CONDOMINIO MINIMO: GIURISPRUDENZA

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1 CONDOMINIO MINIMO: GIURISPRUDENZA INDICE Applicabilità, nella comunione, dell'art c. c. Condominio composto di due soli partecipanti: spese Modalità per la convocazione dell'assemblea Spese necessarie alla riparazione delle cose comuni, assemblea, necessità Costituzione delle assemblee e la validità delle sue delibere Rimborso delle spese fatte da un condomino Maggioranze, l'inapplicabilità della disciplina dettata dall'art c.c., La nomina di un amministratore giudiziale Utilizzo della cosa comune Assemblea: modalità per la convocazione Delibere assembleari: regolarità Azione per danno temuto (sentenza per esteso) In base all'art c.c., la disciplina del capo II del titolo VII del terzo libro del codice civile (artt ) è applicabile - e solo per quanto in tali norme non espressamente previste possono osservarsi le disposizioni sulla comunione in generale (artt c.c.) - ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, in quanto per essi né esplicitamente né implicitamente derogato, ai cosiddetti condomini minimi, e cioè a quelle collettività condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt. 1104, 1105, Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1993, n Nella ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (c.d. piccolo condominio), le spese necessarie alla conservazione o riparazione della cosa comune (nella specie, rifacimento del tetto e dei solai) devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessità di procedere a determinati lavori, benché urgenti ed indifferibili. Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n Anche nei cosiddetti piccoli condomini (nella specie, con due soli comproprietari), pur non essendo prescritte particolari formalità per la convocazione dell'assemblea, è sempre necessario che una delibera sia adottata e che l'altro compartecipe sia stato posto in grado di conoscere l'argomento con una preventiva convocazione. Cass. civ., sez. II, 15 novembre 1996, n Nell'ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condominio della necessità di provvedere a determinati lavori. Il principio anzidetto può esser derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da parte degli altri comproprietari.

2 Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2000, n Se il condominio di edificio è costituito da due soli partecipanti e difetta quindi, per mancanza del presupposto di una pluralità di condomini, la possibilità di applicare la disciplina dettata dall'art c.c. sulla costituzione delle assemblee e la validità delle sue delibere, operano le norme sulla comunione in generale e, fra queste, l'art c.c., il quale consente il ricorso all'autorità giudiziaria per superare un contrasto fra i due partecipanti che pregiudichi la necessaria amministrazione della cosa comune: ove però uno dei due partecipanti intenda procedere, contro la volontà dell'altro, ad innovazioni (nella specie l'installazione di un ascensore) o, in genere, ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, è applicabile non l'art c.c., riguardante i soli atti di ordinaria amministrazione, ma l'art c.c. e pertanto, di fronte alla materiale impossibilità di formare fra due soli condomini la maggioranza prevista da quest'ultima norma, deve concludersi con l'escludere che l'interesse di uno dei due partecipanti all'innovazione od all'atto di straordinaria amministrazione trovi nell'ordinamento tutela giuridica per superare l'opposizione dell'altro partecipante. Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n Con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino per le cose comuni, nel caso di c.d. condominio minimo non trova applicazione l'art c.c., bensì il regime, dettato in tema di comunione, di cui all'art c.c., da interpretarsi estensivamente nel senso che il potere di gestione del condominio deve ritenersi sussistere non solo con riferimento alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, secondo la previsione testuale dell'articolo da ultimo citato, ma altresì con riferimento alle spese realmente indispensabili per il godimento della cosa stessa. (Nella specie quelle relative all'acqua potabile, all'acqua irrigua per il giardino e all'alimentazione e manutenzione dell'impianto di riscaldamento). Trib. civ. Verona, 17 settembre 1999, n La riduzione a due sole unità del numero dei partecipanti al condominio di edificio non comporta il venir meno del condominio medesimo, ma determina soltanto l'inapplicabilità della disciplina dettata dall'art c.c., in tema di costituzione della assemblea e di validità delle relative delibere, la quale postula un numero di partecipanti superiore a due. In tale ipotesi, in forza della norma di rinvio contenuta nell'art c.c., le deliberazioni del condominio, ivi comprese quelle attinenti alla nomina dell'amministratore, sono soggette alla regolamentazione prevista per l'amministrazione della comunione in generale dagli artt e 1106 c.c. e la legittimazione a riscuotere dai condomini i contributi per la manutenzione delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali spetta all'amministratore nominato con la maggioranza indicata nel combinato disposto dai citati artt e Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n Giusta il disposto dell'art c.c., la nomina di un amministratore giudiziale ai sensi dell'art. 1105, quarto comma, c.c. è applicabile ai c.d. condomini minimi, e cioè alle collettività condominiali composte da due soli partecipanti. Trib. civ. Ariano Irpino, decr. 14 ottobre Nel caso di condominio formato da due soli condomini ogni comunista può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune mentre gli è interdetto effettuare innovazioni o atti di straordinaria amministrazione che pregiudichino il godimento della cosa comune da parte degli altri comunisti.

3 Trib. civ. Milano, 23 maggio Anche nell'ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione dell'assemblea dei condomini, come della comunione in generale, non sono prescritte particolari formalità, ma è pur sempre necessario che tutti i compartecipi siano stati posti in grado di conoscere l'argomento della deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validità. Detta rituale convocazione non può essere sostituita dall'avvertimento o mera comunicazione della necessità di procedere a determinati lavori richiesti dall'autorità amministrativa. Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1991, n Nel c.d. piccolo condominio - al quale si applicano, per l'amministrazione, le norme degli artt. 1104, 1105 e 1106 c.c., piuttosto che quelle dell'art c.c. - pur non essendo prescritte formalità particolari per la convocazione dell'assemblea, è sempre necessario che a) una delibera sia adottata a seguito di regolare convocazione dell'assemblea e che b) la delibera riceva il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle quote ex art c.c. Trib. civ. Brescia, sez. II, 11 gennaio 2001, n Condominio minimo (Cassazione - Sezione II - Sentenza n del 22/06/2005) TESTO SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE SENTENZA 22 GIUGNO 2005 N SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (Presidente V. Calfapietra, Relatore C. Cioffi) Con ricorso depositato il 12 giugno 1990 Maria G., Antonio e Paolo T., proprietari di uno dei due piani dell'edificio nel dettaglio indicato, proposero innanzi al Pretore di Rieti azione di danno temuto nei confronti di Agostino e Vincenzo S., proprietari dell'altro piano, denunziando il pericolo costituito dal progressivo crollo del tetto dell'edificio. Ottenuto dal Pretore il provvedimento cautelare richiesto, Maria G., Antonio e Paolo T., che avevano provveduto al restauro del fabbricato, convennero Agostino e Vincenzo S. in riassunzione innanzi al Tribunale di Rieti, del quale il Pretore aveva affermato la competenza, e chiesero che fossero condannati al pagamento di quanto da essi dovuto, "secondo la ripartizione millesima-le da determinarsi in corso di causa", nonché al risarcimento dei danni da essi subiti per la ritardata esecuzione del detto restauro. Agostino e Vincenzo S. si costituirono e chiesero il rigetto della domanda. Contestata la fondatezza dell'azione di danno temuto proposta da Maria G., Antonio e Paolo T., i convenuti sostennero in particolare che essi erano tenuti soltanto al pagamento delle spese relative alla effettuazione dei lavori urgenti ed indifferibili di manutenzione delle parti comuni dell'edificio, nella misura e secondo la ripartizione millesimale da essi proposta; chiesero inoltre, in riconvenzione, la demolizione di quanto gli attori avevano realizzato, eseguendo le opere previste

4 dall'ordinanza pretorile, che era espressione di una inesistente "servitù di grondaia" gravante su un contiguo fondo. Con sentenza del 27 giugno 1995 il Tribunale di Rieti, individuato con una consulenza tecnica l'ammontare dei lavori urgenti ed indifferibili necessari per la conservazione dell'immobile condominiale, nonché le quote millesimali delle parti in lite, condannò Agostino e Vincenzo S. a pagare a Maria G., Antonio e Paolo T. la somma di lire (a fronte dei di lire, di cui i convenuti avevano riconosciuto di essere debitori); e rigettò sia l'azione risarcitoria esperita da Maria G., Antonio e Paolo T., sia la riconvenzionale di Agostino e Vincenzo S., non avendo questi ultimi "neppure dedotto di essere proprietari dell'asserito fondo servente". Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Roma ha rigettato il gravame di Agostino e Vincenzo S.. In particolare, ha disatteso il motivo di appello con cui questi ultimi avevano censurato la sentenza impugnata per aver riconosciuto la legittimità dell'ordinanza con cui il Pretore aveva concluso la fase cautelare del procedimento di danno temuto intentato nei loro confronti da Maria G., Antonio e Paolo T.; ha affermato poi che l'immobile per cui è causa è condominiale, e dunque che sono applicabili, nella specie, le norme dettate per gli edifici condominiali; ha disatteso inoltre la censura con cui gli appellanti avevano sostenuto l'erroneità della determinazione delle quote millesimali, osservando che essi non avevano allegato alcunché per dimostrare tale asserita erroneità; infine ha disatteso anche la censura con cui gli appellanti avevano ribadito che gli attori, nel ricostruire il tetto, avevano posto le premesse per l'acquisizione di una servitù di grondaia, osservando che lo sporto realizzato non è maggiore di quello del preesistente tetto, giusta quanto emerge dalla relazione del consulente tecnico di ufficio e dalle fotografie esibite. Vincenzo S. ha chiesto la cassazione di tale sentenza per sette motivi. Maria G., Antonio e Paolo T. hanno resistito con controricorso. Agostino S. non ha svolto attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE Con i primi quattro motivi del suo ricorso Vincenzo S. censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato la nullità, ovvero per non aver annullato "tutti i provvedimenti emessi nella fase cautelare". Il ricorrente denunzia violazione dell'art. 163, 112, 260 e 689 del codice di rito, dell'art del codice civile, e vizi di motivazione. Le censure sono inammissibili. I provvedimenti cautelari emessi nell'ambito del procedimento di denunzia di nuova opera ai sensi degli art. 689 e 690 del codice di rito hanno carattere interinale e strumentale rispetto alla causa di merito e, pertanto, non sono suscettibili di impugnazione autonoma. Volta poi che sia intervenuta una pronunzia che accerti o neghi il diritto del quale con essi è stata chiesta tutela, per l'appunto in via interinale, e provvisoria, viene meno la loro ragion d'essere, e con essa l'interesse ad impugnarli (cfr., tra le tante in tal senso, la sentenza di questa Corte n ). Con il quinto motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura la sentenza impugnata per ripartito le

5 spese necessarie per i necessari rifacimenti dell'edifìcio applicando le norme del codice civile relative al condominio negli edifici (segnatamente gli art e 1134), e non, come egli aveva sostenuto in appello, essendo l'edificio composto da due sole unità immobiliari, quelle sulla comunione in generale (segnatamente l'art. 1110). Il ricorrente denunzia violazione delle citate nome, non senza sostenere che la motivazione della sentenza impugnata è carente ed illogica, non essendo configurabile nella specie, per la ragione detta, un condominio. La censura è infondata. La statuizione impugnata ha fatto puntuale applicazione del principio sempre affermato da questa Corte (cfr. le sentenze n , , ed in particolare quella n ), secondo il quale, in base all'art del codice civile, la disciplina del capo II del Titolo VII del terzo libro del codice civile (art ) è applicabile ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche ai cosiddetti "condomini minimi", e cioè a quelle collettività condominiali composte da due soli partecipanti; in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili soltanto le sole norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli art. 1104, 1105, del codice civile. Con il sesto motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura la sentenza impugnata per aver rigettato il suo motivo di appello con cui aveva sostenuto che la ripartizione millesimale effettuata dal Tribunale era illegittima. Il ricorrente denunzia violazione dell'art del codice civile, e lamenta che la Corte d'appello ha affermato, nella sua sentenza, che "nessun elemento sussiste a conforto delle sue apodittiche affermazioni circa gli errori sulla consistenza volumetrica e gli spazi condominiali", senza tener conto della "precisa e puntuale elencazione di argomenti tecnico-giuridici ampiamente motivati, esposti nelle sue difese, suffragati da una consulenza tecnica di parte (in atti), che espone, con dovizia di particolari e con precise confutazioni tecniche, una precisa tesi circa l'erroneità e la incongruità delle ripartizioni millesimali adottate dal Tribunale per la ripartizione delle spese". Il motivo, con cui si censura la sentenza non tanto per la denunziata violazione di legge, quanto piuttosto per vizio di motivazione, è inammissibile. Il ricorso per cassazione - in virtù del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari per individuare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, e per valutarne la fondatezza, in modo che non sia necessario far ricorso ad altri documenti o atti, in particolare quelli relativi al pregresso giudizio di merito (cfr. tra le tante, tutte conformi, da ultimo, le sentenze n e ). Il ricorrente non ha precisato, nel ricorso, quali sono gli argomenti tecnici giuridici da lui sviluppati per sostenere il motivo di gravame che a suo dire è stato disatteso senza adeguata motivazione, e che la Corte d'appello non avrebbe adeguatamente considerati e valutati. Con l'ultimo motivo del suo ricorso Vincenzo S. censura la sentenza impugnata per aver confermato il rigetto della sua domanda riconvenzionale relativa alle dimensioni della sporgenza del tetto ricostruito deciso dal Tribunale in prime cure. Il ricorrente sostiene che non è vero quanto affermato al riguardo dalla Corte d'appello di Roma e in narrativa sintetizzato; in particolare sostiene che il consulente tecnico di ufficio si è limitato a proporre "valutazioni presuntive", e che dalle fotografie che raffigurano lo stato pregresso dei

6 luoghi risulta il contrario di quanto affermato in sentenza. Denunzia quindi violazione dell'art del codice civile e vizi di motivazione. La censura è inammissibile. Con essa il ricorrente non fa altro che proporre una valutazione delle prove raccolte diversa da quella che ne ha data il giudice del merito, e a contrapporla a quella di questo ultimo; chiede in altri termini un riesame delle prove raccolte, che questa Corte, giudice della sola legittimità, non può effettuare. Le spese seguono la soccombenza. PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso, e condanna Vincenzo S. a rifondere a Maria G., Antonio e Paolo T. le spese di questo giudizio, che liquida in 1.300,00 euro, di cui 1.200,00 per onorari, oltre accessori di legge. Roma, 15 aprile 2005.

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