nel verificare la diligenza del sanitario, ai sensi dell art comma secondo c.c.; in particolare il Legislatore aveva positivizzato un criterio di accertamento della colpa lieve del sanitario, imponendo al Giudice di valutare l osservanza delle linee guida e buone pratiche rilevanti nel caso concreto; in tal modo era stato perseguito lo scopo di bilanciare le esigenze di responsabilizzazione dei sanitari con l opposto rischio di paralizzare l attività medica, costringendo i medici a rifugiarsi dalle azioni giudiziarie attraverso il ricorso alla medicina c.d. difensiva, spesso pregiudizievole per il paziente. Il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale consentiva al sanitario di vedere esclusa la propria responsabilità per i danni cagionati al paziente durante lo svolgimento della propria attività professionale. La rilevanza del rispetto delle guide-lines era limitato all accertamento della perizia del medico, al pari del disposto dell art c.c., restando intatta la responsabilità, anche per colpa lieve, in ipotesi di negligenza e imprudenza. La conversione del Decreto c.d. Balduzzi, con L. n. 189 del 2012, ha modificato l art. 3, comma primo, che nell attuale formulazione fa riferimento alla responsabilità penale del sanitario, esclude

14 che quest ultimo possa rispondere per colpa lieve allorché abbia rispettato le linee guida vigenti al momento del fatto. Tale intervento normativo ha di fatto introdotto una esimente che elide la responsabilità penale del sanitario allorché prevede che: «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.» In controtendenza rispetto agli approdi giurisprudenziali in materia di responsabilità medica 16 il primo comma dell art. 3 del Decreto fa salva la responsabilità aquiliana del sanitario, sebbene imponendo di valutare nella determinazione del risarcimento dovuto, il tenuto rispetto delle linee guida e buone pratiche. La disposizione in esame si presta a trovare applicazione anche con riferimento alle ipotesi di responsabilità contrattuale, nelle quali il Giudice dovrà pertanto tener debito conto del rispetto delle buone pratiche e delle linee guida da parte del sanitario. Essa necessita pertanto di esser coordinata con quanto disposto dall art c.c., che limita invece la responsabilità del medico alle ipotesi di colpa grave solo in presenza di particolari problemi tecnici da risolvere. Una possibile lettura coordinata delle disposizioni può far ritenere che, sebbene non escluda tout court, la colpevolezza del sanitario, come nelle ipotesi di cui al citato art c.c., il rispetto delle linee guida rappresenti un elemento sintomatico della buona fede e della diligenza esigibile ex art. 1176, comma secondo c.c., da parte del sanitario, con la possibilità di escludere l inadempimento ogni qual volta non fosse esigibile ex fide bona una condotta ulteriore rispetto a quella tenuta nel rispetto delle linee guida. Difficile interpretare altrimenti il riferimento alla fase di determinazione del risarcimento del danno, in seno alla quale il giudice dovrebbe tener conto del rispetto delle linee guida. Accertata la colpevolezza del debitore, infatti, esula dalla funzione del Giudice civile ogni valutazione di gravità della colpa medesima nel determinare il quantum da risarcire. Al di fuori dell incidenza causale del comportamento del danneggiato, infatti, l art c.c., al pari delle altre disposizioni in materia di responsabilità contrattuale, non consentono di graduare il ristoro del danneggiato in relazione del grado di riprovevolezza del comportamento del danneggiante. Non appartiene al diritto civile la funzione sanzionatoria e rieducativa che invece è propria del diritto penale e, pertanto, non è possibile che la riparazione del danno sia parametrata alla colpevolezza del debitore. Sull ambito di operatività dell'articolo 3 della legge 8 novembre 2012 n. 189 è intervenuta, di recente, la Corte di Cassazione con sentenza n del 2013, secondo cui la disciplina introdotta dall'articolo 3, nella parte in cui esclude la responsabilità penale per colpa lieve del medico il quale, nello svolgimento della propria attività, si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, riguarda i soli casi di colpa professionale nell'attività medico-chirurgica per imperizia, non anche per negligenza o imprudenza. 16 Cass. pen. 11 luglio 2012, n : In tema di responsabilità medica, le linee guida - provenienti da fonti autorevoli, conformi alle regole della miglior scienza medica e non ispirate ad esclusiva logica di economicità - possono svolgere un ruolo importante quale atto di indirizzo per il medico; esse, tuttavia, avuto riguardo all'esercizio dell'attività medica che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assurgere al rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma dell'art. 43 cod. pen. (leggi, regolamenti, ordini o discipline), non essendo né tassative né vincolanti e, comunque, non potendo prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la migliore soluzione per il paziente

15 3. PROFILI PROBATORI Parallelamente all evoluzione giurisprudenziale esaminata in ordine alla qualificazione giuridica della responsabilità del medico, diversi mutamenti, in seno alla giurisprudenza, si sono avuti anche rispetto alla distribuzione dell onere probatorio tra medico e paziente. La tendenza della giurisprudenza, come già accennato, è quella di alleggerire il più possibile il carico probatorio gravante su chi pretenda di essere risarcito in conseguenza della scorretta esecuzione della prestazione sanitaria La ripartizione dell onere probatorio tra medico e paziente Prima che vi fosse una convergenza di opinioni sulla natura contrattuale della responsabilità medica, la Corte di Cassazione operava una distinzione a seconda della difficoltà dell intervento: quando l intervento dal quale scaturiva il danno era di facile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell aggravamento della sua situazione patologica o l insorgenza di nuove patologie era idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all inadeguata o negligente prestazione, spettando all obbligato l onere di fornire la prova che la prestazione professionale fosse stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi fossero stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile 17. Più specificamente, l onere della prova era ripartito tra le parti attribuendo al medico l onere di provare che il caso fosse di particolare difficoltà e al paziente quello di dimostrare quali fossero state le modalità di esecuzione inidonee ovvero provare che l intervento fosse di facile esecuzione e al medico che l insuccesso fosse dipeso da suo difetto di diligenza 18. Tali risultati, come già anticipato, sono stati superati, dapprima, con la consacrazione del paradigma del contatto sociale tra medico e paziente e la riconduzione dello stesso al settore contrattuale e, successivamente, con l individuazione dei principi generali che sorreggono la distribuzione dell onere della prova in tema di responsabilità contrattuale del debitore, ad opera della pronuncia delle Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n Si tratta, in particolare, del principio di omogeneità della prova, sul quale si fonda l individuazione di un regime probatorio tendenzialmente unitario in caso sia di inadempimento sia di inesatto adempimento. Al suddetto principio si affianca quello della vicinanza o della riferibilità della prova, con conseguente maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova in quanto rientrante nella sua sfera di dominio e per le conoscenze tecniche possedute. Trova infine applicazione il principio della persistenza presunta del diritto in virtù del quale, una volta provata l esistenza del diritto da soddisfare entro un certo termine, spetterebbe al debitore provare il fatto estintivo. Ne consegue che, alla stregua dei principi sopra richiamati, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell onere della prova del fatto estintivo, costituito dall avvenuto adempimento. Tali parametri di giudizio, nel 2004, hanno per la prima volta ricevuto concreta applicazione anche nel settore della responsabilità del medico, per opera di alcune significative pronunce della Corte di cassazione 19. Il quadro si compone poi definitivamente con la pronuncia delle Sezioni Unite, 11 gennaio 2008, n. 577 che, in tema di danno da emotrasfusioni, sancisce l automatica trasposizione 17 Cfr. Cass. civ., 21 dicembre 1978, n. 6141; Cass. civ., 16 novembre 1988, n. 6220; Cass. civ., 11 marzo 2002, n Cfr. Cass. civ., 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. civ., 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. civ., 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. civ., 16 febbraio 2001, n. 2335; Cass. civ., 16 novembre 1988, n Cfr. Cass. civ., 21 giugno 2004, n ; Cass. civ., 28 maggio 2004, n ; Cass. civ., 19 maggio 2004, n

16 nel settore della malpractice medica dei principi già elaborati nel 2001 in tema di responsabilità contrattuale. In definitiva, il paziente che agisce in giudizio deducendo l inesatto adempimento dell obbligazione sanitaria deve provare il contratto (o il contatto) e allegare l inadempimento del sanitario, restando a carico di quest ultimo l onere di provare l esatto adempimento. In altri termini, il paziente deve provare l aggravamento della sua situazione patologica o l insorgenza di nuove patologie, o anche, soltanto, che la sua situazione di salute, nonostante l intervento del medico, non è mutata, restando, invece, a carico del medico l onere di provare di essersi comportato in maniera diligente e che gli esiti di cui si è detto sono stati determinati da un intervento imprevisto e imprevedibile. Va da sé che lo strumento dell allegazione della colpa, vale a dire la semplice asserzione dell altrui negligenza, non sorretta da una dimostrazione sostanziale della stessa, alleggerisce tantissimo il carico probatorio del paziente. È infatti scontata la constatazione secondo cui la vittima di illeciti professionali incontra serie, e talvolta insormontabili, difficoltà nel provare la negligenza del professionista, mentre quest ultimo, in virtù delle ampie conoscenze tecniche, è senz altro facilitato nel fornire la prova contraria. Del resto, non si tratterà di fornire la dimostrazione negativa dell assenza di colpa, bensì la prova in positivo della perizia richiesta delle regole dell ars medica 20. Questo nuovo orientamento giurisprudenziale ha altresì il merito di aver definito il contenuto dell onere di allegazione: il paziente/creditore assolve il suo compito semplicemente indicando se la colpa del convenuto sia consistita in imperizia, imprudenza o negligenza, senza la necessità di individuare gli specifici aspetti tecnici dai quali dipende la responsabilità professionale. In altri termini, i giudici di legittimità consentono al paziente danneggiato, normalmente inesperto, di astenersi dall addentrarsi in settori a lui non congeniali, limitandosi ad una generica contestazione di colpa per categorie generali. Vale la pena di notare che, in questo quadro, la tradizionale distinzione tra interventi di routine e interventi di difficile esecuzione, alla quale in passato la giurisprudenza faceva riferimento al fine di distribuire l onere della prova, viene oggi utilizzata solamente per stabilire il grado di diligenza al quale il medico avrebbe dovuto uniformarsi nell adempiere, e il corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione fosse di particolare difficoltà. «Porre a carico del sanitario o dell ente ospedaliero la prova dell esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell effettiva possibilità per l una o per l altra parte di offrirla. Infatti, nell obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l oggetto è l attività, l inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia «vicina» a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto» (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n ). Tale approccio si coniuga con la progressiva perdita di peso della disciplina di cui all art c.c., riscontrabile nella giurisprudenza civile, rivelata sia dalla tendenza a limitarne l applicazione ad ambiti scientifici ancora non sufficientemente esplorati o in cui siano dibattute le tecniche da adottare, sia ponendo a carico del professionista l onere della prova di tale situazione. «All art c.c. non va conseguentemente assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell onere probatorio, giacché incombe in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficoltà 20 Cass. civ., 21 giugno 2004, n ; Cass. civ., 28 maggio 2004, n ; Cass. civ., 19 maggio 2004, n

17 della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista, in relazione alle circostanze del caso concreto» (v. Cass. civ., 13 aprile 2007, n. 8826) Per quanto concerne poi la prova del nesso causale tra la condotta (o tra l omissione) ed il danno, la risalente giurisprudenza delle Sezioni Semplici della Corte di Cassazione, alla stregua delle regole tradizionali, la faceva ricadere sul paziente danneggiato che, per ottenere il risarcimento dei danni subiti, era tenuto a provare il nesso causale tra la patologia denunciata e la prestazione sanitaria (Cass. civ., 23 febbraio 2000, n. 2044; Cass. civ., 18 aprile 2005, n. 7997; Cass. civ., 31 luglio 2006, n ). Si trattava, però, di un rigore solo apparente perché poi i giudici di legittimità si sono sempre affrettati ad ammettere il ricorso allo strumento presuntivo quanto all indagine causale, cosicché sembrava da escludersi che il danneggiato dovesse farsi in concreto positivamente carico della dimostrazione del nesso causale tra danno ed intervento medico. Ad ogni modo, tale impostazione in ordine all onere della prova è stata profondamente modificata a favore del paziente danneggiato dalla innovativa sentenza a Sezioni Unite n. 577/2008 della Suprema Corte, poi confermata dalle successive pronunce che hanno trattato la medesima problematica. Le Sezioni Unite della Cassazione, nell affrontare una fattispecie di una infezione (da epatite C) contratta in occasione di un intervento chirurgico, hanno affermato di non condividere il precedente orientamento relativo all onere della prova del nesso di causalità, dettando il seguente nuovo principio di diritto: «In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell onere probatorio, l attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l aggravamento della patologia o l insorgenza di un affezione ed allegare l inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante» (Cass. S.U., 11 gennaio 2008, n. 577). L impostazione di cui sopra, come rilevavamo, è stata confermata dalle successive sentenze della Suprema Corte a Sezioni Semplici 21. Nella pratica, la stretta connessione temporale tra l intervento e l insorgenza di patologia o l aggravarsi della stessa, oltre all eventuale allegazione di ipotetiche condotte alternative che, se prontamente eseguite, avrebbero evitato il danno, valgono a costituire sicuramente una forte presunzione di sussistenza del nesso causale. Senza dimenticare che qualora le cause rimanessero ignote, per parte della giurisprudenza le conseguenze non dovrebbero ricadere sul paziente, gravando invece sul presunto responsabile che non riesce a fornire la prova liberatoria di un corretto adempimento, in omaggio al principio di favore per il danneggiato. Non vi è dubbio che l indirizzo della giurisprudenza civile di cui si è dato conto, nel suo complesso, abbia rilevanti ricadute applicative nell ambito della delicata materia della responsabilità medica, la quale, come già osservato, giunge ad essere ricostruita in termini tendenzialmente oggettivi. Si tratta, in particolare, di un sistema di sicurezza sociale che garantisce la reintegrazione del danno medico in ogni caso. Al riguardo non può sottacersi che la descritta trasformazione della responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria in responsabilità paraoggettiva o presunta rischia di snaturare il reale carattere dell art c.c. in tema di riparto dell onere della prova. Richiamando la diversità di approccio tra la Cassazione civile e quella penale rispetto all accertamento della responsabilità medica, si può opportunamente rilevare come la Cassazione penale sia pervenuta nel tempo a 21 Cfr. Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n ; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n

18 soluzioni più equilibrate, soprattutto in tema di causalità e conseguenze per violazione del principio del consenso. Viceversa, la Cassazione civile sembra più orientata a risolvere la questione dell onus probandi attraverso il ricorso al buon senso, un buon senso che traspare nelle stesse pronunce più recenti. «Ritiene il collegio che i principi enunciati dalle sezioni unite offrano un criterio di distribuzione dell'onere della prova, su un terreno particolarmente scivoloso e complesso come quello dei danni da attività medico-chirurgica, improntato a criteri di comune buon senso, oltre che ineccepibile sul piano dogmatico e, come tale, ampiamente condivisibile» (Cass. civ., 26 gennaio 2010, n. 1538). Sul piano sociale, peraltro, un bilanciamento di interessi aprioristicamente sfavorevole al medico rischia di alimentare il fenomeno della c.d. medicina difensiva, ossia la pratica di diagnostiche o di misure terapeutiche condotte principalmente non per assicurare la salute del paziente, ma come garanzia delle responsabilità medico-legali seguenti alle cure mediche prestate. Evitare la possibilità di un contenzioso medico-legale è infatti la motivazione principale che induce i medici a porre in atto pratiche di medicina difensiva. La dottrina, in ogni caso, esorta a rimeditare il problema e lancia l allarme anche al fine di evitare il collasso del sistema assicurativo. Senza considerare poi che l aggravamento ingiustificato della responsabilità professionale finisce inevitabilmente per essere pagato dal consumatore, in quanto i premi assicurativi sono una voce occulta delle tariffe professionali. Ulteriore profilo su cui meditare attiene al fatto che la ripartizione dell onere della prova, lo standard probatorio probabilistico, la configurabilità di un autonomo danno da perdita di chance, nel favorire l attore, cioè la vittima, la incoraggiano ad intraprendere la strada del processo civile, piuttosto che quella del processo penale. Ciò potrebbe determinare, nei casi meno gravi, anche la rinunzia alla proposizione della querela, cioè allo stesso avvio del processo penale; e, nei casi più gravi, procedibili d ufficio, la scelta di non costituirsi parte civile, così liberando il giudizio penale dalle tensioni indotte dalle istanze patrimoniali. In passato la disciplina di cui all art. 652 c.p.p., con la previsione dell efficacia della pronuncia assolutoria nel merito nei confronti del danneggiato, ha spesso spinto la persona offesa a costituirsi nel processo penale per contrastare le prospettazioni difensive dell imputato ed evitare la sentenza assolutoria ed i suoi effetti preclusivi rispetto all azione di risarcimento del danno. Ad oggi, i vantaggi di cui si è sin qui discusso, introdotti dalla più recente giurisprudenza civile, dovrebbero razionalmente indurre il danneggiato ad utilizzare l unico strumento processuale che, ai sensi del richiamato art. 652 c.p.p., gli consente di non subire, in ambito civile, gli effetti della sentenza penale assolutoria I mezzi di prova Nei giudizi aventi ad oggetto l accertamento della responsabilità civile del medico, la verifica giurisdizionale è incentrata principalmente sulle relazioni esistenti tra la condotta del medico e l evento lesivo dell integrità del paziente. È infatti necessario accertare se, nel caso concreto, il comportamento del sanitario sia stato idoneo ad impedire la realizzazione dell evento patologico oppure, al contrario, se abbia determinato, accelerato o comunque reso inarrestabile il processo di degenerazione in corso al momento del suo intervento. Questo procedimento di verifica, in sede giudiziaria, si svolge mediante l ausilio del consulente medico-legale, cui compete la valutazione del contesto professionale e ambientale nel quale si è verificata la degenerazione patologica, fondata sulle competenze possedute dal medico, sulla gravità della malattia riscontrata al paziente, sulla tempestività e sulla correttezza della diagnosi formulata, sul livello di organizzazione e di efficienza della struttura sanitaria in cui l evento si è realizzato. È perciò opportuno soffermarsi sui tratti salienti della consulenza tecnica d ufficio affidata al medico legale, ossia il mezzo di prova comune a tutti i processi di responsabilità medica, che

19 consente al giudice di acquisire i necessari elementi per formare il suo libero convincimento sulla sussistenza o meno dell illecito contestato al medico. In secondo luogo verranno svolte alcune brevi considerazioni a proposito della cartella clinica del paziente, quale mezzo di prova, di natura documentale, adoperato in quasi tutti giudizi di responsabilità medica. La consulenza medico-legale Come si diceva, lo strumento probatorio principale e spesso decisivo per accertare l eziologia dei fatti oltre che l entità del danno, in materia di colpa medica, è la CTU affidata al medico legale. Il giudice quasi sempre ricorre all ausilio di un professionista dotato delle necessarie competenze tecniche e scientifiche, in grado di fornirgli valutazioni sulla condotta professionale del sanitario, identificandone eventuali manchevolezze, graduare in termini di gravità la valutazione della condotta ritenuta inadeguata ed infine stabilire il rapporto di causalità tra detta condotta ed il danno. Il giudizio sulla sussistenza della colpa in termini strettamente giuridici chiaramente è di spettanza del giudice, così come gli appartiene la costruzione dei profili giuridici della causalità dopo il preliminare accertamento di quelli materiali, ma i confini rispetto alla competenza del CTU sono sfumati al punto che è frequente l esplicita richiesta nei quesiti di stabilire se sussista colpa professionale e se questa abbia causato eventi dannosi: richiesta che non appare in realtà impropria se non si traduce in una vera e propria delega in bianco al consulente della decisione, ma se invece impegna il CTU ad individuare solo i presupposti tecnici e scientifici che consentono poi al giudice di affermare la responsabilità, a cominciare dalla doverosa illustrazione motivata, da parte del consulente, delle leggi scientifiche «di copertura» in cui va sussunto ogni nesso causale su cui si indaga. Proprio nelle cause di accertamento della responsabilità medica trova terreno di scontro il dibattito, mai sopito, in ordine alla natura giuridica della consulenza tecnica d ufficio. In genere la giurisprudenza la esclude dal novero dei mezzi di prova, in quanto la stessa non è diretta a determinare il convincimento del giudice in ordine alla verità o non verità di determinati fatti, ma svolge unicamente la funzione di integrare l attività del giudice offrendogli le cognizioni tecniche necessarie o utili per la decisione 22. A fronte di tale principio, spesso la giurisprudenza ha sostenuto come la consulenza tecnica d ufficio non debba (e non possa) supplire alle carenze probatorie riscontrate nelle allegazioni delle parti 23. Del resto, l evidente difficoltà del giudice di svolgere un compiuto accertamento nell ambito dei giudizi di cui si discute ha indotto la giurisprudenza ad applicare dei criteri meno rigorosi per quanto concerne l uso di questo strumento. In particolare, si riconosce l ammissibilità della consulenza tecnica d ufficio quale fonte oggettiva di prova quando essa si risolva nell accertamento di situazioni rilevabili solo con l ausilio di specifiche cognizioni tecniche 24. Si parla, al riguardo, di consulenza percipiente, in quanto il giudice affida al consulente non già l incarico di valutare i fatti accertati ( consulenza deducente ), bensì quello di accertare i fatti stessi. «La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2009, n. 6155). 22 Cfr. ex multis Cass. civ., sez. lav., 13 marzo 2008, n Cfr. Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2005, n Cfr. Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2011, n

20 Peraltro, in una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato l importante principio per cui, nei giudizi di accertamento della responsabilità medica, in ragione delle innegabili difficoltà probatorie riscontrabili, la consulenza tecnica è sempre di tipo percipiente. «per la innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo alla comprensione dei fatti, ma alla rilevabilità stessa di fatti che, per essere individuati, abbisognano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche. E, proprio gli accertamenti in sede di consulenza offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale» (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2013, n. 4792). Detta pronuncia non fa che confermare la tendenza dei giudici, nello specifico settore della responsabilità medica, a spogliarsi del concreto accertamento dei fatti controversi per affidarsi incondizionatamente alle valutazioni operate dal consulente. A tal proposito, è opportuno segnalare che un peso notevole può essere assunto dai consulenti tecnici di parte. Difatti, sebbene la consulenza tecnica di parte non sia mai un mezzo di prova, ma solo un atto difensivo (con la conseguenza che il giudice non è tenuto a discuterne le conclusioni quando ritenga di aderire a quelle del consulente d ufficio), cionondimeno il giudice non può totalmente prescindere dai rilievi precisi e circostanziati che il consulente di parte abbia mosso agli argomenti ed alle conclusioni del consulente d ufficio. Ciò in quanto il potere del giudice di merito di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime, quindi, dalla spiegazione delle ragioni fra le quali evidentemente non può considerarsi prevalente la maggiore fiducia che egli eventualmente tenda ad attribuire al consulente d ufficio quale proprio ausiliare per le quali sia pervenuto ad una conclusione anziché ad un altra, incorrendo, altrimenti, nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. «Allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fato carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.)» (Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n ). In tali casi, la possibilità per il giudice di limitarsi a condividere le argomentazioni tecniche svolte dal proprio consulente, recependole, deve considerarsi riferita al solo caso in cui le critiche mosse alla consulenza siano state già valutate dal consulente d ufficio ed abbiano trovato motivata e convincente smentita in un rigoroso ragionamento logico. I certificati medici e la cartella clinica Altro perno sul quale ruota il processo di accertamento della responsabilità medica è costituito dalle produzioni documentali delle certificazioni mediche e della cartella clinica del paziente. Il certificato medico costituisce uno dei più diffusi atti di certezza in ambito sanitario e consiste in un documento in cui avviene la certificazione di qualità personali di ordine sanitario, richieste per le più diverse finalità: si pensi, ad esempio, alla necessità di esibire una certificazione di idoneità medica per lo svolgimento di attività agonistica oppure alle diverse certificazioni di malattia da comunicare ai datori di lavoro. Il certificato medico, in sostanza, ha come effetto quello di accertare e poi rappresentare alcune qualità personali rilevanti dal punto di vista sanitario, prima sconosciute all ordinamento, utili per l esercizio di alcuni diritti o di alcune pretese. Il medico è tenuto, nella sua attività, a rilasciare certificazioni relative allo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati. In questo caso, la diretta constatazione dei dati clinici necessita dell espletamento di una specifica indagine clinica, la

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