Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche

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1 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche DOTTORATO DI RICERCA IN FISIOPATOLOGIA CARDIORESPIRATORIA Ciclo XXIV La ventilazione meccanica non invasiva nel trattamento della grave acidosi respiratoria acuta associata a BPCO riacutizzata: DOTTORANDO Dott.ssa Vittoria Conti TUTORE DEL DOTTORANDO Chiar.ma Prof.ssa Daniela Parola DIRETTORE DELLA SCUOLA DI DOTTORATO Chiar.mo Prof. Francesco Fedele Anno Accademico 2010/2011

2 INDICE 1. La ventilazione meccanica non invasiva nel trattamento dell insufficienza respiratoria acuta Introduzione e definizioni Indicazioni alla NIV e utilizzo al di fuori dei reparti di Terapia Intensiva La ventilazione meccanica non invasiva nell insufficienza respiratoria acuta associata a Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva riacutizzata Elementi predittivi di successo o fallimento della ventilazione meccanica non invasiva Studio clinico Introduzione e obiettivi dello studio Materiali e metodi Disegno dello studio, popolazione, criteri di inclusione e di esclusione Impostazioni e setting della NIV Raccolta dati Analisi statistica Risultati Analisi sull intera popolazione Analisi limitata al sottogruppo di pazienti con ph START > 7.20 e Analisi limitata al sottogruppo di pazienti con APACHE II > Discussione Conclusioni Bibliografia Lista delle abbreviazioni I

3 INDICE DELLE FIGURE E DELLE TABELLE Tabella 1. Controindicazioni alla NIV Figura 1. Il sistema APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation II) per classificare la gravità di malattia, e il rischio di mortalità ospedaliera Tabella 2. La Glasgow Coma Scale Figura 2. Carte del rischio di fallimento della NIV nel trattamento dell ARF associata a BPCO riacutizzata Figura 3. Principali fattori di rischio di successo/fallimento della NIV presi in considerazione dalla letteratura scientifica Tabella 3. Caratteristiche generali della popolazione in studio, parametri iniziali e loro evoluzione, numero di successi, e valutazione degli outcome considerati Figura 4. Evoluzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso durante la NIV Figura 5. Evoluzione della pressione parziale di anidride carbonica nel sangue arterioso durante la NIV Figura 6. Evoluzione del ph durante la NIV Tabella 4a. Analisi descrittiva e univariata per variabili quantitative, considerando l intera popolazione in studio (n= 201). 34 Tabella 4b. Analisi descrittiva e univariata per variabili qualitative, considerando l intera popolazione in studio (n= 201) Tabella 5. Coordinate della curva ROC per la variabile APACHE II Tabella 6. Coordinate della curva ROC per la variabile ph START Figura 7. Curva ROC per la variabile APACHE II Figura 8. Curva ROC per la variabile ph START Tabella 7a. Modello di analisi multivariata ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo l APACHE II e il ph START come variabili quantitative Tabella 7b. Modello di analisi multivariata ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo l APACHE II come variabile quantitativa e il ph START dicotomizzato con cut-off Tabella 7c. Modello di analisi multivariata ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo l APACHE II dicotomizzato con cut-off 20.5 e il ph START come variabile quantitativa Tabella 7d. Modello di analisi multivariata ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo l APACHE II come variabile quantitativa e il ph START dicotomizzato con cut-off Tabella 7e. Modello di analisi multivariata ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo l APACHE II e il ph START come variabili quantitative e in più il ΔPaO2 (NIV-START) II

4 Tabella 8a. Analisi descrittiva e univariata per variabili quantitative, limitata al sottogruppo di pazienti con ph iniziale > 7.20 e 7.25 (n= 42) Tabella 8b. Analisi descrittiva e univariata per variabili qualitative, limitata al sottogruppo di pazienti con ph iniziale > 7.20 e 7.25 (n= 42) Tabella 9a. Modello di analisi multivariata limitata al sottogruppo di pazienti con ph START > 7.20 e 7.25 (n= 42), ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo il ΔpH come variabile quantitativa Tabella 9b. Modello di analisi multivariata limitata al sottogruppo di pazienti con ph START > 7.20 e 7.25 (n= 42), ottenuto considerando l outcome Failure/Success e inserendo il ΔpH come variabile qualitativa Tabella 10a. Analisi descrittiva e univariata per variabili quantitative, limitata al sottogruppo di pazienti con APACHE > 20.5 (n= 99) Tabella 10b. Analisi descrittiva e univariata per variabili qualitative, limitata al sottogruppo di pazienti con APACHE > 20.5 (n= 99) Tabella 11. Modello di analisi multivariata limitata al sottogruppo di pazienti con APACHE II > 20.5 (n= 99), ottenuto considerando l outcome Failure/Success III

5 1. LA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA NEL TRATTAMENTO DELL INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA 1.1 INTRODUZIONE E DEFINIZIONI Alla fine degli anni 80, quando si iniziò ad utilizzare la ventilazione meccanica non invasiva (Non Invasive Ventilation, NIV) nel trattamento di pazienti con insufficienza respiratoria acuta (Acute Respiratory Failure, ARF), come potenziale alternativa all intubazione oro-tracheale (Endotracheal Intubation, ETI), in pochi avrebbero pensato che, nell arco di soli 20 anni, questa tecnica sarebbe diventata un presidio terapeutico fondamentale in alcune forme di ARF [1, 2]. Le linee guida della British Thoracic Society (BTS) [3], così come quelle dell American Thoracic Society (ATS) e dell European Respiratory Society (ERS) [4], definiscono la NIV come quella particolare forma di ventilazione meccanica che fornisce un supporto ventilatorio (mediante una maschera, o un device similare), attraverso le alte vie aeree, e che quindi si distingue da quelle tecniche ventilatorie che bypassano le alte vie aeree grazie all utilizzo di un tubo endotracheale, di una maschera laringea o di una tracheostomia; tali ultime tecniche sono pertanto definite invasive. Pur essendo altamente efficace e affidabile nel supportare la ventilazione alveolare, la ventilazione meccanica invasiva (Invasive Mechanical Ventilation, IMV), o convenzionale, si accompagna ad una serie di complicazioni, distinguibili in tre principali categorie: a) conseguenze dirette del processo di intubazione o dalla IMV; b) complicanze causate dalla perdita dei meccanismi di difesa delle vie aeree; c) fenomeni che insorgono dopo la rimozione del tubo endotracheale. Fanno parte della prima categoria l inalazione di materiale gastrico, i traumi ai denti, all ipofaringe, all esofago, alla laringe e alla trachea, l ipotensione, le aritmie, e il barotrauma, derivanti dal posizionamento del tubo endotracheale; la tracheotomia è invece associata ad un elevato rischio di emorragia, infezioni dello stoma, intubazione di una falsa via, mediastinite, e danno acuto a carico della trachea e delle strutture anatomiche circostanti, inclusi l esofago e i grossi vasi. Fanno parte della seconda categoria quei fenomeni dovuti all ingresso nelle basse vie aeree di microorganismi ed altri materiali, condotti proprio dal tubo endotracheale, con conseguenti colonizzazione batterica cronica, infiammazione e danno funzionale dei meccanismi difensivi delle ciglia. Questi fattori facilitano l insorgenza di polmoniti nosocomiali, e sinusiti, soprattutto in pazienti immunocompromessi o affetti da comorbidità varie. L inalazione di materiale gastrico e l irritazione cronica rendono necessari frequenti aspirazioni endotracheali, conducendo ad una ulteriore irritazione 1

6 della mucosa delle basse vie aeree, con conseguenti infiammazione, edema e aumentata produzione di muco. Fanno parte della terza categoria la raucedine, l irritazione della gola, la tosse, la produzione di espettorato, l emottisi, l ostruzione delle vie aeree superiori causata da una disfunzione ad una o entrambe le corde vocali o da edema della laringe, la stenosi tracheale, tutti fenomeni che possono verificarsi dopo la rimozione del tubo endotracheale. Per queste ragioni, negli ultimi anni, nel tentativo di limitare queste complicazioni, l uso della NIV si fatto largo nella gestione dei pazienti con ARF e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) riacutizzata, nelle ICU, così come, più recentemente, nei reparti di degenza ordinaria. Evitando l ETI, infatti, la NIV lascia integre le alte vie aeree, preservandone i meccanismi di difesa, e consentendo al paziente di comunicare con i familiari e/o il personale sanitario, di alimentarsi, di bere, di espettorare, di ricevere farmaci per via aerosolica, etc.; oltre a ridurre notevolmente il rischio di complicanze infettive, quindi, garantisce un miglior comfort per il paziente, con una spesa economica sostanzialmente ridotta. Inoltre, come già anticipato, il grande potenziale della NIV risiede nella possibilità trattare pazienti al di fuori delle ICU, purché siano disponibili le risorse necessarie a garantire adeguati assistenza infermieristica e supporto terapeutico respiratorio, consentendo ai caregivers di utilizzare in maniera più razionale i cosiddetti acute-care beds, e semplificando oltretutto la gestione domiciliare del paziente affetto da insufficienza respiratoria cronica. E fondamentale considerare in questo contesto tre importanti caratteristiche della NIV. La prima riguarda la ventilazione stessa. Il successo di questa tecnica è basato sulla capacità della ventilazione assistita (o della ventilazione sincronizzata) di migliorare la ventilazione alveolare aumentando il volume corrente (tidal volume, Vt). Le più diffuse modalità pressometriche in ambito di ventilazione non invasiva hanno la capacità di fornire un supporto ventilatorio in maniera sincronizzata con l atto inspiratorio del paziente, cosa che determina un aumento del volume corrente e una conseguente riduzione dello sforzo effettuato dal paziente stesso [5]. La seconda caratteristica da tenere in considerazione è che si tratta nella maggior parte dei casi di una ventilazione intermittente: la NIV è solitamente somministrata per un periodo di tempo limitato nell arco delle 24 ore (dalle 6 alle 12 ore), è raramente viene utilizzata come supporto ventilatorio continuo (in questi casi ovviamente la IMV diventerebbe più adatta); di conseguenza, anche in presenza di gravi forme di ipoventilazione, i pazienti vengono gestiti senza che la loro funzione respiratoria venga completamente sostituita dalla ventilazione meccanica, 2

7 come avverrebbe in caso di anestesia o di grave compromissione del sistema nervoso centrale [6]. Il drive respiratorio di questi soggetti viene quindi preservato, e, anzi, continuamente stimolato, in modo da poter comunque sostenere periodi prolungati di attività respiratoria spontanea. Nello stesso tempo, però, il trattamento è in grado di ottenere una riduzione dello sforzo necessario. In ogni caso, quando la necessità del supporto ventilatorio diventa permanente, spesso la tolleranza alla maschera rappresenta un limite all efficacia della NIV, ed è spesso causa di fallimento [6]. La terza caratteristica distintiva della NIV è l utilizzo di una maschera (o di altro device) in alternativa al tubo endotracheale. Sebbene le maschere siano associate a specifici problemi come le perdite o una limitata tollerabilità da parte del paziente, esse hanno dimostrato di potersi sostituire all ETI in maniera efficace e vantaggiosa configurando la NIV come trattamento di prima linea in alcune forme di ARF. 1.2 INDICAZIONI ALLA NIV E UTILIZZO AL DI FUORI DEI REPARTI DI TERAPIA INTENSIVA Approfondendo i concetti introdotti nel paragrafo precedente, più di 10 anni fa, Girou e colleghi dimostrarono come, rispetto alla ETI, la NIV fosse associata a minori rischio di infezioni nosocomiali (incluse quelle del tratto urinario e quelle associate alla presenza di cateteri), uso di antibiotici, durata di ricovero in ICU, e tasso di mortalità [7]. Inoltre, come già anticipato, l ETI è meno confortevole per il paziente, ed aumenta la necessità di sedazione ed analgesia, che a loro volta sono fattori indipendenti associati ad un ritardato svezzamento [8]. Durante la NIV, la necessità di fare ricorso alla sedazione è solitamente minore rispetto a quanto avviane con la IMV; in questo modo il paziente può respirare spontaneamente, e trascorre meno tempo nei reparti di terapia intensiva (Intensive Care Units, ICUs) [9]. La NIV può essere applicata in vari disordini clinici che conducono ad ARF, ma il suo successo terapeutico, come avremo modo di spiegare ampiamente in avanti a proposito della BPCO, dipende non solo dalla diagnosi di ARF, e dalle caratteristiche del paziente, ma anche da quanto precoce è l inizio della NIV stessa [10], e dal setting nella quale è applicata [11, 12]. Analogamente a quanto è stato dimostrato a proposito dei pazienti affetti da ARF associata a BPCO riacutizzata (vedi capitolo successivo), in generale in tutte le forme di ARF nelle quali esista una indicazione all utilizzo della NIV, l aspetto più cruciale è rappresentato dall individuazione di un corretto timing: le linee guida ne raccomandano l applicazione precoce, in quanto la possibilità di un trattamento efficace viene meno se l inizio del supporto ventilatorio viene ritardato, e la patologia sottostante che ha 3

8 determinato l insorgere della ARF può evolvere rapidamente. D altra parte, la NIV può essere applicata troppo precocemente, ossia quando le condizioni cliniche del paziente non sono così gravi e non vi è necessità di supporto ventilatorio, cosicché è più probabile che il paziente stesso non tolleri la NIV, anziché giovarne [13]. Di conseguenza diviene di cruciale importanza il giudizio clinico. Nella pratica clinica spesso individua un chiaro segno clinico della necessità di applicare la NIV di fronte ad un aumento della dispnea e del lavoro respiratorio (indicato da un evidente utilizzo dei muscoli respiratori accessori). Un altro fondamentale vantaggio dell uso precoce della NIV, ossia in condizioni cliniche non critiche, sta nella possibilità, come già accennato, di essere applicata al di fuori delle ICU [12], chiaramente in reparti dotati di adeguate risorse e di personale sanitario in possesso delle necessarie competenze [12, 14]. Citando Elliott et al. [11], Staff training and experience is more important than location. Nel 2005 un lavoro italiano ha esaminato le possibili applicazioni della NIV nel trattamento dell ARF, in un setting particolare come può essere un Pronto Soccorso (Emergency Room, ER) ospedaliero [15]: su 190 pazienti trattati, 69 erano affetti da edema polmonare acuto (EPA), 37 da BPCO in fase di riacutizzazione, 11 da EPA + BPCO, 26 da polmonite, 20 da polmonite e BPCO riacutizzata, 6 da sindrome da ipoventilazione alveolare associata a obesità, i restanti da altri tipi di condizioni patologiche. La NIV è stata ben tollerata, e ha evitato l ETI nel 60.5% dei casi; il tasso di mortalità intraospedaliera è stato pari a 27.4%, la durata media di degenza in ER è stata di 6 giorni, quella di ricovero ospedaliero 15 giorni; il tasso di ETI 6.5%. I pazienti affetti da acidosi respiratoria acuta associata a BPCO in corso di riacutizzazione sono coloro che secondo la letteratura scientifica mostrano i migliori risultati quando sottoposti a NIV [1]. Affronteremo l argomento in maniera più esaustiva nel capitolo successivo. In questa sede ci basti citare un importante trial multicentrico pubblicato su Lancet più di 10 anni fa [16], nel quale Plant e collaboratori hanno osservato come nei pazienti con BPCO riacutizzata e acidosi respiratoria lieve il trattamento con NIV in reparti ordinari sia associato a tassi di mortalità e di ETI inferiori rispetto alla sola terapia medica; nei soggetti affetti invece da acidosi respiratoria moderata (ph < 7.30), tali indici non differiscono significativamente tra i due trattamenti. Gli autori concludevano quindi ipotizzando che gli individui più grave acidosi respiratoria possono andare incontro a migliori risultati quando trattati in ICU, piuttosto che in reparti ordinari di Pneumologia. Analoghe osservazioni sono state fatte da Nava e Hill nel 2009 [1]. Per quanto riguarda le altre indicazioni all utilizzo della NIV, essa (CPAP - Continous Positive Airway Pressure - inclusa) è stata e viene routinariamente applicata con successo nel trattamento dei pazienti affetti da ARF associata a edema polmonare acuto 4

9 cardiogeno (EPA). Numerose meta-analisi hanno osservato che la NIV (CPAP inclusa) è più efficace rispetto alla sola terapia medica standard nel ridurre il tasso di ETI [17-19]; le stesse meta-analisi, quando hanno confrontato la NIV con la CPAP, nel trattamento di questo tipo di soggetti, hanno messo in evidenza che i tassi di mortalità e di ETI non differiscono significativamente, sebbene alcuni autori abbiano osservato un più rapido miglioramento degli indici di dispnea, dell ossigenazione, e della PaCO 2 con la NIV rispetto alla CPAP [17-19]. Nonostante questo la CPAP rimane il trattamento ventilatorio di prima scelta nei pazienti affetti da EPA che non sono ipercapnici [20]. I grossi interventi chirurgici addominali e/o toracici spesso vengono complicati da una ARF post-chirurgica che spesso può essere fatale è [1]. Solitamente si tratta di fenomeni associati alla formazione di aree atelettasiche nel parenchima polmonare, cosa che espone i pazienti ad un aumentato rischio di sovra-infezioni e polmoniti. Alcuni trials clinici hanno mostrato come la CPAP e la NIV siano in grado di ridurre l atelettasia e prevenire le complicanze pneumoniche meglio della sola terapia medica, dopo interventi di chirurgia addominale, e migliorare gli scambi gassosi [21, 22]; inoltre l utilizzo a scopo preventivo, una settimana prima [23], o immediatamente dopo un intervento chirurgico toracico [24], cardiaco [25] o vascolare [26], può ridurre la perdita di volume polmonare e la formazione di atelettasie, semplificando il recupero funzionale. Inoltre, l uso della NIV nel trattamento della ARF precoce dopo un intervento di resezione polmonare sembra migliorare la sopravvivenza [27]. Nei pazienti immunocompromessi, l insorgenza di ARF è spesso il segnale negativo dell instaurarsi di una fase terminale della malattia sottostante, con ridotti tempi di sopravvivenza medi e spesso con associati elevati costi dovuti alla necessità di ricovero in ICU. Attualmente in alcuni centri è diventato routinario l uso della NIV (CPAP inclusa) nel trattamento di questi pazienti direttamente nei reparti ordinari di ematologia, per evitare o prevenire il trasferimento in ICU [28]. L obesità, con l ipoventilazione cronica cui è spesso associata, può condurre ad episodi di acidosi respiratoria acuta durante una riacutizzazione. In questo tipo di situazioni la NIV si è dimostrata efficace nel migliorare l ipoventilazione alveolare e nell evitare il ricorso all ETI [29, 30]. Per quanto riguarda invece i pazienti con gravi e irreversibili malattie croniche, essi spesso rappresentano un delicato problema clinico ed etico quando vanno incontro a episodi di ARF, in quanto in questi casi il ricorso all ETI e alla IMV rappresenta un presidio terapeutico quanto meno inappropriato proprio per la natura terminale della malattia. La NIV può rappresentare un utile compromesso, per la sua non invasività e per la possibilità di alleviare i sintomi ed in alcuni casi prolungare la sopravvivenza [31]. Allo stesso modo, 5

10 nei pazienti con ARF che hanno espresso la volontà di non essere sottoposti a ETI (donot-intubate), che sono stati trattati con NIV, è stato osservato un tasso di sopravvivenza a breve termine del 50% circa [32, 33]. In questi casi la variabile più importante nel determinare la sopravvivenza era la patologia sottostante: i pazienti con insufficienza cardiaca congestizia mostravano tassi di sopravvivenza migliori rispetto agli individui affetti da BPCO, polmoniti o neoplasie. Inoltre, diversi lavori hanno messo in evidenza l efficacia della NIV quando è utilizzata a scopo palliativo, per alleviare i sintomi di distress respiratorio [34-36]. In particolare la NIV, rispetto alla sola ossigenoterapia, si è mostrata più efficace nel ridurre i sintomi di fatica respiratoria, e nel limitare la necessità di morfina in questo tipo di pazienti [36]. Due studi clinici randomizzati controllati (randomized controlled trials, RCTs) hanno valutato l uso della NIV nel trattamento delle gravi forme di asma, non potenzialmente fatali, prima dello sviluppo di ARF [37, 38]. Entrambi i lavori hanno dimostrato che la possibilità di applicare la NIV debba essere presa in considerazione nel trattamento dell asma acuto che non risponda alla terapia medica, per prevenire l ARF; se però questa tecnica possa essere efficace nell ARF manifesta in pazienti con gravi forme acute di asma, è ancora oggetto di valutazione. Un ultimo sottogruppo di pazienti nei quali è stato preso in considerazione l utilizzo della NIV è costituito da quegli individui, affetti da compromissione del sistema immunitario, polmoniti, fibrosi polmonare, o diatesi emorragiche, che sono ad alto rischio di sviluppare forme acute di grave insufficienza respiratoria durante procedure di endoscopia toracica (p. es. broncoscopia a fibre ottiche); qualche anno fa, due studi clinici hanno messo in evidenza come la NIV possa migliorare gli scambi gassosi, e riduca il tasso di grave insufficienza respiratoria associata a broncoscopia, nei pazienti con ipossiemia severa [39, 40]. 6

11 2. LA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA NELL INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA ASSOCIATA A BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA RIACUTIZZATA Le riacutizzazioni della BPCO sono una causa frequente di ricovero ospedaliero, in reparti di degenza ordinaria, così come, nei casi più critici, in ICU. Secondo la letteratura scientifica il tasso di mortalità intra-ospedaliera dei pazienti affetti da insufficienza respiratoria acuta associata a BPCO riacutizzata, è compreso tra 1/5 e 1/3 [41-47]. In queste sindromi, una compromissione importante degli scambi gassosi, è accompagnata da un progressivo peggioramento delle condizioni cliniche del paziente, caratterizzate da un pattern respiratorio rapido e superficiale, dispnea severa, e nella maggior parte dei casi insufficienza cardiaca destra e sofferenza cerebrale [6, 48]. Il sottostrato fisiopatologico di questi elementi clinici è l incapacità del sistema toracepolmoni di mantenere un adeguata ventilazione alveolare, a causa di importanti alterazioni della meccanica respiratoria. La conseguenza di ciò è l insorgenza di ipercapnia, acidosi ed ipossiemia, che conducono al deterioramento delle funzioni cardiovascolare e neurologica [6]. L origine di questi fenomeni risiede probabilmente nella progressiva riduzione del tempo inspiratorio (che viene sacrificato in virtù della necessità del paziente di allungare il tempo espiratorio), che conduce sia ad una riduzione del volume corrente, sia ad un aumento della frequenza respiratoria. Poiché questo è associato (o secondario) ad un aumento del lavoro respiratorio, la terapia deve necessariamente essere finalizzata ad una riduzione del carico di lavoro a cui sono sottoposti i muscoli respiratori. Sfortunatamente la possibilità che la terapia medica da sola possa risolvere una severa insufficienza respiratoria globale è limitata. Quando, infatti, l ipoventilazione alveolare diventa così marcata da determinare la disfunzione di diversi organi e apparati, non c è altra scelta che fornire un supporto meccanico artificiale alla ventilazione, per evitare un esito fatale. Come anticipato nel capitolo precedente, l approccio tradizionale negli anni ha visto come protagonista l utilizzo dell ETI e della IMV [5], fino a circa la fine degli anni 80, quando, per le ragioni già diffusamente esaminate in precedenza, la NIV, è diventata un presidio terapeutico di prima scelta in casi selezionati [48]. A rendere strategico l utilizzo della NIV nella BPCO riacutizzata associata a ARF ipercapnica, anche le grosse difficoltà che abitualmente si incontrano nello svezzare questo tipo di pazienti dalla IMV [48-50]. I primi studi che hanno valutato l efficacia della NIV nell ARF associata a BPCO riacutizzata risalgono alla fine degli anni 80 e agli inizi degli anni 90, e hanno confrontato questa strategia terapeutica con la terapia medica standard e/o con la ETI associata a 7

12 IMV, con risultati il più delle volte contrastanti [44, 51, 52]. Va ovviamente considerato che questi primi lavori non erano randomizzati, e che pertanto le osservazioni derivate avevano significato più nell ottica di una evoluzione dei tempi che nel raggiungimento o meno di una indicazione terapeutica definita. Nel 2003 il British Medical Journal pubblica una Cochrane Review e una meta-analisi [46] che include 8 RCTs [13, 16, 42, 43, 53-56] con periodi di studio di diversa durata che avevano valutato l efficacia della NIV rispetto alla terapia medica convenzionale, ossia ossigenoterapia, antibiotici, broncodilatatori, steroidi, ed altri eventuali trattamenti come diuretici e metilxantine, nel trattamento dell ARF associata a BPCO riacutizzata. Gli outcome principali valutati sono stati: mortalità, necessità di ETI, intolleranza al trattamento (tutti indici di fallimento del trattamento stesso). Considerati complessivamente, i risultati hanno mostrato in maniera chiara come la NIV determinasse, rispetto alla terapia medica standard, un minor rischio di fallimento terapeutico; la NIV inoltre era associata ad una minore mortalità, e ad un tasso di ETI più che dimezzato: ogni 5 pazienti trattati con NIV, per uno veniva evitata l intubazione. Non è tutto: alla NIV corrispondeva un minor numero di complicazioni legate al trattamento, e una durata di ricovero inferiore, un significativo miglioramento degli scambi gassosi, in termini di PaCO 2, PaO 2 e ph, ed una altrettanto significativa riduzione della frequenza respiratoria. In uno dei citati studi [42], inoltre, gli autori hanno messo a confronto la NIV con un approccio ventilatorio di tipo invasivo, dove la IMV veniva attuata dopo il fallimento della terapia medica standard: il tasso di mortalità nel gruppo di pazienti sottoposti a IMV (30%) era comparabile a quello degli individui nei quali era stata somministrata la NIV, e che alla fine erano stati sottoposti a ETI a causa del fallimento della stessa (25%), ma, poiché il numero dei soggetti intubati era notevolmente inferiore a quello dei pazienti sottoposti a NIV, la mortalità complessiva nel gruppo NIV scendeva al di sotto del 10%. Successivamente, nel 2008, l Indian Journal of Anesthesia pubblica un lavoro condotto su una popolazione di 72 individui affetti da ARF associata a BPCO riacutizzata [57], dimostrando che la NIV, rispetto alla IMV, è associata a: a) minor durata della ventilazione meccanica (102 vs 187 ore); b) minor durata di degenza in ICU (127 vs 233 ore); ridotto tasso di ETI, rispetto alla necessità di re-intubazione dei pazienti sottoposti a IMV (16 casi vs 34); inferiore numero di casi di polmonite nosocomiale (2 vs 18). In uno degli studi più ampi in materia (n=236) [16], un RCT multicentrico che ha valutato l utilizzo della NIV nel trattamento della riacutizzazione di BPCO, in confronto con la terapia medica standard, in 13 reparti di degenza ordinaria (e non ICU, quindi), il fallimento terapeutico, definito come la necessità di ETI, risultava ridotto dal 27% al 15% 8

13 nei pazienti sottoposti a NIV; il tasso di mortalità, inoltre, scendeva dal 20% al 10%. Una ulteriore analisi mostrava che nei pazienti con ph iniziale 7.30 la NIV risultava altamente efficace nel ridurre il tasso di fallimento terapeutico, mentre negli individui con ph iniziale < 7.30 l outcome era peggiore rispetto a quanto valutato da altri lavori realizzati in ICU. Da questo studio, e da lavori che hanno fatto analoghe osservazioni, è emerso come la NIV debba essere considerata il trattamento ventilatorio di prima scelta nei pazienti affetti da BPCO e acidosi respiratoria da lieve a moderata, e possa essere agevolmente applicata al di fuori delle terapie intensive, in aree adeguatamente monitorizzate e dotate di staff sanitario in possesso delle necessarie abilità tecniche [3, 11, 12, 16, 46, 48, 58, 59]. Successivamente, nel 2002, Conti et al. [60] disegnano un trial randomizzato per confrontare in termini di efficacia la NIV con la IMV, nei pazienti affetti da BPCO in fase di riacutizzazione, nei quali la terapia medica standard e l ossigenoterapia si sono mostrate fallimentari: in entrambi i gruppi i risultati mostrano un miglioramento significativo degli scambi gassosi, associato a simili durata di ricovero, frequenza di complicazioni, mortalità in ICU, e mortalità intra-ospedaliera. La cosa interessante, però, è che in un ampio sottogruppo di soggetti sottoposti a NIV (48%) è stata evitata l ETI; inoltre, nel gruppo NIV, un numero minore di pazienti ha avuto necessità di un ulteriore ricovero nei 12 mesi successivi alla dimissione. Traendo delle deduzioni conclusive dalle osservazioni fin qui fatte, si può quindi dire che la NIV ha mostrato migliori risultati nel trattamento dei pazienti con BPCO riacutizzata affetti da ARF ipercapnica, rispetto alla sola terapia medica e alla ETI associata a IMV quando utilizzata come trattamento di seconda linea. A tal proposito, nel 2000 Brochard propone su Thorax [6] una sorta di approccio terapeutico a tappe nella gestione di questi pazienti, caratterizzato da tre interventi complementari: il primo passo vede come protagonista la terapia medica associata ad un controllo ottimale dell ossigenoterapia [61]; il secondo step prevede l utilizzo precoce della NIV al fine di prevenire un ulteriore peggioramento clinico: quanto presto questo tipo di trattamento debba essere intrapreso è argomento di dibattito da diversi anni, e la decisione, almeno dal punto di vista teorico, non dovrebbe essere basata su parametri meramente ed esclusivamente quantitativi. Il già citato lavoro di Plant e coautori [16], offrirebbe forti elementi a sostegno dell ipotesi che quanto più precoce è l inizio della NIV (non appena i pazienti sviluppano acidosi respiratoria scompensata, con ph 7.35, ed aumento della PaCO 2 ), tanto maggiori sono le possibilità di un risultato favorevole. A smentire questa teoria un lavoro piuttosto datato (1996) [13] che ha valutato un gruppo di 24 pazienti affetti da BPCO in fase di riacutizzazione e acidosi respiratoria 9

14 scompensata lieve (ph 7.33 ± 0.01, PaCO 2 45 ± 1.5 mmhg circa), di cui 10 sono stati trattati con sola terapia medica ottimale ed ossigenoterapia, e 14 (di cui 4 alla fine esclusi dall analisi per mancata compliance) sottoposti anche a NIV. Tutti i pazienti sono stai dimessi, e per nessuno di essi durante il ricovero si è resa necessaria l ETI con associata IMV; la durata di degenza è stata simile nei due gruppi; gli indici di gas exchange e di ostruzione bronchiale sono migliorati significativamente in entrambi i casi. C è da considerare che in quest ultimo lavoro la popolazione in studio è effettivamente troppo limitata, mentre lo studio di Plant rimane ancora caratterizzato da un ottimo potere statistico, anche quando confrontato con articoli più recenti. Più recentemente, Crummy e collaboratori [62] approfondiscono la questione del valore di ph iniziale da utilizzare come surrogato della precocità (ph lievemente acido) o della eventuale tardività (ph severamente scompensato) dell approccio di questi pazienti con NIV, dimostrando come nei pazienti con BPCO riacutizzata e con ph iniziale < 7.25, quando confrontati con soggetti con ph iniziale compreso tra 7.25 e 7.34, si ottengono analoghi risultati in termini di: durata della NIV, tempo impiegato per normalizzare il ph e la PaCO 2 e durata del ricovero, e tasso di fallimento della NIV. Su un piano leggermente diverso si pongono Squadrone e collaboratori [63] che, analizzando una popolazione di 64 pazienti affetti da BPCO e ARF, con ph iniziale 7.25, e sottoposti a NIV, osservano come la NIV stessa abbia, rispetto alla ETI associata a IMV, un tasso di fallimento elevato, e non determini differenze significative nel tasso di mortalità, nella durata della ventilazione meccanica, nella durata di ricovero in ICU, e di degenza post-icu. Nonostante questo, la NIV risulta associata a un minor numero di complicazioni, a un più rapido processo di svezzamento dalla ventilazione meccanica. L argomento è particolarmente spinoso, e verrà approfondito in maniera esaustiva nel successivo capitolo. Continuando su questa linea, tre lavori italiani pubblicati tra il 1993 e il 2000 [50, 64, 65] dimostrano come l outcome a lungo termine (e, quindi, non più soltanto quello riguardante il tasso di sopravvivenza nell immediato) dei pazienti trattati con NIV, è migliore rispetto agli individui trattati con terapia medica e/o ETI. In particolare Confalonieri e collaboratori nel 1996 [64] pubblicano uno studio che ha messo in evidenza come in un gruppo di soggetti affetti da ARF e BPCO in fase di riacutizzazione, coloro che venivano trattati precocemente con NIV (rispetto al trattamento convenzionale, ossia ossigeno, terapia medica standard, ed eventualmente ETI associata a IMV, se necessario) mostravano i seguenti risultati: a) miglioramento più rapido dal punto di vista emogasanalitico; b) migliori ph e frequenza respiratoria (FR) alla dimissione; c) minor tasso di ETI; d) minore durata di ricovero; e) minore numero e durata di episodi successivi di riacutizzazione nel 10

15 periodo di follow up (1 anno); f) migliore tasso di sopravvivenza nei 12 mesi successivi alla dimissione. Un analogo studio, pubblicato da Bardi e collaboratori nel 2000 [65], mostra risultati equivalenti, su pazienti con caratteristiche similari: migliore tasso di sopravvivenza a 3, 6, e 12 mesi e inferiore numero di ricoveri nel periodo di follow up a un anno nei pazienti sottoposti a NIV rispetto a quelli trattati con terapia medica convenzionale. Analoghi risultati, come abbiamo avuto modo di sottolineare, ha mostrato Conti, nel già citato lavoro pubblicato su Intensive Care Medicine nel 2002 [60]. Ritornando al discorso originario, delle tre tappe che Brochard [6] prevede nella gestione dei pazienti affetti da BPCO in fase di riacutizzazione associata ad ARF, la terza ed ultima riguarda l approccio più invasivo, e quindi l ETI e la IMV, in quei pazienti nei quali la NIV è controindicata, in quelli nei quali la NIV si è mostrata fallimentare, e in quelli, invece, nei quali c è una immediata iniziale indicazione alla IMV (Tabella 1, pag. 12). Nell ambito delle controindicazioni all applicazione della NIV, uno degli elementi più importanti è stato rappresentato negli anni dalla presenza di un alterato livello di coscienza, in quanto limite alla collaborazione del paziente e al suo adattamento alla NIV stessa. A smentire questo postulato un lavoro pubblicato su Chest nel 2005 [66], che ha mostrato come nei soggetti affetti da ARF e BPCO in fase di riacutizzazione, in presenza di lievi alterazioni dello stato di coscienza (indicati da valori di indice Kelly 3), la NIV possa essere applicata con successo; il tasso di fallimento in presenza di valori di Kelly > 3 è più elevato, anche se inferiore a quanto si potrebbe prevedere, cosicché un iniziale e cauto tentativo con un ciclo di NIV possa essere preso in considerazione anche in quest ultimo sottogruppo di pazienti. La gestione dei pazienti sottoposti a IMV è diventata decisamente meno problematica negli ultimi anni, grazie alla migliore comprensione della fase dello svezzamento [49, 50, 67], e all uso della NIV per abbreviare la durata della IMV [68-70]. Nel 2011 una interessante review ha evidenziato come l applicazione della NIV nella fase di svezzamento dalla IMV abbia mostrato benefici oggettivi nel prevenire l insorgenza di ARF post-estubazione in diverse condizioni: a) tentativo precedente di svezzamento fallimentare; b) insufficienza cardiaca cronica; c) ipercapnia successiva all estubazione; d) coesistenza di più di una comorbidità; e) APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation II) > 12; f) tosse inefficace; g) età > 65 anni; h) obesità [71]. Diversamente, quando la NIV viene utilizzata in alternativa alla re-intubazione durante la fase di svezzamento in pazienti che nei quali sia fallito un tentativo di respiro spontaneo, i risultati più evidenti sono stati osservati nella BPCO, in termini di riduzione della durata 11

16 RELATIVE ABSOLUTE Conti V. La ventilazione meccanica non invasiva nel trattamento della grave acidosi respiratoria acuta associata a BPCO riacutizzata: della ventilazione meccanica, della necessità di tracheostomia, dell incidenza di polmonite e shock settico, e della mortalità a 90 giorni [71, 72]. BTS (2002) [3] ATS/ERS ( ) [4] NAVA S. et al. (2009) [1] Facial trauma/burns Cardiac or respiratory arrest Respiratory arrest Recent facial, upper airway, or upper gastrointestinal tract surgery * Fixed obstruction of the upper airway Inability to protect airway * Life threatening hypoxaemia * Severe encephalopathy (e.g., GCS < 10 **) Severe upper gastrointestinal bleeding Hemodynamic instability or unstable cardiac arrhythmia Facial surgery, trauma, or deformity Unable to fit mask Medically unstable hypotensive shock, uncontrolled cardiac ischaemia or arrhythmia, uncontrolled copious upper gastrointestinal bleeding Agitated, uncooperative Unable to protect airway Haemodynamic instability * Upper airway obstruction Swallowing impairment Severe co-morbidity * Impaired consciousness * Confusion/agitation * Vomiting Inability to cooperate/protect the airway Inability to clear respiratory secretions High risk for aspiration Excessive secretions not managed by secretion clearance techniques Multiple (ie, two or more) organ failure Recent upper airway or upper gastrointestinal surgery Bowel obstruction * Copious respiratory secretions * Focal consolidation on chest radiograph * * NIV may be used, despite the presence of these contraindications, if it is to be the ceiling of treatment [3] ** GCS: Glasgow Coma Scale Undrained pneumothorax * Tabella 1. Controindicazioni alla NIV. Modificato da [1], [3] e [4]. Questo approccio graduale a step è ormai diventato routinario nella gestione di questa tipologia di pazienti. Ciò che negli ultimi anni ci si è chiesto con sempre maggiore frequenza è se la NIV sia una tecnica terapeutica facilmente applicabile in un reparto 12

17 ordinario (ossia non in ICU). In qualunque momento la NIV rappresenti una scelta di trattamento, è infatti necessario che alle spalle vi sia un adeguato training specifico, come sottolineato chiaramente da diversi lavori [11, 14, 16]. Questo discorso è chiaramente valido in qualunque tipologia di setting, in un reparto di emergenza (il Pronto Soccorso), così come in una ICU, o in un reparto ordinario. Di conseguenza, è essenziale un approccio specifico per massimizzare l efficacia della ventilazione, ridurre le perdite, e consentire al paziente di capire, accettare, e tollerare la ventilazione. Quanto più precocemente la NIV viene applicata, tanto più semplice sarà la realizzazione di questi principi. I pazienti più gravi richiedono infatti un monitoraggio attento e continuo, che spesso può essere garantito solo in centri altamente specializzati. Chiaramente la soluzione non è univoca. L organizzazione locale spesso dipende dalle risorse e dal numero di posti letto disponibili. Tuttavia più di dieci anni fa Brochard sosteneva con molta enfasi che, poiché la prospettiva a lungo termine dei pazienti affetti da BPCO e insufficienza respiratoria era (ed è tuttora) ancora negativa, era strategico massimizzare la NIV in termini di attuabilità, con il fine di migliorare innanzitutto la prognosi a breve termine di questi soggetti, così da poter incidere, fiduciosamente, sull outcome a lungo termine [6]. Tuttavia, a distanza di anni, sono ancora molti gli aspetti che è necessario chiarire in merito. 13

18 3. ELEMENTI PREDITTIVI DI SUCCESSO O FALLIMENTO DELLA VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA Nei capitoli precedenti abbiamo diffusamente sottolineato come a partire dalla fine degli anni 80 la NIV sia diventata un presidio terapeutico essenziale nel trattamento dell ARF e nello svezzamento dalla IMV, in selezionate categorie di pazienti, primi tra tutti coloro che sono affetti da BPCO in fase di riacutizzazione. Essa è in grado di ridurre non solo la necessità di ETI, e le complicazioni ad essa associate (lesioni delle vie aeree, polmoniti, etc.), ma anche gli inconvenienti riconducibili ai prolungati ricoveri in ICU e in generale alle lunghe degenze ospedaliere, e infine, cosa più importante, la mortalità di questi pazienti. Nonostante queste premesse, l applicazione della NIV è molto lontana dall essere associata ad un tasso di successo del 100%; la letteratura scientifica degli ultimi anni fornisce dati che parlano di tassi di fallimento oscillanti dal 5% al 50% [42, 43, 53, 54, 73-79], a seconda dell eziologia e della gravità dell ARF. Come già evidenziato precedentemente, per fallimento della NIV bisogna intendere: a) necessità di ricorrere all intubazione oro-tracheale per un mancato miglioramento degli scambi gassosi dopo poche ore di ventilazione (generalmente da 1 a 3); b) progressivo peggioramento clinico con conseguente ricorso a ETI; c) morte. A questo proposito, le già citate linee guida ATS/ERS e BTS sull utilizzo della NIV nel trattamento dell ARF, raccomandano con estrema chiarezza di non applicare la NIV come sostituto dell ETI e dalla IMV, in quei casi in cui queste ultime sono evidentemente più appropriate [3, 4]. Questo concetto ha una serie di importanti implicazioni: se da un lato la NIV è diventata negli anni un presidio terapeutico ampiamente accessibile ai reparti di degenza ordinaria, diventa cruciale avere la possibilità di identificare a priori gli individui nei quali la NIV ha elevate probabilità di fallire, in maniera tale da decidere di gestire questi pazienti in reparti attrezzati (come le ICU), dove sia rapidamente e facilmente disponibile la IMV. La mancata possibilità di fare questo tipo di previsione può condurre ad un irreparabile ritardo nella procedura di intubazione, con conseguenti peggioramento clinico, ed aumentate morbidità e mortalità [74, 76, 80]. La possibilità di individuare popolazioni a rischio elevato è quindi cruciale nel determinare SE, QUANDO e DOVE applicare la NIV. Questo tema è stato ampiamente studiato negli ultimi anni, in diversi studi mono- o multicentrici, i cui risultati sono stati talvolta contrastanti; i primi, e più diffusamente citati, fattori ritenuti in grado di prevedere l efficacia o meno della NIV, sono rappresentati dalla risposta del ph durante la prima ora di ventilazione e dalle condizioni cliniche dei pazienti 14

19 prima dell inizio della NIV [41, 73]. In particolare, già 20 anni fa, Chest pubblicava un lavoro condotto su 18 pazienti [73], di cui 13 affetti da BPCO, dimostrando come, pur nella limitata dimensione numerica della popolazione in studio, il calo della PaCO 2, e il contestuale aumento del ph nella prima ora di ventilazione, fossero associati positivamente con il successo della NIV. Non è tutto. Nel 2001 Plant e collaboratori [41] dimostravano come, se da un lato la riduzione della PaCO 2 e della frequenza respiratoria dopo 4 ore di ventilazione siano associati positivamente al successo, dall altro il ph e la PaCO 2 iniziali siano in grado di predire il fallimento del trattamento. D altra parte, è stato anche osservato che, nonostante un iniziale miglioramento negli scambi gassosi e nelle condizioni cliniche, sembra esistere un particolare sottogruppo di pazienti destinati a peggiorare e morire, o ad essere intubati, giorni dopo l applicazione della NIV. Brochard e collaboratori [43] hanno dimostrato come circa il 15% dei pazienti con ARF e BPCO riacutizzata valutati nel loro studio, trattati con NIV inizialmente con successo, necessitavano di essere sottoposti a ETI, dopo almeno 48 ore. Allo stesso modo in un ampio studio prospettico Meduri e collaboratori [81] sottolineano che in una popolazione di individui affetti da ARF da varie cause, il 28% di coloro che inizialmente rispondono alla NIV, sono destinati ad essere sottoposti ad ETI più di 48 ore dopo: il tasso di mortalità di questo particolare sottogruppo di pazienti supera il 20%. Per questo particolare fenomeno, le cui cause non attualmente ancora oggetto di studio, Moretti nel 2000 utilizza il termine late NIMV failure (NIMV: Non Invasive Mechanical Ventilation) [75]; in uno studio multicentrico ha valutato 137 pazienti affetti da ARF ipercapnica sottoposti a NIV, osservando come il 22.75% dei pazienti andava incontro, nonostante un significativo miglioramento iniziale degli scambi gassosi, ad un peggioramento clinico e ad un nuovo episodio di distress respiratorio. Questo sottogruppo di individui era caratterizzato, rispetto ai cosiddetti responders, da una frequenza cardiaca più elevata e da una pressione arteriosa media inferiore (al momento dei ricovero); inoltre avevano un minor punteggio ADL (activities of daily living, indice del grado di limitazione funzionale associata alla patologia polmonare cronica, dove un punteggio basso, 1, è associato ad una limitazione grave,ed un punteggio alto, 3, a nessuna limitazione). Non è tutto: questi pazienti avevano un maggior numero di comorbidità, soprattutto patologie cardiache e disordini metabolici (iperglicemia il più delle volte). La regressione logistica, infine, ha messo in evidenza come le sole variabili indipendenti in grado di prevedere il rischio di andare incontro al late failure fossero: a) ph iniziale; b) punteggio ADL; c) numero di comorbidità [75]. Continuando su questa linea, ossia sulla necessità di individuare dei fattori prognostici definiti, che possano aiutarci a prevedere il successo o il fallimento della NIV, 15

20 recentemente è stato pubblicato un lavoro [81] che ha esaminato 79 pazienti con BPCO in fase di riacutizzazione, sottoposti a NIV per insorgenza di ARF: il tasso di successo è stato pari a 77.2%. Il fallimento del trattamento era associato alla presenza di: a) elevati punteggio APACHE II e livelli di proteina C reattiva (PCR); b) basso Glasgow Coma Score (GCS); c) presenza di comorbidità; d) mancato miglioramento nel ph e nella PaCO 2 dopo un ora di ventilazione [82]. Apriamo una breve parentesi per chiarire il significato di alcuni termini utilizzati: lo score APACHE II è un sistema standardizzato di classificazione della gravità della malattia, che si basa sulla fisiologia per definire la criticità delle condizioni cliniche di un paziente, e il rischio di mortalità ospedaliera. Questo scoring system, descritto nel 1981 nella sua prima versione [83], era costituito da due parti: APS (Acute Physiology Score) e CHE (Chronic Health Evaluation). L APS è la somma pesata (da 1 a 4) di 34 parametri rilevati entro le prime 24 ore dall ingresso in terapia intensiva. La seconda parte è costituita da quattro categorie di dati sullo stato di salute pre-ammissione. Nel 1985 l APS fu compattato, riducendolo da 34 a 12 variabili fisiologiche, che venivano associate all età ed al precedente stato di salute; lo scoring system fu definito APACHE II. Esso consiste quindi di uno score numerico che va da 0 a 71 ed è la somma di tre componenti: 1. il punteggio assegnato alle anormalità di 12 parametri biochimico-fisiologici; 2. il punteggio relativo all età; 3. il punteggio assegnato alle patologie croniche. Un aumento del punteggio riflette un aumento della gravità della malattia ed un rischio maggiore di mortalità ospedaliera (Figura 1, pag. 18; modificato da: [83]). La Glasgow Coma Scale, nota in medicina anche come Glasgow Coma Score (GCS) è stata sviluppata dai neurochirughi Graham Teasdale e Bryan Jennet [84] per tenere traccia dell'evoluzione clinica dello stato del paziente in coma: essa si basa su tre tipi di risposta agli stimoli (oculare, verbale e motoria) e si esprime sinteticamente con un numero che è la somma delle valutazioni di ogni singola funzione (Eye, Verbal, Motor). Ad ogni tipo di stimolo viene assegnato un punteggio e la somma dei tre punteggi costituisce l'indice GCS, ossia il livello di coscienza del paziente; l'indice può andare da 3 ( ) a 15 ( ) (Tabella 2, pag. 19; modificato da: [84]). Tornando al discorso originario, i numerosi studi che sono stati condotti negli ultimi 20 anni per individuare eventuali fattori prognostici in grado di predire il successo o il fallimento della NIV, hanno fornito risultati contrastanti. Nel 2008 Agarwal e collaboratori [85] pubblicano uno studio su 63 pazienti sottoposti a NIV, con una percentuale di successo del 71.4%; le cause di insorgenza dell insufficienza respiratoria erano diverse: BPCO riacutizzata, polmonite, danno polmonare associato a sepsi, asma, sindrome da 16

21 ipoventilazione in fase di scompenso, e insufficienza successiva a procedura di estubazione. Nell analisi multivariata nessuna variabile si era dimostrata in grado di prevedere l outcome, eccetto l eziologia dell ARF, ovvero la BPCO riacutizzata era associata ad un aumentata probabilità di successo [85]. Abbiamo già sottolineato come la presenza di comorbidità, in particolare disordini di tipo metabolico, possano giocare un ruolo cruciale nel determinare il successo o il fallimento del trattamento ventilatorio [75]; per approfondire questo concetto, nel 2009 Thorax pubblica uno studio su 88 casi di BPCO riacutizzata e ARF, sottoposti a NIV con un tasso di fallimento del 18%, dimostrando che, nonostante una diagnosi preesistente di diabete mellito non fosse in grado di predire in risultato, gli individui che non avevano risposto alla NIV avevano valori di glicemia al momento del ricovero significativamente più elevati rispetto a quanto riscontrato in coloro che erano stati trattati con successo [86]. Inoltre, nell analisi multivariata le tre variabili significative in grado di prevedere l outcome erano la FR, la glicemia e il valore di APACHE II iniziali. In particolare, l associazione tra FR < 30 atti/min, glicemia < 7mmol/l e APACHE II al momento del ricovero < 16.5, prevedeva un outcome favorevole con una sicurezza del 100%. Al contrario rispetto a quanto messo in evidenza da altri lavori, il ph sembra giocare un ruolo marginale nella questione, sia quando viene inteso come valore iniziale prima dell applicazione della NIV, sia quando viene interpretato come risposta a distanza di 4 ore dall inizio del trattamento [86]. Come risulta evidente dopo questo breve excursus, non sono univoche le osservazioni di chi ha cercato di esaminare la presenza di fattori prognostici che possano prevedere l efficacia o meno della NIV. Il fatto che questi studi siano monocentrici, o includano un numero limitato di pazienti, o che, pur essendo multicentrici e/o randomizzati, siano condizionati da criteri di selezione dei pazienti non comparabili, o da setting e da procedure di trattamento non standardizzati, impedisce di generalizzarne i risultati nella pratica clinica quotidiana. Partendo da questi presupposti, Confalonieri e collaboratori [78] disegnano un ampio studio multicentrico su una popolazione di 1033 individui affetti da BPCO in fase di riacutizzazione e acidosi respiratoria, con l obiettivo di costruire una carta del rischio di fallimento della NIV, che possa essere routinariamente applicata nella gestione di questo tipo di pazienti. La finalità è quella di creare un modello caratterizzato da accuratezza e generalizzabilità, rappresentando la prima il livello di vicinanza della previsione al risultato effettivo, e la seconda la capacità di un modello di fornire previsioni accurate in differenti popolazioni. Queste due caratteristiche sono le componenti essenziali di un modello prognostico che voglia efficacemente migliorare la gestione clinica dei pazienti. 17

22 Figura 1. Il sistema APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation II) per classificare la gravità di malattia, e il rischio di mortalità ospedaliera. Modificato da: [83]. 18

23 GLASGOW COMA SCALE PUNTEGGIO Nessuna 1 Best eye response Best verbal response Su stimolo doloroso 2 Su stimolo verbale 3 Spontanea 4 Nessuna risposta verbale, nessun suono (o paziente intubato) Suoni incomprensibili 2 Parla e pronuncia parole, ma incoerenti 3 1 Confusione, frasi sconnesse 4 Risposta orientata e appropriata 5 Nessuna 1 Risposta in estensione a stimolo doloroso 2 Best motor response Risposta in flessione anomale allo stimolo doloroso 3 Retrazione di difesa coordinata 4 Localizza lo stimolo 5 Su richiesta 6 Tabella 2. La Glasgow Coma Scale. Modificato da: [84]. Attraverso un analisi multivariata gli autori individuano una serie di variabili in grado di aumentare significativamente la probabilità di fallimento della NIV, ossia: a) APACHE II 29; b) GCS compreso tra 12 e 14 oppure 11; c) FR compresa tra 30 e 34 oppure 35 atti/min; d) ph < Tali variabili risultano significative sia quando valutate prima di applicare la NIV, sia quando considerate dopo due ore di trattamento [78]. Dall associazione di questi parametri sono quindi state costruite le due carte del rischio mostrate nella figura 2 (pag. 21; modificato da: [78]), poi successivamente validate su un campione di 145 pazienti, con risultati incoraggianti: non sono state evidenziate differenze significative tra i fallimenti attesi e quelli effettivi [78]. Un altro aspetto essenziale da considerare nella valutazione del rapporto costo/beneficio nella gestione di un paziente con ARF e BPCO riacutizzata, è senz altro la sua età, e questo non tanto e non solo perché gli individui più anziani potrebbero rappresentare una categoria a rischio di fallimento della NIV, ma soprattutto perché l aumentata aspettativa di vita nella popolazione generale, e nei pazienti con BPCO in particolare (grazie all ossigenoterapia a lungo termine), ha reso più comune il riscontro di pazienti molto 19

24 anziani affetti da ARF; in questi soggetti spesso l età stessa finisce per essere una controindicazione all ETI, lasciando la NIV come unica opzione terapeutica disponibile [87]. Già nel 1992 il tema era dibattuto: in quell anno Chest [88] pubblicava un lavoro condotto su 30 soggetti affetti da ARF, età 76 ± 8.1 anni, di cui 20 affetti da BPCO, non sottoposti inizialmente a ETI o per l età stessa dei pazienti (n=17), o perché si era scelto di adottare prima un approccio meno invasivo (n=13). I risultati avevano mostrato, nel sottogruppo di pazienti affetti da BPCO, un tasso di successo del 65%, di fronte al quale gli autori suggerivano la NIV come una possibile alternativa nel trattamento della ARF, soprattutto in quelle situazioni limite in cui l ETI è un opzione terapeutica controversa, o non immediatamente indicata [88]. A distanza di circa 10 anni un importante studio multicentrico smentiva queste osservazioni, sostenendo, attraverso un analisi multivariata condotta su 354 pazienti, che, tra le altre variabili, l età > 40 anni rappresenta un fattore di rischio indipendente di fallimento della NIV [89]. Qualche anno più tardi Balami e collaboratori [90] valutavano un gruppo di 36 pazienti di età compresa tra 65 e 94 anni, affetti da BPCO riacutizzata e ARF, sottoposti a NIV, nei quali osservavano un tasso di successo del 79%, con significativi miglioramenti del ph, della PaCO 2, e della FR. Ad analoghe conclusioni giungono Connolly prima [91], e Rozzini, poi [92]. Quest ultimo, in particolare, in 174 soggetti, di cui 127 affetti da BPCO, ottenevano tassi di successo vicini all 80%, con significativi riduzione della PaCO 2 e aumento del ph dopo 4 ore di ventilazione [92]. Nonostante questo, ciò che probabilmente più di altro merita di essere preso in considerazione quando si affronta in discorso dell efficacia della NIV nelle fasce di età più avanzate, è il dato sulla mortalità. Proprio da questo punto proviene quella che forse è la maggior evidenza a sostegno dell utilizzo della NIV anche nei soggetti molto anziani: nell applicazione della NIV nel trattamento della BPCO in fase di riacutizzazione, la mortalità in questa categoria è poco o per nulla più elevata rispetto pazienti più giovani di 10 anni [91]. E importante evitare quindi un rischio ventilato e temuto già da Ram e colleghi in una Cochrane Review del 2004 [93], ossia quello di escludere un paziente anziano con ARF e BPCO riacutizzata dalla possibilità di essere sottoposto a NIV perché he won t tolerate it, there aren t enough (NIV) machines available, o there s no evidence base. 20

25 Figura 2. Carte del rischio di fallimento della NIV nel trattamento dell ARF associata a BPCO riacutizzata. Tali carte sono costruite in base ai valori di ph, APACHE II (Acute Physiology and Chronic Health Evaluation II), GCS (Glasgow Coma Scale) e RR (Respiratory Rate, Frequenza Respiratoria) al momento del ricovero e dopo 2 ore di NIV. Modificato da: [78]. 21

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