Dalla radio al Machete Quando la penna uccide

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1 sul rwanda di Fonju Ndemesah Fausta Fotografia Manuel Scrima Dalla radio al Machete Quando la penna uccide In Rwanda, tra l aprile e il luglio 1994, circa un milione di esseri umani furono massacrati. Migliaia di persone si trasformarono in assassini dei loro vicini, famigliari e amici solo perché appartenevano a un gruppo diverso. Queste atrocità furono descritte inizialmente dall opinione internazionale come massacri etnico-tribali, dovuti al risveglio di ancestrali odi tribali considerati caratteristici del popolo africano e ricorrenti nelle dinamiche del continente. Lungi da essere una questione di tribalismo ancestrale, il massacro che stavano subendo migliaia e migliaia di rwandesi fu prima di tutto politico: un piano architettato da un gruppo di politici, militari e intellettuali accecati dall egoismo e dalla paura di perdere il potere. Fu loro la decisione di applicare la politica della divisione etnica, fomentata da un aspra propaganda di odio contro i tutsi, che si concluse con l organizzazione della soluzione finale, ovvero del loro sterminio. Questo articolo in modo sintetico, analizza il ruolo dei media interni durante il genocidio in Rwanda. Molti pezzi di questo articolo sono tratti dal libro La Radio e il Machete di Infinito Edizioni. Per ragioni diverse e insite nei sistemi di comunicazione attuali, le televisioni e i giornali non possono offrire ai propri utenti i mezzi per capire a fondo le radici delle guerre e il loro modo di svilupparsi. Se ci si dovesse basare soltanto suoi resoconti della parte dei giornalisti, infatti, si arriverebbe a credere che le guerre in Africa siano delle tragedie, ovvero eventi che improvvisamente accadono senza una propria logicità o peggio il risultato del tribalismo, che vorrebbe gli africani diversi dagli altri popoli della terra (Stefano Bellucci) I mass media occidentali, nel produrre notizie sull Africa, basano ancora gran parte del proprio lavoro sulla visione di questo continente data dalla letteratura coloniale (immagine fondata sui principi razzisti e sull antropologia evoluzionistica, per la quale i popoli vengono divisi in civilizzati e non civilizzati, e in questa scala il continente africano occuperebbe il gradino più basso), che fornisce l immagine di un Africa spaventosa, misteriosa, inospitale, 26

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3 28 tormentata da tornado e cataclismi, soggetta a un sole infernale, infestata da animali feroci. Oggi le immagini di Aids, fame e guerre interminabili sembrano caratterizzare la maggior parte delle notizie che si danno su questo continente. L Africa viene anche divisa in due grandi gruppi nelle notizie dei media internazionali: da una parte abbiamo l Africa barbara, l Africa spaventosa del buon selvaggio; dall altra parte, troviamo l Africa paradiso terrestre, dove si può godere della natura incontaminata. L incapacità degli statunitensi di controllare il flusso d informazione durante la guerra in Vietnam e la loro successiva sconfitta, diede loro nuove idee su come comportarsi in futuro in caso di conflitto. Secondo loro, questa guerra non fu persa sul campo di battaglia ma sui titoli dei giornali. Tanti studi hanno mostrato come, durante le guerre, i media vengano usati dalle parti in conflitto per imporre la propria interpretazione dell evento in corso. I conflitti recenti fanno capire che la sindrome del Vietnam non è stata una lezione solo per gli statunitensi; feroci governi hanno usato i media per portare a termine il loro piano di sterminio, proprio come fece quello rwandese nel Tanti governi, o signori della guerra, hanno capito che avere i mass media dalla propria parte è già un passo verso la vittoria finale. Senza armi da fuoco, machete o altri oggetti, voi avete provocato la morte di migliaia di civili innocenti. Con queste parole il giudice Navanathem Pilay (oggi Presidente del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite) introdusse la sentenza del cosiddetto media trial. Il processo, iniziato il 20 ottobre 2000 e conclusosi il 3 dicembre 2003, che per la prima volta riconobbe in sede giuridica le responsabilità oggettive dei media nel veicolare e strumentalizzare idee estremiste, ed equiparò, per l entità delle condanne comminate, le responsabilità degli imputati a quelle degli organizzatori materiali del genocidio. Il genocidio rwandese non fu casuale, ma programmato. J. P Chrétien afferma che i massacri furono preparati da una massiccia propaganda di profonda avversione e che, per fare ciò, il governo sfruttò ogni mezzo a sua disposizione per imporre la propria ideologia di odio. Alison Palmer, parlando della propaganda dei governi genocidari, sostiene che c erano ideologie o credenze esclusive e totalizzanti che cercavano di espellere alcuni membri con l obiettivo di omogeneizzare la società. Un idea totalizzante della società unita a un ideologia o percezione popolare può sostenere e guidare le politiche e le azioni che escludono un gruppo di potenziali vittime dalla comunità degli aggressori. Perché una credenza popolare si trasformi nell ideologia alla base di un atto di sterminio, essa deve essere arricchita di ulteriori elementi. Essa deve mostrare che il conflitto con il nemico è necessario; che la vittoria e la sconfitta sono predeterminate da una forza sovraumana: divina, scientifica, storica o naturale, e che tutto è spinto da una semplice sfera di moralità ( ). Il genocidio diventerà così un gesto giusto. I tutsi, chiamati inyenzi, scarafaggi, erano visti non più come nemici ma come stranieri invasori da ricacciare nelle loro (presunte) terre d origine (l altopiano etiopico), infine da sradicare come erbaccia, da sterminare. Lee Ann Fujii parla di norma : i media interni, a suo parere, furono utilizzati per rendere normale l anormale. Sfruttando i media (soprattutto la radio, in un Paese

4 dove circa 66% della popolazione era analfabeta e viveva nelle zone rurali, in cui nessun altro mezzo d informazione poteva arrivare facilmente), servendosi della lingua parlata in tutto il Paese, il Kinyarwanda, e abusando del grande rispetto che i rwandesi avevano per le informazioni date dalle radio importanti, com era il caso della Rtlm nel 1994, i responsabili del genocidio poterono rendere la carneficina una cosa di cui parlare senza vergogna. Con questi mezzi, i genocidari produssero un mondo dove il pensiero genocidario era la norma, sia per le vittime che per gli assassini. L Africa emarginata, etnia; invenzione o realtà? Vista l invasione dell etnico e del tribale nella lettura delle guerre e dei conflitti in Africa, vale la pena soffermarsi ad analizzare questo concetto camaleontico che invade e permea gran parte dei discorsi sull Africa sub sahariana prima di analizzare il ruolo dei mezzi di comunicazione in Rwanda. Cosa sono le etnie? Come mai sono diventate così importanti? Pur non avendo questo piccolo paragrafo la pretesa di rispondere a queste domande, che necessitano uno spazio più ampio per essere trattate, alcune riflessioni su questo concetto ambiguo e al limite del razzista mi sembrano molto importanti. Mentre oggi sarebbe considerato un insulto chiamare un popolo primitivo, pre-logico o tradizionale, come si faceva all epoca della tratta degli schiavi e del colonialismo, le parole etnia e tribù sembrano essere accettate e addirittura aver sostituito quelle giudicate politicamente scorrette nell indicare, più o meno, i medesimi concetti; nuovi eufemismi che hanno preso il posto di parole come primitivo e tradizionale, ormai entrate in decadenza. Solo attraverso un esempio, forse, è possibile spiegare chiaramente lo sciovinismo geografico implicito nell uso delle parole etnia e tribù. Se un quartiere di Bari entrasse in conflitto con un quartiere di Modena, sarebbe inconcepibile per il cronista o giornalista descrivere la situazione come conflitto etnico-tribale. Ma quando la stessa cosa accade in un paese del Sud del mondo, e soprattutto in Africa, la griglia di interpretazione etnica o tribale diventa adeguata per descrivere il fenomeno. La domanda da porsi, quindi, è capire perché un conflitto tra africani può essere letto in chiave etnico-tribale e quello tra occidentali no. Dove finisce una tribù e dove inizia uno Stato, una nazione? Molti studiosi hanno mostrato che definendo l etnia basandosi sui limiti territoriali, sulla cultura o la lingua, si rende solo più lontana la definizione di cosa sia veramente un etnia. Studiosi come J.L. Amselle, Elikia M Bokolo, J.P. Dozon, Chrétien, C. Vidal, Prunier, Mamdani, Claudine Vidal, Chrétien hanno mostrato la complessità, le trasformazioni e le manipolazioni subite da questi concetti. J.L Amselle e M Bokolo, nel libro Au Coeur de l ethnie: ethnie, tribalisme et état en Afrique (1999), operano una decostruzione scientifica del concetto etnia, dicendo che les ethnonymes sont en effet des labels, des bannières, des emblèmes onomastiques qui sont déjà là et que les acteurs sociaux s approprient en fonction des conjonctures politiques qui s offrent à eux. Sebbene la presenza di gruppi diversi in molti Paesi africani sia indiscutibile, rimane difficile descrivere questi gruppi come etnici o tribali. Anche se le radici dei concetti di etnia o tribù 29

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7 si ritrovano nelle società pre-coloniali, è convinzione diffusa che il concetto di tribalismo attuale si sia formato e cristallizzato durante l epoca coloniale. Se in epoca pre-coloniale ed all inizio della colonizzazione, etnia o tribù significavano solo appartenenza a una comunità o gruppo, le stesse parole oggi hanno assunto un forte connotato di divisione e di esclusione. L appartenenza etnica presa da sola non ucciderebbe nessuno, ma è il suo uso tribale che porta a quelle guerre e a quei conflitti (aperti o nascosti) che vediamo fiorire ogni giorno in molti angoli della terra. Mass media e Rwanda, 1994: costruire, raccontare e nascondere un genocidio Sebbene molti osservatori abbiano superficialmente identificato il genocidio come una questione etnica, la maggioranza degli esperti di area ha segnalato la necessità di guardare al genocidio come a un processo generato da vari fattori. Studiosi come Hinton hanno mostrato che esistono alcuni aspetti che, quando sono riuniti, rendono un genocidio molto più probabile. Non vi è dubbio che il fattore etnico possa aver giocato un ruolo molto importante durante il genocidio rwandese nell amplificare e rendere più feroci i massacri, ma pensare alla causa etnica come motivazione principale significa non prendere in considerazione la natura del colonialismo e la conseguente decolonizzazione, oltre a ritenere irrilevante la successiva situazione e dinamica politica del Rwanda. Più che etnico, il genocidio rwandese può essere definito politico, e trova la sua origine in diversi fattori. Le cause che portarono al genocidio possono essere divise in immediate (politiche, economiche) e remote, ovvero risalenti alla storia del Rwanda: prima, durante e dopo la colonizzazione. Ideologie e concetti relativi alla divisione razziale ed etnica delle popolazioni si formarono e si affermarono in una dinamica storica complessa e vennero assunte come fondamenta della politica dello Stato indipendente a partire dalla fine degli Anni 50. Dunque, il genocidio rwandese non fu una guerra etnica simile ai conflitti che caratterizzerebbero il continente africano, secondo le osservazioni prevalenti sui media occidentali, e che, se analizzati tutti, si dimostrerebbero la conseguenza di dinamiche complesse, di cui l etnicità è solo un espressione né fu la conseguenza dell odio ancestrale tra hutu e tutsi. Non fu nemmeno un raptus d odio degli estremisti nei confronti del resto del Paese. Fu invece una macchina della morte organizzata dai vertici dello Stato che, accecati dal proprio egoismo e dalla volontà di mantenere il potere, non esitarono a spingere gli estremisti contro un elevato numero di loro concittadini. Il genocidio rwandese mostrò come i media potevano avere sul pubblico un influenza più grande e pericolosa di quanto si pensasse. I mass media interni, tra cui la radio Rtlm e il quotidiano Kangura, giocarono un ruolo basilare nel permettere che il genocidio scoppiasse e si svolgesse con una rapidità e una ferocia senza precedenti. Fornirono il loro aiuto quale strumento nelle mani dei responsabili del genocidio. Kangura: i mercenari della penna Questa rivista può essere considerata come il battistrada dell ideologia dell odio che portò 32

8 al genocidio prima che arrivasse la Rtlm (Radio delle mille colline) a completare l impresa. Basta leggere la dicitura sotto alla testata per capire quale fosse la linea editoriale: La voce che cerca di risvegliare e guidare il popolo maggioritario. Nel suo numero dell inizio di dicembre 1990, Kangura pubblicò I dieci comandamenti degli hutu, un vero decalogo di odio verso i tutsi: 1) I tutsi hanno sete di sangue e di potere. Vogliono imporre la loro egemonia sulla gente del Rwanda con cannoni e spade. 2) Dalla rivoluzione sociale del 59 non è passato un giorno senza che i tutsi abbiano abbandonato l idea di riconquistare il potere in Rwanda, di sterminare gli intellettuali e di dominare i contadini hutu. 3) I tutsi usano due mezzi contro gli hutu: i soldi e le donne tutsi. 4) I tutsi vendono le loro mogli e figlie alle autorità hutu e cercano di far sposare le loro mogli con uomini dell élite hutu per avere spie all interno. 5) I tutsi hanno fatto di tutto per cancellare la coscienza hutu, al punto che se un hutu avesse notato le azioni diaboliche dei tutsi sarebbe stato licenziato e mandato in prigione, 6) Gli hutu devono sapere che le mogli dei tutsi, dovunque esse siano, servono il gruppo etnico tutsi. Di conseguenza, ogni hutu che commetta una delle seguenti azioni va ritenuto un traditore: sposare una donna tutsi, acquisire una concubina tutsi, acquisire una segretaria tutsi. 7) Ogni hutu deve sapere che tutti i tutsi sono disonesti negli affari commerciali. Il loro unico obiettivo è la superiorità etnica. 8) Le Forze armate rwandesi (Far) devono essere esclusivamente hutu. La guerra del 1990 ci ha insegnato questa lezione. 9) Nessun militare della Far può sposare una tutsi. 10) Gli hutu non devono più avere pietà dei tutsi. Kangura, per contenuto e tono, fu il precursore della Rtlm, mezzo di comunicazione che esasperò poi gli stessi argomenti, ma in modo più efficace. Un analisi dei primi numeri della rivista fa capire come questo giornale, con i suoi articoli, intendesse diffondere l odio etnico e istigare la paura nella popolazione. Nel numero 4, pubblicato tra ottobre e novembre 1990, è analizzato un fantomatico Piano della colonizzazione tutsi del Kivu e della regione centrale dell Africa, un documento falso, come tanti altri che sarebbero stati pubblicati in quegli anni, che rappresenta i tutsi come una razza irrimediabilmente usurpatrice e falsa. L articolo invita gli hutu a fare fronte comune contro il nemico tutsi. Il numero 5 di Kangura continua la sua politica di divisione etnica, questa volta con un ipocrisia evidente: pubblica una lista di nomi di alcuni politici e imprenditori hutu, accusati di aver cambiato la propria identità etnica, solo per farli conoscere pubblicamente e identificarli come nemici. Nel sesto numero, pubblica I dieci comandamenti hutu che abbiamo citato sopra. Kangura capì che le dissertazioni ideologiche da sole non potevano arrivare a quella massa 33

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11 della popolazione che non sapeva leggere e che, secondo il piano dei responsabili del genocidio, doveva giocare un ruolo molto importante nel lavoro di pulizia etnica quando i tempi sarebbero stati maturi. Per non perdere questi lavoratori, tanti articoli furono accompagnati da vignette illustrative per coloro che non potevano leggere, o che non volevano affaticarsi nella lettura, in modo che potessero capire tutto con un colpo d occhio. I creatori di Kangura, conoscendo la grande presenza di analfabeti in Rwanda, puntarono su disegni molto divertenti ma anche molto efficaci nella trasmissione del messaggio dell odio. Per diffondere i messaggi d odio verso le ragazze tutsi, le vignette di Kangura le mostrano come prostitute che usano la loro bellezza per aiutare il Fpr. Lo scopo è indirizzare l odio verso queste donne. Questa propaganda andrà avanti nelle pagine di Kangura fino al rifiuto dei matrimoni misti fra dirigenti hutu e donne tutsi. Questa presunta astuzia delle donne tutsi appare evidente nella vignetta, pubblicata su Kangura del febbraio 1994, numero 56 che intende anche demonizzare la forza belga della Minuar, avanzando il dubbio di una vicinanza del contingente con il Fpr. Queste accuse porteranno alla fine all assassinio dei caschi blu belgi all inizio del genocidio e quindi al ritiro dei soldati belgi dal Rwanda. La vignetta pubblicata nel Kangura dell ottobre 1993, mostra quei mezzi che Kangura usava per poter demonizzare i tutsi. Nell immagine si vede Kagame, Capo del Fpr, che rifiuta di salutare il presidente Habyarimana, esprimendo quindi l intenzione di mostrare il disprezzo dei tutsi verso gli hutu e ribadire l impossibilità dei due gruppi di vivere insieme. Insomma, sfruttando la forza comunicativa delle vignette in un contesto rurale come quello del Rwanda del 1994, Kangura determinò il fondamento della propaganda dell odio verso i tutsi che, ripresa da Rtlm, porterà al massacro di migliaia di persone. Furono proprio questi messaggi d odio, trasmessi con maggiore tenacia ed esasperazione dalla Radio Télévision Libres des Milles Collines, che avrebbero poi condotto al genocidio. E i media internazionali? I mezzi di comunicazione di massa internazionali, soprattutto quelli europei, hanno una grande influenza anche nell orientamento dell informazione nel resto del mondo, godendo di una vasta fama di autorevolezza, che però non sempre trova conferme nelle scelte editoriali. Un esempio è rappresentato proprio dal genocidio del Rwanda dove le testate giornalistiche internazionali giocarono un ruolo molto importante ma il loro lavoro fu caratterizzato da mancanza di profondità e fondamentalmente da una limitata copertura. Durante i massacri, tanti organi d informazione riprendevano semplicemente i dispacci delle grandi agenzie di stampa, quali Reuters, Associated Press e United Press, o Agence France Press, senza cercare nemmeno di valutare la veridicità delle fonti. I media internazionali avrebbero il potere di attirare l attenzione mondiale e spingere i governi e gli organi di pace, come l Onu e l Unione Africana, a volte miopi di fronte alla sorte dei Paesi deboli, a prendere iniziative per fermare atrocità come quelle avvenute in Rwanda. Tuttavia i mezzi di comunicazione di massa internazionali non adempirono al loro 36

12 ruolo di caschi blu dell informazione mondiale: per essere più precisi, in Rwanda non venne rispettato uno dei motti del giornalismo, cioè non dire niente per nuocere, ma non tacere per fare piacere. Ciò avvenne o per la pressione degli editori o per la censura che abitualmente subiscono i giornalisti in tempo di guerra, oppure ancora per il coinvolgimento dei governi dei Paesi in cui hanno sede le redazioni. Alcuni media tacquero persino sui massacri, nascondendo il genocidio. Come sostiene Pottier, l incapacità dei media occidentali di coprire adeguatamente il genocidio in Rwanda potrebbe aver contribuito all indifferenza e all inazione internazionale, favorendo il successo dei massacri. I media internazionali offrirono una copertura sbagliata del genocidio, in particolare perché il conflitto fu descritto come prodotto di un odio tribale tra due etnie, e soprattutto perché la stampa straniera era quasi assente durante l apice del massacro. I media internazionali, insomma, contribuirono, in un certo senso, al successo del genocidio legittimando la lettura etnica del conflitto proposta dai media locali. Una lettura che incontrava anche il sostegno della comunità internazionale, soprattutto di Francia e Usa, che non volevano essere coinvolti. A causa dell inadeguata analisi della situazione sociopolitica del Rwanda, oltre alla ricerca incessante della notizia sensazionale, nei servizi dei grandi giornali internazionali non vi erano elementi che aiutassero il lettore a comprendere ciò che stava accedendo realmente nel Paese. Se ai giornalisti è stato riconosciuto il ruolo di storici del presente, è plausibile ritenere che tanti di loro non hanno esposto la storia vera dell evolversi della situazione. Mostrarono una storia distorta, piena di pregiudizi coloniali e priva d imparzialità, che indirettamente legalizzò la ricostruzione storica creata dai genocidari. Le espressioni frequentemente lette nei servizi di questi media erano: guerre civili, guerre ancestrali, odio etnico, guerre etniche, furia etnica, conflitto secolare, stragi fratricide. Così facendo, contribuirono alla banalizzazione del contesto e permisero che il massacro proseguisse. Conclusione Senza nessuna pretesa di aver trattato in modo del tutto esaustivo il fenomeno della copertura mediatica in Rwanda nel 1994, la lettura data in questo lavoro su alcuni media interni e stranieri ci conferma che essi giocarono un ruolo molto importante nel condurre il genocidio al successo. I media interni (Kangura, Rtlm) diffusero una vera propaganda d odio verso i tutsi e gli oppositori governo estermista hutu. Durante il genocidio, questi media diffondevano liste di nomi per dare indicazioni agli esecutori dei massacri su quale nemico uccidere e dove trovarlo. Erano dei veri Media du génocide, come li ha chiamati Jean Pierre Chrétien. Malgrado la cattiva immagine del giornalismo data in Rwanda da Kangura e Rtlm, questo articolo non ha nessuna intenzione di screditare o sminuire il ruolo dell informazione in quello che Mcluhan ha chiamato il villaggio globale. Non si può non ricordare la professionalità di tanti giornalisti che rischiano la vita nelle zone di guerra per informare. Vorrei però far capire 37

13 38 che la terminologia bellica non conosce le parole vittoria o sconfitta. Ogni guerra è solo una tragedia: devastazione, morte, stupri, sangue, fame, grida e pianti. Queste immagini di desolazione, però, sono scomparse dalla lettura delle guerre offerta dai mass media, sia per l incapacità dei giornalisti d essere obiettivi sia per la censura imposta dai belligeranti nella diffusione delle notizie. Così le nuove guerre, prima d essere combattute sul campo di battaglia, sono prima di tutto guerre d informazione. Bisogna prima convincere l opinione pubblica, con le bugie o con la censura, della necessità della guerra e dei bombardamenti, tecnica che in Rwanda il governo genocidario usò prima per definire i tutsi nemici, poi per etichettarli come stranieri, diffondendo odio e paura. Sebbene le atrocità della guerra siano davanti a tutti, i mass media mostrano i nuovi conflitti come necessari e privi di vittime, addirittura come interventi filantropici. E i media sono adoperati per creare un demonio, il nemico, e per convincere l opinione pubblica della necessità del conflitto. Così i mass media furono usati in Rwanda per rendere un mostro l uomo che aveva sempre vissuto dietro la porta accanto, alimentando la spirale d odio che portò al genocidio. I mezzi di comunicazione di massa possono essere uno straordinario strumento sia di pace che di guerra. Se lasciati nelle mani dei signori della guerra o dell odio, possono diventare molto pericolosi. Ma utilizzati per difendere e trasmettere messaggi di pace, possono essere di grande aiuto per la libertà e la comprensione fra i popoli.

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