Infezione congenita da Citomegalovirus: possibilità significative della diagnostica di laboratorio (Rassegna)

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1 Lazzarotto.qxp 13/07/ Pagina 9 Infezione congenita da Citomegalovirus: possibilità significative della diagnostica di laboratorio (Rassegna) Tiziana Lazzarotto 1, Brunella Guerra 2, Marcello Lanari 3, Liliana Gabrielli 1, Maria Paola Landini 1 1 Unità Operativa di Microbiologia, Laboratorio di Virologia, 2 Clinica Ginecologica e Ostetrica e Medicina dell'età Prenatale; 3 Istituto Clinico di Pediatria Preventiva e Neonatologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna, Bologna IL VIRUS Il Citomegalovirus umano (CMV) è uno degli otto virus, appartenenti alla famiglia Herpesviridae, che infetta la specie umana. CMV appartiene alla sottofamiglia Betaherpe-svirinae che accomuna virus caratterizzati dall'avere uno spettro d'ospite ristretto, dal replicarsi in vitro in fibroblasti della specie ospite naturale ed in vivo, dall'avere un ciclo replicativo lento, dall'indurre inclusioni intranucleari e intracitoplasmatiche e dalla capacità di indurre latenza in numerosi tipi cellulari. I virioni maturi hanno forma rotondeggiante con un diametro di circa 200nm. Il genoma di CMV è rappresentato da un DNA bicatenario che contiene più di 200 sequenze in grado di essere trascritte. Nell'infezione produttiva l'espressione sequenziale del genoma virale è regolata temporalmente. INTRODUZIONE L'infezione da CMV è endemica ed ubiquitaria e non risente di variazioni stagionali. Nel corso dell'esistenza dal 40 all'80% degli individui nei Paesi industrializzati e la quasi totalità degli individui nei Paesi in via di sviluppo, va incontro ad infezione da CMV che di norma evolve senza sintomi morbosi e si traduce in una infezione latente 1,2. Si ritiene che gli esseri umani siano l'unico serbatoio per il CMV umano; la trasmissione avviene per contatto interumano diretto e più raramente indiretto. A causa della fragilità del virus ai fattori ambientali un contatto stretto è richiesto per il propagarsi orizzontale della infezione. Le fonti di infezione includono: secrezioni oro-faringee, urina, secrezioni cervicali e vaginali, sperma, latte materno, lacrime, feci, sangue. La propagazione dell'infezione è favorita dalla eliminazione molto prolungata del virus e dal fatto che la maggior parte delle infezioni decorre in modo asintomatico o paucisintomatico compatibile, quindi, con una normale vita di relazione del soggetto infetto. Nella popolazione adulta, in particolare nelle donne in età feconda, oltre alla via sessuale, il contatto molto stretto e quotidiano con i bambini gioca un ruolo importante per la diffusione dell'infezione 3. CMV è un'importante causa di morbilità e mortalità nei soggetti immunodepressi e di patologie fetali anche gravi se trasmesso in utero, infatti risulta essere la principale causa di infezione congenita nei paesi sviluppati con un'incidenza compresa tra lo 0,3 e il 2% di tutti i nati vivi 4,5. Dei neonati infettati congenitamente solo il 10-15% circa viene alla luce con sintomatologia evidente, in questi pazienti la mortalità perinatale è circa del 30% ed importanti sequele neurologiche si osservano in circa il 70-80% di quanti sopravvivono. 6 L' 85-90%, invece, pur essendo infetto, non presenta alla nascita nessuna sintomatologia. Di questi, però, un 8-15% presenterà sequele a distanza, consistenti prevalentemente in difetti dello sviluppo psicomotorio e sordità 6,7. La trasmissione materno-fetale è legata principalmente all'infezione materna primaria che presenta un rischio di trasmissione variabile tra il 24 e il 75% (valore medio 40%) 4,7. Casi di trasmissione materno-fetale conseguenti ad infezioni non primarie sono stati riportati nello 1-2.2% dei casi, quindi in percentuali molto più basse rispetto a quelle osservate durante le infezioni primarie 7. Lo stato sierologico materno è pertanto un fattore fortemente e maggiormente condizionante la possibilità di infezione congenita da CMV. E' stato stimato che in Italia approssimativamente il 30% della popolazione adulta risulta sieronegativa per CMV 8 e di conseguenza circa il 30% delle donne in età feconda sono a rischio di contrarre un'infezione primaria durante la gravidanza. Nei neonati infetti che presentano sintomi alla nascita, il quadro clinico può essere rappresentato da gravi sindromi polivisceritiche caratterizzate da ittero (con quota rilevante di bilirubina diretta), porpora trombocitopenica, epatosplenomegalia, polmonite ed encefalite. Le forme clinicamente attenuate includono di solito problemi epatici con epatosplenomegalia (60% dei casi), trombocitopenia (53-77% dei casi), e circa nel 50% dei casi è presente ritardo di crescita intrauterino, con basso peso neonatale 6,9. Le anomalie strutturali riguardano principalmente il sistema nervoso centrale (ventricolomegalia, calcificazioni intracraniche, atrofia cerebrale) meno frequentemente gli altri apparati. Sono riportati in associazione anche difetti visivi e uditivi di varia entità. Il CMV è segnalato inoltre quale causa di idrope non immunologica 10,11. CMV è la più importante causa non genetica di sordità nell'infanzia: più del 50% dei nati con infezione sintomatica e circa il 10% degli asintomatici alla nascita, svilupperà sordità neurosensoriale variabile tra forme lievi e profonde, con deterioramento progressivo in circa il 50% dei casi 12. La perdita di udito è bilaterale nel 50% dei casi e produce deficit nel linguaggio e nell'apprendimento tanto maggiori quanto più la diagnosi risulta ritardata, venendo meno le possibilità riabilitative precoci. In sintesi circa il 30-40% dei neonati infettati congenitamente presenterà problemi di varia gravità alla nascita e/o nel corso della propria vita. La trasmissione materno-fetale di CMV avviene con la stessa frequenza durante tutti e tre i trimestri di gravidanza. L'entità dei danni feto-neonatali, in particolare le severe compromissioni cerebrali, appaiono correlabili LigandAssay 10 (1)

2 Lazzarotto.qxp 13/07/ Pagina 10 prevalentemente all'epoca gestazionale in cui si verifica la trasmissione verticale: un rischio di prognosi feto-neonatale più grave è principalmente correlabile ad una infezione materna primaria contratta nei primi due trimestri di gravidanza. 13 La maggior parte delle infezioni da CMV nelle donne gravide sono asintomatiche anche durante la fase acuta; raramente possono comparire sintomi non specifici e molto modesti, quali febbricola persistente, mialgia, adenomegalia. Le analisi di laboratorio possono evidenziare qualche volta la presenza di linfocitosi atipica e modesto rialzo delle transaminasi. PATOGENESI DELL'INFEZIONE CONGENITA L'infezione congenita viene acquisita per via transplacentare, cioè dal sangue materno (dai leucociti materni) il virus infetta la placenta, si replica in essa fino ad arrivare a contatto con il circolo fetale 14. Studi recenti condotti in vitro, hanno chiaramente dimostrato come CMV infetti in modo produttivo i trofoblasti placentari 15,16 ed inoltre è stato osservato come sulle membrane di queste cellule in seguito ad uno stimolo infiammatorio aumenti l'espressione delle molecole di adesione (in particolare ICAM-1) favorendone quindi l'adesione alle cellule del sangue materno 17. Dopo una prima fase viremica fetale (fase di disseminazione) il virus può invadere e replicarsi produttivamente negli organi bersaglio quali il sistema nervoso centrale, il fegato, l'orecchio interno, il midollo spinale, il rene, l'epitelio dei dotti e l'endotelio vascolare. Il virus, eliminato con la diuresi fetale nel liquido amniotico, può essere nuovamente ingerito dal feto, replicarsi nell'epitelio oro-faringeo e quindi passare nuovamente ad una fase di disseminazione ematica più estesa. DIAGNOSI DI INFEZIONE NELLA MADRE Poiché lo stato gravidico non modifica di norma il decorso clinico dell'infezione, solitamente privo di sintomi di rilievo nel soggetto immunocompetente, sono le tecniche di laboratorio (virologiche e sierologiche) a rappresentare l'approccio diagnostico decisivo. Al medico spetta quindi il compito di stabilire, in base alla presenza o meno di dati preconcezionali, se e quali esami effettuare in gravidanza, interpretare correttamente e gestire i risultati di laboratorio. La presenza nel siero degli anticorpi specifici IgG al primo controllo in gravidanza è indicativa di infezione pregressa e non prevede ulteriori accertamenti. Infatti, anche se non completamente protettiva, l'immunità acquisita mette al riparo dall'infezione primaria in gravidanza che comporta il maggior rischio per il feto, mentre l'eventualità di reinfezione o riattivazione (pur non escludibile) comporta un rischio prospettico di danno fetale non superiore a quello riscontrabile nella cosiddetta gravidanza fisiologica. Per gli stessi motivi, la disponibilità di un dato preconcezionale di questo tipo, elimina la necessità dello screening in gravidanza 18. La gravida non immune e perciò a rischio di acquisire l'infezione primaria deve innanzitutto essere informata relativamente a semplici norme comportamentali ed igieniche (evitare il contatto diretto con qualunque materiale organico, il contatto stretto con i bambini in età-prescolare e infine lavarsi frequentemente e accuratamente le mani) che, pur non risolutive, sembrano in grado di ridurre la possibilità di contagio. La gravida sieronegativa deve quindi essere sottoposta ad indagini sierologiche periodiche. Pur non esistendo linee guida al riguardo, sembra ragionevole il controllo mensile fino alle settimane di gestazione per consentire (in caso di sieroconversione) la messa in atto degli accertamenti sul feto. Se la sieronegatività materna persiste, i controlli sierologici possono essere dilazionati o ridotti ad un solo controllo a settimane per consentire (in caso di sieroconversione tardiva) la selezione dei neonati a rischio di infezione congenita 18. La diagnosi di infezione da CMV è complessa nelle donne che non conoscono il loro stato sierologico pre-gravidico. L'unica soluzione per individuare le gravide con infezione primaria, è quella di sottoporle durante la gestazione (più precocemente possibile) ad una serie di esami specifici. La diagnosi sierologica Il test per la ricerca delle IgM anti CMV si è dimostrato il procedimento più utilizzato per lo screening delle donne gravide. Tuttavia, i kit che sono in commercio destano perplessità per l'alta frequenza dei risultati discordanti ottenuti con kit differenti, limitando quindi, in questi ultimi anni, il loro valore diagnostico. Le percentuali di accordo tra diversi kit variano dal 56 al 75%, con una sensibilità oscillante tra il 30 e il 88% 19. Quando vengono ritrovate IgM anti CMV in una donna gravida il problema diagnostico è ancora completamente aperto. Le IgM anti CMV sono un buon indicatore di infezione in fase acuta o recente, ma non sono sempre correlabili ad una infezione primaria. Recenti risultati indicano che meno del 10% delle donne che risultano IgM positive infetta congenitamente il feto/neonato 20. Questo è dovuto al fatto che le IgM nelle gravide sono prodotte nel 100% dei casi di infezione primaria e nel 70% dei casi di riattivazione o reinfezione 21. Inoltre è opportuno ricordare che in alcuni casi di donne in gravidanza le IgM per CMV sono state ritrovate anche alcuni mesi (6-9 mesi) dopo l'esaurimento della fase acuta di un'infezione primaria 13 e, che, per questo tipo di indagine sono abbastanza comuni risultati di falsa positività 19. Quindi, il ritrovare le IgM nel siero di una donna gravida dovrebbe essere semplicemente un punto di partenza per una valutazione diagnostica di livello superiore. Il test di avidità delle IgG anti CMV sembra oggi il procedimento commerciale più affidabile per identificare una infezione primaria nelle donne in gravidanza Il termine di avidità anticorpale indica la forza con cui un anticorpo multivalente si lega ad un antigene multivalente. Gli anticorpi prodotti nel corso della risposta primaria hanno un'avidità per l'antigene molto più bassa rispetto a quella degli anticorpi prodotti durante la risposta non 10 LigandAssay 10 (1) 2005

3 Lazzarotto.qxp 13/07/ Pagina 11 primaria. Quindi, nelle fasi iniziali dopo una stimolazione antigenica primaria si evidenziano anticorpi a bassa avidità. Il grado di avidità degli anticorpi aumenta progressivamente e lentamente nel tempo ed è sinonimo di maturazione della risposta immune. Indici di avidità bassa indicano presenza nel siero di IgG a bassa avidità e sono da ascrivere ad infezioni da CMV di tipo primario in fase acuta o recente. Indici di avidità alta (presenza nel siero di IgG ad alta avidità) indicano invece assenza di infezione primaria in atto o recente 21. Nei soggetti immunocompetenti indici a bassa avidità sono ritrovabili per un periodo di settimane dall'inizio della sintomatologia. In più del 90% delle infezioni primarie, sia nei soggetti immunocompetenti che immunodepressi, le IgG per CMV sono a bassa avidità mentre non vengono mai ritrovate nelle infezioni non primarie 21. L'affidabilità della tecnica è ottimale qualora la determinazione avviene precocemente, non oltre la 18 a -20 a settimana di gestazione (sensibilità del 100%), mentre ad una valutazione più tardiva la sensibilità del test si riduce notevolmente (62,5%) 24,25. L'immunoblot rappresenta il test di eccellenza per la conferma della presenza nel siero di anticorpi di classe M. Inoltre, l'analisi della risposta IgM virus specifica nei confronti delle singole proteine strutturali e non strutturali di CMV, espresse sia come proteine virali purificate che come proteine ricombinanti purificate, permette di individuare alcuni profili reattivi abbastanza tipici per poter differenziare l'infezione primaria da quella non primaria 26. In Figura 1 sono mostrati alcuni esempi di profili di reattività delle IgM verso alcune proteine virali e ricombinanti di CMV in campioni di siero ottenuti da donne gravide sieropositive e siero-negative per CMV. Le procedure virologiche nelle donne in gravidanza hanno un ruolo secondario per la diagnosi di infezione primaria da CMV. Durante e dopo la gravidanza l'eliminazione di CMV dalle secrezioni organiche è un evento relativamente comune, l'isolamento del virus nelle urine e/o nelle secrezioni cervicali si è dimostrato essere un "povero" indicatore di rischio sia di trasmissione intrauterina che di severità di compromissione del feto/neonato. In un nostro recente studio abbiamo osservato come le percentuali di predittività positiva, rispetto all'infezione congenita e alla compromissione del feto, siano alquanto basse anche se la donna elimina virus attraverso la saliva e/o l'urina durante i primi due trimestri di gravidanza (29,2% e 57,1%, rispettivamente) (T. Lazzarotto et al, dati non pubblicati). Nei soggetti immunocompetenti la fase viremica è molto più breve rispetto a quella che si osserva nei pazienti immunodepressi. Risultati recenti hanno dimostrato come il CMV possa essere ritrovato nel sangue delle donne gravide durante l'infezione primaria in una fase acuta o recente 27. CMV nel sangue viene identificato tramite l'isolamento del virus e/o la ricerca dei suoi componenti mediante i test dell'antigenemia e della reazione polimerasica a catena (PCR) qualitativa e quantitativa. Anche per questo approccio diagnostico, i risultati da noi ottenuti non correlano con l'andamento clinico dell'infezione, nè con la trasmissione intrauterina e neppure con la severità di compromissione del feto/neonato 28, confermando dati già presenti in letteratura 27. Infatti, in un gruppo di donne gravide con infezione primaria da CMV, giunte alla nostra osservazione in differenti momenti della gravidanza, compresi tra la 4 a e la 30 a settimana di gestazione, sia il test dell'antigenemia che la PCR qualitativa hanno mostrato percentuali di sensibilità modeste rispetto al numero dei casi di trasmissione di CMV da madre a feto (rispettivamente valori pari al 14,3%, al 47,6%). Anche le percentuali di specificità, di predittività positiva e negativa sono risultate alquanto modeste 28. Per quanto riguarda il ritrovamento e la quantificazione del genoma virale e/o dei componenti del virus nel sangue materno in relazione al rischio di una infezione sintomatica nel feto/neonato, i risultati ottenuti (sensibilità, specificità e valori di predittività positiva e negativa) si sono dimostrati decisamente poveri di significato prognostico. Questi dati suggeriscono che nelle donne gravide in corso di infezione primaria da CMV al momento della diagnosi, il virus nel sangue materno può essere ritrovato La diagnosi virologica Figura 1 Esempio rappresentativo di profili di reattività sierica con l'immunoblot. Le proteine virali e ricombinanti sono descritte sulla destra della figura. CKS è il controllo negativo, e µ è la catena pesante delle IgM e rappresenta il controllo positivo. Strisce dal n.1 al n.8: sieri di donne gravide IgM positivi; strisce n. 9 e n.10: sieri di donne gravide IgM negativi. LigandAssay 10 (1)

4 Lazzarotto.qxp 13/07/ Pagina 12 come non esserlo, e in caso di un risultato positivo, esso non sembra essere associato ad un più alto rischio di infezione e/o compromissione del feto/neonato 28. DIAGNOSI DI INFEZIONE FETALE Per lo studio del compartimento fetale ci si può avvalere della diagnostica prenatale invasiva e dell'ecografia. La prima, a fronte dei rischi legati all'invasività della procedura, consente la diagnosi di infezione fetale; la seconda evidenzia eventuali anomalie strutturali e/o dell'accrescimento riconducibili all'infezione da CMV, ma a fronte del vantaggio della non invasività ha il limite di una bassa sensibilità. E' infatti ormai correntemente accettato che l'ecografia identifichi non più del 5% degli infetti 29. Inoltre un'anomalia strutturale può essere evidenziata tardivamente dopo precedenti controlli negativi e viceversa anomalie strutturali borderline riscontrate precocemente in gravidanza possono essere del tutto transitorie. In altre parole, un reperto ecografico normale è certamente rassicurante per la gravida ma scarsamente predittivo di normalità alla nascita e un reperto francamente patologico (ad esempio calcificazioni cerebrali multiple, ventricolomegalia di grado elevato, idrocefalia, idrotorace, ascite ecc) correla sicuramente con una prognosi sfavorevole. D'altro canto un reperto ecografico borderline (ad esempio una ventricolomegalia di grado lieve) può talvolta regredire spontaneamente e quindi, non deve influenzare marcatamente il counselling. La diagnosi prenatale invasiva viene attualmente effettuata tramite amniocentesi. Esperienze recenti identificano infatti nel liquido amniotico il tessuto più idoneo 30-33, rendendo inutile il ricorso alla cordocentesi, tecnica invasiva gravata da un rischio fetale all'incirca doppio rispetto all'amniocentesi (1-2% rispetto a 0,5-1%) 34, In relazione al più alto rischio di trasmissione madre-feto e di danno fetale, la diagnosi prenatale viene proposta alle donne che hanno contratto l'infezione primaria da CMV nella prima metà della gravidanza (documentata da sieroconversione anticorpale o mediante l'uso di test sierologici avanzati) e in caso di anomalie fetali suggestive di infezione 35,36. La diagnosi prenatale invasiva L'amniocentesi, che prevede un prelievo di liquido amniotico eseguito sotto controllo ecografico, viene esclusivamente proposta tra la 21 a -22 a settimana di gestazione. E' stato scelto questo periodo, tenendo conto che (a) CMV è un virus a lenta replicazione e si calcola che occorrano circa 6-9 settimane dopo l'infezione materna affinché il virus venga eliminato dal feto con l'urina in quantità tale da poter essere rilevato nel liquido amniotico 37 e che (b) la severità della malattia fetale è maggiore quando l'infezione viene contratta nelle prime settimane di gestazione. 6 Questo periodo è inoltre ritenuto ottimale, per l'elevata frequenza di risultati falsi negativi evidenziati in amniocentesi condotte in epoche più precoci e dovuti alla scarsa eliminazione del virus attraverso il rene fetale, sede elettiva della sua replicazione, a causa proprio della ridotta diuresi. Il liquido amniotico (LA) viene sottoposto a ricerca diretta del virus infettante mediante esame colturale e del genoma virale mediante PCR qualitativa 20. L'isolamento virale dal LA è indicativo di infezione congenita, ma la sensibilità della metodica risulta essere non molto elevata (70-80%). I risultati falsi negativi che si osservano sono dovuti in parte alle difficoltà di invio e di mantenimento in condizioni ottimali del LA, in quanto le particelle virali devono essere infettanti per poter essere ritrovate nelle colture. La ricerca qualitativa del DNA di CMV nel LA ha un'ottima sensibilità e specificità (90-98% e 92-98%, rispettivamente) rispetto alla trasmissione del virus da madre a feto 20. Quindi in caso di risultati negativi ad entrambe le metodiche possiamo escludere con elevata probabilità l'infezione fetale e invece, in caso di risultato positivo la valutazione viene completata con la quantificazione del DNA mediante PCR quantitativa 35,36. Risultati di PCR quantitativa >10 3 genomi equivalenti/ml (GE/mL) identificano una sicura infezione congenita (valore di predittività positiva =100%). Un rischio di trasmissione molto basso è invece stato ritrovato in presenza di carichi virali <10 3 GE/mL 35,36. In un nostro recente studio abbiamo osservato come su 180 campioni di LA con risultati inferiori a 1000 GE, 162 provengano da madri che non trasmettono e 18 invece da madri che hanno trasmesso il virus al neonato. Questi 18 neonati infettati congenitamente sono risultati asintomatici alla nascita e per 14 di loro i successivi controlli, eseguiti a 6 e 12 mesi di età, hanno confermato il loro buono stato di salute con assenza di comparsa di sequele tardive (T. Lazzarotto et al, dati non pubblicati). Questi ultimi risultati, in accordo con altri già presenti in letteratura 38, suggeriscono che il ritrovamento nel LA - prelevato nei tempi corretti - di carichi virali bassi (<1000 GE/mL) permette con buona probabilità di escludere in caso di trasmissione di CMV, eventuali compromissioni del neonato sia alla nascita che nei mesi successivi. Per migliorare ulteriormente il valore predittivo della diagnosi prenatale, abbiamo rivolto la nostra attenzione anche al significato clinico del ritrovamento nel LA di elevati carichi virali (superiore a 10 5 GE/mL). I risultati ottenuti dimostrano come in presenza di feti/neonati sintomatici (sia lievi che gravi) vengano tendenzialmente ritrovate nel LA elevate quantità di virus 35,36. Quando questi risultati sono associati ad esami ecografici francamente patologici il valore prognostico della diagnosi prenatale raggiunge indicazioni quasi assolute nell'individuare i feti/neonati infetti a rischio di sintomatologia clinica 31. In conclusione, oggi la diagnosi invasiva consente - se negativa - di escludere l'infezione congenita da CMV con una probabilità prossima al 100%, scoraggiando eventuali interruzioni della gravidanza per la sola ansia di avere contratto l'infezione primaria ad alto rischio di trasmissione materno - fetale e permettendo così alla gravida di proseguire la gestazione con più serenità. Risultati assolutamente confortanti per il proseguo della gravidanza si ottengono anche quando nel LA vengono ritrovate tracce o quantità minime di virus, in quanto i neonati risultano infetti ma asintomatici sia alla nascita che nel corso dei successivi controlli. Al contrario, risultati positivi con quantità 12 LigandAssay 10 (1) 2005

5 Lazzarotto.qxp 13/07/ Pagina 13 elevate di virus possono individuare tra gli infetti quelli ad alto rischio di infezione sintomatica, circoscrivendo così ad un numero veramente ristretto di casi e solo a feti veramente compromessi l'interruzione di gravidanza. DIAGNOSI DI INFEZIONE NEL NEONATO Il procedimento di riferimento per la diagnosi di infezione congenita nel neonato rimane a tutt'oggi l'isolamento del virus nelle urine e/o nella saliva entro le prime 2 settimane di vita. Anche la presenza di IgM specifiche su siero neonatale identifica un'infezione congenita, ma esse sono presenti solo nel 70% dei neonati infetti 39. Dopo le due settimane di vita le indagini virologiche e sierologiche non sono in grado di distinguere un'infezione pre- da una perinatale e la diagnosi di infezione congenita può essere sospettata solo in base alla clinica. Risultati interessanti sono emersi dalla ricerca del genoma virale mediante PCR su sangue adsorbito sulle Guthrie card, collezionate alla nascita per gli screening neonatali 40. Queste indagini virologiche vengono ritenute tuttavia molto delicate, in quanto è estremamente complessa la fase di estrazione e purificazione del DNA virale. E' importante sottolineare che il test consente solo talvolta, in casi selezionati con forte sospetto clinico, un accertamento retrospettivo di infezione congenita e comunque esso non può essere considerato un test di diagnosi di infezione congenita da CMV. In caso di isolamento virale positivo nelle urine, i neonati infetti vengono sottoposti nelle settimane successive ad una valutazione clinica, laboratoristica e strumentale ed in base a questi classificati in sintomatici o asintomatici 6. In caso di isolamento virale negativo, il neonato viene considerato non infetto e non necessita pertanto di ulteriori indagini. Fra i neonati sintomatici la mortalità è elevata e circa il 70-80% dei sopravvissuti è ad alto il rischio di comparsa di sequele tardive a carico del sistema nervoso centrale. 6 La maggior parte dei bambini infetti (85-90% dei casi) è asintomatica alla nascita e gran parte di loro avranno un normale sviluppo cognitivo ed intellettuale. Tuttavia, l'8% circa di essi svilupperà un deficit uditivo neurosensoriale 11. Per queste ragioni tutti i neonati infetti vengono sottoposti a follow-up con controlli a 1, 3, 6, 12 mesi di vita, e poi annualmente fino all'età scolare. Questi controlli prevedono valutazioni clinico-auxologiche, audiometriche, e dello sviluppo psicomotorio, fundus oculi, prelievi ematici per alcuni esami di laboratorio (transaminasi, emocromo con formula e piastrine, bilirubina totale e frazionata). Negli ultimi anni uno degli argomenti più discussi per la gestione dell'infezione congenita da CMV è la possibilità di predire con la maggior approssimazione possibile gli esiti a lungo termine già in epoca neonatale. Questa possibilità ha degli indubbi vantaggi, che includono l'opportunità di una informazione appropriata per i genitori e l'attuazione precoce di interventi adeguati nei bambini con più alto rischio di handicap. L'identificazione di fattori prognostici affidabili di esito favorevole riduce l'ansia dei familiari. Inoltre, la stratificazione dei pazienti a diverso rischio di sequele neurologiche consente una più precisa valutazione degli interventi, come ad esempio l'utilizzo di terapie antivirali, nel migliorare la prognosi. Proprio recentemente, in riferimento a questo argomento, abbiamo ottenuto risultati molto interessanti studiando il ruolo del carico di DNA di CMV nel sangue del neonato, determinato su campioni prelevati entro il primo mese di vita, come possibile indicatore prognostico di sequele 41. BIBLIOGRAFIA 1. Grangeot-Keros L, Cointe D. Diagnosis and prognostic markers of HCMV infection. J Clin Virol 2001; 21: Ho M. Epidemiology of CMV infection. Rev Infect Dis 1990; 12: S Taber LH, Frank AL, Yow MD, Bagley A. Acquisition of cytomegaloviral infections in families with young children: a serological study. J Infect Dis 1985; 151: Alford CA, Stagno S, Pass RF, Britt WJ. Congenital and perinatal cytomegalovirus infections. Rev Infect Dis 1990; 12: S Peckham CS. Cytomegalovirus infection: congenital and neonatal disease. Scand J Infect Suppl 1991; 78: Boppana S, Pass RF, Britt WS, et al. Symptomatic congenital cytomegalovirus infection: neonatal and mortality. 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