2. Eppur si muove Quartieri, servizi e comunità a Bologna

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1 Eppur si muove Quartieri, servizi e comunità a Bologna Il trentennale di Iress Bologna: un occasione per parlare di welfare (a cura di Flavia Franzoni, Comitato scientifico Iress) Indice del documento 1. Premessa 2. Eppur si muove Quartieri, servizi e comunità a Bologna 2.1 Per un welfare municipale e comunitario (dalla relazione di Flavia Franzoni) 2.2. La parola comunità (dalla relazione di Graziella Giovannini) 2.3. I partecipanti al seminario: esperienze e protagonisti 2.4. I confini delle comunità 2.5. Dalla partecipazione alla comunità 2.6. I luoghi della comunità 2.7. Adolescenti e giovani nella comunità 2.8. Par tot: visibilità e festa 2.9. Conoscenza, coordinamento e governance Comunità virtuali 2.11 Costruire la comunità 2.12 Una risorsa per la politica? 2.13 Lo sviluppo del dibattito in un approccio interdisciplinare 3. L Iress continua la riflessione 1. Premessa L Iress ha aperto il programma di celebrazione del proprio trentennale con un convegno titolato Il welfare al futuro. Servizi sociali e territorio tra appropriatezza e sostenibilità. Due seminari di approfondimento successivi hanno ulteriormente sviluppato alcuni temi individuati dal convegno come rilevanti per la salvezza stessa del welfare, perché capaci di innovare senza distruggere la ricchezza del patrimonio di esperienze accumulato: il fermento delle libere espressioni delle comunità e un nuovo protagonismo di imprese profit responsabili. Facendo riferimento ai vari tentativi di ampliare la platea dei soggetti erogatori di servizi e interventi, siano essi appartenenti al variegato mondo non profit o a nuove forme di welfare aziendale delle imprese profit, si parla forse troppo di nuovo welfare o secondo welfare. La preoccupazione è che la parola nuovo legittimi una linea di fuga verso un welfare residuale ( compassionevole, come lo chiamava Ronald Reagan), la speranza è che richiami invece una valorizzazione delle responsabilità diffuse nel territorio, siano esse le relazioni di prossimità attivate anche dai soggetti del non profit (richiamate anche dalla parola welfare comunitario ), siano esse le responsabilità sociali dei soggetti economici. IRESS Soc. Coop. Via Oberdan, Bologna

2 Negli ultimi tempi tuttavia si sente forse troppo spesso parlare di welfare comunitario (che indica un welfare in cui le risorse pubbliche, cioè i servizi gestiti direttamente o indirettamente dal pubblico si integrano con risorse comunitarie o di responsabilità sociale di impresa) da chi cerca scorciatoie di fronte alla scarsità di risorse, per trovare risorse alternative alle risorse pubbliche, per rammendare gli strappi che derivano dai tagli della spesa sociale. L obiettivo dei seminari è stato invece quello di ricomporre in una visione complessiva le diverse risorse su cui potrebbe contare un rinnovato sistema di welfare, senza tradire gli obiettivi di equità e di inclusione sociale a cui sempre hanno mirato le politiche dei nostri territori. Una idea in qualche modo già fatta propria dalla programmazione zonale Piani per la salute e per il benessere della Regione Emilia-Romagna, che vengono introdotti dai cosiddetti profili di comunità con cui si tenta di censire proprio queste risorse altre, proponendo cioè sinergie e collaborazioni a tutto campo, dalle aziende profit, a quelle non profit, dall associazionismo ai gruppi di auto aiuto, all urbanistica, ai trasporti, alla cultura, ecc. La motivazione di fondo sta nell idea che i problemi di povertà e di esclusione così come le difficoltà che tutti i cittadini incontrano nell organizzazione della vita quotidiana devono poter contare sull intero sistema socio-economico entro cui tali problemi si generano. I seminari non hanno perciò ragionato soltanto nella prospettiva del risparmio anche se inevitabilmente traghettare il sistema di welfare, un buon sistema di welfare come il nostro, attraverso la crisi richiederà compromessi. In Emilia-Romagna il settore sociale è un cantiere aperto, in cui sono in corso una molteplicità di revisioni : si cerca di rispondere i mutamenti quantitativi (pensiamo alle crescenti domande di nido) e qualitativi della domanda (pensiamo alla necessità di trasformare l assistenza domiciliare agli anziani tenendo conto della presenza delle badanti). Si sta tentando una spending review per contenere i costi e sperimentare una nuova governance. È in corso una sorta di travaglio istituzionale che va a prefigurare, attraverso la realizzazione di alcuni istituti e modelli organizzativi previsti dalla legge n. 328/2000, una nuova governance (asp, accreditamento, piani di zona, sportelli sociali, etc). I nuovi protagonisti entrano perciò in questo quadro in evoluzione continua. Il passaggio è perciò delicato se, pur realizzando i cambiamenti necessari, non si vogliono tradire, i fondamenti del nostro sistema. Come garanzia dobbiamo definire l idea di sussidiarietà a cui far riferimento. Una idea di sussidiarietà che, rifacendosi ad una osservazione contenuta già nelle elaborazioni degli anni 90 che portarono nel 1997 al Patto per la solidarietà tra Governo e Terzo Settore) finisce per chiedere un ruolo anche più forte alla parte pubblica, un grande ruolo di promozione di responsabilità diffuse, un ruolo che però non è facile mantenere se gli Enti Locali non trattengono per sé anche un po di gestione la dove questo porta integrazione sociale e rapporti positivi tra cittadini e istituzioni. 2

3 2. Eppur si muove Quartieri, servizi e comunità a Bologna Nel primo seminario l Iress ha voluto approfondire il ruolo che la comunità gioca nella costruzione del benessere della città, divenendo risorsa per quel welfare municipale e comunitario che è andato via via costruendosi nei nostri territori. Il titolo Eppur si muove Quartieri, servizi e comunità a Bologna ha voluto ribadire la convinzione che nei quartieri di Bologna (la città bloccata, secondo la definizione di molti osservatori delle istituzioni e della politica) vivano organizzazioni e gruppi informali capaci di creare legami comunitari. Una realtà frammentata, ma che può diventare risorsa importante per far fronte ai problemi sociali del nostro territorio. Il seminario si è posto alcuni interrogativi: Quali caratteristiche hanno le organizzazioni e i gruppi che intervengono nella comunità? La comunità è qualche cosa di originario o può essere costruita? La governance pubblica può riprendere le fila di questi fermenti o si deve lasciare allo spontaneismo il loro sviluppo? Che significati attribuire al lavoro di comunità come strumento dell intervento sociale? Che significato ha oggi la comunità per le giovani generazioni, in considerazione del loro nomadismo? Come tener conto delle modalità virtuali di comunicazione e di relazione nella costruzione della comunità Quali i soggetti e le professionalità che costruiscono la comunità? Le esperienze di comunità cosa chiedono cosa si aspettano o cosa pensano di poter portare al governo della città nel suo insieme e alla politica nel suo complesso? Due brevi riflessioni introduttive hanno cercato di proporre un linguaggio comune tra i partecipanti, approfondendo il significato di due espressioni. Flavia Franzoni ha illustrato l espressione welfare municipale e comunitario che indica la cornice entro cui l Iress si è da sempre occupata di lavoro di comunità come sostegno all intera rete dei servizi socio-sanitari ed educativi. Graziella Giovannini ha proposto un approfondimento specifico sui significati mutanti della parola comunità non solo come risorsa per il benessere dei cittadini, ma anche come elemento costitutivo della stessa convivenza. I primi interventi hanno illustrato alcune esperienze, capaci di stimolare il dibattito sulle tematiche indicate dalle domande. Sono intervenuti operatori del comune di Bologna impegnati nei territori di diversi quartieri soprattutto nei programmi destinati agli adolescenti e ai giovani, alcuni animatori delle iniziative promosse dal complesso mondo dell associazionismo, soprattutto da associazioni che si occupano di partecipazione e di cultura. Infine è stata data voce anche alla politica, ad un amministratore di quartiere. Alla voce degli invitati a parlare si sono aggiunti interventi degli altri partecipanti, che hanno consentito di allargare l osservazione ad altre esperienze e di arricchire le interazioni disciplinari con cui si può leggere più in generale la vita delle nostre comunità. 3

4 Il confronto è stato guidato da Graziella Giovannini. 2.1 Per un welfare municipale e comunitario (dalla relazione di Flavia Franzoni) Le parole welfare municipale e comunitario sono spesso utilizzate per descrivere il modello di welfare introdotto dalla legge n. 328/2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tale legge, che recepiva tante sperimentazioni portate avanti da diverse regioni, e certamente stata depotenziata dalla riforma del titolo V della Costituzione (L.n.3/2001), che ha riconosciuto alle regioni competenza esclusiva in materia, ma i suoi contenuti sono stati fatti propri da successive leggi regionali, in particolare dalla legge 2/2003 della Regione Emilia Romagna. E comunque rimane una sorta di manifesto culturale sulle politiche sociali per tutti gli operatori sociali e gli studiosi che si occupano del tema. L Iress, attraverso le proprie attività di ricerca, ha seguito il farsi di questo modello di welfare fin dalle prime anticipazioni sperimentate da alcune regioni (in primo luogo l Emilia Romagna) e conseguenti alla spinta innovativa derivata anche dalla legge n. 833/ 78 Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che consenti il decentramento e quindi la territorializzazione dei servizi sanitari gestiti dalle USL (oggi ASL). La definizione di welfare municipale e comunitario compare nel Patto di solidarietà che il Governo aveva siglato con il Forum del terzo settore nel La parola municipale richiama il fatto che i servizi sociali sono erogati dalla parte pubblica, in questo caso le amministrazioni locali (o per conto del pubblico dal terzo settore); e che e il pubblico è il garante dei diritti di cittadinanza. E indica anche che l istituzione pubblica più vicina al cittadino (il comune) meglio interpreta i suoi bisogni e individua le risposte corrette ad essi. E il principio della sussidiarietà verticale. La parola comunitario non richiama soltanto il fatto che la gestione dei servizi può essere affidata al non profit (e allora basta parlare di welfare mix), ma che i servizi da soli non riescono più a rispondere ai bisogni molteplici e complessi delle persone. I servizi, per essere efficaci, devono poter contare anche su altri aiuti. Devono potersi calare in un contesto di relazioni solidali, più o meno formalizzate, tra persone, dalle relazioni di vicinato a quelle create da associazioni culturali o sportive, a quelle create dalle parrocchie. Un esempio: poco efficace sarebbe la scelta di mantenere nella propria casa una persona che soffre di disturbi mentali, anche aiutandolo con servizi domiciliari o con una borsa lavoro o con qualche ora di centro diurno, se intorno nalla famiglia che si prende sulle spalle questo impegno non c è il sostegno dei vicini di casa, se i negozianti che conoscono il suo problema non sanno rapportarsi con lui, se la polisportiva di quartiere non gli offre qualche occasione di fare un po di movimento, se la parrocchia non lo accoglie in qualche iniziativa o non da con i suoi volontari qualche ora di sollievo alla famiglia. E così per l inserimento scolastico di un bimbo disabile, che resta irrisolto se le 4

5 famiglie degli altri bimbi non sono coinvolte, non lo invitano a casa a giocare con i propri figli. Se non c è intorno a queste persone in difficoltà una comunità comptente un termine nato proprio nei servizi psichiatrici, ma ben adattabile a tutti i casi in cui le persone e i gruppi devono ristabilire legami sociali. Una comunità competente è quindi una risorsa per le politiche sociali che perciò diventano sempre più complesse, perché devono comporre insieme una pluralità di azioni, alcune che offrono servizi, altre che stimolano e fanno manutenzione di questi legami comunitari. Lo stesso Terzo settore, oltre a produrre servizi, è più di altri capace di creare questi legami comunitari. Un esempio dei tanti raccolti dall osservatorio dell Iress: la cooperativa Piccola carovana, una piccola iniziativa appunto che tuttavia non soltanto produce come da statuto inserimento lavorativo di disabili mentali, ma anche legami tra tutte le persone del paese che danno una mano. E produce anche una diversa immagine pubblica della malattia mentale. E importante che una comunità abbia in se le conoscenze, le risorse, il potenziale organizzativo, le leadership e gli obiettivi politici per realizzare un cambiamento, anche nella percezione di un fenomeno come la malattia mentale. Analoghi esempi potrebbero essere fatti per il tema dell immigrazione. Tutto questo è più facile in un piccolo paese (la Piccola Carovana è a Crevalcore/Bo) dove ci si incontra ogni giorno, spesso nella piazza; più difficile nelle città grandi e nelle loro periferie. I legami comunitari cioè non sono dati in natura soprattutto nella società contemporanea. È questo il tema che ha proposto all attenzione dell Iress Paola De Nicola nella giornata del convegno del trentennale Welfare al futuro. Il centro del suo intervento sono stati i tanto mitizzati legami di prossimità, e in specifico alcuni dati di una ricerca svolta a Verona da cui emerge come più di un terzo della popolazione intervistata affermi che in caso di bisogno (di sostegno emotivo, di aiuti per i figli, di prestiti di oggetti e soldi, etc..), non può contare su nessuno (a parte i parenti) e che in realtà i vicini di casa costituiscono un legame debole. Allora alla politica sociale spetta promuovere e fare manutenzione dei legami comunitari Aiuta a capire il testo del sociologo A. Bagnasco Tracce di comunità che individua la comunità con tre parole: fiducia, reciprocità e identità (a cui alcuni preferiscono il termine di appartenenza). Fare lavoro di comunità vuol dire rafforzare questi tre elementi. Ecco perché il seminario si e proposto di osservare come le iniziative presentate avvicinino le persone creando tra loro rapporti di fiducia, promuovano collaborazioni e gruppi di auto-aiuto, facciano sentire le persone parte di un territorio. Inoltre il seminario si e proposto di rintracciare valori, luoghi e tempi che rendono possibile la creazione di legami comunitari. Un breve accenno al tema dei valori. In generale si può osservare che la costruzione di un welfare municipale e comunitario richiede politiche complesse, capaci anche di amalgamare ispirazioni ideali diverse, ma 5

6 alla fine complementari: la scelta, di ispirazione socialdemocratica, del tutto pubblico o almeno del ruolo centrale del pubblico, che ha accelerato lo sviluppo del sistema dei servizi di welfare nella nostra regione si e accompagnata con una collaborazione crescente con il terzo settore (certamente facilitata dal ruolo che in questo territorio ha avuto il movimento cooperativo), fino ad assumere tutti la generale consapevolezza che nessun sistema di servizi tiene se non interagisce con legami comunitari di reciprocità e di dono. Cosi nasce l intreccio con l ispirazione culturale del pensiero cattolico democratico o cristiano sociale che ha le sue radici lontane anche nel pensiero di Emmanuel Mounier. Il suo libro Rivoluzione personalistica e comunitaria e facilmente rintracciabile nelle vecchie biblioteche delle Scuole di Servizio Sociale fondate negli anni cinquanta. E veniamo al tema dei luoghi. La comunità ha bisogno di luoghi in cui incontrarsi: piazze, ma anche semplicemente cortili con panchine, strade illuminate che consentano agli anziani di sentirsi sicuri ad uscire di casa, etc Epoi luoghi piacevoli: Loris Malaguzzi, il pedagogista che ha progettato le scuole dell infanzia di Reggio Emilia diceva la scuola bella (intesa come edificio) è un maestro in piu. Anche la città bella, ben tenuta,insegna qualche cosa della vita collettiva. Perciò ci vuole sinergia tra politica urbanistica e politica sociale. Poi c è il problema del tempo disponibile per la vita comunitaria. Il soffocamento dei tempi di vita, l invasività del tempo del lavoro, la mancanza di azioni di conciliazione tra tmpi di vita e di lavoro non limitano solo lavita famigliare, ma anche la vita comunitaria. Se ripercorriamo la legislazione sociale della nostra regione possiamo individuare strategie di sviluppo di comunità, a partire dalla legge 5/1994 Tutela e valorizzazione delle persone anziane - interventi a favore di anziani non autosufficienti : la legge parlava di inserimento sociale degli anziani ancora attivi, di centri sociali per il tempo libero, di università della terza età, di cultura per tutti, di turismo sociale, etc Per arrivare a tempi più recenti si può analizzare la legge regionale n.14/2008 Norme in materia di politiche per le giovani generazioni che si propone di sostenere diverse forme di aggregazione giovanile, di promozione culturale, di partecipazione alla vita civile e sociale. Viene in proposito da richiamare tutta l esperienza della legge 285/1997 Disposizioni per la promozione di diritti ed opportunità per l infanzia e l adolescenza, che ha consentito il moltiplicarsi di progetti per la socializzazione delle generazioni più giovani.. Anche le leggi che regolano l organizzazione e i modelli pedagogici dei nidi si preoccupano di valorizzare i legami tra i genitori e le possibili conseguenti iniziative di auto aiuto. Il privato non profit è anch esso un generatore di legami sociali. La legge n.14 mette in rete e si impegna a sostenere anche gli oratori. Un esempio interessante è quello di Estate ragazzi (anche se non riceve sostegni economici), un progetto che coinvolge numerose parrocchie bolognesi che organizzano attività per il tempo libero dei ragazzi soprattutto in età di scuola elementare. Tali attività occupano molte ore al giorno (dalle 9 alle 14 o oltre) e offrono e si svolgono nel periodo successivo all inizio delle vacanze estive e prima che inizino le iniziative estive organizzate dai Comuni. Per questo sono anche un po viste come una sorta di supplenza 6

7 rispetto alle attività estive organizzate dall ente pubblico. Anche queste attività, ed e questo l spetto rilevante per i contenuti del seminario, attivano incontri non soltanto tra ragazzi e tra i tanti volontari che vengono coinvolti, ma anche tra genitori, incontri che possona anche trasformarsi in maggiori disponibilita ad aiutarsi e a collaborare per iniziative comuni. Questa fertilizzazione della comunità richiede ruoli attivi di volontari ed operatori, innanzi tutto per essere conosciuta, valorizzata e messa in rete, ma anche per essere stimolata. In questo senso si parla di lavoro di comunità Il lavoro di comunità ha sempre fatto parte della metodologia del Servizio Sociale. Oggi vede impegnati tanti educatori. E un modo di lavorare che considera la comunità come risorsa. Per indagare ulteriormente il significato dell espressione welfare municipale si deve fare un piccolo approfondimento anche sulla esperienza dei quartieri, come disarticolazione delle municipalità, anche perché nelle città le competenze in materia di servizi sociali sono delegate ai quartieri/circoscrizioni. Quest anno è stato ripubblicato il Libro bianco su Bologna (ed Diabasis) di Giuseppe Dossetti. Nato come manifesto elettorale di una parte politica (che per altro perse le elezioni), divenne guida per la convergenza di intenti di tutte le forze politiche impegnate nel costruire una città nuova ed unita. La proposta di quartieri organici per avvicinare l istituzione locale ai cittadini fu un modo di rispondere alla crescita accelerata della città (l inurbazione conseguente all industrializzazione andava creando in periferie-dormitori), le cui varie parti rischiavano di essere molto disomogenee tra loro. Per questo la divisione in quartieri aveva l obiettivo soltanto apparentemente contraddittorio di tener unita la citta, rendendola omogenea perché si avvicinavano i servizi ai cittadini e si ricreavano comunità coese, uno sviluppo comunitario locale. C era l idea che i cittadini potessero partecipare alla costruzione della propria città intorno al proprio centro civico. In questo progetto importante fu il ruolo degli urbanisti, che si occuparono della geografia della città e della regia della trasformazione urbana. Un ulteriore campo in cui Bologna è stata anticipatrice. I quartieri hanno vissuto fasi diverse, sviluppando in primo luogo la razionalizzazione amministrativa con il decentramento di alcuni uffici e l organizzazione decentrata dei servizi (nidi, scuole materne, servizi per gli anziani, etc.), ma anche processi di partecipazione democratica. Nel tempo sono poi cambiati i confini (i quartieri sono diventati meno e più grandi), le competenze e quindi le capacità decisionali, così come le modalità di coinvolgimento della popolazione. In questi ultimi periodi è stata avviata una ulteriore trasformazione dell assetto delle competenze e dei modelli organizzativi, che ha riguardato in particolare i servizi sociali: l istituzione delle Asp (Aziende per i servizi alla persona), la realizzazione di uno Sportello sociale unico per ogni quartiere, un ulteriore decentramento delle competenze riguardante in particolare i servizi per i minori e per il disagio adulto. Con tanti problemi, alcuni dei quali son rilevanti anche per le tematiche affrontate nel seminario. 7

8 L ulteriore decentramento delle competenze relative ai servizi sembrava coerente con la preoccupazione di portare i servizi più vicino al cittadino, per farli meglio interagire con la comunità in cui le persone sono inserite. Questo modello era già tempo ben consolidato per i servizi anziani, per i nidi, per il educativa territoriale (e ben lo sanno gli operatori presenti al seminario che lavorano nei quartieri da anni con i ragazzi). I servizi di quartiere e soprattutto lo sportello sociale non sembrano invece adatti a cogliere la sfuggente domanda del disagio adulto e in particolare quella dei senza dimora, o per le emergenze di una infanzia troppo problematica che richiede servizi di secondo livello e interventi immediati Insomma i problemi sono diversi da settore a settore una ulteriore complessità anche per i futuri municipi (come si dirà successivamente infatti e in programma un ulteriore accorpamento di quartieri) La parola comunità (dalla relazione di Graziella Giovannini) La parola comunità circola tantissimo, è sempre pronunciata con grande enfasi. Non va analizzata soltanto in relazione alla costruzione del welfare municipale e comunitario, ma più in generale in relazione alla costruzione della nostra convivenza. Per meglio capire il significato del termine, dobbiamo ricordare che è stato abbandonato per lunghi anni e poi è tornato di moda. Avevamo relegato la parola comunità nel terreno del pre-moderno, in luoghi piccoli in cui le relazioni erano di tipo vincolato e obbligatorio, nello spazio identificato da persone che si conoscevano, che sviluppavano rapporti sostanzialmente face-to-face. E stata sostituita nella modernità dalla grande enfasi data ai rapporti societari, all idea di società, in cui sono importanti innanzitutto le autonomie e la libertà. Oggi la riprendiamo come connessa alla trasformazione dei servizi sociali e all esigenza di trovare risorse per il benessere delle persone. Ma la parola comunità va analizzata più generalmente come luogo della costruzione dei legami sociali per la convivenza, ha a che fare con la cittadinanza, non è relegata al terreno delle politiche sociali. La riprendiamo perché la nostra società ha bisogno di ridare peso e significato alle relazioni che rendono possibile la condivisione, l inclusione sociale e la realizzazione del bene comune. La parola comunità è passata però attraverso tre grandi bagni rispetto all epoca in cui essa definiva il modo del vivere quotidiano dei piccoli territori: * l affermazione della libertà come autonomia individuale. La comunità cioè non può essere un vincolo deterministico, non può sovrastare e opprimere, non può ostacolare l autonomia delle persone. * l apertura della società che è diventata fortemente plurale. Nella contemporaneità il pluralismo investe tanti aspetti culturali, religiosi, etc, legati all immigrazione, alla 8

9 globalizzazione delle comunicazioni, ai diversi livelli di appartenenza definiti dall organizzazione sociale (il comune, la nazione, l Europa, il mondo intero) e diventati significativi nella vita di tutti. * la trasformazione delle strategie e dei linguaggi della comunicazione. L idea di comunità non può non affrontare il nodo delle relazioni virtuali, delle tecnologie comunicative che rendono possibile le comunicazioni a distanza, che si nutrono della distanza. Parlare di comunità non deve implicare una nostalgia del tempo passato perché è cambiata la società, è cambiata l antropologia personale, è cambiata la realtà. Parlare di comunità però continua a rispondere all esigenza di ritrovare radici, di costruire legami e valori condivisi. Ma ciò non può essere una pura ricostruzione del passato. Nel seminario sono presentate esperienze differenziate, che corrispondono tutte a un bisogno di costruire legami. Non buone pratiche, ma esperienze diverse. L obiettivo è quello di rivisitare l idea di comunità, di capire di quale comunità oggi si ha bisogno, anche nel welfare municipale e comunitario. Parlare di comunità implica di continuare a girare intorno al concetto di prossimità, una prossimità che non è data, che può essere prodotta e nello stesso tempo basata su una vicinanza che non è detto che sia fisica. Si tratta di forme plurali, di relazioni quotidiane su un territorio che si costruiscono intorno alle frequentazioni di un giardino, di una scuola. La comunità si nutre della frequentazione quotidiana delle persone, di ripetizione di eventi. Ma abbiamo anche una comunità che nasce per via amministrativa: il quartiere ad esempio. Il decentramento mira a rendere le istituzioni prossime alle persone che abitano quel territorio. Oggi, inoltre, possiamo ritrovare lo spirito comunitario dentro il proliferare delle associazioni che sono in sostanza esperienze di costruzione di legami sociali tra le persone. Comunità di persone unite tra di loro da pratiche e stili di vita, ma che non necessariamente sono face-to-face. Si possono costruire su internet, ma anche attraverso l appartenenza allo stesso ambito di consumi o a un comune gradimento di un genere musicale. Una forma nuova di face-to-face. Questa separazione tra i diversi tipi di comunità è tuttavia solo analitica, le varie forme si mescolano, le associazioni che nascono sul territorio si nutrono di tecnologie, di blog, poi hanno bisogno di pratiche amministrative. Formale e informale si mescolano, l importante è come integrare i due aspetti. Si mescolano il piacere di stare insieme e il ruolo delle istituzioni. Al seminario partecipano persone che a Bologna sperimentano strategie di comunità: operatori dei servizi, gruppi di volontariato e parrocchie, associazioni culturali, etc.. categorie utilizzate dal welfare. Sullo sfondo due questioni: -La prima. La comunità tradizionale sussisteva in uno spazio fisico limitato. Nel nuovo ambiente che peso ha ancora il territorio fisico? E la prossimità spaziale? Nella crescita delle nuove generazioni ha un posto tutto questo? O dobbiamo seguire i giovani nel loro nomadismo? Cassano, un sociologo che ha scritto un libro su La 9

10 ragionevole follia dei beni comuni, sostiene che è difficile avere cura di qualche cosa di comune senza una qualche forma di amor loci, se non si hanno riferimenti a quella piazza, a quel campanile. E così che nasce il senso del rispetto dell altro. -La seconda. Quale legame c è tra la comunità e la polis nel suo complesso? Con quella cittadinanza che non è soltanto cittadinanza locale legata al territorio? Come si può passare dalla prossimità pur allargata e dal legame con un numero limitato di persone ai legami di tipo universale? Ma anche a un impegno nel confronto della polis nel suo complesso. Possono cioè queste relazioni comunitarie essere supporto alla politica? Un fermento che diventa fondamento di una nuova politica? Questa vitalità delle varie forme di comunità sono canali per una nuova politica? 2.3. I partecipanti al seminario: esperienze e protagonisti Il seminario prevedeva la presentazione di alcune esperienze utili ad esemplificare alcuni dei temi proposti dalle riflessioni introduttive. Gli interventi hanno perciò preso le mosse dalle esperienze di ciascuno degli invitati. Luca Lambertini ha illustrato le attività di Borgomondo ( una associazione di promozione sociale (APS) radicata soprattutto al Quartiere Borgo Panigale (come richiama il nome) che è nata intorno a tematiche terzomondiali, ha promosso un GAS (Gruppo di Acquisto Salidale) e promuove, in collaborazione anche con altre associazioni cittadine, una molteplicità di attività di lavoro di comunità che rianimano i luoghi del territorio e offrono occasione formative ai ragazzi e agli adulti. Anche l Associazione di promozione sociale Oltre ( come ha spiegato Lydia Buchner, ha come obiettivo l animazione urbana e intende promuovere la reatività, cioè la cultura e l arte come scintilla per multiformi occasioni di socialità e formazione. Stefano Reyes ha descritto l avvio di una esperienza abbastanza nuova come quella dell Associazione Centotrecento ( impegnata nella promozione di spazi pubblici condivisi, luoghi di sosta pedonale offerti per l incontro tra vicini. Centotrecento è lo strano nome della strada in cui è stato individuato un primo spazio (pedonalizzato a questo fine) per avviare l esperienza. Ed infine è stata data voce alla comunità virtuale. Francesca Sanzo ha illustrato la storia e lo sviluppo del sito Donne pensanti ( un blog abbastanza frequentato sui problemi di genere. Gli operatori del Comune hanno presentato esperienze di anni che hanno consentito loro di attraversare il mutare dei problemi, soprattutto dei giovani, e le trasformazioni continue dell assetto organizzativo ed istituzionale dei quartieri di Bologna. Hanno partecipato tre educatori professionali: Enzo Savini che lavora al quartiere san Donato, Rossella Vecchi e Valentina Valenti che lavorano al quartiere Navile. Maria Orecchia ha invece per anni lavorato nel settore della formazione professionale e ora svolge funzioni di coordinamento rispetto a un progetto europeo. La visione istituzionale offerta da Milena Naldi sulla base della sua recente esperienza di Assessore Comunale per il decentramento e degli impegni futuri come presidente del Quartiere San Vitale ha consentito di guardare consapevolmente al futuro, anche in vista 10

11 delle ulteriori modifiche istituzionali che dovrebbero coinvolgere i quartieri (quali, ad esempio, le fusioni in quartieri più grandi). Gli interventi preordinati, ma anche l arricchimento apportato dal dibattito con altri presenti, hanno consentito di tratteggiare un quadro articolato dei problemi del territorio bolognese, della ricchezza di iniziative in corso ma anche e delle asprezze che gli operatori hanno dovuto affrontare soprattutto negli ultimi anni. Ciò consente di enucleare informazioni ed idee per rispondere alle domande poste dal seminario che di seguito riassumiamo. Riportando tuttavia alcuni brani degli interventi proprio per non perdere le caratteristiche dei diversi approcci con cui sono stati affrontati i problemi e l emotività con cui sono state espresse alcune esigenze I confini delle comunità Svolgere un lavoro di comunità e nella comunità pone innanzitutto il problema della definizione del confine territoriale in cui si intende operare. Per svolgere un lavoro efficace, a parere di alcuni operatori, è infatti necessario che tutti (cittadini, utenti ed operatori) sentano di appartenere a un territorio specifico individuato da un confine. Osserva Enzo Savini, da anni educatore professionale nei servizi scolastici ed educativi al Pilastro e più in generale del quartiere San Donato: c è ancora la differenza tra i due territori, (Il Pilastro e il resto del quartiere) che in realtà sono un territorio unico; abitare dopo il ponte della tangenziale è ancora un elemento che segna l appartenenza e su cui ci si confronta con i ragazzi e con le famiglie. È importante non ricadere in stereotipi, ma si deve partire dal rispetto della provenienza delle persone che incontriamo. Il mio lavoro parte dalla costruzione di legami. Il territorio è importante per questo, le identità vanno tenute presenti. Fare lavoro di comunità significa dunque innanzitutto conoscere le appartenenze di ciascuno e di ciascun gruppo che a volte dipendono dal fatto che nel tempo si è stati segnati o si è condiviso una storia difficile: è il caso della zona Pilastro, che ha visto forti insediamenti dal sud Italia negli anni 60, uno sviluppo soffocante dell edilizia popolare (caratterizzata da un enorme condominio chiamato il biscione del Pilastro ), abitata quindi da famiglie con reddito abbastanza basso; una zona che ha conosciuto problemi di delinquenza, ma che ha anche goduto di tanti interventi pubblici e servizi sociali che hanno tentato di affrontare i loro complessi problemi. Una situazione comunque che connota gli abitanti e il quartiere, anche se non necessariamente in senso negativo. Rossella Vecchi così descrive invece la situazione del quartiere Navile: Ci sono tre reti territoriali già molto attive (Bolognina, Lame e Corticella), ma separate tra di loro. In esse ci sono interconnessioni tra istituzioni, associazioni e persone, ma ci sono luoghi simbolici diversi, e i cittadini cercano di curare il loro proprio territorio. Diversità che vanno rispettate anche se ci sono rischi di autoreferenzialità. Maria Orecchia descrive la sua collaborazione a un progetto del Ministero dell Istruzione che doveva istituire centri di aggregazione giovanile in venti città italiane con un finanziamento ingente. A Bologna si è trovata di fronte alla contraddizione di dover aprire un centro unico in una città che era organizzata in quartieri e in cui c era già un 11

12 certo movimento di iniziative all interno di ciascun quartiere. Rompendo lo schema e le consegne del progetto ha lavorato su sei territori avviando sei iniziative (rispettose delle esigenze e delle storie dei singoli territori) che ha comunque cercato di collegare tra loro Dalla partecipazione alla comunità Il seminario ha evidenziato i limiti delle esperienze di partecipazione sia dei singoli cittadini che delle organizzazioni della società civile. E questo in una città in cui negli anni 70/80 i processi partecipativi alla vita del quartiere erano stati particolarmente ricchi e avevano efficacemente interagito con lo sviluppo della partecipazione nelle scuole, prevista dai cosi detti decreti delegati. Oggi, più che una partecipazione alla programmazione e alla gestione dei servizi o della vita del proprio quartiere, si attivano iniziative di controllo/protesta rispetto a situazioni giudicate nocive per l organizzazione della vita quotidiana relativamente a tematiche come il traffico, la viabilità, la qualità delle mense delle scuole, ecc. Si formano comitati spontanei per l advocacy rispetto a specifiche tematiche. Lavoro di comunità vuol dire conoscere e dialogare con queste iniziative, che creano relazioni tra persone e tra persone e gruppi, anche quando il processo porta ad una sorta di comunità contro. Afferma Luca Lambertini: Con sorpresa il discorso della comunità nel nostro quartiere è stato portato avanti da una associazione di estrema destra che fa le nostre stesse cose: si prende cura di un parco, organizza il torneo di calcetto nella zona degradata ma ha in mente una comunità contro che vada a riaffermare la presenza italiana nel territorio, ad esempio rifiutando la presenza di un campo rom o di un centro islamico. Analoga osservazione può essere fatta per un Gruppo di anziani che a Borgo Panigale fanno un giro di ronda (fregiandosi di distintivi e utilizzando i telefonini!), per poi chiamare la polizia quando vedono qualche cosa che non va (ad esempio un anziano ubriaco sdraiato su una panchina ), ma anche inevitabilmente creando tensioni all intorno. In generale è stata poi denunciata una scarsa partecipazione delle organizzazioni del territorio ai tavoli dei Piani di zona (dopo l entusiasmo della prima fase) che invece erano stati salutati come una occasione importante per censire la ricca realtà associativa del territorio cittadino e per poter programmare insieme I luoghi della comunità I luoghi della comunità, è stato già detto, sono le piazze, le strade soprattutto l intorno alle scuole, i giardini, le sedi delle associazioni, ecc. Ovunque le persone possono incontrarsi. Le relazioni che si creano dipendono anche da come è fatta la città: l urbanistica è vista perciò come un aiuto al lavoro di comunità. A volte però le comunità devono riappropriarsi dei loro spazi. 12

13 Stefano Reyes ha presentato l esperienza di Centotrecento: Non proponiamo eventi, non vogliamo essere fraintesi. Insieme a due colleghi ho deciso di mettere quattro o cinque panche, quattro seggiole e qualche tavolino sulla strada; non proponiamo di animare il vicinato, la proposta è quella di avere uno spazio per fare quello che ti pare. Si fermano persone a cui è stato detto semplicemente: Avete una strada in comune comunque sia anche se non parlate con il vostro pianerottolaio [ ] lo spazio potete vederlo come un problema o come una occasione; lo spazio nel web lo puoi spegnere questo no. Riproponiamo a un vicinato che non si conosce una occasione: come erano le strade prima delle auto. Se vi aiuta a vivere meglio la userete. E ancora: Non c è contrasto con la rete. Sono due strumenti diversi; nel rapporto face to face attivo molte cose diverse: il gesticolare, il tono della voce, ecc altri canali relazionali. La mia generazione che vive sul web occupa sempre più tempo ad accordarsi per l appuntamento che il tempo che si spende nell incontro. Le persone che hanno accolto la nostra proposta hanno da trenta anni in su, gli universitari non sono coinvolti; è perché preferiscono vagare per cose più lontane o c è una incapacità di intraprendere relazioni diverse perché non c è allenamento? Un altra riappropriazione di spazio a cui si e associata una nuova cura dello spazio pubblico è l esperienza dell Associazione giardino del Guasto a cui ha partecipato come privata cittadina anche Milena Naldi. Un gruppo di cittadini del quartiere San Donato che abita vicino a Piazza Verdi e al giardino del Guasto ( si è associato per restituire il giardino (abbandonato, pieno di siringhe, ecc.) all uso degli abitanti della zona, organizzando al suo interno molte attività pomeridiane per bambini ed eventi culturali serali Adolescenti e giovani nella comunità Il programma del seminario aveva scelto come ambito emblematico di intervento sulla comunità quello riguardante gli adolescenti e i giovani (gli operatori del Comune chiamati ad intervenire lavoravano infatti soprattutto nei servizi educativi territoriali). I servizi di educativa territoriale seguono tre direttrici: innanzitutto devono sostenere le reti cittadine già attive nel settore, quindi le associazioni ma anche i gruppi informali; si tratta di realizzare attraverso queste collaborazioni interventi di educativa di strada, la gestione di spazi polivalenti, attività socio-educative scolastiche (nella lotta all abbandono). Spesso andando a cercare i ragazzi là dove essi sono. La seconda direttrice è quella della collaborazione stretta con le scuole. La terza è l affrontare, come sempre, singole situazioni di disagio con progetti personalizzati. Rispetto al più consolidato lavoro di comunità con gli anziani, il lavoro con gli adolescenti presenta non poche difficoltà. Non ultima la diffidenza delle istituzioni che sono impreparate a credere all efficacia del maggior spontaneismo che questo target richiede e che vedono come ostacolo insormontabile la prevalenza del nomadismo giovanile che porta lontano dai propri territori. Gli operatori presenti hanno descritto le difficoltà che quotidianamente incontrano. 13

14 Rossella Vecchi afferma: : Veniamo da un passato di attività socio-educativa extra scolastica e non è stato facile cambiare, lavoravamo solo con ragazzi usciti agli istituiti che spesso erano stati anche allontanati dalle famiglie; abbiamo dovuto imparare ad utilizzare i nostri spazi diversamente, a poter lavorare nel tempo: il che consente di fare molte riunioni anche con le famiglie per corresponsabilizzarle. Per me l essere sul territorio è essenziale, si deve essere visibili per rendere consapevoli famiglie e cittadini in generale anche rispetto a fatti gravi che possono accadere nel territorio. Vorremmo non solo offrire servizi ma anche cultura. Luoghi dedicati ai ragazzi, ma anche a tutta la comunità che se li deve sentire come propri. Osserva Enzo Savini: Il Pilastro resta una grande palestra e offre possibilità di ricerca e sperimentazione, ma dobbiamo sempre dimostrare che rispondiamo a bisogni.dobbiamo fare,. dobbiamo fare. Adesso è ancora più difficile. Prima lavoravamo con un disagio conclamato, con ragazzi che spesso uscivano dagli istituti, adesso, ed è anche una fortuna, ci chiedono di considerare il territorio, di lavorare sul territorio, cioè su tutte le persone, tutti i ragazzi. Ma non dobbiamo fare fughe in avanti, altrimenti rischiamo di sbagliare ci dobbiamo ancora costruire una metodologia adeguata, condivisa, conosciuta altrimenti si perdono di vista gli obiettivi. Gli operatori richiedono soprattutto che il valore del loro nuovo lavoro sia riconosciuto dalle istituzioni. Per poter lavorare devo conoscere le comunità e chi le abita, promuovere contatti, ecc. Ma dobbiamo dimostrare quello che stiamo facendo... perché i risultati li vedi nel tempo anche se per noi il risultato è già costruire una relazione. Molti sono stati gli intereventi che hanno citato il luogo particolare in cui si è tenuto il seminario, la Cupola del Pilastro (Dom). Esso è collocato appunto nella zona Pilastro: un teatro a forma di pallone posto vicino alle scuole del quartiere in cui i ragazzi delle scuole hanno potuto svolgere tante attività e che è diventato anche sede di incontri e di confronti tra cittadini, esperti e gruppi. Tra le tante attività è stato ricordato un progetto che ha coinvolto un gruppo di ragazzi rom che hanno sperimentato il lavoro del teatro non inteso come attività artistica (la recitazione o le esecuzioni musicali), ma come l insieme delle tecniche di supporto (scenografia e quindi falegnameria, sartoria, acustica, luci, etc.). Un progetto che perciò ha consentito ai ragazzi di sperimentare alcune professionalità richieste per le rappresentazioni teatrali, ma anche dalle altre attività produttive (si fa qui riferimento a professioni come l elettricista, al falegname, all addetto ai suoni, ecc..). Un piccolo esempio di intreccio di finalità e di attività. Tra le finalità: socializzazione e inclusione dei ragazzi rom, addestramento professionale, sollecitazione delle creatività, ecc..tra le azioni: allestimento dello spettacolo, attività di formazione professionale, coinvolgimento del territorio. Per questo Enzo Savini può affermare: Siamo all interno di un teatro, una astronave che nessuno si aspettava, (è stato bellissimo). Da quando c è il Dom abbiamo avuto la possibilità di parlare di certi argomenti, è un luogo da salvaguardare, bisogna far capire quello che si fa, farlo capire a tutti, ai colleghi alle persone che abitano il territorio, che ci identificano come un servizio che deve risolvere i loro problemi. Ad esempio se ci sono ragazzi che danneggiano le vetrine o che sostano sempre sotto una casa con fare sospetto, i 14

15 vicini ti chiedono come si fa a risolverlo. Siamo riusciti a rivoltare le domande: come noi tutti facciamo a risolverlo. Siamo riusciti a formare alcuni tavoli di confronto, ma sarebbe importante che ci fosse un tavolo riconosciuto dal quartiere. Il riconoscimento di un tavolo da molte possibilità, perché bisogna contare nei confronti anche della politica, poter dire che siamo tutti quanti dei professionisti con pari dignità. Tante volte siamo stati chiamati a mettere il coperchio sulla pentola dei problemi, ma forse bisogna scoperchiarla. Il nostro lavoro è anche quello di conoscere e abbiamo bisogno di vedere come evolvono determinati fatti. Tutti i partecipanti al seminario comunque si trovano indotti a partire da una stessa domanda Che significato ha la comunità per gli adolescenti? Valentina Valentini ha descritto esemplificativamente due progetti che però si sono interrotti, oltre che per alcune difficoltà interne, perché le istituzioni non ne hanno capito fino in fondo il significato. Lavorare con gli adolescenti e i giovani vuol dire in primo luogo raggiungerli dove già sono, anche perché i luoghi spontanei di ritrovo dei gruppi possono diventare antenne migliori per cogliere i loro bisogni. Altro elemento condiviso: partire da loro segnalazioni Esemplifica Valentina Valentini: Ho accolto il suggerimento di alcuni ragazzi che non avendo posti per suonare e incontrarsi chiedevano di far rivivere un luogo in cui negli anni 80 si faceva il festival rock (la piazzetta Gorki e il teatro). A questo punto non c era bisogno del coinvolgimento dei giovani ma piuttosto del coinvolgimento della comunità. Abbiamo associato a questa iniziativa i corsi di apprendimento tecnico e i ragazzi sono diventati tecnici del suono, esperti di organizzazione di eventi, uno è diventato presidente della prima cooperativa giovanile del territorio. Il secondo progetto Bolognina warriors nasce invece da una emergenza sociale come spesso accade per le iniziative per i giovani promosse dalle istituzioni. Alcuni adolescenti seminavano panico tra gli abitanti della zona. Siamo usciti dall approccio del contenimento del danno e delle punizioni e abbiamo messo a punto una piccola ricerca sociale a partire dalla constatazione che i ragazzi stavano tutti nello stesso condominio dell Acer, una sorta di ghetto. Abbiamo avviato una ricerca-azione. Ma il progetto si è fermato perché prima vanno create le alleanze, soprattutto quelle a livello istituzionale Par tot: visibilità e festa Il seminario ha analizzato un evento particolare, ma significativo come la Parata par Tot, che ogni due anni si svolge per le vie di Bologna in cui viene data visibilità a una molteplicità di attività culturali e di animazione che si svolgono nel corso del periodo precedente nei vari quartieri e nelle varie organizzazioni cittadine. L organizzatrice della Parata, Lydia Buchner dell associazione Oltre ha ricostruito lo svolgersi dell iniziativa: La prima attività è stato il jazz festival all inizio all interno in un centro interculturale di un quartiere. Nasce dunque come associazione culturale che 15

16 svolge attività capaci di creare incontri e legami comunitari. Poi ci è stato offerta e abbiamo felicemente avviato la collaborazione con il Centro sociale anziani Villa Torchi di Corticella. La collaborazione con i centri anziani non è sempre facile perché essi hanno modalità di organizzazione interna consolidate da anni e tendono ad essere chiusi nelle loro abitudini (il barometro è se ti fanno accedere alla cucina!). Oltre oggi costituisce una sorta di sostegno delle reti cittadine delle associazioni e delle attività di gruppi informali. La Parata esiste dal I vari progetti valorizzano affinità elettive: La parata da visibilità ai progetti, noi non eroghiamo servizi ma entusiasmo. Le persone coinvolte sono più legate ai progetti che alle associazioni che li promuovono. Non si può fare troppo leva sulla singola associazione, è difficile individuare chi coordina, sono persone che hanno una stessa passione, che sono contagiose, da una cosa nasce un altra che a volte si autonomizza. Così è stato per la Parata. Io sono andata a lavorare a un progetto specifico poi ho assunto via via un ruolo di coordinamento... Per questo la parata coinvolge molti giovani: I giovani girano per i vari luoghi. Anche se per un breve periodo offriamo spazi di libertà. Osserva Graziella Giovannini Sono emerse esperienze diversificate, l esistenze di tante comunità, anche nella parata ci sono tante comunità che scivolano dentro al territorio che sono anche una espressione di libertà, una appartenenza che non si da per sempre, la comunità è passata dal bagno della libertà. L appartenenza deve rendere possibile la convivenza. La parata è tra l altro una delle poche iniziative intergenerazionali. Questa esperienza si rifà tuttavia ad analoghe esperienze straniere, legate ad una idea della creatività che non sempre è rintracciabile nei nostri contesti culturali e che può perciò non essere sempre ben compresa. Tanti comunque i legami con altre iniziative anche molto lontane: Abbiamo poi scambi, una rete basata su persone concrete con cui ci confrontiamo e ci scambiamo visite. In una gita a Scampia c era chi veniva da Parigi, chi da Como, c è il è piacere di incontrarsi tra musicisti un viaggio insieme lega. Il piacere del fare 2.9. Conoscenza, coordinamento e governance I dibattito ha evidenziato la necessità che le tante esperienze in corso debbano essere conosciute e conoscersi tra loro. Ricorda Maria Orecchia: Nel seminario Esercizi di ricomposizione organizzato nel 2010 dal coordinamento adolescenti del Quartiere San Vitale ci siamo resi conto che le associazioni non si conoscono (conosciamo la rete come pianta toponomastica) ma il permettere alle persone di raccontare quello che fanno è importante per poter fare cose insieme, condividere spazi di comunità. Non diamo per scontato che tutti noi ci conosciamo in questo modo, cioè sappiamo quello che facciamo. Nel seminario è emerso come punto di debolezza la frammentazione delle iniziative, a cui corrisponde anche una frammentazione delle competenze istituzionali in materia e quindi, per i vari protagonisti della società civile, una molteplicità di interlocutori istituzionali. 16

17 Luca Lambertini ha segnalato innanzitutto come lavorare per costruire una comunità richieda azioni trasversali che coinvolgono economia, urbanistica, servizi sociali, scuola, ecc. I problemi derivano dal fatto che i quartieri in alcuni di questi ambiti hanno molte competenze in altri nulle e questo scardina i progetti piu amiziosi e porta alla parcellizzazione dell intervento. Osserva poi come tutto sia molto parcellizzato anche dentro al quartiere: io mi occupo dei giovani ma non delle associazioni, un altro ancora si occupa della manutenzione e anche questo porta alla parcellizzazione dell intervento. Enzo Savini ribadisce l importanza del coordinamento con la scuola: Quando sono arrivato al Pilastro ho avuto la fortuna di avere brave maestre che mi hanno accompagnato a vedere le comunità che c erano; è impossibile conoscere un territorio se non si conosce la scuola. Gli operatori riconoscono che la recente modificazione delle deleghe ai quartieri (a cui è arrivata la delega per i minori, prima gestita da strutture intermedie dipendenti dal centro) ha facilitato i rapporti di collaborazione con la scuola. Osserva Savini: Con il decentramento siamo riusciti ad entrare nelle scuole, si fa rete con le scuole, l educatore va fisicamente dentro la scuola, a sostegno dei progetti e attività che vanno a gruppetti di ragazzi con problemi. C è un referente dentro la scuola che fa da collegamento tra scuola e territorio. Poi ci sono gli interventi su singole situazioni, il lavoro solito degli educatori. Rossella Vecchi osserva: Ho passato tutto l iter dei ritiri delle deleghe e ora delle restituzioni.. Ho cominciato a lavorare nell azienda usl quando aveva la delega totale per i minori... l ultimo passaggio ha richiesto grande fatica, ma per noi è una grande opportunità. Anche Maria Orecchia: Vengo dal mondo della formazione professionale ma sono passata ad occuparmi di percorsi integrati tra scuola e territorio che sono importantissimi Una comunità è dunque fondata più sulle relazione personali che sulle regole. Il coordinamento è un contesto, è una occasione, a volte è una noia (e cade la partecipazione perché è più rete che condivisione) Il problema della mancanza di coordinamento richiama il tema della governance del sistema, cioè dell autorità che riconosce, valorizza e coordina le azioni e le responsabilità di tanti. Il problema della governance non è solo quello di gestire bene le risorse e il rapporto con il privato, ma di far in modo che si costruiscano connessioni. Tanti i problemi da affrontare: la città deve o no esprimere anche una forma unitaria? Che ruolo hanno le istituzioni e i quartieri? Il decentramento è una separazione o la premessa di una unità più elevata cui contribuiscono le differenze? Come si è detto, molti operatori riconoscono alcuni aspetti positivi delle recenti scelte politiche riguardanti il decentramento ai quartieri di ulteriori funzioni, soprattutto di quelle che riguardano l educativa territoriale. Sappiamo invece i problemi incontrati dal decentramento delle funzioni riguardanti il disagio adulto, soprattutto nel caso dei senza dimora, e anche alcune problematiche gravi e/o complesse dell infanzia (vittime di violenza, adozioni ed affidi, ecc.). L ulteriore passaggio del travaglio istituzionale che 17

18 ha coinvolto i servizi sociali negli ultimi anni (che si è andato ad aggiungere alla recentissima istituzione della ASP) ha portato comunque anche problemi. Milena Naldi, Assessore nella Giunta comunale precedente e oggi Presidente di quartiere riconosce alcune incongruenze nel modello che era stato proposto: si era molto fiduciosi nella delega totale ai quartieri senza dare strutture e personale, ma il sistema-comune si stava anche strutturando in modo verticistico attraverso i dipartimenti che accentravano e poi delegavano. Insomma si è venuta a creare non poca confusione [ ] La sfida sta nel come si realizza la sussidiarietà dentro il sistema-comune che ha bisogno appunto di esercizi di ricomposizione [ ] Se funziona una comunità non può che funzionare la sua comunità politica e amministrativa. Non si può comunque prescindere dalla conoscenza vera del territorio. Tante volte si sono prese decisioni senza conoscere. Ed oggi questo è maggiormente vero perché la situazione è più complessa di una volta perché il territorio chiede risposte flessibili e sempre meno standardizzate. Milena Naldi illustra inoltre le ulteriori modificazioni che saranno apportate al contesto istituzionale: si arriverà ad avere cinque quartieri che saranno municipalità con forte cessione di governo e autonomia. Anche agli operatori sarà chiesto un nuovo sforzo di adattamento. Si osserva: Di ingegneria sociale ne abbiamo fatta tanta, non facciamo tempo a masticare una riforma che ne dobbiamo affrontare un altra e si abbatte sugli operatori che devono riadeguarsi e i cittadini che fanno fatica a orientarsi. Il problema centrale, a parere di Milena Naldi, rimane quello della partecipazione: Ma come fa ad esserci dentro la struttura amministrativa un modello condiviso decisionale? Come praticare modelli partecipativi nuovi? quali le regole delle modalità di scelta? Non può essere una commissione di quaranta persone.. immaginiamo qualche cosa di diverso, deve riguardare anche una finestra sul web perché le informazioni devono arrivare a tutti [ ] ma dobbiamo raggiungere anche chi non è sul web perché si devono mettere insieme tutte le idee di una comunità che aiuta se stessa [ ] è la cultura del co, sia che si parli di cohousing, di spazio comune, di fare cooperativa [ ] o l amministrazione ci crede o non si scherza perché la gente dopo cinque minuti ti sgama. Osserva Graziella Giovannini: I politici devono avere buoni tavoli, ma anche buone scarpe, anche virtuali, ma si deve andare incontro agli altri Comunità virtuali Il seminario non poteva non approfondire la convivenza delle reti basate sui rapporti face to face con il travolgente sviluppo delle reti informatiche. Per questo è stata invitata Francesca Sanzo che è proprio stata conosciuta in rete da chi ce la ha segnalata, ma individuata attraverso un rapporto vis a vis con una persona che conoscevamo. La ricerca in rete degli organizzatori del seminario avevano individuato tante reti ma molte di esse erano spezzate (blog sospesi). Anche questo è segno di qualche difficoltà nelle relazioni tra i due mondi. 18

19 Ha raccontato Francesca Sanzo, che conduce il blog (nato da più di due anni, ma che recentemente si è costituito in associazione) Donne pensanti : Io mi occupo di web professionalmente, tante donne non partecipano alle comunità reali, la rete facilita il senso di appartenenza e la cittadinanza. Il mio blog è nato sui problemi di genere, soprattutto sulla strumentalizzazione del corpo delle donne in vari campi (pubblicità, mass media, politica). C è un problema nella comunicazione: le donne non sono rappresentate come tali; o sono escort o casalinghe perfette, o lavoratrici non valorizzate. Io sono stata vittima di mobbing, non mi sono mai occupata di politica [ ] ma mi scrivono da tutte le parti di Italia, perché fare una denuncia per mobbing è una questione pesante. L attività del blog si va dunque sviluppando sulla tematica della comunicazione e dei media: in specifico si occupa dell abuso del corpo delle donne sollecitando segnalazioni di pubblicità non corrette, che vengono inoltrate agli organi competenti. Lavora anche con le scuole chiamando i giovani ad analizzare gli stereotipi più sottili e pervasivi sulle donne, fornisce una sorta di cassetta degli arnesi per la cittadinanza attiva. L Associazione Donne pensanti ha poi raccolto tante storie di donne raccontate nel blog in un testo titolato Svegliatevi bambine. Voci del pluriverso femminile : l impegno è quello di far parlare il femminile silente. Questo ruolo attribuito alla rete ha ovviamente aperto nel seminario un confronto serrato sulla efficacia dei legami che sulla rete si creano. Francesca Sanzo rivendica non solo la capacità del blog di creare relazioni e quindi di fornire appoggi e orientamenti, ma anche quella di creare un movimento di idee che può portare ad azioni collettive: In rete ho relazioni con persone che non ho mai visto ma da tre anni collaboro con un movimento allargato [ ] si creano delle onde che possono sfociare in azioni collettive come è accaduto per la manifestazione di Se non ora quando?. La gente si rivolge al web perché sente uno scollamento con quello che propongono le istituzioni. Tante persone scrivono a Donne pensanti per abbattere i paletti posti dalle le istituzioni [ ] Si fa massa. È emersa dunque una identificazione forte con lo strumento (il blog), descritto con un linguaggio che segna anch esso questa appartenenza. Più difficile conciliare questo approccio con quello degli educatori impegnati con i ragazzi. Francesca Sanzo si dichiara tuttavia convinta che la rete possa ben integrarsi con il lavoro con i giovani dei quartieri, soprattutto sopperendo alle conseguenze del nomadismo giovanile. E sa bene che anche nel web la relazione va curata. A suo parere le reti e le community possono servire a sostenere le appartenenze innanzitutto alla comunità umana, ma anche ai progetti di cittadinanza attiva del tuo territorio Costruire la comunità A Bologna c è dunque qualche traccia di comunità (per richiamare ancora una volta il titolo di un libro del sociologo Bagnasco: il seminario ha fotografato a livello di quartieri e di città, un insieme, di pratiche molto concrete, costruite negli anni, che si fondano su 19

20 alcune parole comuni; sperimentazioni di dimensioni limitate che hanno tuttavia consentito di mettere a punto un piccolo armamentario di teorie e di prassi comuni. A partire da questo il seminario ha tentato di indicare come si può costruire e far manutenzione di una comunità. Afferma Luca Lambertini: Tutti hanno capito che se non si parte dalle relazioni e dagli spazi pubblici dopo anni che si era delegato alle forze dell ordine dalla tutela del nostro vivere insieme, si arriva alla desertificazione sociale. C è fiducia nei piccoli gruppi. Maria Orecchia osserva: I piccoli gruppi non sono sufficienti a creare una comunità, ma anche nelle piccole comunità acquisisci la competenza a stare con gli altri che poi utilizzi in altri contesti. Costruire una comunità richiede anche la cura dei particolari. Si è simbolicamente dissertato sul problema della chiusura delle fontanelle, per incuria, ma anche per evitare che diventino una occasione di aggregazione per homeless. Si è tolto un piccolo servizio per il cittadino e anche un piccolo punto di aggregazione! Stefano Reyes: Penso alle fontanelle che vengono pian piano eliminate. A Bologna-centro ne sono rimaste due. Le fontanelle non si mettono più perché è un costo molto forte. Ma sono piccoli segnali che riguardano l ospitalità che vien meno [ ] Piccoli segnali importanti. Costruire una comunità richiede anche lavoro professionale, professioni a cui si affida un compito definibile come lavoro di comunità. Osserva Lydia Buchner: Creare legami sociali è un lavoro che richiede tempo, le creatrici di legami sociali sono spesso donne che hanno una storia millenaria, ma che non sono valorizzate, pagate poco e fanno un sacco di volontariato [ ] siamo super sfruttate [ ] Io pensavo che il lavoro socio-culturale fosse pagato, ma in Italia non è pagato [ ] Ma mi sono lasciata trascinare dalla passione [ ] Però quando finiscono le risorse di un progetto il progetto va a farsi friggere [ ] l associazionismo non ti lascia crescere in una professione [ ] è una continua precarietà [ ] ma che lavoro fai? [ ] Invece la comunità, anche per autorganizzarsi, ha bisogno di figure di rapporto con le amministrazioni. Abbiamo bisogno di rapporti con le amministrazioni stabili che riconoscano il lavoro che si fa. Anche gli operatori/educatori del Comune richiedono concordemente una certa stabilità: la cosa più importante è la conoscenza effettiva del territorio e il radicamento nel territorio che dà riconoscibilità agli operatori, indispensabile per stabilire con i cittadini rapporti di fiducia. La ripetitività delle relazioni costruisce la fiducia. Il seminario ha dedicato meno attenzione ai valori fondanti della vita comunitaria, probabilmente perché si è data per scontata una certa condivisione. Sarebbe tuttavia interessante esaminare le diverse iniziative presentate dal punto di vista degli interessi culturali e delle ispirazioni ideali da cui sono partite. Luca Lambertini ha ad esempio segnalato come Borgomondo abbia preso le mosse da un gruppo di acquisto solidale, cioè da una sensibilità ambientale e di attenzione ai nuovi modelli di consumo più ispirati alla sobrietà. Sarebbe interessante ricostruire il panorama delle diverse ispirazioni culturali e valoriali, con attenzione particolare al loro evolversi nel tempo e alle tendenze delle varie età e delle varie appartenenze socioculturali. 20

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