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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ALL INTERNO Sbilanciamo l Europa ANNO XLV. N. 7. VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 EURO 1,50 Edizione straordinaria NOI E LORO Tutta la Francia in piazza per «Charlie Hebdo», che mercoledì uscirà in edicola con un 1 milione di copie. Identificati e localizzati in Piccardia i due presunti attentatori, corpi speciali della gendarmeria pronti al blitz. Domenica la marcia nazionale. Dubbi sulla partecipazione di Marine Le Pen PAGINE 2, 3, 4, 5 Marco Bascetta I l giudizio della stampa di tutto il mondo è quasi unanime: la mattanza parigina rappresenta un attacco alla libertà, colpita in una delle sue espressioni più classiche ed esplicite, la satira contro il potere, la morale, i dogmi di tutte le religioni. Giusto, non c è da eccepire. Nondimeno sulle bandiere della Rivoluzione francese stavano scritte tre parole: liberté, égalité, fraternité. Converrà allora esaminare l orrenda esecuzione di massa nella redazione di Charlie Hebdo e le sue prevedibili conseguenze alla luce di ciascuna di queste parole. Cominciamo dalla prima, liberté. L islam politico (e il rapporto stretto tra Islam e politica è dato dalla sua stessa genesi storica fuori da qualsiasi contesto statuale preesistente) è indubbiamente nemico della libertà. Non c è bisogno di guardare alle sue espressioni più estreme, come il califfato di Al-Baghdadi, per constatarlo. O all opulento oscurantismo saudita. Basta già rivolgere lo sguardo alla Turchia parlamentare e semieuropea di Erdogan per mettersi sull avviso. Quando parliamo di Islam l attrito tra laicità e religione, tra diritti individuali e norme comunitarie è garantito. Anche se non è necessariamente destinato a sfociare in atti di estrema violenza o in condizioni di soffocante oppressione. Resta il fatto che un miliardo e mezzo di persone, con diversi gradi di ortodossia e convinzione, professano questa religione. Se non si coltiva l idea folle di risolvere il problema alla maniera dei crociati, o quella, non meno strampalata, di segmentare il pianeta in compartimenti stagni, questo attrito deve essere fronteggiato con gli strumenti dell intelligenza politica e lo sviluppo delle lotte democratiche nei paesi islamici e in Europa. Non mancano, però, tra quanti in questi giorni celebrano i giornalisti di Charlie come martiri della libertà, numerosi paladini della superiorità occidentale che, tra furori proibizionisti, campagne omofobe, tolleranza zero e anatemi contro la «società permissiva», intattengono un rapporto a dir poco problematico con la libertà. Immagino che alle matite anarchiche di Charlie, non sarebbe affatto piaciuto diventare un simbolo per questa gente. Non sono solo gli islamisti a non avere ancora digerito la Rivoluzione francese. CONTINUA PAGINA 4 INTERVISTA A VINCENT GEISSER PAGINA 3 «Fedeli fai da te, jihadisti per caso» Ecco come nascono i terroristi islamici autoctoni europei GUIDO CALDIRON LA VIGNETTA DI PLANTU A PLACE DE LA REPUBLIQUE /FOTO REUTERS-GONZALO FUENTES INTERVISTA A SAMIR AMIN PAGINA 5 «Un atto odioso, ma i responsabili dell attacco sono Francia, Stati uniti e la fede cieca nel neo-liberismo» GIUSEPPE ACCONCIA STAMPA Da una parte della barricata Serge Halimi L assassinio collettivo perpetrato mercoledì nella sede di Charlie Hebdo aveva come obiettivo quello di uccidere giornalisti e vignettisti per le loro opinioni. Un assassinio che colpisce i difensori della libertà di espressione e getta nel terrore tutta la società francese. L équipe del Monde diplomatique presenta ai famigliari delle vittime e ai loro amici le proprie condoglianze e la propria solidarietà. Questo massacro contribuisce a una strategia della tensione e della paura i cui elementi, purtroppo, sono noti: fanatismo pseudo-religioso, richiamo allo «scontro di civiltà» ed erosione delle libertà collettive con il pretesto, illusorio, di garantire la sicurezza e di vincere la «guerra contro il terrorismo». È in atto uno scontro cruciale. La sfida riguarda la definizione stessa dei punti di conflitto in Francia. Alcuni incendiari vorrebbero scavare in Europa un solco per opporre frange della popolazione secondo la loro origine, cultura, religione. Al contrario, faremo in modo che uno stesso lato della barricata riunisca tutti i sostenitori di una società emancipata, solidale e gioiosa, per la quale si battevano anche i giornalisti e i vignettisti di Charlie Hebdo. L autore è il direttore di Le Monde diplomatique BIANI BOKO HARAM ALL ATTACCO IN NIGERIA Baga rasa al suolo «Duemila morti» N uovo attacco del gruppo islamista Boko Haram nel nord-est della Nigeria. Secondo la testimonianza di un ufficiale dell esercito nigeriano, riportata anche dalla Bbc, sarebbero le persone uccise. La Reuters parla di 100. Sedici villaggi a fuoco, la città di Baga è completamente distrutta. Ora le milizie incappucciate controllano tutti e tre i confini dello stato del Borno con il Niger, il Ciad e il Camerun. In cinque anni si calcolano 1,5 milioni di sfollati, vittime solo nel 2014 PLANTERA PAGINA 6 DELEGA FISCALE PAGINA 8 Il segreto di stato del Salva Berlusconi Renzi non spiegherà RIFORME PAGINA 9 Forza Italia non segue Al patto mancano voti JOBS ACT PAGINA 9 Il mistero dei decreti che in parlamento ancora non arrivano

2 pagina 2 il manifesto VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 EDIZIONE STRAORDINARIA Parigi Torre Eiffel al buio, il paese a lutto scende in piazza impugnando matite per Charlie Hebdo. Manifestazioni in tutta Europa. Il settimanale torna in edicola È caccia aperta alla cellula familiare L ATTENTATO La firma dei killer, noti alla polizia e ai servizi segreti Manlio Dinucci V eri e propri commandos, da come si muovono, da come sparano. Non a raffica per non sprecare cartucce, ma con uno-due colpi su ogni vittima, come il poliziotto ferito, freddato con un solo colpo dal killer che, continuando a camminare, raggiunge la macchina e, prima di salire, raccoglie con calma una scarpa caduta. Ma quando i due, con una preparazione da forze speciali, cambiano macchina, «dimenticano» (secondo la versione della polizia) sulla prima vettura una delle loro carte di identità. Firmano così ufficialmente l attentato. Poche ore dopo si conoscono in tutto il mondo i loro nomi e le loro biografie: «due piccoli delinquenti radicalizzati, noti alla polizia e ai servizi di intelligence francesi». Non può non tornare alla mente, in quello che viene definito «l 11 settembre della Francia», l 11 settembre degli Stati uniti: quando, poche ore dopo l attentato alle Torri Gemelle, già circolavano i nomi e le biografie di quelli che venivano indicati come gli autori membri di Al Qaeda. I due presunti autori (se le loro biografie sono vere) appartengono a quel mondo sotterraneo creato dai servizi segreti occidentali, compresi quelli francesi, che hanno finanziato, armato e addestrato in Libia nel 2011 gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi, tra cui i primi nuclei del futuro Isis; che li hanno riforniti di armi attraverso una rete organizzata dalla Cia (documentata da un inchiesta del New York Times nel marzo 2013) quando, dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, sono passati in Siria per rovesciare Assad e attaccare quindi l Iraq (nel momento in cui il governo al-maliki si allontanava dall Occidente, avvicinandosi a Pechino e a Mosca). L Isis, nato nel 2013, riceve finanziamenti e vie di transito da Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Turchia, Giordania, stretti alleati degli Usa e delle altre potenze occidentali, tra cui la Francia. Ciò non significa che la massa dei militati dei gruppi islamici, provenienti anche da diversi paesi occidentali, ne sia consapevole. In attesa di altri elementi che possano chiarire la vera matrice dell attentato in Francia, è logico chiedersi: a chi giova? La risposta si trova in quanto ha dichiarato Nicolas Sarkozy, che come presidente della Francia è stato uno dei principali autori del sostegno ai gruppi islamici nella guerra di aggressione alla Libia: ha definito l attentato in Francia «guerra dichiarata contro la civiltà, che ha la responsabilità di difendersi». Si vuole in tal modo convincere l opinione pubblica che l Occidente è ormai in guerra contro chi cerca di distruggere la «civiltà», che esso impersonifica, e deve dunque «difendersi» potenziando le sue forze militari e proiettandole ovunque nel mondo scaturisca tale «minaccia». Si cerca in tal modo di trasformare il sentimento di massa per le vittime della strage in mobilitazione per la guerra. Il David, che a Firenze è stato listato a lutto, è chiamato ora a impugnare la spada della nuova santa crociata. PARIGI U na giornata di caccia all uomo, mentre in Francia 88mila agenti di polizia sono stati dispiegati sul territorio. I due fratelli Kouachi, Saïd e Chérif, per il ministro degli interni Bernard Cazeneuve ormai «formalmente riconosciuti» come responsabili del massacro alla redazione di Charlie Hebdo, che ha fatto 12 morti (e vari feriti, di cui 4 gravissimi), sono stati individuati in Piccardia. Gli agenti dell antiterrorismo stavano ancora ieri sera controllando casa per casa, in una zona rurale tra i dipartimenti dell Aisne e dell Oise, a nord di Parigi e a sud di Soisson, nei dintorni di Crépy-en-Valois. I due fratelli sono stati individuati in mattinata presso un distributore di benzina, in fuga armati. Hanno abbandonato l auto, dove la polizia ha trovato delle bandiere jihadiste e delle molotov. Nella notte tra mercoledì e giovedì, si è presentato alla polizia un ragazzo di 18 anni, parente di uno dei due fratelli sospettati, perché il suo nome circolava sulle reti sociali: non sembra implicato, non dovrebbe essere il terzo uomo. La polizia ritiene di essere di fronte a una «cellula familiare». Saïd, il fratello maggiore, avrebbe perso la carta d identità nell agitazione dopo il massacro a Charlie Hebdo, caduta nell auto poi abbandonata. Il minore, Chérif, era schedato dall antiterrorismo. Era stato condannato al carcere nel 2008 a tre anni (18 mesi con la condizionale), per aver fatto parte della filiera delle Buttes-Chaumont, che tra il 2004 e il 2006 organizzava partenze di volontari per combattere in Iraq nelle file di al Quaeda. Per questo PARIGI M ercoledì prossimo Charlie Hebdo uscirà con una tiratura di 1 milione di copie, un edizione di «resistenza» di 8 pagine (invece delle 16 abituali, tirate a 30mila copie). Un «numero di sopravvissuti», secondo l avvocato del settimanale, Richard Malka, una sfida al tragico destino di buona parte della redazione, massacrata mercoledì mattina. La pubblicazione sarà resa possibile dalla collaborazione di molti media francesi, da Le Monde a Radio France e Libération (che offre la sede), subito venuti in aiuto al giornale che ha perso tutto nell attentato. Arriverà anche un contributo di euro dal fondo «stampa e pluralismo», gestito dagli editori, e dal fondo «innovazione digitale della stampa», finanziato da Google. La Francia resta sotto choc. Ieri, giornata di lutto nazionale, alle 12 il paese si è fermato: trasporti, scuole, pubblici uffici, tutti hanno rispettato un minuto di silenzio. Notre Dame ha suonato la Identificati e localizzati in Piccardia, 70 chilometri a nordest di Parigi, i due attentatori. Sarebbero due fratelli già noti all intelligence. Nella loro auto trovate bandiere jihadiste e molotov nel 2005 era anche stato intervistato in un reportage mandato in onda sull emittentefrance 3. Chérif, un fattorino che consegnava pizze a domicilio con la passione per il rap, aveva iniziato con piccoli furti e traffico di stupefacenti. Il soggiorno in carcere ha cambiato il livello di delinquenza. Qui si è radicalizzato, si è legato a personaggi connessi con la guerra in Siria e implicati in assassinii politici in Tunisia, in particolare di due oppositori di sinistra, Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi. Il gruppo delle Buttes-Chaumont, che all origine sembrava dilettantesco, poco per volta si è connesso con una rete internazionale molto organizzata e violenta, stabilendo legami con un personaggio importante dell Isis in Siria, Salim Benghalem, e con uno jihadista in Tunisia, Al-Hakim. La «cellula famigliare» degli assassini di Charlie Hebdo si è così trasformata in un anello di una catena molto più potente, grazie al soggiorno in prigione di Chérif. Ieri sera, nove persone legate ai due fratelli Kouachi erano in stato di fermo. Gli inquirenti si chiedono se Chérif non Domenica la marcia per la democrazia e la libertà. Dubbi sulla partecipazione di Marine Le Pen campana a morto, un omaggio che, se esistesse una vita dopo la morte, farebbe sorridere i vignettisti assassinati, atei e irriverenti. Molte persone hanno reso omaggio a Charlie sotto la sede del settimanale. La marcia per la democrazia e in difesa delle libertà, prevista in un primo tempo per domani, è stata spostata a domenica per ragioni di organizzazione. Hollande, che ha lanciato un appello all unità nazionale, ha ricevuto e riceverà i leader dei vari partiti: ieri all Eliseo si è recato Sarkozy: «Ho accettato l invito a condividere un clima di unità nazionale» ha commentato l ex presidente, che poi ha invitato l Ump a partecipare alla marcia. Hollande ieri sia riuscito, nel recente passato, ad andare Siria a combattere, sfuggendo ai controlli. La tensione è cresciuta ieri mattina, quando c è stato un agguato contro due agenti di polizia a Parigi. Una poliziotta municipale è deceduta a Montrouge, a sud della capitale, a causa di uno sparo alla schiena. L autore dell agguato non è stato arrestato. Il ministro degli interni, Bernard Cazeneuve, ha escluso legami con il massacro di Charlie Hebdo, «per il momento». La giornata di ieri è stata caratterizzata da altri fatti di violenza. In ore di grande tensione, delle moschee sono state oggetto di attacchi: spari e piccole esplosioni nel dipartimento del Rhône, nell Aude e a Le Mans. Il clima teso ha spinto lo scrittore Michel Houellebecq, che mercoledì ha presentato in libreria il suo ultimo romanzo Soumission (che descrive l elezione in Francia di un presidente musulmano nel 2022) a lasciare Parigi per una destinazione sconosciuta e a sospendere gli incontri di promozione del libro. a. m. m. IL GIORNALE Uscita in 8 pagine grazie al sostegno di molti altri media La resistenza di Charlie Mercoledì un numero speciale ha telefonato agli ex presidenti Chirac e Giscard d Estaing. Oggi riceve il centrista François Bayrou, Jean-Luc Mélenchon del Front de gauche e Marine Le Pen. I Verdi saranno presenti. L estrema destra parteciperà alla marcia di domenica? La cosa crea problemi. Nel Ps c è chi non vuole alla manifestazione elementi che potrebbero esprimere rumorosamente la loro ostilità alla presenza dei musulmani. Le Pen è ambigua. In serata ha condannato l unità nazionale proposta da Hollande («manovra politicistica patetica»). Qualche ora prima aveva parlato dei «nostri compatrioti musulmani legati alla nostra nazione e ai nostri valori», da distinguere dai violenti. Ma per Le Pen bisogna «nominare le cose, liberare la parola», per condannare un «attentato odioso» commesso «in nome dell islam radicale», «ideologia assassina che fa migliaia di vittime nel mondo». Nel Fronte nazionale c è chi approfitta della situazione per chiedere misure restrittive sull immigrazione. E gruppi islamofobi stanno pensando di copiare le manifestazioni della tedesca Pegida. Problema anche tra i musulmani. Molte personalità hanno lanciato appelli per la partecipazione in massa dei credenti alla marcia. Il Consiglio nazionale del culto musulmano ha invitato a partecipare. Alcune voci all interno della comunità musulmana e molte al di fuori si sono levate per chiedere all islam di Francia di prendere più chiaramente posizione, riprendendo per esempio la campagna britannica «not in my name». Ma per il momento non c è una decisione chiara. C è in ballo l ipotesi di un iniziativa comune di tutte le religioni (islam, cattolici, protestanti, ebrei, buddisti) contro le derive terroristiche. I dirigenti religiosi, come i politici, temono che le reazioni a caldo, di unità e di sfida al ricatto della paura, nei prossimi giorni decadano in una divisione del paese, in un acuirsi della guerra civile larvata fomentata dall estrema destra. Già le prime tensioni sono venute alla luce ieri. L Ump accusa il governo di «debolezza» e «ingenuità» per non aver preso misure adeguate contro i rischi di terrorismo. Il primo ministro Manuel Valls si è difeso: i due presunti responsabili «erano seguiti» e «nessuna pista è stata trascurata». Ma «il rischio zero non esiste» e «la sola risposta è la mobilitazione, è questo grido che è un grido per la libertà». Ieri sera c è stata una nuova manifestazione in place de la République, le luci della Tour Eiffel si sono spente, in segno di lutto. a.m.m.

3 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 il manifesto pagina 3 EDIZIONE STRAORDINARIA Francia Cresce la tensione. Colpiti ristoranti arabi e moschee. Houellebecq lascia la capitale. Il Front National chiede misure restrittive sull immigrazione FIORI SU I RITRATTI DI GEORGES WOLINSKI, CABU, TIGNOUS E CHARB ESPOSTI A PARIGI. QUI ACCANTO LA POLIZIA ANTI TERRORISMIO FRANCESE IN AZIONE A CORCY, NEL NORDEST DI PARIGI E IL SIT-IN DEI GIORNALISTI. SOTTO, A SINISTRA, LA MANIFESTAZIONE DELLE MATITE REUTERS IN BASSO VINCENT GEISSER L ANALISI Intervista al sociologo Vincent Geisser, tra i maggiori studiosi dell Islam francese e del radicalismo Fedeli fai da te, jihadisti per caso Massimo Villone L a solidarietà alla Francia per il massacro di Parigi non è di maniera. È stato colpito un paese a noi stretto da profondi e antichi legami, e sappiamo che potrà accadere anche a noi. In molti paesi la comunità musulmana è di gran lunga la più forte delle minoranze, e difende la propria cultura e la propria fede. È ormai un lontano ricordo il melting pot che, fino agli ultimi decenni del secolo scorso, era simbolo di integrazione nel mainstream del paese ospitante. Oggi l unica via è quella di un multiculturalismo che la minaccia terroristica assoggetta a una pressione crescente. Ancor più perché - a quanto si dice - migliaia di cittadini europei vanno a combattere per il califfato. Torneranno? Con quali intenzioni? Terrorismo di importazione e terrorismo domestico si confondono. Questo sembra appunto il caso per la strage di Charlie Hebdo. E corriamo due gravi rischi. Il primo è che per prevenire attacchi si comprimano i diritti e le libertà. È già successo. Negli Usa lo dimostrano Guantanamo, il Patriot Act e lo spionaggio di massa della Nsa. Casi come Holder v. Humanitarian Law Project, 561 U.S. 1 (2010), in cui la Corte Suprema discute se esprimere una opinione politica può configurarsi come aiuto materiale ai terroristi, ci dicono che nemmeno il più solido pilastro del costituzionalismo americano - il free speech - è al sicuro. In Gran Bretagna vediamo analoghe vicende con il Terrorism Prevention and Investigation Measures Act del 2011 e l ampio ricorso agli Asbo (Anti-social Behaviour Orders), con i quali un giudice può vietare qualsiasi comportamento o attività sia ritenuto sospetto o socialmente pericoloso. In Francia e in altri paesi si discute di limiti alla libertà di espatrio e di ritiro del passaporto per chi ha simpatie per l Isis. E non dimentichiamo che per noi brigate rosse e legislazione di emergenza sono storia recente. Il secondo rischio è che la ricerca di risposte sul piano della repressione penale renda impraticabile la via di una convivenza multiculturale già di per sé difficile. Terrorismo ed eversione sono noti al codice penale italiano (in specie, cod. pen., art. 270, 270 bis, ter, quater, quinquies e sexies). Ma il punto è se le norme vigenti siano adeguate nella repressione di un terrorismo che Guido Caldiron P residente del Centro d informazione e studio sulle migrazioni internazionali di Parigi e ricercatore presso l Institut français du Proche-Orient di Beirut, il sociologo Vincent Geisser è uno dei maggiori studiosi dell Islam francese cui ha dedicato diverse opere, tra cui Marianne et Allah (La Découverte) e Ethnicité républicaine (Presses de Sciences Po). Non è perciò la prima volta che si misura con il nuovo terrorismo domestico di matrice jihadista. I responsabili dell attacco a Charlie Hebdo sono nati e cresciuti a Parigi. Come è possibile che si siano trasformati in fanatici jihadisti? Intanto si deve chiarire come si tratti, prima ancora che di musulmani, di terroristi e criminali di professione. Soffermarsi su questo punto è decisivo non per motivi morali o per distinguere la religione dai loro atti, ma per capire davvero che cosa li ha trasformati in jihadisti, per comprendere il significato della loro traiettoria di morte. Perché dico questo? Ma perché in questi casi, come già accaduto per Mohammed Merah (il giovane della periferia di Tolosa che uccise alcuni militari e attaccò una scuola ebraica uccidendo anche dei bambini nel 2012, ndr), si tende a sottovalutare il percorso che conduce a questi atti terribili. Invece, e lo confermano gran parte degli studi sull argomento, i rapporti dell antiterrorismo, come anche i racconti che mi hanno fatto parenti e amici di alcuni non assume la forma di organizzazioni complesse volte a obiettivi strategici, ma si realizza in atti isolati da parte di individui o piccoli gruppi spontanei. Un terrorismo diffuso e molecolare, come forse mostrano le rinnovate uccisioni in Francia. Come si può prevedere, chi, dove, quando? Quanto deve essere pervasiva e occhiuta la vigilanza per acquisirne consapevolezza? il rischio di risposte orwelliane e da inquisizione è chiaro. Ed è altresì chiara la contraddizione tra un multiculturalismo indispensabile e politiche repressive parimenti necessarie. Èuna contraddizione cherichiede strumenti politici, non il codice penale. Chi ha vissuto gli anni di piombo ricorda come decisiva non solo la risposta giudiziaria, ma ancor più quella data dalla politica terroristi che ho conosciuto, la maggior parte di questi individui si sono formati nelle fila del grande banditismo, della malavita. Hanno imparato le tecniche poi messe in atto negli attentati, come ad usare le armi d assalto o a sfuggire ad un inseguimento della polizia, in questi ambienti molto più spesso che nei campi paramilitari allestiti in Medioriente. La loro deriva personale, spesso frutto di fattori diversi che sarebbe difficile generalizzare ed analizzare in poche parole, era iniziata già molto prima che facessero «il grande salto» verso il terrorismo islamico. Già, ma che cosa può averli spinti a cercare una sorta di "senso" per le TERRORISMO La risposta Usa ha ostacolato la via della convivenza multiculturale Libertà a rischio, non ci vuole un Patriot act Servono istituzioni forti, luoghi di confronto reale, strumenti politici, non il codice penale «Disturbati emotivi, sostituiscono i simboli con la realtà. In prigione, il contatto con i musulmani» e dalle istituzioni. Fecero muro contro l attacco terroristico, anche se non mancaronolacerazioni gravi, comein occasione delrapimento e dell'uccisione di Moro. Fu una grande rete di protezione che avvolse il paese. Ma qui è il punto. Quella politica era forte, perché fondata su corpi intermedi - partiti e sindacati - di massa e profondamente radicati, in grado di costruire consenso intorno alle politiche di contrasto al terrorismo. Le istituzioni erano forti perché compiutamente rappresentative, espressione vera del paese e del suo popolo, luoghi di confronto reale in cui definire scelte di governo condivise. Vediamo invece oggi un punto di debolezza. Un premier palesemente allergico a corpi intermedi, che riesce a vedere solo come ostacolo al proprio potere. Partiti dissolti, sindacati emarginati, istituzioni non rappresentative, subalterne all uomo solo al comando e ridotte a simulacro. Una politica fatta di tweet, conferenze stampa e comparsate televisive. È una condizione drammaticamente negativa, che le proposte di riforma in discussione - anche incostituzionali - peggiorano e consolidano. Possiamo solo aggiungere il tentativo di imbavagliare la stampa e ancor più le forme nuove di comunicazione che potrebbero contribuire alla costruzione del consenso. Basta leggere il testo approvato in Senato, il 29 ottobre 2014 (AS 1119 e connessi), con modifiche alla legge sulla stampa, applicabili anche alle testate giornalistiche on line. Quali istituzioni per la lotta al terrorismo? Quali istituzioni per la crisi? Due domande cui viene oggi data la medesima risposta, sbagliata. Una primaria parola d ordine allora, anche per il terrorismo, è: invertire la rotta. Aprire la politica e le istituzioni, non emarginare ed escludere. Dare spazio a tutte le voci, non mettere bavagli. Ricostruire il radicamento delle forme organizzate della politica e i luoghi delle decisioni collettive, non proseguire sulla strada del populismo leaderistico e del potere personale esercitato in solitudine. Solo così potremo scommettere sulla speranza, e non sulla paura. Solo così potremo evitare risposte orwelliane e ondate lepeniste. E soprattutto potremo vincere. Perché il terrorismo si sconfigge nelle coscienze, prima che nei tribunali. loro azioni proprio nel riferimento all Islam e alla Jihad? Per dare una risposta generale, si può immaginare che l itinerario personale di questi giovani abbia conosciuto dei momenti di rottura, delle crisi, legate a fattori sociali come famigliari o emotivi che li ha spinti verso una radicalizzazione, verso la violenza, e che abbiano scelto l Islam per dare una visibilità anche esteriore a quanto provavano. Non è un caso che "la fede" che esprimono è una sorta di fai da te. In larga maggioranza vengono da famiglie dove l Islam non è particolarmente presente, hanno frequentato poco le moschee e studiato ancora meno il Corano. La loro «socializzazione musulmana» è avvenuta più spesso nelle prigioni, dove erano finiti per crimini comuni, per furti o traffici di varia natura, come la droga o le auto rubate. Con una formula direi che più che radicalizzarsi attraverso l adesione all islamismo, optano per ciò che gli appare come un simbolo di una scelta estrema, la più radicale tra quelle che hanno di fronte. Per questo diventano jihadisti. Resta il quesito: perché tanti giovani francesi, diverse centinaia ad esempio quelli che sarebbero andati a combattere in Medioriente, hanno scelto proprio l adesione all ideologia della Jihad? Perché simbolicamente, per quanto paradossale questo possa apparirci, la identificano con la ribellione, con la rivolta. Nella loro traiettoria di rottura con la società, spesso anche con la famiglia o con i loro affetti, nel loro malessere esistenziale, i simboli finiscono per contare più che la realtà, le forme esteriori più della sostanza delle cose. E così è attraverso la tv e la rete, con le immagini terribili che arrivano dagli scenari di guerra internazionali, che questi giovani si formano un opinione superficiale su quanto avviene in Siria o in Iraq e finiscono per identificarsi con gli jihadisti. L indottrinamento politico-religioso e il contatto con i gruppi organizzati arriva spesso in un secondo momento. E questo tipo di fascino assurdo per l estremo, per la violenza, per ciò che appare come la cosa più lontana, e opposta, al mondo che si ha intorno, riguarda sempre più anche giovani che nulla hanno a che fare con la cultura musulmana: ragazzi nati nella provincia francese, in famiglie cattoliche e bianche. Come quell adolescente bretone che ha cercato di raggiungere gli jihadisti in Siria di cui si è occupata recentemente la stampa del nostro paese. L estrema destra europea cerca di speculare sulla strage a Charlie Hebdo assimilando i terroristi agli immigrati. I nuovi jihadisti sono invece francesi e la cultura musulmana è sempre più integrata. Un paradosso? No, solo la conferma da un lato che l immigrazione non c entra proprio nulla con questi fenomeni e dall altro che sembra entrarci poco anche la pratica e la cultura religiosa. In Francia ci sono milioni di musulmani che non vivono soltanto nelle banlieue ma fanno anche parte del ceto medio e delle professioni liberali. Ci sono molti quadri, diversi parlamentari e anche qualche ministro. La Grande Moschea di Parigi data dal periodo tra le due guerre mondiali, e l Islam, in tutte le sue tendenze e anime, è parte dello spazio culturale francese ormai da molto tempo. Eppure, il riferimento alla presenza musulmana è stato spesso agitato per evocare paure e allarme, come Sarkozy che denunciava il ruolo degli islamisti nelle rivolte delle banlieue. Oggi le cose sono cambiate? Non molto, direi. Anche se con Sarkozy si è raggiunto per così dire il picco della manipolazione politica dell Islam in Francia. Sarko aveva da un lato contribuito a far nascere un Consiglio rappresentativo delle associazioni musulmane, per poi denunciare, contemporaneamente, il rischio di una deriva "comunitarista" della République, il tutto mentre se la prendeva con «i giovani barbuti» delle periferie. Invece una cosa è la fede, un'altra le rivolte urbane, altro ancora il terrorismo. AUSTRIA Il movimento anti Islam organizza la marcia a Vienna Il movimento anti islamico e contro l immigrazione Pegida, ha incontrato ieri a Dresda membri del partito euro-critico Alternativa per la Germania (Afd) e sfruttando l'ondata di indignazione dopo l attentato a «Charlie Hebdo» si organizza e valica i confini della Germania. Il braccio viennese del movimento è infatti all opera per organizzare la prima marcia nel cuore della capitale austriaca che si terrà, è stato annunciato, il prossimo due febbraio.

4 pagina 4 il manifesto VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 UNA RISATA LI SEPPELLIRÀ Jihad Se confermata, la matrice della strage di Parigi dimostra come i seguaci di al Zawahry stiano cercando di recuperare terreno sullo Stato islamico Al Qaeda batte un colpo La radio dell Isis ieri definiva «eroi» gli autori dell attacco. Ma il conflitto tra le due anime dell islamismo radicale resta aspro Michele Giorgio S i attende di capire se i due attentatori di Parigi facciano parte, come loro stessi avrebbero urlato due giorni fa, di al Qaeda in Yemen, oppure dello Stato Islamico (Isis). Manca ancora una rivendicazione ufficiale. La radio dell Isis ieri ha descritto come «eroi» gli autori della strage compiuta nella redazione di Charlie Hebdo, tuttavia l ipotesi che al Qaeda sia tornata a colpire in Europa resta la più credibile. La sanguinosa vendetta contro il giornale satirico francese con ogni probabilità ha avuto anche lo scopo di diffondere segnali di vita di al Qaeda, dopo gli ultimi 1-2 anni passati dall organizzazione a limitare i danni della scissione operata dallo Stato Islamico del "califfo" Abu Bakr al Baghdadi. Il carattere "movimentista" dell Isis si è dimostrato vincente rispetto alla posizione mantenuta dall emiro di al Qaeda, Ayman al Zawahry. Il successore di Osama Bin Laden resta fedele all idea di una formazione segreta, guidata da pochi uomini fidati, impegnata a pianificare attentati clamorosi, piuttosto che dare vita subito a un califfato, come ha invece fatto al Baghdadi. Zawahry, astuto ma senza carisma, e con uno sguardo troppo rivolto, dal punto di vista arabo, ad Afghanistan e Pakistan, ha perduto l appeal che aveva fino a qualche anno fa. Non ha più la fedeltà di diverse organizzazioni jihadiste che, dopo la proclamazione del califfato nel nord dell Iraq e della Siria, si sono affiliate all Isis. Persino il Fronte al Nusra, l espressione (in Siria) più concreta sul terreno di al Qaeda in questo momento, ogni giorno perde combattenti e comandanti che passano dalla parte del "califfo" al Baghdadi. Da qui la necessità di Zawahry di tornare a "fare notizia", con un attentato clamoroso, approfittando delle prime importanti difficoltà che incontra la macchina da guerra dell Isis, bloccata dai guerriglieri kurdi a Kobane, frenata dal riorganizzarsi delle forze di sicurezza in Iraq e dalle bombe della "Coalizione" capeggiata dagli Usa. Al Baghdadi ora deve anche amministrare le città conquistate e non solo combattere. Il match tra Al Qaeda e l Isis, si svolge ad ogni livello, anche su quello della comunicazione. Nell ultimo numero di Dabiq, la rivista on line dello Stato Islamico, i seguaci di al Baghdadi mettono al centro del loro discorso le differenze esistenti con al Qaeda. La storia principale ha per titolo «Al-Qaeda del Waziristan», ed è stata scritta da un presunto disertore di al Qaeda, noto come Abu Jarir ash-shamali, impegnato a dimostrare che l eredità di Abu Musab al Zarqawi appartiene solo all Isis. Zarqawi, ucciso da un raid statunitense nel giugno 2006, era stato il leader della Jamaat al-tawhid wal Jihad, poi divenuta lo Stato Islamico in Iraq (Isi), e infine, con l avvento di al Baghdadi, Stato Islamico in Iraq e in Siria (Isis). Nel dicembre 2004 giurò fedeltà ad Osama bin Laden che lo nominò "emiro" in Iraq. Senza pietà, determinato, animato da un profondo odio più per i rafida, gli sciiti, che per i soldati americani che occupavano l Iraq, Zarqawi è stato uno dei maggiori sostenitori del takfirismo, (da takfir, «empietà massima»), che prevede la "scomunica" non solo dei governi ma anche della maggioranza delle comunità islamiche. In sostanza per Zarqawi erano eretici tutti i musulmani che non condividevano il suo punto di vista. Perciò fino a quando è rimasto in vita, l emiro ha passato il suo tempo a massacrare e tagliare teste fra gli sciiti e anche fra i sunniti a suo giudizio "peccatori". La macabra eredità di Zarqawi, un mito per i jihadisti, al Baghdadi la rivendica tutta. E il racconto di Abu Jarir a-shamali serve proprio per quello. E non manca di segnalare le difficoltà organizzative di al Qaeda dopo l uccisione di due dirigenti di primissimo piano, Atiyyah Abd al Rahman e Abu Yahya al Libi, in attacchi di droni americani. Il "quadro negativo" della situazione di al Qaeda fatto da a-shamali non trova però conferma nelle indiscrezioni che filtrano dalla complessa galassia jihadista. Al Zawahri avrebbe istituito un comitato di gestione, denominato Lajnat Bukhara, molto efficiente, per ridare slancio ad al Qaeda. Soprattutto starebbe spostando dall Asia uomini e armi per affermare nuovamente la sua presenza in Iraq. Perciò la strage di Parigi è una potente inserzione pubblicitaria sulle televisioni di tutto il mondo, necessaria al leader di al Qaeda per vincere la delicata partita che sta giocando con Abu Bakr al Baghdadi e per il favore di decine di migliaia di miliziani del jihad globale. E qualcosa si sta già muovendo. Nuovi, forse, sostenitori di al Qaeda ieri hanno postato un ringraziamento per coloro che «hanno vendicato il Profeta» e una immagine con una X rossa sul volto del vignettista Charb ucciso due giorni fa. E citano «The Dust will never settle down», uno dei più celebri discorsi dell imam Anwar al Awlaki Awlaki, delfino di Osama bin Laden, ucciso in Yemen da un drone Usa nel EDITORIALE L intollerabile integralismo delle furie islamiste e dei paladini dell Occidente «Liberté, égalité, fraternité» e il loro doppio DALLA PRIMA Marco Bascetta Il secondo bersaglio degli attentatori di Parigi è égalité. Nessun presunto detentore di verità assolute può contemplare l idea di eguaglianza, se non nel senso di una conversione più o meno forzata. Del resto, i regimi islamici poggiano su principi fortemente gerarchici e, dopo il tramonto del nazionalismo arabo, sull indiscusso potere dell autorità religiosa. Tuttavia, i guardiani dell Occidente su questo punto preferiscono tacere, poiché sostanzialmente condividono, a loro modo, il punto di vista degli avversari. I più espliciti, citando Oriana Fallaci, si dichiarano appartenere a una «civiltà superiore» e dunque in diritto di discriminare non solo chiunque provenga da un diverso ambito culturale, ma anche il dissenso al proprio interno nel momento in cui superi confini che vanno sempre più restringendosi. All eguaglianza dei diritti oppongono filtri, barriere e condizioni. L integrità dei principi di questi patrioti dell Occidente non ammette contaminazioni né evoluzione alcuna. Infine, égalité metterebbe in questione le gerarchie, le stratificazioni sociali e il sistema di privilegi cui sono affezionati. Dunque, se gli uomini del califfato, ben convinti a loro volta di rappresentare una «civiltà superiore», le sparano addosso, tanto meglio. Fraternité, la più desueta e cristiana delle tre parole, è con tutta evidenza spazzata via da quel A ciascuno i suoi fanatici da debellare. La nostra idea di civiltà esclude lo scontro di civiltà taglio netto tra «fedeli» e «infedeli» che guida la mano degli assassini. Fraternità potrà darsi solo quando l intero pianeta avrà fatto dell Islam il suo credo. Non è l antidoto alla guerra, ma il suo risultato. Fatto sta che anche in questo caso i cristianissimi difensori della civiltà occidentale preferiscono astenersi da commenti. Un siffatto principio impedirebbe infatti di considerare i migranti come pura e semplice minaccia, imponendo una qualche forma di intervento solidaristico nei confronti di chi fugge dalla fame e dalla guerra. Fraternitè è però anche un principio che pretende di distinguere tra i singoli e le loro comunità, tra gli individui e i loro contesti culturali. Il principio cristiano della «centralità della persona», se non se ne vuole fare solo una bandierina per le crociate contro l aborto o l eutanasia, dovrebbe significare appunto questo. Poche espressioni sono prive di senso quanto la «fratellanza dei popoli», che in genere corrisponde agli interessi dei loro governanti e alle loro tregue armate. Questa distinzione tra individui e comunità è esattamente ciò che i sacerdoti dell individualismo occidentale paradossalmente rifiutano, ragionando per gruppi etnici e tradizioni culturali. Ci siamo «Noi» e «Loro», gli «islamici» e i «civilizzati». Il quadro dello «scontro tra civiltà» è completo. E la vittoria dell integralismo e dell intolleranza anche. Lo schema della guerra santa può essere insidiosamente laicizzato. Charlie Hebdo è stato davvero ucciso dai suoi assassini ma si accinge ad essere sepolto da chi, strumentalmente, ne fa lo stendardo dei propri pregiudizi. Così, dalle ceneri della Fraternité universalistica ne sorge un altra, nazionale, identitaria, «bianca», se non quanto al colore della pelle certo quanto alla mentalità. Quella dell «unità nazionale», dei «valori condivisi», quella che chiede di stringersi tutti contro il nemico esterno, quella allucinata che - nutrita da una ormai vasta letteratura, dalla pionieristica Fallaci al polemista tedesco Thilo Sarrazin (La Germania si autodistrugge), al francese Eric Zemmour (Il suicidio francese), perfetta l assonanza tra i due titoli, fino alla fantapolitica di Houellebecq - pensa davvero che un giorno l Europa possa trasformarsi in un Califfato. Ipotesi cui nemmeno Al-Baghdadi, ragionevolmente dedito a destabilizzare i «regimi arabi moderati», crede minimamente. Se dovessimo marciare insieme a Marine Le Pen e Matteo Salvini, per non parlare dei fascisti tedeschi di Pegida, in difesa di una idea comune di «civiltà», allora il «Noi» finirebbe per assomigliare sempre di più a quello perseguito dai miliziani della guerra santa. A ciascuno i suoi integralisti da debellare. Il Califfato non giungerà a governarci, ma la vita quotidiana rischia di diventare molto infelice.

5 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 il manifesto pagina 5 UNA RISATA LI SEPPELLIRÀ Radici I successi militari in Iraq e in Siria hanno fatto proliferare i sostenitori del «califfato» nel Maghreb come in Europa. Prime vittime, i musulmani MILIZIANI DELLO STATO ISLAMICO ENTRANO A MOSUL, IN IRAQ. A SINISTRA, UN JIHADISTA DEL FRONTE AL NUSRA, SEMPRE A MOSUL. A DESTRA, UN SOLDATO FRANCESE IN MALI /FOTO REUTERS INTERVISTA Gli errori occidentali e i danni neo-liberisti secondo Samir Amin «Un atto odioso, ma la colpa è di Francia e Stati uniti» Giu. Acc. H amza Piccardo, leader storico dell Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia), non ha usato mezzi termini per condannare immediatamente, senza se e senza ma, gli attacchi alla redazione del Charlie Hebdo di Parigi. Anche il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (Caim), guidato da suo figlio Davide e vicino all organizzazione internazionale dei Fratelli musulmani, ha subito condannato gli attentati e organizzato, poco dopo l attacco, una veglia in solidarietà con le vittime alle porte del Consolato francese in via Moscova a Milano. Come giudica il sanguinoso attacco alla redazione del giornale satirico francese? È stata un azione aberrante. Per l Islam uccidere un innocente è come uccidere l umanità così come salvare una persona è come salvare il mondo. Hanno ucciso degli innocenti. Di certo, secondo il nostro punto di vista, le vignette del Charlie Hebdo offendevano il profeta. Ma nella nostra pratica religiosa quotidiana a un azione si risponde con un azione simile, non si imbraccia il kalashnikov. Rispettiamo il principio di libertà di espressione. A una bestemmia si risponde con una denuncia per diffamazione o di incitamento all odio religioso, non si va di certo a sparare. Crede che si tratti di un attentato di matrice islamista radicale? Il depistaggio in realtà in questi casi è facilissimo. Gli attentatori avrebbero detto prima di sparare di essere andati lì per vendicare il Profeta. Hanno avuto una capacità militare da teste di cuoio: uno di loro ha sparato per strada camminando in fretta ed è tornato indietro per riprendere una scarpa. Ma poi hanno commesso degli errori sciocchi, come lasciare nella Citroën che guidavano una carta d identità. Forse non sapremo mai la verità sulla responsabilità in questi attacchi. «Saddam e Gheddafi contenevano la deriva islamista, ma sono stati abbattuti» Intervista/ HAMZA PICCARDO (UCOII): «AZIONE ABERRANTE»» «Uno sciacallo, chi ora vuole fermare la costruzione delle moschee a Milano» Quale sarebbe lo scopo principale di questi attacchi? Sono veramente convinto che il ministro della Giustizia francese, Robert Badinter, abbia ragione. Questi traditori degli ideali religiosi sperano che la collera e l indignazione che causano fomenterà il rifiuto verso i musulmani. In altre parole vogliono allargare il L ISLAM ITALIANO «Di certo, secondo il nostro punto di vista, fossato che separa i le vignette del Charlie Hebdo musulmani dagli altri cittadini. Di sicu- offendevano il profeta. Ma nella nostra pratica religiosa ro faremo qualsiasi quotidiana a un azione si risponde con un azione simile, re perché non ci rie- cosa in nostro pote- non si imbraccia il kalashnikov». scano. La reazione dei partiti di destra in Italia, come la Lega Nord, è stata di chiedere lo stop al bando, approvato dalla giunta Pisapia a Milano, per la costruzione di tre nuove moschee... Si tratta di puro sciacallaggio. È dimostrato da fonti di intelligence che le moschee non hanno nulla a che fare con il terrorismo. Chiunque può entrare e piazzare microspie in una moschea. In altre parole, in nessuna moschea si organizzano azioni del genere. Chi organizza attentati come questi lo fa fuori dalle moschee. Questi partiti di destra giocano sull isteria e la paura irrazionale. È anche vero che la giunta Pisapia ha approvato criteri restrittivi per il bando, per questo chiediamo modifiche che a questo punto sarà ancora più difficile ottenere. Sembra che i responsabili siano jihadisti europei. L Italia per il momento sembra alquanto estranea al fenomeno oppure si tratta di sottovalutazione? Io sono al corrente di un solo caso di un italiano morto in Siria, Ibrahim Giuliano Del Nevo ma lui combatteva con la galassia jihadista anti-asad di Jabhat al-nusra ad Aleppo. L ho incontrato un paio di volte e conosco la sua famiglia. Fino a che punto la satira può attaccare la religione? La satira può trattare argomenti religiosi. Certo ciò che è sacro va rispettato da tutti. Chi invece si sente offeso non è mai giustificato a sparare. Giuseppe Acconcia A bbiamo raggiunto al telefono a Parigi Samir Amin, filosofo ed economista, direttore del Forum del Terzo mondo, con sede a Dakar, per commentare l attacco alla redazione di Charlie Hebdo. Perché i terroristi hanno colpito così duro al cuore dell Europa? È una conseguenza diretta della politica occidentale in Libia. In particolare il Sud del paese è diventato una base di approvvigionamento gigantesca. Quella regione è stata strategica per la Francia, senza di essa l esercito francese non sarebbe potuto intervenire in Sahel. Dirò di più. Credo anche che la tempistica degli attacchi abbia una relazione con l avanzata dell esercito francese dal Ciad dei giorni scorsi. I jihadisti hanno voluto riaffermare che il Sud della Libia deve rimanere la loro base e una terra di nessuno. Ovviamente tutto questo è poi conseguenza diretta degli attacchi della Nato contro il colonnello Muammar Gheddafi del Chi è quindi il vero responsabile di queste azioni. È forse il caso di mettere in discussione la politica occidentale in Medio oriente? Si tratta di un odioso atto di terrorismo di sedicenti islamisti che hanno una comprensione del tutto particolare dell Islam e della religione. Ma la responsabilità di questi attentati è di Francia e Stati uniti. Le potenze occidentali continuano a sostenere Arabia Saudita, Qatar e paesi del Golfo. Consentono tutto a questi paesi, che danno un appoggio gigantesco al terrorismo. Per essere più chiari, le potenze occidentali considerano l alleanza con i paesi del Golfo un fondamento della politica neo-liberale. Il secondo errore occidentale è di aver combattuto gli autocrati che hanno cercato di porre un freno all Islam politico, da Saddam Hussein a Muammar Gheddafi. Per esempio in Iraq Saddam Hussein sebbene riuscisse ad assicurare la coesistenza tra sciiti e sunniti è stato brutalmente deposto. E Gheddafi aveva chiaramente contenuto le derive islamiste in Libia. Ci sono delle responsabilità specifiche della Francia? La Francia ha una responsabilità in più: aver sostenuto gli islamisti in Algeria, presentandoli come vittime della dittatura dell esercito. Una parte di questi islamisti si è rifugiata in Arabia Saudita ma anche in Europa: in Gran Bretagna ancor più che in Francia. Perché le potenze occidentali hanno interesse a continuare a fomentare il terrorismo internazionale? Il solo obiettivo delle potenze occidentali è portare avanti la loro politica neo-liberale. Per questo, per loro, il mondo si divide in due: i paesi che appoggiano incondizionatamente il neo-liberismo sono i soli amici dell Occidente, anche se si tratta di odiosi islamisti; i paesi recalcitranti sono invece nemici della dittatura del capitale internazionale. In altre parole, le potenze occidentali hanno un solo criterio: il liberismo assoluto. A chi lo sostiene gli si perdona tutto. E la democrazia non ha niente a che vedere con questo. Alcuni degli attentatori avrebbero fatto riferimento ad Al Qaeda in Yemen durante gli attacchi. Non mi stupisce, in Yemen per anni gli islamisti sono stati sostenuti dagli Stati uniti in funzione anti-comunista, insieme all Arabia Saudita. In quel caso la battaglia era contro il "pericolo" nazional popolare dell ex Yemen del Sud. È plausibile poi che si tratti di jihadisti con passaporti europei, come spiega questo fenomeno? Le potenze occidentali hanno tollerato che cittadini europei partissero per la Siria per combattere Bashar al-assad. Questo meccanismo è stato sostenuto dalla Turchia e dagli altri governi occidentali. Ma bisogna stare attenti a non cadere nell islamofobia. La maggioranza schiacciante degli immigrati che vivono in Francia, credenti e non, non sono per nulla fanatici dell Islam reazionario. Invece non è da sottovalutare che siano coinvolti molti atei e convertiti in questi movimenti radicali. Gli attentatori, come al solito, sono ben preparati. Lo stesso avvenne con i Taliban in Afghanistan che erano stati addestrati dalla Cia in Pakistan. E così questi "jihadisti europei" non sono amatoriali, probabilmente si sono formati in Siria e in Iraq. Per questo sono stati estremamente efficaci. Perché è stata scelta proprio la stampa come obiettivo? Gli attentatori hanno scelto un obiettivo "intelligente". Il loro scopo è di diffondere terrore nei media. L obiettivo, in ultima analisi, è quello di costringere l Occidente a rinunciare alla laicità e alla libertà di espressione. ISLAM GLOBALE Le vere vittime dei jihadisti Giuliana Sgrena L angoscia e lo smarrimento suscitati dalle una visione più ortodossa co e la volontà di imporre immagini che arrivavano dell islam si è verificato di recente da Parigi, lasciano ora spazio a interrogativi e considerazioni. proprio in un paese musulmano come la Tunisia. Non a caso i due fratelli Innanzitutto la freddezza e franco-algerini ritenuti responsabili la preparazione militare dei dell attentato terroristi segna un salto di qualità nel terrorismo islamico globale. Persino l urlo di «Allah u Akbar» così nitido è apparsoprivo di emozione edifanatismo. L obiettivo stesso appare simbolico più che frutto di una reazione a vignette anti-islamiche, che sarebbe stato più comprensibile in occasione della pubblicazione di quelle più dissacranti. Le vignette contro Maometto pubblicate da un giornale danese nel 2005 avevano provocato mobilitazionianti-occidentali invaripaesi musulmani, mentre l attacco di Parigi è stato condannato con rare eccezioni di plauso. L obiettivo scelto è infatti molto «sofisticato» per le masse arabe, si è voluto colpire la laicità nella sua espressione più radicale: Charlie Hebdo in nome della libertà dissacrava e sbeffeggiava la religione come la politica o il sesso. L obiettivo sembra quindi più una scelta dell islamismo francese o europeizzato. Chi può odiare tanto un simbolo della laicità se non un islamista francese? Questo attentato è il frutto avvelenato dell islam globalizzato, un ideologia sostenuta anche da intellettuali occidentali che hanno convinto molti europei della loro intenzione Chérif e Said Kouachi sono legati alla filiera jihadista Buttes-Chaumont di Boubaker al Hakim, franco-tunisino, che ha rivendicato nel dicembre scorso, l assassinio dei due noti esponenti del Fronte popolare, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. La rivendicazione, a nome dello Stato islamico (Isil), è avvenuta alla vigilia del secondo turno delle presidenziali tunisine e faceva appello al boicottaggio. Sebbene i due giovani siano stati indicati dai testimoni come appartenenti ad al Qaeda in Yemen, il loro passato è più legato ad al Qaeda in Iraq che sarebbe poi diventata Isil. E questo dimostra come il terrorismo globale non risponda più a una sigla ma molti gruppi possono agire in nome del Jihad. Kouachi era stato arruolato nel 2004 da Farid Benyettou, autoproclamatosi imam. I due erano stati arrestati nel 2005 mentre Kouachi era in partenza per Damasco. Boubaker al Hakim, arrestato in Siria dove ha passato un anno in carcere, è stato estradato in Francia nel 2005, dove nel 2008 è stato condannato a sette anni, ma nel 2011 è stato liberato. Sono solo alcune storie di di modernizzare jihadisti che dimostrano co- l islam mentre il vero obiettivo era ed è quello di islamizzare l Europa. È la stessa ideologia che ha generato il califfato di al Baghdadi, che me personaggi già noti alla giustizia possano continuare a organizzare attentati tra una missione e l altra sui terreni di guerra. È questo il terrorismo in nome dell islam globale globale, che non vuole abbattere le frontiere coloniali in Medioriente. La coincidenza con l uscita del provocatorio romanzo di Houellebecq Sottomissione può essere combattuto solo con misure di sicurezza: ancora più importante è combattere l ideologia portata alle estreme conseguenze dai (traduzione letterale di terroristi. Il «successo» in Islam) sulle conseguenze della diffusione dell islam in Europa i musulmani sono già e saranno sempre più una presenza importante e financo preponderante ha scatenato Iraq e Siria di al Baghdadi ha fatto proliferare i suoi sostenitori nel nord Africa e anche in occidente. Ora si chiede alla comunità musulmana di condanna- ipotesi drammatiche re il terrorismo, di farlo più sul nostro futuro. Questo ci esplicitamente. Questo indubbiamente deve spaventare? No, ma serve a isolare non possiamo ignorare le i jihadisti, ma non basta farlo contraddizioni vissute da quando c è l emergenza, la chi, di origine musulmana, è cresciuto in un paese più o meno laico (l Italia non lo è) e apprezza questa laicità ma non è disposto a mettere in paura, occorre prestare maggiore attenzione a quelle forze, a quei religiosi, che dentro il mondo islamico si battono, a loro rischio e pericolo, discussione i principi per una secolarizzazione dell islam (secondo una versione integralista) soprattutto rispetto alle donne. Sono contraddizioni più laceranti nei giovani che negli adulti. Lo scontro più duro tra un mondo sostanzialmente lai- dell islam. Non serve condannare le atrocità commesse in nome dell islam solo quando toccano l occidente, perché le principali vittime del fanatismo non siamo noi ma i musulmani moderati e laici.

6 pagina 6 il manifesto VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 Ora il gruppo islamico radicale controlla tutti e tre i confini dello stato del Borno Rita Plntera S i annuncia come una carneficina, se le prime stime venissero confermate, la nuova strage di cui è stato nuovamente teatro il nord-est della Nigeria. Non si contano i cadaveri sparsi per le strade e le case date alle fiamme in 16 villaggi sulle rive del Lago Ciad a seguito di un doppio attacco degli integralisti di Boko Haram lanciato tra sabato e mercoledì scorsi. Secondo le prime testimonianze sarebbe completamente devastata la città di Baga, importante centro commerciale di circa abitanti e sede della Multi-National Joint Task Force (Mmjtf), la forza multinazionale composta da soldati provenienti da Nigeria, Ciad e Niger (sebbene a essere di stanza lì sarebbero solo i soldati nigeriani) il cui quartier generale è caduto nelle mani degli islamisti sabato scorso. Stando a quanto riportato dalla Bbc che cita un alto funzionario locale, Musa Alhaji Bukar, si teme che siano state uccise circa A confermare l accaduto è stato anche Gamandi Abubakar, a capo del sindacato dei pescatori della zona. Una stima non confermata, prodotta in base delle testimonianze di migliaia di sfollati in fuga verso Maiduguri, la capitale dello stato del Borno distante circa 200 chilometri, e il vicino Ciad. «Più di sfollati provenienti da Baga e dai villaggi circostanti si trovano in un campo a Maiduguri», ha precisato Musa Bukar. Quello di mercoledì è il secondo raid lanciato da Boko Haram nella regione nel giro di pochi giorni. In centinaia pesantemente armati avrebbero attaccato e preso il controllo della città di Baga dopo diverse ore di combattimento, della base militare e dei villaggi circostanti già sabato scorso. I residenti in fuga sarebbero stati inseguiti da miliziani a bordo di motociclette e trucidati: «I corpi giacciono ancora nella boscaglia intorno ma non è prudente andare a cercarli per seppellirli», ha riferito Bukar. In molti sarebbero annegati nel tentativo di attraversare il lago Ciad. Mentre circa 600 persone sarebbero bloccate su un isola del lago senza cibo, ha reso noto Gamandi Abubakar in contatto telefonico con loro: «Alcuni stanno morendo a causa della mancanza di cibo, del freddo e della malaria, su quest isola infestata dalle zanzare». I filmati della Reuters mostrano decine di civili in attesa sulle strade di sabbia alla periferia di Baga per di prendere gli autobus e lasciare la città, portando con sé sacchi di vestiti e materassi arrotolati. Baga è tristemente balzata nelle cronache internazionali NIGERIA, MILIZIANI DI BOKO HARAM E L ESERCITO NELLE STRADE DI BAGA PRIMA DI RITIRARSI. A DESTRA, SRI LANKA AL VOTO. IN BASSO, MANIFESTAZIONE A PARIGI PER LE TRE MILITANTI CURDE UCCISEREUTERS LE MONDE DIPLO Perché avanza la setta islamica INTERNAZIONALE NIGERIA Devastata la città di Baga, la setta potrebbe aver ucciso persone nel nord-est Boko Haram attacca, è strage Il prossimo numero di Le Monde diplomatique, in uscita con il manifesto il 15 gennaio, contiene un articolo dello studioso camerunese Rodrigue Nana Ngassam dal titolo «Boko Haram minaccia il Camerun». Il ricercatore analizza il moltiplicarsi degli attentati e dei rapimenti perpetrati dalla setta islamica, nata in Nigeria, ma ormai operativa anche in Niger e nel nord del Camerun, dove ha obbligato Yaoundé a una risposta armata. Il 16 dicembre, il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha chiesto la creazione di un comitato regionale di collegamento militare. Ma la risposta militare - sottolinea Ngassam - non risolve i problemi di una terra di grandi disparità, occorre considerare le cause che alimentano Boko Haram. Geraldina Colotti D ue anni dal triplice assassinio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan et Leyla Soylemez, tre militanti curde del Partito dei lavoratori (Pkk), uccise a sangue freddo a Parigi il 9 gennaio del Un omicidio ancora senza colpevoli, commesso in una zona molto controllata vicino alla Gare du Nord, in rue Lafayette, 147, sede del Centro di informazione del Kurdistan. Un omicidio di Stato, secondo i militanti curdi, commesso dai servizi segreti di Ankara (Mit). Un anno fa questa pista si è fatta strada con forza, aumentando le possibilità di colpevolezza dell'unico arrestato, Omer Guney. Un video consegnato agli inquirenti e diffuso sul web mostra una conversazione precedente l'attentato tra un uomo che si suppone sia Guney e due responsabili dell'intelligence turca. I tre parlano di alti dirigenti kurdi da eliminare in Europa, di armi e scenari per realizzarli. La posizione del sospettato sembra evidentemente quella di chi prende orgini. Guney ha sempre proclamato la sua innocenza e il governo turco ha seccamente smentito denunciando una «campagna denigratoria». In quel frangente sono circolate ipotesi di divergenze interne con una frangia dei curdi siriani contraria a Ocalan. La registrazione evidenzia però anche la complicità dei servizi segreti francesi, che tenevano sotto osservazione l'ufficio curdo, come conferma il sospettato ai suoi interlocutori. Un successivo documento confidenziale, proveniente dal Mit un incarico di missione per il legionario emesso due mesi prima del triplice omicidio e pubblicato sul quotidiano Sol (la sinistra) ha rafforzato la pista turca. Guney si era introdotto nell'associazionismo curdo legato al Pkk avvicinando Sakine Cansiz. Sakine, femminista e figura storica del movimento, nel 1978 aveva fondato il Pkk insieme ad Abdullah Ocalan. Fidan Dogan era impegnata a livello diplomatico in Europa nel processo di soluzione democratica della questione curda. Leyla Saylemez era all inizio del 2013, quando decine di persone, in gran parte civili, vennero uccise durante i combattimenti tra la forza multinazionale e Boko Haram. In tanti vennero bruciati vivi nelle loro case. Con la presa di Baga e del quartier generale della Multi-National Joint Task Force (Mmjtf), Boko Haram controlla ora tutti e tre i confini dello stato del Borno con il Niger, il Ciad e il Camerun. Cosa che secondo molti analisti metterebbe gli islamisti nella posizione ideale per lanciare facilmente nuovi attacchi sia nell entroterra della Nigeria, compresa la città di Maiduguri, che nelle regioni limitrofe. Con tutto ciò che comporta per Boko Haram il controllo di ampie zone di frontiera, vale a dire la disponibilità di facili canali per il rifornimento di armi nonché di una base di reclutamento più ampia per allargare i suoi ranghi. Secondo quanto riferito giorni fa dal parlamentare Maina Maaji, Boko Haram avrebbe già il controllo del 70% dello Stato del Borno. Nel loro tentativo di instaurare uno stato islamico nigeriano, gli islamisti solo negli ultimi sei mesi sono riusciti a prendere più di due dozzine di città nel nord-est della Nigeria. Ora, con la débâcle di Baga, Maiduguri risulta accerchiata e più vulnerabile a cadere nelle loro mani. Cinque anni di insurrezione e lotta di Boko Haram contro il governo nigeriano per instaurare un califfato locale, hanno fatto circa 1,5 milioni di sfollati e migliaia di vittime, più di solo l anno scorso. A nulla sono valsi i tentativi del presidente uscente Goodluck Jonathan (impegnato nella compagna elettorale per il rinnovo del mandato presidenziale alle prossime elezioni di febbraio) di contrastare la loro capacità di presa del territorio. PARIGI A due anni dal triplice omicidio, ancora senza colpevoli, il movimento torna in piazza «Giustizia per le 3 militanti curde» una giovane militante che dedicava il suo tempo alle attività con i giovani. Tutte svolgevano attività diplomatica in Europa contro l'inserimento del Pkk fra le organizzazioni terroriste. Il loro assassinio era parso perciò un colpo portato alle trattative di pace tra il leader curdo e il premier turco Recep Erdogan. «La ragion di Stato non prevalga sul rispetto della vita umana e sui diritti dei popoli», ripetono oggi i curdi, tornando a chiedere giustizia per le loro compagne uccise. L'inchiesta, però, sembra a un punto morto. Una rogatoria internazionale, inoltrata alle autorità turche da quasi un anno, resta senza risposta. In Turchia è stata aperta un'inchiesta ma denuncia il movimento le SRI LANKA Presidenziali, affluenza record Per Mahinda Rajapaksa in forse il terzo mandato Emanuele Giordana COLOMBO A urne ormai chiuse c'è calma davanti alla splendente magione del presidente della repubblica Mahinda Rajapaksa, che si trova a qualche metro dal mare appoggiata sulla lunghissima Gale Road e dirimpetto all'ambasciata americana: uno dei tanti centri un po' anonimi in cui la capitale dello Sri Lanka è divisa. La controversa elezione del nuovo presidente della repubblica che Rajapaksa è riuscito a convocare per ieri con uno stratagemma parlamentare due anni prima della scadenza naturale, è passata tranquilla ma con una novità importante: un'affluenza che sembra addirittura aver superato i due terzi degli aventi diritto e senza che si verificassero gravi episodi di violenza o intimidazione. A beneficiarne dicono gli analisti - potrebbe essere il rivale del capo dello Stato - Maithripala Sirisena - suo ex ministro e addirittura segretario a lungo del partito del presidente (il Sri Lanka Freedom Party, che teoricamente sarebbe un'organizzazione progressista di ispirazione socialista) che lo ha sfidato proprio puntando sulla stanchezza di un autorità non hanno condiviso nessun elemento con i giudici francesi. D'altronde, Parigi non ha finora tolto il segreto militare su informazioni di intelligence che permetterebbero di far luce su aspetti importanti del caso. «Nonostante la personalità delle vittime e la gravità del crimine che ha sconvolto un intero popolo scrivono i curdi né i famigliari, né i rappresentanti della comunità sono stati ricevuti dalle autorità francesi. Del resto, la Francia ha continuato ad avere rapporti con la Turchia come se nulla fosse accaduto». Il presidente François Hollande ha incontrato a più riprese Erdogan, a gennaio a giugno e a ottobre, ma non ha sollevato il caso. E mentre i guerriglieri curdi resistono a Kobane contro il Califfato, la comunità torna in piazza a Parigi per denunciare «la complicità di Francia e Turchia» e per chiedere nuovamente a Hollande di «adoperarsi con ogni mezzo per identificare, arrestare e giudicare gli autori e i mandanti degli omicidi politici». Per Sakine e le altre, la prima conferenza delle donne del Medio Oriente ha deciso di dedicare il 9 gennaio alla giornata contro i femminicidi politici. E in questa chiave scendono in piazza oggi anche in Italia diverse reti di donne, da Bologna a Roma. Nella capitale, l'appuntamento è dalle 13 alle 18 davanti all'ambasciata francese (piazza Farnese): «Per ricordare le compagne uccise, per difendere il progetto dell autonomia democratica, che è contro il sistema capitalista e patriarcale. Un progetto di rivoluzione sociale sulle proprie terre e un modello per tutto il Medio Oriente e oltre». Elezioni nella calma. A giorni il risultato, prima dell imminente visita di papa Bergoglio elettorato che avrebbe dovuto riconfermarlo per una terza volta su una poltrona che Rajapaksa si rifiuta di mollare.. Secondo Al Jazeera ci sarebbero state due esplosioni in due zone a Sud ed Est del Paese e, riferisce la Bbc, un altro boato ha diffuso il panico a Jaffna, la capitale tamil del Nord, cuore per oltre due decenni di una guerra senza quartiere contro le Tigri tamil e nel 2009 vinta dal governo al prezzo si stima di 40mila morti in stragrande maggioranza civili. Infine la Campaign for Free and Fair Elections (CaFFE), un gruppo di monitoraggio locale del voto ha denunciato intimidazioni e pressioni. Poca cosa tutto sommato in una giornata tranquilla anche perché favorita dalla chiusura di tutti gli esercizi commerciali. Il risultato a giorni e comunque prima dell'imminente visita di Bergoglio nell'isola dei fiori che gli antichi chiamavano Taproane e in seguito divenne nota come Ceylon. Le cose sono andate così: sull'onda della vittoria militare del 2009 Rajapaksa ha incassato il consenso di una buona fetta di singalesi (la comunità maggioritaria e in gran parte buddista dello Sri Lanka) e lo ha fatto senza rinunciare all'appoggio delle formazioni religiose radicali e identitarie che, in questi anni, hanno appoggiato campagne revisioniste della storia locale, rivendicato ai buddisti i luoghi sacri a indù o cristiani e dato alle fiamme villaggi musulmani. Rajapaksa è anche piaciuto alla comunità imprenditoriale: finito il conflitto coi tamil e dopo una vittoria elettorale a valanga che nel 2010 ha premiato la sua guerra - è tornato il turismo e commercio, edilizia e manifattura hanno conosciuto nuovo impulso. Ma la luna di miele è durata fino al 2013 per poi annacquarsi durante le elezioni locali che hanno mostrato la debolezza di un Rajapaksa ormai diventato più che un padre un padrone del Paese: figli nei posti chiave, crony capitalism (capitalismo delle parentele, definizione che fu affibbiata al sistema clientelare del filippino Ferdinando Marcos per la prima volta), un disinvolto uso del potere, non ultimo l'escamotage per tentare la terza rielezione. Infatti, dicono i maligni, quando il presidente ha visto la mal parata ha indetto nuove elezioni con un messaggio chiaro: che comunque avrebbe vinto lui. Se le urne lo confermano, via al terzo mandato. Se premiano invece Sirisena, Rajapaksa resterà ugualmente nella residenza di Galle Road ancora per due anni come capo dello Stato. E sarà dunque lui, vincente o perdente ma comunque vittorioso, a incontrare il papa che nei prossimi giorni verrà per una visita pastorale che ha messo in fermento la base. Cristiani (6%) tamil e musulmani (le minoranze che, al di là delle differenze religiose sono soprattutto tamil venuti secoli fa dall'india o importati durante il dominio britannico per lavorare nelle piantagioni) sono per altro la forza (30% dell'elettorato) su cui Sirisena ha puntato. E che potrebbe far sperare in un giro di boa meno nazional identitario e marcato da quel buddismo armato che, dalla Thailandia al Myanmar, ha davvero poco a che vedere col monaco che insegnò la Via di mezzo e l'amore per tutti gli esseri umani senza distinzione.

7 Sbilanciamo l'europa VENERDÌ 9 GENNAIO N 48 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO L Opec abbassa i prezzi del petrolio per frenare la corsa all Eldorado dello «shale gas». Una bolla finanziaria che rischia di esplodere trascinando a fondo grandi compagnie e investimenti. Mentre l Europa torna a puntare sui combustibili fossili Ghiaccio velenoso Guglielmo Ragozzino P roprio quando i media facevano crescere l interesse generale per il prezzo del barile di petrolio che rotolava rovinosamente, mettendo in luce i pericoli incombenti e le eventuali opportunità, le strategie dei padroni del petrolio e le contromosse di Wall Street, con crescita fantastica del Pil americano nel terzo trimestre, in altre sezioni dei media era riproposto l argomento degli idrati di metano; e nessuno sapeva cosa diavolo fossero. Per dirla in una frase, si trattava e si tratta di formazioni di ghiaccio delle indisturbate profondità sottomarine che contengono metano. Come si è detto nessuno o quasi sapeva qualcosa della loro stessa esistenza e questa generale ignoranza faceva bene al caso. Altri articoli, nelle sezioni di divulgazione scientifica, mostravano aspetti messi in gioco dai finora inafferrabili idrati: si raddoppiava in un colpo solo l intera energia del futuro, non solo di gas, ma anche di carbone e petrolio; si trasformava la geopolitica dell energia finora esistente, spiegando che i Mari del Giappone (del Giappone!) erano i primi ad avvantaggiarsene, con enormi vantaggi per gli isolani dell arcipelago del Sol Levante; si assumeva d altronde che la futura estrazione avrebbe causato ulteriori gravi, immancabili, incalcolabili inquinamenti nonché insondabili pericoli di movimenti tellurici. Come al solito, era un prendere o lasciare. Era insomma un messaggio rassicurante di sopravvivenza, nonostante tutto, della civiltà delle macchine e dei consumi, nel senso che tutto sarebbe continuato, anche una volta finito il petrolio normale ed esaurito lo shale oil. D altra parte era un segnale gigantesco di warning! con il quale si invitavano le masse a ringraziare i Potenti per la loro bonaria protezione, ma a non sfidarli, pattinando sul ghiaccio sottile del futuro (contenente o meno metano). Infatti l inquinamento e i sismi avrebbero forse causato situazioni imprevedibili che solo l Autorità, purché non contrastata da limiti capziosi o regole, o voti assurdi, avrebbe saputo affrontare e risolvere. Disegnato così lo schema del futuro, era importante decidere i vincitori e i perdenti della fase attuale. Un primo risultato è quello illustrato qui a fianco da Massimo Serafini e Marina Turi. Petroli, gas, scisti, carboni, causano inquinamento ormai insopportabile. Le non scelte che sono il risultato del prevertice di Lima prefigurano un inutile riunione di Parigi a fine anno, soltanto dilatoria, quando non c è più tempo da perdere. Dal quadro generale si passa all esame del particolare. C è la bolla dello shale oil spiegata per tempo da Gerardo Marletto. C è l invito irridente «arricchitevi!» proclamato in Basilicata di cui tratta Pietro Dommarco, da confrontare con il risultato inatteso del metano olandese, del quale abbiamo fruito noi dell Italia, mentre hanno ricevuto solo danni gli olandesi, come mostra Pellegrini. Giuseppe Travaglini mette invece in luce la povertà con cui una popolazione vera affronta le strettezze elettriche, mentre Mario Agostinelli descrive i quattro lati del quadro energetico, insistendo sulla pericolosa alternativa tra rinnovabili e nucleare nel mondo di domani. Resta poi l ingenuo Antonio Stoppani, quello del Bel paese, un autore italiano semisconosciuto da decenni, e noto solo per il nome di un formaggio. Egli aveva cercato di insegnare la geografia della recente Italia e le sconosciute scienze naturali agli italiani e alle italiane. Quanto poi vi sia riuscito, vedete voi. L a caduta del prezzo del greggio e il contemporaneo rifiuto degli arabi dell Opec di ridurne l offerta incide certamente sulla competizione nel mercato del petrolio, del gas e del carbone, ma probabilmente meno sul futuro energetico in Europa e nel mondo, più che mai conteso tra affermazione delle rinnovabili e ripresa del nucleare. L obiettivo più evidente del tracollo sui mercati sembrerebbe l attacco alla Russia di Putin, ma non va sottovalutata l intenzione di mettere fuori gioco la concorrenza di parte dello shale gas americano o almeno della produzione dai sedimenti meno remunerativi così da farne emergere senza più l alibi del prezzo tutti i rischi ambientali e la bolla Mario Agostinelli La rilettura La lucilina del Bel Paese speculativa che si porta alle spalle. È questione di cui da noi si parla pochissimo, ma che mette in ansia i grandi finanziatori delle fossili non convenzionali. Se la partita del petrolio con il paradosso di una offerta superiore alla domanda nonostante il superamento accertato del "picco di Hubbert"- sfugge al controllo del cartello dell Opec e si gioca in un mercato senza protezioni, abbiamo la conferma che stia finendo un epoca caratterizzata da un sistema fortemente centralizzato, controllato da un intreccio di monopoli e stati produttori, retto su combustibili ad alta densità calorica e agevolmente trasportabili dopo estrazione. L eccesso di offerta di petrolio non è dovuto a previsioni sbagliate sul suo accertato esaurimento, ma agli enormi investimenti progettati più di un quinquennio fa, quando il prezzo del barile era di 110 dollari e si andava a perforare nei luoghi più impervi. Le stime di consumo poi, non hanno tenuto conto del boom delle rinnovabili e del carattere strutturale della crisi: si pensi che solo nel 2014 la Iea (International Energy Agency) ha rivisto al ribasso le stime della domanda mondiale ben sei volte! CONTINUA PAGINA II Per chi cala la benzina «Stasera voi inaugurate un processo d illuminazione, non dirò nuovo, ma introdotto da poco tempo, e destinato ad avere un grande avvenire, perché forse è quello che concilia il massimo vantaggio col minimo dispendio. Vorreste dunque sapere cos è la lucilina? D onde ci viene? è questo» «La mamma ci ha già detto» interruppe Chiarina «che la lucilina è olio di sasso». «Non crederete spero che i sassi si pigino come le uve o si spremano come le olive».«no, ha detto che si cava dai pozzi: poi che vi sono anche delle sorgenti». «Va bene: la lucilina non è altro infatti che il petrolio, il nafta, il bitume degli antichi». «Come?» fece maravigliato Giovannino. «Dicono che l hanno inventata adesso» «Oibò! tutt al più hanno inventato dei processi per depurare un prodotto già noto, per renderlo così diafano come lo vedete, guardando attraverso il globo di cristallo di questa Antonio Stoppani magnifica lucerna. La lucilina in natura è invece assai meno schietta. Talora è abbastanza limpida e trasparente e si chiama nafta: ma più spesso è rossigna, o nera, e fin vischiosa e allora si dice petrolio. Spesso è ancora più viscida e pastosa e allora si dice bitume o pece minerale». Il testo che precede è un passo del «Bel Paese» di Antonio Stoppani (1876) e fa parte della XII serata. Di petrolio la scoperta di Titusville (Pennsylvania, 1859) era allora un recentissimo racconto di avventure e di avvenire parlano anche le due serate seguenti. Le serate sono poi le divisioni degli argomenti, rappresentate come riunioni familiari nelle quali un anziano sacerdote che poi è l autore stesso, descrive la geografia dell Italia e le scienze naturali ai giovani nipoti, maschi e femmine. Una di queste ultime Marietta è probabilmente Maria Montessori.

8 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 SBILANCIAMO L'EUROPA N 48 - PAGINA II Dopo Lima, in Europa non cambia il clima Al Cop 20 in Perù l Ue ha ancora una volta sacrificato l ambiente alla crescita. E al prossimo summit a Parigi necessaria la mobilitazione Massimo Serafini, Marina Turi D ieci agosto del Le previsioni meteo della televisione spagnola annunciano temperature molto alte di giorno, con massime che sfioreranno i 50 gradi, soprattutto sulla costa mediterranea, e temperature notturne che renderanno difficile il sonno. Le informazioni meteorologiche per diversi paesi tra 36 anni sono il risultato di un lavoro realizzato dalla Organizzazione Mondiale di Meteorologia: si prevedono 40 in agosto a Parigi, con violente tormente nel resto della Francia, e il 21 dicembre del 2050, primo giorno dell estate australe in Perù, le piogge torrenziali impediranno l accesso al picco del Machu Picchu. La diffusione dei futuristici bollettini meteorologici ha coinciso con le negoziazioni che per due settimane hanno coinvolto le delegazioni di 195 paesi durante la Conferenza delle Nazioni Unite sopra il cambio climatico (COP20), ma non hanno condizionato più di tanto. Il tira e molla tra i paesi del Nord del mondo altamente inquinanti e quelli delle industrie dei paesi in via di sviluppo si è ripetuto ancora una volta senza giungere ad alcun intervento risolutivo, con i paesi sviluppati che hanno fatto pressione per cancellare nel testo finale qualsiasi riferimento che li obblighi a dare assistenza finanziaria ai più poveri. Il presidente boliviano Evo Morales nel suo intervento aveva già indicato l insuccesso del vertice, definendolo «simulacro di negoziato» e ha aggiunto che i principali responsabili del cambiamento climatico, i paesi sviluppati, usano i paesi cosiddetti in via di sviluppo come pretesto per continuare a inquinare. L esito deludente era largamente prevedibile, anche se qualcuno aveva riposto deboli speranze quando Barack Obama, Stati Uniti, e Xi Jinping, Cina, avevano annunciato l accordo, ovviamente non vincolante, per contenere le emissioni di anidride carbonica: nuovi obiettivi di riduzione degli inquinanti atmosferici per gli Usa, impegno della Cina, per la prima volta, ad invertire il trend di crescita delle proprie emissioni per il Certo Obama, come alternativa alle fonti fossili tradizionali, si è ben guardato di indicare le fonti rinnovabili, ma ha difeso la scelta di supportare l estrazione di gas da argille e il fracking, disilludendo gli ambientalisti. A Lima non poteva che ripetersi il rito di sempre, con le solite estenuanti contrapposizioni, con il rituale della marcia in difesa della madre terra e delle popolazioni indigene contro il summit ufficiale e con il finale disaccordo sul clima e il comodo rinvio alla prossima conferenza internazionale, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà proprio nel cuore dell Europa a Parigi, nel dicembre Di nuovo l Europa, disposta ancora una volta a sacrificare l ambiente nelle zone di crescita economica? A vanificare anni di politiche ambientali, cancellando le norme su qualità dell aria e sui rifiuti, per favorire le lobby industriali, dimenticando la salute dei cittadini e l ambiente come le priorità essenziali? È proprio quello che ha fatto la nuova commissione di Jean-Claude Junker e del suo responsabile per l energia e il clima, lo spagnolo Miguele Arias Cañete, soprannominato dal Sunday Times «il signor Petrolhead». Non poteva che andare così. Una premessa si poteva leggere nel decreto Sblocca Italia, varato dal governo Renzi, dove erano considerate strategiche, senza alcuna distinzione, tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. Prontamente rinominato Sblocca trivelle potrebbe portare gli statunitensi della Global Med Llc a trivellare in cerca di petrolio in uno specchio d acqua a sud est del Capo di santa Maria di Leuca, nello Ionio, o a considerare la Basilicata, prossima capitale europea della cultura, non un giacimento culturale e paesaggistico, ma solo un pozzo di petrolio. Se qualcuno aveva pensato che, di fronte all evidente rovina dell unica casa comune che è il pianeta, gli interessi si sarebbero fermati; o che il manifestarsi dell insicurezza sociale avrebbe fatto prevalere la giustizia sociale, si è sbagliato. Chi ora governa il mondo non pensa ad alcuno sviluppo sostenibile, né ambientale né sociale, perché a guidare la danza non sono le priorità della vita materiale di donne e uomini, ma quelle della produzione di profitto attraverso le merci. E possibile modificare questi rapporti di forza e determinare le condizioni perché a Parigi ci sia un inversione di tendenza? Sì, alla condizione che nelle trattative sui cambiamenti climatici si riesca a far irrompere quello che è sempre mancato in tutti i negoziati sul clima dell Onu: una mobilitazione sociale. Non basterà darsi appuntamento a Parigi e dare sfogo alla rabbia per l ennesimo fallimento che si prospetta. Senza una mobilitazione sociale che rivendichi un nuovo modello energetico efficiente e al100% rinnovabile, unica medicina in grado di abbassare la febbre alla terra, le trattative sul clima non potranno che continuare ad avere esiti disastrosi. Nessuno si è fatto carico di questa priorità. Che non fosse l impegno delle destre liberiste o dei governi delle larghe intese è comprensibile, vista la loro scelta di rilancio delle energie fossili. Meno accettabile è il disimpegno di quella sinistra che rivendica un alternativa e vuole sovvertire la gestione liberista della crisi. Sottrarsi significa continuare a sottovalutare che la crisi economica si è da tempo saldata alla crisi ambientale e che per uscirne le si deve affrontare e risolvere contemporaneamente. Serve costruire un nesso fra ciò che oggi è invece separato, unire le lotte contro le perforazioni petrolifere e contro il rilancio del vecchio modello energetico con quelle che in tutto il mondo faticosamente resistono allo smantellamento dei diritti e dello stato sociale. L alternativa si costruisce assumendosi la responsabilità di costruire questo movimento e questa unità, liberando le grandi risorse umane, di ingegno e creatività, oggi relegate a precariato e disoccupazione, mettendole al lavoro per cogliere la grande occasione che la ribellione della natura offre alla nostra intelligenza. IL GOVERNO ITALIANO IN EUROPA HA UNA POSIZIONE DI RETROGUARDIA: 45 MILIARDI PER RIGASSIFICATORI E GASDOTTI. E MOGHERINI PREME PER INSERIRE IL CARBONE NEL TTIP Calo del petrolio e shale gas, solo una parentesi La discesa dei prezzi del combustibile è transitoria Per la Iea entro il 2040 le energie rinnovabili diventeranno la prima fonte di energia al mondo DALLA PRIMA Mario Agostinelli Non facciamoci quindi impressionare dai colpi di coda di un sistema che dovrà comunque fare conti inesorabili e non procrastinabili con il riscaldamento globale e la diffusione sempre più imprevedibile di conflitti armati per il controllo dei giacimenti. Hermann Scheer nel 2005 sosteneva che la sfida energetica del XXI secolo si sarebbe giocata tra atomo e sole, in un anticipo ridotto all essenziale dello scenario entro cui la geopolitica deve far i conti con la sfida per la sopravvivenza della biosfera. È questo scenario che vorrei attualizzare, anche a fronte delle manovre, pur rilevanti, sui prezzi del greggio. La mia opinione è che non si stia affatto allontanando l opportunità di scenari alternativi ai fossili e nemmeno che il crollo dei prezzi del combustibile possa prolungare oltremodo il sistema attuale, in quanto la connessione tra clima e combustioni dei fossili comporta danni non stimabili per la vita e costi economici altissimi per la riparazione dell ambiente, ancorché costantemente occultati, ma sempre più avvertiti dall esperienza comune. Nei fatti e nelle statistiche degli ultimi dieci anni si può constatare il progresso continuo di decisioni locali, non certo assunte ai vertici per il clima, per accelerare il passaggio ad un sistema energetico decentrato, fondato sulle rinnovabili e sulla riduzione dei consumi. A riprova, in un interessante intervista del 26 novembre scorso il nuovo presidente dell Enel Francesco Starace parla di reti intelligenti, crescita delle rinnovabili e riassetto organizzativo, con un approccio così innovativo e sensato per l ente nazionale, da mettere a disagio gli interlocutori del Sole 24 Ore. Anche per i sacerdoti del sistema energetico attuale (la Iea), entro il 2040 la fornitura mondiale di energia sarebbe scompaginata e divisa in quattro parti quasi uguali: fonti a basso tenore di carbonio (nucleare e rinnovabili), petrolio, gas naturale e carbone. Le energie rinnovabili diventerebbero il numero uno al mondo come fonte di produzione di energia elettrica, superando il carbone, mentre la crescita della domanda mondiale di petrolio rallenterebbe fino quasi a fermarsi, con un calo rilevante anche dello shale gas. La discesa dei prezzi del combustibile è in definitiva vista come fase di transizione, di durata imprecisata, ma che influirà ancora per un breve periodo sulla fornitura di calore e sulle soluzioni alternative per la mobilità, anche se ormai il binomio petrolio più auto individuale sembra in progressiva consunzione. La "rivoluzione shale" è parte anch essa della transizione. Attualmente fornisce agli States un vantaggio competitivo che si riflette nel rilancio della manifattura, ma che potrebbe nel medio periodo rivelarsi strategicamente non risolutivo, dato che i vincoli climatici e finanziari potrebbero risultare per questa tecnologia esiziali nel tempo. Per contestualizzare la sfida atomo-sole, aggiungo che, mentre la tecnologia nucleare mostra limiti insormontabili, soprattutto per l eredità delle scorie e per l eventualità insopprimibile di incidenti catastrofici, le fonti rinnovabili decentrate, pur limitate da una relativa discontinuità, sono sfruttabili direttamente in pressoché ogni angolo del mondo e stanno raggiungendo la grid parity a ritmi fino ad un decennio fa impensabili. La continuità di chi vuole mantenere un sistema centralizzato è in realtà affidata alle chance di un nucleare "di nuova generazione", sostitutivo dei fossili, che contrasti, a infrastrutture in larga parte invariate, la diffusione capillare di impianti alimentati da fonti naturali. Il nucleare rimane l opzione che il sistema elettrico delle grandi utilities si riserva anche oltre la metà del secolo. Il Dipartimento dell Energia degli Stati Uniti ha emesso un prestito garanzia per 12,5 miliardi di dollari per progetti di reattori innovativi. La US Energy Information Administration ha recentemente riferito che quasi tutte le centrali nucleari degli Stati Uniti dovrebbero ottenere un prolungamento della vita oltre i 60 anni per operare dopo il La Cina ha avviato il nuovo programma nucleare con la realizzazione di 31 reattori e la presa in considerazione di ulteriori 110. La Russia assicura impianti chiavi in mano e manutenzione garantita per i Paesi con ridotte risorse tecnologiche. Le rinnovabili però continuano a crescere a ritmi sorprendenti, con il vantaggio di una parity grid ormai raggiunta anche senza particolari incentivi. Nei primi tre trimestri del 2014 la Cina ha speso 175 miliardi dollari in progetti di energia pulita e il paese installerà 14 GW di capacità solare. Secondo il National Renewable Energy Laboratory (Nrel), il costo di pannelli solari su una tipica casa americana è sceso di circa il 70 per cento negli ultimi dieci anni e mezzo. In Europa la convenienza è ormai accertata e migliorerà con investimenti in reti intelligenti e accumuli appropriati. Purtroppo il governo italiano si pone in Europa in una posizione di retroguardia, dato che prevede 45 miliardi per infrastrutture fossili (30 miliardi per rigassificatori + 15 miliardi per la quota italiana di gasdotti), senza una seria riflessione sui costi in alternativa di una infrastrutturazione rinnovabile con stoccaggi diffusi. E sarebbe interessante conoscere chi spinge Federica Mogherini, voluta da Matteo Renzi come ministro degli esteri della Ue, a premere sul segretario di Stato americano John Kerry per l inserimento di un capitolo sull energia (cioè carbone, petrolio e gas di scisto) nel Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), nonostante le motivate critiche degli ambientalisti, preoccupati dell abbassamento degli standard ambientali dell Unione europea. E, dopo le accuse agli affetti da Nimby e il pretenzioso Sblocca Italia, solo un governo ineffabile ha potuto pensare di trivellare fuori tempo massimo e di mandare la polizia a caricare manifestanti che provano di essere non solo attenti all ambiente ma ben competenti in economia e finanza! Il futuro dell energia è uscito ormai dai confini della geopolitica e della finanza tradizionali e l interesse della collettività si fa spazio, entrando in conflitto con il computo economico che si vorrebbe imporre a qualsiasi costo.

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Ma attenti alla «malattia olandese» da abbondanza Lorenzo Pellegrini L a favola del petrolio portatore di ricchezze che ispirano politiche e strategie energetiche dell Italia e le illusioni relative al potenziale dell oro nero si possono leggere tra le righe del cosiddetto Sblocca Italia (decreto legge n.133 del 12 settembre 2014, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164). Queste illusioni si concretizzano nella disposizione che «le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi... rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili». Quindi l estrazione d idrocarburi è definita in toto, indipendentemente dal contesto socio-economico e ambientale locale e nazionale, come di pubblica utilità e urgente. L illusione continua al punto da stravolgere la tassonomia e chiamare «coltivazione» quella che a tutti gli effetti è estrazione di idrocarburi, quasi a voler trasformare l attività insostenibile per eccellenza nel suo opposto: in una forma di coltivazione ciclica e riproducibile nel tempo. Guardando all esperienza internazionale dei paesi produttori d idrocarburi, la favola si rivela tanto menzognera da aver dato vita ad una estesa letteratura si è dedicata a spiegare il paradosso della coincidenza tra abbondanza di risorse naturali e sottosviluppo socio-economico. Questa letteratura ha coniato l espressione «maledizione delle risorse naturali». Gli studi sulla maledizione dell abbondanza hanno indagato le dinamiche economiche, politiche e storiche che minano le traiettorie di sviluppo dei paesi ricchi di risorse naturali. Molta della letteratura economica si è focalizzata sul caso della «malattia olandese», nome assegnato alla profonda crisi che negli anni ha colpito i Paesi Bassi dopo la scoperta e sfruttamento di ingenti campi di gas naturale. Questi studi mettono in relazione l apprezzamento della moneta locale, in seguito all esportazione di gas e al concomitante afflusso di moneta straniera, con la perdita di competitività a livello internazionale. Studi più recenti hanno permesso di identificare simili effetti a livello sub-nazionale che penalizzano le attività industriali e i servizi che operano in territori segnati dall estrazione massiva di risorse naturali. Un altro meccanismo che spiega la maledizione è legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime in questo caso basta pensare al deprezzamento attuale del valore del barile del petrolio, sceso di circa il 40 per cento in meno di sei mesi dopo aver goduto di prezzi su livelli storicamente molto alti per quasi una decade. L oscillazione dei prezzi è causa di politiche fiscali e indebitamento che spesso creano sbilanci quando i prezzi si abbassano rispetto alle (spesso) ottimistiche aspettative. Qui possiamo riferirci ai rischi che stanno correndo paesi come il Venezuela e la Russia qualora la depressione dei prezzi degli idrocarburi nel mercato internazionale si protraesse o accentuasse nei prossimi anni. A queste dinamiche socio-economiche si affiancano impatti ambientali, che hanno essi stessi ramificazioni sulla società e l economia. Pensiamo agli impatti delle fuoriuscite d idrocarburi dovute ai ricorrenti incidenti e alla contaminazione delle acque di falda. Nel bilancio tra le attività estrattive e gli impatti sul resto dell economia bisogna tener conto anche che il settore degli idrocarburi è caratterizzato da una bassissima intensità occupazionale. In altre parole, il volume d affari creato è molto più grande rispetto alle opportunità di lavoro generate, il che amplifica i danni che le attività creano al resto dell economia. Tra le dinamiche istituzionali più evidenti sono l aumento dei conflitti e della corruzione generati e accentuati dalla lotta per la rendita conseguente all estrazione. Questo impegno per l accaparramento di rendite tende anche a spiazzare (crowd-out) l investimento nelle attività produttive. Così paesi segnati da grande disponibilità di risorse naturali soffrono spesso di un deficit di investimenti produttivi. Inoltre, la mancanza di vincoli con gli altri settori economici e le rivendicazioni dei territori dove si estraggono le risorse finiscono spesso per produrre politiche di compensazione su base territoriale che in ultima analisi aggravano esse stesse gli impatti delle attività estrattive. Difatti le industrie petrolifere possono sicuramente permettersi di compensare alcuni degli impatti con quelle che possono essere considerate briciole rispetto alle rendite accaparrate e ai lauti profitti generati, ma queste briciole finiscono per alimentare la corruzione e collusione tra le amministrazioni locali, spezzoni di società civile e le imprese. Tutto sommato, considerando queste esperienze e come si potrebbero replicare in Italia, per il nostro paese sembrerebbe più prudente restare con i piedi per terra e dimenticarsi delle favole sul petrolio. Gerardo Marletto C ome tutti avranno saputo da giornali e notiziari, il prezzo del petrolio sta scendendo. Dallo scorso giugno è crollato a metà. Tutti aspettavano la riunione dell Opec di giovedì 27 novembre per capire se i principali produttori a partire dall Arabia Saudita avrebbero ridotto i volumi di produzione per sostenere il livello dei prezzi. Così non è stato e il barile di riferimento (Brent) è ormai sotto la soglia dei 60 dollari. Come mai i maggiori produttori di petrolio hanno deciso di rinunciare ai maggiori ricavi che avrebbe potuto garantire loro un prezzo più alto? E come mai quella che potrebbe sembrare una buona notizia per Paesi importatori (come l Italia) e per gli automobilisti, rischia invece di trasformarsi nell ennesimo fattore di rischio sistemico globale? La risposta a tutte e due le domande è una sola: lo shale oil, o petrolio di scisto. Molti avranno sentito parlare di shale oil perchè deve essere estratto con tecniche ad alto impatto ambientale (il cosiddetto fracking). Inquinamento delle falde acquifere e generazione di attività microsismica sono tra i suoi effetti negativi più noti. Ne ha parlato Report di recente ed è stato persino l oggetto di un film di denuncia di Gus Van Sant con Matt Damon (Promised Land). Ma oltre a questi aspetti ambientali, lo shale oil ha due caratteristiche estremamente importanti. La prima è strettamente economica: la sua estrazione è molto costosa. La seconda è invece di tipo geo-strategico: con lo shale oil (e con lo shale gas) gli Usa hanno ridotto drasticamente le importazioni di fonti energetiche. E allora si spiega perchè l Opec ha deciso di lasciar basso il prezzo del petrolio. In questo modo l estrazione di shale oil non è più economicamente sostenibile. Con il barile a 70 dollari o meno i ricavi attesi non ripagano più i costi di estrazione. Il che implica che gli Usa dovranno tornare a comprare petrolio (e gas) dai produttori stranieri; con grande soddisfazione economica per l Arabia Saudita e con un inatteso regalo al peso geo-strategico della Russia (e del suo gas). Ma c è un altro effetto da tenere presente. In questi anni negli Usa si è scatenata una vera e propria corsa allo shale. Piccole imprese e grandi gruppi si sono lanciati in questa nuova Eldorado con investimenti (e debiti) di dimensioni colossali. Che ora non sono più sostenibili. Non a caso come sottolinea The Financial Times del 28 novembre dopo la riunione Opec insieme al prezzo del barile sono scese anche la quotazioni azionari di giganti del settore come Exxon (-4,3%), Chevron (-5,4%). Segnale ancora più chiaro è venuto dall ancora maggiore discesa del titolo di Halliburton (-11%), sub-fornitore di servizi e tecnologie per l estrazione di petrolio e gas di scisto. Gli analisti finanziari del settore si aspettano a questo punto che si comincino a fermare le nuove esplorazioni di giacimenti di shale. Ma il rischio è che questa mossa apparentemente prudenziale inneschi una spirale finanziaria negativa. Sono infatti proprio i ricavi futuri generati dai nuovi pozzi che vengono usati come garanzia per gli investimenti necessari a metterli in funzione. Sospensione delle nuove esplorazioni significa quindi sofferenza di prestiti già emessi. E il quadro non potrà che peggiorare dato che anche i pozzi in esercizio smetteranno di essere redditizi e non genereranno più ricavi sufficienti a ripagare il costo del debito. E il tutto prima o poi farà traballare anche gli operatori finanziari che nello shale si sono pesantemente esposti, non solo con il sostegno agli investimenti, ma anche con i contratti di protezione dei prezzi. Nell euforia per lo shale qualcuno in giro ha comprato titoli di protezione (hedge) dei ricavi futuri che obbligano a comprare a 100 e più un barile che oggi si vende a 70. E questo qualcuno resterà col cerino in mano... Insomma l ennesima bolla che sta per esplodere; o, meglio, che ha cominciato a esplodere. Con quali dinamiche di diffusione all interno del sistema Usa (e globale) non è al momento dato sapere. Bisognerebbe sapere quale leva finanziaria è stata utilizzata per sostenere i prestiti al settore dello shale. E quanti e a che prezzo contratti di hedge sono stati sottoscritti. Se mai il prezzo della benzina dovesse scendere anche da noi, c è una buona probabilità che in realtà non ci sia niente di che gioire.

10 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 SBILANCIAMO L'EUROPA N 48 - PAGINA IV La legge Trivella Italia punta sulla Basilicata Tutto pronto per passare dagli attuali 85 mila bidoni al giorno a 154 mila nella val d Agri. Ambientalisti in subbuglio, fallita la mediazione con la Regione Pietro Dommarco Se c è una legge che sposta le potenzialità pulite dei territori da un interesse collettivo ad un interesse privato, quella è la n.164/2014. Meglio conosciuta come Sblocca Italia. Perché il testo che il governo Renzi da deciso di blindare nel novembre 2014 con doppio voto di fiducia - alla Camera e al Senato - racchiude una serie di agevolazioni e favori alle compagnie petrolifere che operano nel nostro Paese, e a quelle che presto arriveranno. Infatti, gli articoli 36, 37 e soprattutto 38 della legge Sblocca Italia, più di ogni altra norma del settore upstream ed in linea con le linee guida contenute nella Strategia energetica nazionale varata nel 2012 dal Governo Monti, tracciano la strada che l Italia tenterà di seguire nei prossimi anni in materia di energia e di sfruttamento delle fonti fossili. Lo fanno sbloccando quelli che i maggiori operatori e le principali associazioni di categoria - come Assomineraria e Federpetroli - hanno sempre definito resistenze da sindrome di Nimby: impedimenti ed opposizioni delle comunità, in primis, ed eccessiva burocratizzazione degli iter autorizzativi. Da qui, l attribuzione del «carattere di interesse strategico di pubblica utilità, urgenti e indifferibili» per tutti i progetti di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e greggio in terraferma ed in mare, per la realizzazione di gasdotti di importazione di gas dall estero, di terminali di rigassificazione, di stoccaggi sotterranei di gas naturale ubicati in Pianura Padana ed infrastrutture della rete nazionale di trasporto gassifero. In merito ai quali lo Stato, tramite i ministeri dello Sviluppo economico e dell Ambiente, si sostituirà agli Enti locali su fattibilità, localizzazione e durata delle concessioni. Siamo di fronte a una quasi militarizzazione energetica dell intera Penisola, che grazie ad un processo di deregolamentazione normativa in nome della sicurezza degli approvvigionamenti, trasformerà cittadini e regioni in semplici osservatori. Da Nord a Sud, i confini italiani potrebbero cambiare con l approvazione di un centinaio di progetti energetici, in zone sensibili, in prossimità e all interno di aree protette ed in conflitto con le economie locali basate su agricoltura, pesca e turismo. Secondo gli ultimi dati forniti a dicembre 2014 dal ministero dello Sviluppo economico, per effetto della legge SbloccaItalia i quasi 60 mila chilometri quadrati di permessi di ricerca e concessioni detenuti dalle compagnie petrolifere tra la terraferma ed il mare aumenterebbero di ulteriori 100 mila chilometri quadrati. Quasi il triplo. Una proporzione che vale per l Adriatico e lo Jonio, il Molise e l Abruzzo, la Sicilia e la Basilicata che rappresenta la gallina dalle uova d oro per Stato e multinazionali. In territorio lucano, che ospita il più grande giacimento di petrolio in terraferma d Europa, a livello autorizzativo è tutto pronto per dare inizio all aumento della soglia degli attuali 85 mila barili di greggio estratti giornalmente fino, e forse oltre, 154 mila barili giornalieri. Eni che opera nella valle dell Agri e Total che opera nella valle del Sauro lo faranno grazie ad accordi stipulati con Stato e Regione rispettivamente nel 1998 e nel Per la Basilicata la legge Sblocca Italia rappresenta la possibilità di scambiare il raddoppio delle estrazioni petrolifere e degli impatti su ambiente e salute con lo svincolo dal Patto di Stabilità di una parte di quel ristoro economico, chiamato royalties, che ogni anno finisce nelle casse della Regione e che la Corte dei Conti ha messo al centro di una specifica indagine avviata nel 2009 e conclusa con una relazione nell aprile 2014 che ha restituito un quadro desolante: al 2001 al 2012 i fondi derivanti dall estrazione del petrolio, e assegnati ai Comuni, ammontano a circa un miliardo di euro. L 80% circa delle amministrazioni comunali ha utilizzato questi fondi per spese correnti e non per sviluppo e lavoro. Quelle stesse amministrazioni (la metà dei 131 Comuni lucani) che da tre mesi con regolari delibere hanno chiesto al presidente della Giunta regionale, Marcello Pittella, di impugnare l articolo 38 della legge dinanzi alla Corte Costituzionale. Una richiesta sostenuta da opposizioni di piazza, comitati e studenti, però ignorata dal Consiglio regionale che il 4 dicembre 2014 ha scelto una strada diversa, ovvero la mediazione con il governo Renzi, nella speranza di arrivare a una modifica dell articolo 38. Per tutta risposta il governo ha invece rafforzato lo stesso impianto normativo con alcuni emendamenti alla Legge di Stabilità che ribadiscono il ruolo non vincolante degli enti locali, e la Regione a fine anno ha ribadito il suo no all impugnazione. Il 10 gennaio scadono i termini entro i quali presentare ricorso alla Consulta. Finora LA SICILIA HA SCELTO LA VIA DEL REFERENDUM ABROGATIVO, ALTRE REGIONI DEL CENTROSUD PREPARANO RICORSI GIUDIZIARI la Sicilia ha scelto la strada del referendum abrogativo, mentre solo Lombardia, Campania, Puglia e Abruzzo hanno dato mandato ai propri legali. Quest ultima lo ha fatto sottolineando il fallimento della mediazione con la Basilicata. Il cui destino è nero. Come il petrolio. * Autore di "Trivelle d Italia" (Altreconomia edizioni, 2012) e "I padroni della luce" (Magenes editoriale, 2015). Co-autore dell ebook "Rottama Italia" (Altreconomia edizioni, 2014) Energia, i bonus non decollano Solo un terzo delle famiglie chiede il sostegno per pagare acqua e luce. Troppa burocrazia Giuseppe Travaglini I dati sul disagio sociale e la povertà in Italia parlano chiaro. Il 29.2 per cento della popolazione è, secondo l Istat, a rischio di povertà ed esclusione sociale con un disagio rilevante per gli anziani soli, le famiglie monoreddito, e quelle con almeno tre minori. Per queste famiglie è difficile potersi assicurare un pasto adeguato ogni due giorni, riscaldare adeguatamente l abitazione e pagare le bollette di energia e gas. Quasi due milioni di famiglie, per un totale di circa cinque milioni di persone, risultano in condizioni di povertà assoluta, e tre milioni e mezzo di famiglie, pari a quasi dieci milioni di individui, in povertà relativa. Eppure in questo quadro allarmante qualcosa si muove, anche se lentamente e con contraddizioni: l aiuto alle famiglie attraverso i bonus per l energia elettrica e il gas ci sono, ma non decollano. E non per mancanza di fondi stanziati, ma per mancanza di richieste. Sarebbero difatti, secondo l Authority dell energia e del gas, quasi cinque milioni le famiglie bisognose che ne hanno diritto (2,9 milioni le famiglie potenzialmente interessate dal bonus l elettricità e 2,3 milioni quelle che potrebbero ottenerlo per il gas). Tuttavia, questo diritto non è esercitato e solo un terzo delle famiglie riceve il bonus per l elettricità e poco più di un quarto per il gas. Il mancato successo del bonus è determinato dai soliti problemi endemici delle nostre amministrazioni: una procedura di richiesta ed erogazione dei bonus estremamente farraginosa che vede operare insieme soggetti pubblici e privati, i Comuni, i Caf, le Asl, i distributori di energia elettrica e gas, i venditori, le Poste italiane e l Inps. Da cui risulta un incidenza complessiva del costo di gestione pari al 7 per cento del bonus complessivamente erogato sul periodo , e un valore dei bonus distribuiti alle famiglie di poco superiore al 50 per cento del miliardo di euro accantonati (poco più di 376 milioni per l elettricità e poco più di 178 milioni per il gas). Come superare questa empasse? L associazione Bruno Trentin, centro studi della Cgil, ha qualche idea in proposito e l ha presentata in un dossier sulla Povertà Energetica: il primo passo è semplificare le procedure per rendere più snello il processo di richiesta dei bonus, ridurre i costi di gestione, semplificando l iter amministrativo, e allargare la platea dei beneficiari. L associazione Bruno Trentin condivide questo punto di vista con l Authority la quale ha rilevato come il numero delle famiglie potenzialmente beneficiarie dei bonus è comunque inferiore a quello delle famiglie identificate dall Istat come a rischio di povertà, e di poco inferiore a quello delle famiglie che nel 2013 versavano in condizioni di povertà assoluta. Ma quali sono le azioni correttive proposte dal centro studi Cgil? Nel rapporto si chiede di semplificare la complessità della procedura di domanda, e di rivedere le fasce Isee di reddito istituendo un ulteriore fascia da a 10 mila euro, con uno sconto differenziato rispetto alla prima fascia, e istituendo un meccanismo di rivalutazione automatica annuale delle soglie minime applicabili. È ipotizzato il coordinamento accentrato delle procedure attribuendo la responsabilità all Acquirente Unico, ossia all organo pubblico che acquista all ingrosso l elettricità per chi ha contratti di maggior tutela. Si fa inoltre l ipotesi di aumentare fino a tre volte il costo del finanziamento in bolletta, senza eccessivo aggravio per l utente medio, che dovrebbe sostenere sull intero anno una spesa non superiore ai due euro per l elettricità, e a 5 euro per il gas. Non ultimo, l estensione del bonus anche alle utenze che impiegano gas diversi da LE PROPOSTE DEL CENTRO STUDI TRENTIN DELLA CGIL: SEMPLIFICARE LA DOMANDA, RIVEDERE LE FASCE DI REDDITO, AUMENTARE IL COSTO DEL FINANZIAMENTO IN BOLLETTA quello naturale, distribuito sulle reti urbane e gli utenti del servizio di teleriscaldamento; e infine, supportata in ciò anche dall Authority, il calcolo del bonus al lordo delle imposte, invece che al netto come accade ora, consentendo una rivalutazione dell ammontare del bonus del +15 per cento per la bolletta elettrica e del +30 per cento per il bonus del gas. Insomma, una serie di interventi strutturali che consentirebbero di razionalizzare e accrescere l efficienza del sistema bonus, aiutando milioni di famiglie in condizioni di crescente disagio economico e sociale. LUCA CAIMMI Vampate di colori fiammeggianti per raccontare, con L isola di fuoco di Emilio Salgari, il disastro della British Petroleum nel Golfo del Messico. Mare calmo. Cielo stellato. Leggerissima la brezza. All improvviso un bagliore, poi un lampo, un secondo, un terzo. E il boato. Un vapore densissimo si sparge tutt intorno, intriso dell odore, sempre più acre, di zolfo e petrolio. Il mare ribolle, ed ecco le fiamme. Lingue di fuoco azzurrastre guizzano tra le onde per poi allargarsi a macchia d olio. Al centro, infuocata anch essa, un isola misteriosa, l Isola di Fuoco. Ma ancor più misteriosa, e inquietante, la sua scomparsa. Inghiottita dal mare, sprofonda, portando con sé fumo, fuoco, fiamme. Allora anche il mare si cheta. Sulla piatta superficie solo una immensa distesa di pesci morti. L isola di fuoco, Orecchio acerbo 2012, 48 pagine e un grande poster, 12,50 euro

11 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 il manifesto pagina 7 ITALIA NAPOLI L ingresso nella giunta comunale ufficializza il patto tra il partito di Vendola e gli arancioni in vista delle regionali Sel nella squadra di de Magistris Adriana Pollice NAPOLI U na lunga rincorsa durata più di due mesi e ieri è arrivata l'ufficializzazione della nomina di Ciro Borriello ad assessore del comune di Napoli con le deleghe allo sport, impianti sportivi, arredo, decoro e riqualificazione urbana, qualità della vita e aree abbandonate, toponomastica e agricoltura urbana. L'ingresso dell'unico consigliere di Sel nella squadra di Luigi de Magistris sancisce ufficialmente il patto tra gli arancioni e il partito di Nichi Vendola in vista delle regionali. Esce Monia Aliberti, rimasta in carica meno di un anno: le sue deleghe (immagine della città e comunicazione) vanno al sindaco, con cui continuerà a collaborare. Un avvicendamento atteso da tempo, frenato dalla questione quote rosa: la presenza delle donne in giunta scende al di sotto di un terzo, questo farà scattare l'intervento della giustizia Il sindaco crea insieme al fratello l associazione politica Dema Critiche dal Pd amministrativa per imporre il riequilibrio di genere che tuttavia potrebbe non arrivare comunque visto che tra un anno si vota. Dagli attriti con Vendola all'alleanza, è il sindaco a spiegare che l'accordo è stato fortemente voluto dalla segreteria cittadina e da lì si è lavorato per ricomporre il quadro con il livello regionale e nazionale. Con il nuovo perimetro della maggioranza, ha detto de Magistris, «siamo tra le grandi città d'italia quella più a sinistra. Un'esperienza politica unica e plurale». La pluralità è assicurata dall'appoggio del presidente Raimondo Pasquino, garante del patto tra sindaco e centristi. Il gruppo consiliare di Sim alla fine ha scelto di non entrare in giunta, puntando alla creazione di una realtà a sinistra del Pd con cui presentarsi alle regionali di primavera. Il nuovo contenitore dovrebbe raccogliere l'area degli arancioni, la Federazione della sinistra, Pdci, Patto per il lavoro, Sim e Sel. De Magistris un partito non ce l'ha più così ha inaugurato il 2015 creando con il fratello l'associazione Dema: «Alle regionali diremo la nostra e poi il mio obiettivo principale è rivincere alle elezioni metropolitane del 2016». Dopo tre anni e mezzo di collaborazione gratuita, con relative polemiche, all'organizzazione di grandi eventi per Napoli, De Magistris junior chiude il rapporto con il comune per impegnarsi nell'associazione: «Claudio - ha spiegato il sindaco - ha avuto un ruolo determinante nella campagna elettorale che mi ha portato a essere eletto. Insieme realizzeremo un luogo in cui proseguire l'attività politica». Riccardo Chiari FIRENZE R iccardo Magherini morì la notte tra il 2 e 3 marzo scorsi in Borgo San Frediano, dove si aggirava in stato confusionale, nel corso del suo arresto da parte di quattro carabinieri, ora accusati di omicidio colposo. Uno dei militari è accusato anche di percosse: in alcuni video lo si vede colpire Magherini con alcuni calci mentre il quarantenne fiorentino, già ammanettato, era stato trascinato a terra. Subito prima di essere schiacciato dai militari dell Arma, con il loro peso, sul selciato gelido. Per lunghi, interminabili minuti. Fino a quando tre volontari della Croce rossa, accorsi con l ambulanza e anch essi indagati, cercarono di soccorrere quell uomo steso a terra a torso nudo. Già morto per arresto cardiaco, come riscontrato anche dall autopsia. Ieri, nel giorno dell udienza preliminare rinviata al 3 febbraio dal gup Fabio Frangini, è da Andrea Magherini che è arrivata la dichiarazione più rasserenante, nel tragico contesto di un processo per un omicidio che poteva e doveva essere evitato: «L importante era partire - ha osservato il fratello della vittima - e la cosa più bella di oggi è stato vedere questo amore per Riccardo». Davanti all aula c erano una cinquantina fra amici e familiari della vittima. Fra loro Ilaria Cucchi: «L affetto che circonda la famiglia Magherini darà loro la forza di andare avanti, perché lo Stato li lascia soli». Il rinvio, deciso quasi subito dal gup, è stato motivato dall acquisizione agli atti del processo di nuovi documenti medico-legali, sia da parte del pm Luigi Bocciolini sia da quella del legale dei carabinieri, l avvocato Francesco Maresca. Fra i temi in discussione, su input LUIGI DE MAGISTRIS FOTO ALEANDRO BIAGIANTI Resta il nodo Pd. Al momento in casa democrat si è arrivati al secondo rinvio delle primarie tra il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, e l'eurodeputato Andrea Cozzolino. L'ultima data sul tavolo è il primo febbraio ma la speranza è che in una ventina di giorni venga fuori un candidato della provvidenza che scongiuri le primarie. Un miracolo atteso da mesi e che non pare all'orizzonte. Se si arrivasse alla sfida tra i due, probabilmente a sinistra andrebbero alle regionali da soli alzando il tiro contro il Pd per cercare di raggiungere la soglia del 3%, necessaria per entrare in consiglio. La replica dei democrat è affidata alla deputata campana Valeria Valente: «De Magistris ci riprova. L'alleanza con Sel diventa preoccupante se pensata, voluta e utilizzata, assieme all'associazione politica Dema, in vista di un attivismo personale del sindaco alle prossime regionali. Un conto è contribuire col proprio sostegno al successo delle forze politiche che si oppongono al centrodestra; un altro è ritagliarsi un ruolo da protagonista». Firenze/ SARANNO ACQUISITI NUOVI ATTI MEDICO-LEGALI Caso Magherini, subito rinviata la prima udienza preliminare Il padre dell uomo morto nel corso del suo arresto da parte dei carabinieri: «C è voglia di non fare giustizia». Al presidio in tribunale anche Ilaria Cucchi della difesa, l ipotesi che Magherini sia morto per una «excited delirium syndrome». Una patologia connessa, ha sottolineato Maresca, all assunzione di cocaina da parte della vittima, riscontrata dagli esami tossicologici. Anche il pm Bocciolini ha depositato un documento: la memoria di un agente di polizia statunitense che avrebbe eseguito alcuni arresti di persone con «excited delirium syndrome». Su questo ipotetico aspetto della tragedia, lo scetticismo della famiglia Magherini («c è voglia di non fare giustizia - dichiara il padre Guido - la procura ha lavorato solo sugli aspetti tossicologici») trova conferma nelle parole di un testimone diretto. «Io in Borgo San Frediano c ero - ricorda Matteo Torsetti - stavo andando da alcuni amici in un locale della strada. All altezza del cinema Eolo c erano dei carabinieri che cercavano di fermare una persona. Quando sono arrivato era in piedi, qualche minuto dopo in ginocchio. L hanno ammanettata, e progressivamente spinta al suolo. Poi ho contato almeno cinque calci, alla testa, al busto, alla pancia, e un paio al volto. Quando ho visto i calci, ho urlato: no, i calci no». L avvocato Massimiliano Manzo, che difende i tre volontari della Croce rossa - anche per loro c era un presidio di colleghi - anticipa la sua difesa. Semplice: «Quando sono intervenuti i volontari, Magherini era già morto. I carabinieri lo pressavano da dieci minuti. I miei assistiti hanno rispettato il protocollo, cercando di rianimarlo. Ci sottrarremo alla guerra medico-legale fra tossicologi, porteremo un nostro consulente». Fabio Anselmo, legale della famiglia Magherini, tira le somme: «Ci dovrebbe essere lo Stato a fare questa battaglia, invece ci sentiamo soli. Siamo certi che se Riccardo non avesse incontrato i quattro carabinieri, oggi non saremmo qui». VIGILI DI ROMA Allarme derby. Cantone: «Può esserci reato» L e tensioni sui vigili romani non si sono ancora spente: ieri un incontro al Campidoglio tra la dirigenza e i sindacati, sul tema più generale del salario accessorio e sulla vertenza che interessa tutti i dipendenti pubblici. Ma per oggi è prevista un assemblea generale dei controllori del traffico, dalle 11 alle 17, e si teme soprattutto per la gestione della giornata di domenica, quando la capitale ospiterà il derby. Per quanto riguarda sia l assemblea di oggi, che la possibile astensione dagli straordinari già annunciata per domenica, il comandante Raffaele Clemente ha spiegato che il Comune non ha timori per la gestione di entrambi gli eventi: «Faremo il servizio in maniera ordinaria, faremo di tutto per farlo, non lasciando nulla di intentato in questo senso», ha detto riferendosi a Roma-Lazio. E sull assemblea di oggi: «Io non temo un accidente. Sono libertà sindacali e le libertà sindacali non minacciano nessuno, sono una garanzia dei lavoratori». Sui provvedimenti disciplinari per gli agenti assenti a Capodanno, subito dopo Clemente ha affermato: «Noi di questa storia parleremo solo per atti formali. In questo momento stiamo lavorando, non annunciamo niente». Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl, dal canto loro, ieri hanno presentato al Comune una proposta di modifica del contratto unilaterale imposto l anno scorso (non fu firmato dalle organizzazioni dei lavoratori) ed entrato in vigore dall 1 gennaio: «L applicazione dell atto unilaterale sta già generando disservizi, soprattutto in alcuni settori, per le difficoltà operative di porre in essere nuove regole in assenza di specifiche direttive - hanno spiegato le tre sigle - Per questo abbiamo informato il sindaco della natura delle nostre proposte, del valore di un nuovo contratto integrativo costruito comunque su principi di efficienza e valorizzazione delle professionalità, valori per i quali abbiamo la convinzione sia possibile costruire un documento condiviso». Sulla questione dei vigili ieri è intervenuto anche Raffaele Cantone, presidente dell Anac (autority contro la corruzione), a margine di un audizione al Senato: «Sui comportamenti specifici non mi sento di dire nulla in particolare - ha detto - Noi siamo intervenuti come Anac su richiesta specifica dei sindacati, che chiedevano se fosse legittimo il provvedimento della rotazione. Io continuo a sostenere e ritengo che la rotazione sia un sistema corretto, che garantisce l imparzialità della pubblica amministrazione. Secondo me non è affatto un sistema punitivo, ma anzi tutela la trasparenza». «Non so se quella - ha detto infine Cantone riferendosi a quanto avvenuto il 31 dicembre - sia stata una protesta contro questo meccanismo (la rotazione anti-corruzione, ndr), così come dicono i giornali, non ho altri elementi. Però se quella è stata una protesta è stata fatta con metodi illegittimi perché il certificato medico è un atto pubblico e chi dovesse avere utilizzato un certificato medico non corretto ha commesso un reato». red. eco.

12 pagina 8 il manifesto VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 POLITICA Governo Gaffe su gaffe, la ministra Boschi respinge la richiesta dello stesso Pd di riferire sul pasticcio del decreto fiscale. Ordine di scuderia: zitti e mosca Il Salva-Silvio è segreto di stato DELEGA FISCALE L esecutivo in ritardo: servirà una proroga Realizzato solo il 15 per cento della riforma che scade a marzo. Caos sulla riforma del catasto S i fa presto a dire riforma. Matteo Renzi lo fa spessissimo. Poi però passano i mesi e i provvedimenti legislativi tardano ad essere approvati. La delega fiscale ne è l esempio plastico. Approvata dal parlamento l 11 marzo 2014, conferiva al governo la delega «per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita». E - soprattutto - fissava il termine in dodici mesi. Ebbene, considerati i tempi di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, la scadenza sarà il 26 marzo Ma ormai non si accettano più scommesse: è impossibile che la data sia rispettata. In dieci mesi infatti è stato presentato al Parlamento un solo decreto: quello sulle semplificazioni, facendo stimare al Sole24Ore la percentuale di realizzazione e di attuazione ad un misero 15 per cento del totale, nonostante la creazione di una vera e propria mini bicamerale con le commissioni bilancio di Camera e Senato riunite per esaminare le bozze di decreti per tagliare i tempi. La delega è tornata di moda in questi giorni per il pasticcio della norma Salva-Berlusconi, ma sono tanti i capitoli previsti molto più impattanti per i cittadini "normali". A partire dalla riforma del catasto che doveva adeguare il valore a circa 60 milioni di immobili, ora zeppe di ingiustizie: abitazioni lussuose con estimi bassissimi e viceversa. Ebbene, l Agenzia delle Entrate ha dovuto ammettere che non è in grado di produrre una statistica terrioriale per ridisegnare gli estimi, dovendo quindi procedere allargando a dismisura gli ambiti territoriali con buona pace della giustizia catastale. Anche gli altri capitoli non sono meno importanti. E ugualmente desaparecidos: accise e fiscalità ambientale, contrasto all evasione e all elusione, la soppressione delle norme sulle agevolazioni fiscali, riscossione degli enti locali e tutela dei contribuenti, tassazione dei redditi d impresa. Per tutti si attende una proroga delle tempistiche. Nel frattempo, c è da scommetterci, Renzi annuncerà altre riforme. m. fr. Sinistra Pd in stato di massima allerta contro «l ombra» che si allunga sull elezione del Colle. Bersani e Bindi: «Ripartire da Prodi» Daniela Preziosi C hi ha ideato la norma Salva-Silvio, chi l ha scritta, chi l ha taciuta e inserita nel decreto poi ritirato? Cosa si sono detti davvero i ministri nel consiglio della vigilia di Natale che l ha approvata, dato che Renzi sostiene che il testo «è stato approfondito punto per punto»? Se fosse così, non si capisce perché tanto mistero sulla genesi dell iniziativa che imbarazza il Pd e fa felice Berlusconi. E invece no: il governo seppellisce tutte gli interrogativi sotto un abbondante palata di sabbia. Dopo la chiamata in correo ai ministri del sottosegretario Delrio («Quando esce un testo la responsabilità è sempre della collegialità del consiglio»), Renzi intima ai suoi di farsi i fatti loro: in sostanza lo ha fatto mercoledì davanti deputati, zittendoli con un definitivo «la manina sono io». Poi sull ordine di reticenza ieri è arrivato perfino il timbro dell ufficialità: alla capigruppo del senato la ministra Boschi sentenzia che «gli atti del consiglio dei ministri non sono oggetto di informativa». In pratica sono secretati. Ma nel gruppo del Pd, che pure ha dimostrato di avere stomaco forte, la cosa non va giù. Ieri mattina al senato Massimo Mucchetti prende la parola: «Chiedo che il presidente del consiglio venga a raccontarci per filo e per segno come sono andate le cose». Mucchetti riassume implacabilmente tutte le domande che da quattro giorni mezzo mondo rivolge a Renzi: «Quale sia stato il testo del decreto fiscale licenziato dal ministero dell Economia, quale testo sia arrivato in Consiglio dei ministri, se sia lo stesso o se abbia subito modificazioni di contenuto e, qualora tali modificazioni di contenuto siano state apportate, chi le abbia apportate e come. È possibile che non emerga niente di speciale da queste informazioni, ma è possibile anche, ed è questa la preoccupazione che mi muove, che emerga un funzionamento non perfetto della formazione delle decisioni politiche». Tradotto: c è un suggeritore fuori dal governo? Fra i senatori dem scoppia il panico. Era stato il presidente Zanda ad autorizzare Mucchetti a prendere parola per «svelenire il clima». L effetto è un clamoroso autogol. Corre ai ripari Giorgio Tonini, uomo di buone maniere nella compagnia un po grossier dei renziani. Ma stavolta è spiccio anche lui: Mucchetti parla «in considerazione del suo ruolo importante di presidente di commissione» ma il gruppo confidava «nel senso di responsabilità e di equilibrio del collega». Invece il collega ha parlato fuori dai denti, quindi l intervento è a titolo personale. Le opposizioni si uniscono alla richiesta. La Lega chiede chiarezza «sul blitz natalizio». Per Sel il vero tema è l eterno mistero del patto del Nazareno e le sue implicazioni sull elezione del nuovo capo dello stato che, dice Loredana De Petris, «deve essere messa al riparo da tutte le operazioni e i tentativi di scambio emersi da questa vicenda». Alla capigruppo Boschi esclude senza mezzi termini che il governo vada in aula a riferire del Salva-Silvio: gli atti del consiglio non sono oggetto di informativa. La scena si ripete alla camera, dove Pippo Civati e Arturo Scotto (Sel) si associano alla richiesta dei senatori. Ma anche Pier Luigi Bersani mette in relazione «la manina» che ha scritto la norma che anticipa il ritorno di Berlusconi alla politica attiva (norma per ora ritirata) con l elezione del Colle. Sul fisco «non guasterebbe se Renzi spiegasse in parlamento». E ora per fugare i dubbi sullo scambio con Forza italia dovrebbe proporre Prodi: «È immaginabile ripartire da dove ci si è fermati. Non ho bisogno di dire niente altrimenti poi Prodi si arrabbia». Gli fa eco Rosy Bindi: «Bisogna ripartire da lì, dalla vicenda dei 101, da quella ferita che sanguina ancora». Prodi torna il tormentone della sinistra Pd, inutilmente il vicepresidente Matteo Orfini chiede di «non gettare nomi nel tritacarne mediatico». Ma il pasticcio è frutto del pasticciere Renzi che, lanciando un «segnale» di apertura verso Berlusconi, di fatto ha messo in stato di massima allerta la sinistra Pd. Che ora chiede che il nome del successore di Napolitano non sia (troppo) riconoscibile come l ennesimo frutto del Patto del Nazareno. E non sarà Prodi, ma è probabile che alla fine la sinistra Pd non sarà scontentata. Tanto ormai un impresentabile presidente da larghe intese non serve neanche più, oggi che Berlusconi, rassicurato dal «segnale» di Renzi, è pronto a votare chiunque. CORSA AL QUIRINALE Che gelida manina V olenterosamente, scontando l'accusa di ingefetti di una sentenza che non Franco Monaco gio dell azzeramento degli efnuità, mi dispongo a è sentenza qualunque. Specie pensare bene, a inibirmi sospetti maliziosi circa la norma contemplata nel decreto fiscale nel suo profilo più sensibile, quello delle pene accessorie ex legge Severino circa l incan- - il celebre art. 19 bis - che didabilità dell ex premier. potrebbe avvantaggiare Berlusconi. Poniamo dunque che non vi sia stato dolo, che vi siano state solo distrazione e una svista. Nonostante che, più si ricostruisce il percorso seguito dal decreto, tra commissione tecnica, ministero dell'economia, consiglio dei ministri, palazzo Chigi, più ci si imbatte in versioni discordanti e meno si viene a capo dell'enigma. Compreso il curioso ritiro del testo distribuito agli stessi ministri in sede Primo, appunto, la tempistica: differire il problema, che percentuali che depenalizzerebbe anche cifre cospicue in Davvero, in un paese come il nostro, afflitto da endemica illegalità, un governo e un parlamento possono permettersi di considerare irrilevante un messaggio di questo tenore? L'etica pubblica non è un bene prezioso anch'esso insieme a un fisco giusto? Infine, il mantra della cosiddetta ossessione dell'antiberlusconismo che ci avrebbe afflitto in passato. Una sciocchezza che, ancorché ripetuta mille volte anche a sinistra, di consiglio. meriterebbe invece di essere valore assoluto. Trattandosi sciocchezza resta. Possibile Prendiamo pure per buona la personale assunzione di responsabilità da parte del premier («la manina è la mia»), apprezzabile, ancorché in certo modo politicamente obbligata, sciolto subito, accentua semmai i sospetti. Quasi che prima si vogliano incassare i voti necessari all elezione del presidente della Repubblica per poi ripagare il Cavaliere. di obiezioni di merito, Renzi non può cavarsela rivendicando l'autonomia e il primato della politica rispetto al parere dei tecnici. Dovrebbe offrire motivazioni persuasive nel che si sia così leggeri e immemori? Che si esorcizzino venti anni nei quali l'uomo di Arcore ha rappresentato un serissimo problema per il tessuto civile e democratico del paese? ma che francamente Non una buona idea. Certo merito. Al punto da bollare chi lo ha non può chiudere il caso.tuttavia, insisto, escludiamo il dolo e la caccia a eventuali, anonimi autori, diamo per non sentite le versioni di fonte berlusconiana che accreditano invece la tesi opposta, di un accordo siglato nello spirito del patto del Nazareno. Stiamo pure alla versione che lo stesso non la soluzione migliore per rimuovere maliziose interpretazioni. Secondo: la questione di merito. Molte e autorevolissime sono le voci competenti di chi sostiene che la norma è sbagliata in sé, tecnicamente ed eticamente: Gallo e Pellegrino, Flick e Vincenzo Visco, Terzo: la rituale tesi secondo cui una norma buona erga omnes non deve essere revocata solo perché, accidentalmente, avvantaggerebbe Berlusconi. A parte che - lo rammento - questo è il classico argomento con il quale si sono varate tutte le leggi ad personam e ad aziendam degli ulti- politicamente avversato come un visionario alle prese con i fantasmi e quell azione di contrasto come una colpa o come espressione di estremismo. Insomma, ci si dice che non avremmo dovuto opporci o quantomeno che avremmo dovuto farlo solo un po', senza esagerare...ri- premier ci fornisce e alla fino alla nuova direttrice mi vent anni. Ma il punto depeto: è una colossale scioc- sua rivendicazione della bontà di una norma che si riserva di riproporre il 20 febbraio prossimo, con l elezione del dell Agenzia delle entrate Orlandi. Con argomenti efficaci, tipo la gravità dei reati di frode e di false fatturazioni, il privilegio cisivo è un altro. Trattasi di un argomento debole. Mi rifiuto di pensare che non sia possibile disciplinare un fisco «giusto chezza, una esorcizzazione della nostra storia recente e una intollerabile ingiustizia verso chi, doverosamente, si Quirinale ormai alle spalle. riservato ai grandi anzi- e amico», senza pagare il prez- è adoperato per arginare Residuano comunque quattro problemi. ché ai piccoli evasori, il limite di una soglia fissata in termini zo di trasmettere all'opinione pubblica il devastante messag- una deriva che ancora stiamo pagando.

13 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 il manifesto pagina 9 POLITICA Parlamento Capilista bloccati, premio alla lista, clausola di salvaguardia: la corsa del premier e i problemi dietro l angolo M5S, ALTRI 2 ESPULSI Il capogruppo 5 Stelle al senato Alberto Airola ha firmato per l espulsione di Giuseppe Vacciano e Ivana Simeoni, che avevano annunciato le dimessioni da senatori in polemica con i vertici. Mercoledì il gruppo di palazzo Madama aveva votato per sospendere il caso fino alla presentazione delle dimissioni in aula. Votazione ignorata, però, perché non gradita a Gianroberto Casaleggio. CONFLITTO D INTERESSI, WHY NOT? È un emendamento di assoluto buon senso, dunque ha poche possibilità di essere accolto dalla maggioranza. I deputati di Sel chiedono di scrivere in Costituzione che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche» devono operare «in assenza di conflitto di interessi». L emendamento, all articolo 27, è stato firmato anche da Civati ed è sostenuto da Articolo 21. NUOVO WELFARE Sbarcano al Senato il reddito minimo e di cittadinanza Massimo Franchi L a disoccupazione continua a mietere record. E a chi chiede conto di numeri vergognosi, il governo non può far altro che invocare gli effetti del Jobs act per migliorarli. Ma i testi del decreto che cancella l articolo 18 e che dovrebbe far aumentare l occupazione tardano a prendere la strada dell approvazione definitiva, allungando a dismisura i tempi di attuazione. In realtà si tratta solo del primo dei sei decreti previsti: quello sul cosiddetto contratto a tutele crescenti, che di crescente ha solo la monetizzazione dell indennità in caso di licenziamento senza giusta causa. Il secondo decreto, quello sulla sciarada di nuovi ammortizzatori - Naspi, Asdi, Dis-coll - è bloccato dalla Ragioneria generale che non lo "bollina" per mancata copertura. Mentre i restanti quattro - o tre - compreso quello sulla possibile riduzione dei contratti precari - non saranno pronti prima di mesi - la scadenza prevista nella delega è di «sei mesi dall approvazione». Approvati dal consiglio dei ministri lo scorso 24 dicembre non sono ancora stati trasmessi al Parlamento. Con le commissioni Lavoro di Camera e Senato che devono esprimere un parere consultivo sul testo che poi tornerà al consiglio dei ministri per l approvazione definitiva e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Stimare i tempi non è facile. Ma di certo anche nel caso del solo primo decreto non si parla di prima I LAVORI IN AULA Legge elettorale e revisione costituzionale verso la settimana decisiva L Italicum non piace, ma lo votano E sulle riforme Forza Italia evapora Andrea Fabozzi S arà la prossima la settimana più importante per la nuova legge elettorale e per la revisione costituzionale, le due riforme che il governo intende approvare entro gennaio, ed è la stessa settimana in cui sono attese le dimissioni del presidente della Repubblica. L Italicum al senato e la riforma del bicameralismo alla camera sono ancora al giro di riscaldamento; sul primo si comincerà a votare probabilmente giovedì. L emendamento chiave è contrassegnato dal numero 1.500/2, chiede di limitare al 25% la quota di deputati eletti con le liste bloccate - i cosiddetti «nominati» - e di lasciare agli elettori la libertà di scegliere tutti gli altri con le preferenze. È firmato da 34 deputati della minoranza Pd, in teoria sufficienti a mettere in crisi il patto del Nazareno. La maggioranza proverà a blindarsi con le correzioni al testo - che è ancora quello uscito dalla camera - concordate tra Renzi e Berlusconi. Sarà la presidente della Jobs Act/ ANCORA NESSUN TESTO IN PARLAMENTO di metà febbraio. Sempre che non servano decreti attuativi. Anche ieri i presidenti delle commissioni lavoro di Camera e Senato erano in attesa di ricevere almeno il testo del primo decreto. Ma nulla. Dal ministero del Lavoro si fa sapere che dovrebbe essere questione di ore o tutt al più giorni. Ma si sottolinea come il compito di presentarli spetti al ministro per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. «Il governo ha detto fin dall inizio che il Jobs act era una revisione del mercato del lavoro in cui ad un evidente indebolimento delle tutele contro il licenziamento faceva da contraltare un rafforzamento degli ammortizzatori per i lavoratori precari. Per questo è indispensabile che il governo trasmetta al Parlamento in modo prima commissione e non il governo a presentarle. Intanto la discussione generale racconta di una legge che si pretende di approvare di corsa, pur ammettendo che non è né urgente (il governo propone una clausola per sterilizzarla fino alla fine del 2016) né immune da vizi. Non uno tra i senatori che sfidano il vuoto dell aula per intervenire si azzarda a difendere l Italicum per intero, e non solo quelli delle opposizioni ma anche quelli del «patto» Pd-FI-centristi. Forza Italia non apprezza il premio alla lista, i democratici «bersaniani» i capilista bloccati, i centristi la clausola di salvaguardia. È tutto un criticare, preparandosi però ad approvare perché così vuole palazzo Chigi. La scena cambia poco alla camera, dove però sulla revisione costituzionale il patto del Nazareno può contare su una maggioranza amplissima. Al punto da assorbire senza problemi la diserzione, nei primi voti, di quasi la metà del gruppo di Forza Italia. Tra assenti e voti contrari non solo un noto Il mistero dei decreti scomparsi «Sono pronti», ma non arrivano Damiano: i primi due testi siano simultanei Sui licenziamenti sono necessarie almeno tre modifiche contestuale i due decreti», tuona Cesare Damiano, presidente di quella della Camera. Le commissioni hanno 30 giorni di tempo dalla trasmissione dei testi per esprimere il parere, che sarà molto probabilmente assai diverso. Il governo si aspetta tempi celeri, ma il vero problema sarà sul merito. Damiano infatti non cambia idea sulla necessità di cambiare il testo su almeno tre punti: «Eliminazione dell estensione delle norme ai contratti collettivi, ripristino del riferimento alle tipizzazioni dei contratti collettivi per le sanzioni conservative in caso di licenziamento disciplinare e innalzamento da 4 a 6 mesi dell indennità minima in sostituzione della reintegra». Sul secondo decreto invece, se per Damiano la mancata copertura oltre i 2,2 miliardi previsti per i nuovi ammortizzatori è di «400 milioni per il 2015», sebbene partano dal 1 maggio, per la Ragioneria riguarda il 2017, quando il numero dei disoccupati da coprire sarà massimo. Difficile però che il governo accontenterà tutte le richieste di Damiano. Un quadro complesso che toglie fiducia alla stesse imprese che attendono l entrata in vigore del contratto a tutele crescenti per valutare se rinnovare i contratti a tempo determinato - fatti col decreto Poletti - nei nuovi - e dal punto di vista delle tutele praticamente identici - contratti. Con la postilla non trascurabile che l effetto sull occupazione sarà nullo: non nuovi contratti, ma semplice trasformazione dei vecchi. «dissidente» come il deputato Bianconi, ma anche berlusconiani sperimentati come Biancofiore, Santelli, Santanché, Carfagna e Prestigiacomo si mettono a smontare il «patto», votando per gli emendamenti che sopprimerebbero parti fondamentali della riforma. E così la falange del Nazareno deve stare in guardia, il relatore ultra renziano Fiano si accalora nel respingere l accusa delle opposizioni che parlano di riforma autoritaria. Poi con il presidente della prima commissione Sisto cerca di evitare le insidie, accantonando un paio di emendamenti pericolosi, come quello che riduce la rappresentanza eletta all estero o un primo emendamento sulle competenze del senato. Si votano e si respingono in tutto una ventina di emendamenti, sul totale di che non è neanche tanto visto che le opposizioni hanno rinunciato all ostruzionismo. In teoria alla camera poteva riuscire quello che fu impedito al senato dalla tecnica del «canguro», perché il regolamento esclude in questo caso la possibilità di far decadere in blocco gli emendamenti. In pratica la veloce seduta prima di natale che ha incardinato la riforma è servita ad aggirare il divieto di contingentare i tempi per le revisioni costituzionali, e allora in ogni caso la legge dovrà essere approvata entro e non oltre le 80 ore di sedute. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, Roma via A. Bargoni 8 FAX , TEL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO WEB: iscritto al n del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L ITALIA annuo 320e semestrale 180e versamento con bonifico bancario presso Banca Etica intestato a il nuovo manifesto società coop editrice via A. Bargoni 8, Roma Alla camera, sui primi emendamenti, al Nazareno manca la maggioranza assoluta La minoranza Pd, che in commissione era arrivata a una mediazione con i renziani, mantiene qualche emendamento che potrebbe disturbare il cammino della riforma, innanzitutto quello che introduce la possibilità di sottoporre l Italicum alla verifica preventiva della Corte costituzionale. Qualche altra modifica sarà invece accolta dalla maggioranza, come l innalzamento del quorum per la dichiarazione dello stato di guerra: da passaggio solenne delle camere in seduta riunita nel testo attuale è diventata la facoltà di un solo partito. All orizzonte, dopo i quattro passaggi conformi, c è sempre il referendum. Non necessariamente una «concessione» del premier, almeno da come stanno andando le prime votazioni che non hanno mai visto la maggioranza raggiungere il quorum di sicurezza dei due terzi. Anzi, in qualche caso il patto del Nazareno ha mancato persino la maggioranza assoluta, quella che se vuole arrivare fino in fondo non può proprio mancare. IBAN: IT 30 P COPIE ARRETRATE 06/ arretrati@redscoop.it STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl poster@poster-pr.it SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, Roma tel , fax TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 e a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450e a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore e, b/n e posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, v.le Bastioni Michelangelo 5/a Roma - tel , fax chiuso in redazione ore certificato n del tiratura prevista Roberto Ciccarelli I disegni di legge sul «reddito di cittadinanza», presentato dal Movimento 5 Stelle, e sul «reddito minimo», presentato da Sel a seguito della raccolta firme per una legge di iniziativa popolare, sono finalmente all'esame della commissione lavoro del Senato. La proposta dei pentastellati prevede una soglia per il «reddito di cittadinanza» pari a 780 euro mensili a persona e costa 17 miliardi all'anno. Questo reddito, si legge nel disegno di legge, è stato calcolato in base all'indicatore ufficiale di povertà monetaria dell'unione europea, pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per il 2014 in euro annui. Andrà erogato sia ai cittadini italiani che agli europei residenti maggiorenni, come agli stranieri provenienti da paesi che hanno sottoscritto con l'italia gli accordi sulla reciprocità della previdenza sociale. Per i lavoratori autonomi, l'importo è calcolato mensilmente sulla base del reddito familiare, comprensivo del reddito da lavoro autonomo«certificato» da professionisti abilitati che sottoscrivono apposita convenzione con l'inps per l'assistenza ai beneficiari. «Nei casi di crisi aziendale, previa chiusura della partita Iva si legge ancora nel provvedimento - si attiva per l'imprenditore un piano di ristrutturazione del debito a trent'anni e l'imprenditore diviene soggetto beneficiario del reddito». Per finanziare una misura totalmente assente in Italia anche nella forma riduttiva e condizionata del «reddito minimo» siamo gli unici in Europa insieme alla Grecia secondo i Cinque Stelle le risorse sarebbero reperibili dai tagli alle spese militari e alle pensioni d oro, dal pagamento dell Imu da parte della Chiesa cattolica e da una maggiore tassazione del gioco d azzardo. Diversa è la proposta sul «reddito minimo» presentata da Sel dopo la campagna che ha registrato tra il 2012 e il 2013 la partecipazione di 170 associazioni. La proposta prevede, per inoccupati, disoccupati e precari, un beneficio individuale di euro l'anno da corrispondere in importi mensili di 600 euro, rivalutati annualmente sulla base degli indici sul costo della vita dell'istat. L'importo cresce se si hanno dei familiari a carico. Se il nucleo familiare è di due persone il coefficente sale e il reddito minimo diventa di mille euro; tre persone euro; quattro euro; cinque euro. Oltre al reddito minimo erogato in contanti, la proposta prevede anche, per chi ne ha diritto, un «contributo parziale o integrale per fronteggiare le spese impreviste, secondo i criteri e le modalità stabilite dal regolamento d'attuazione». Ovvero bus, libri, prestazioni sanitarie gratis o aiuti per pagare l'affitto. Il finanziamento di questa misura sarebbe a carico della fiscalità generale, attraverso la creazione di un fondo presso l'inps. La durata del sussidio è di dodici mesi. Alla scadenza del periodo indicato il beneficiario che intenda continuare a percepire il reddito minimo garantito è tenuto a ripresentare la domanda. Il governo viene inoltre delegato entro 90 giorni dall approvazione della legge, a riformare la disciplina degli ammortizzatori sociali in un unico sussidio. I 5 Stelle sostengono di avere chiesto l audizione in commissione di Don Luigi Ciotti, delle associazioni e dei responsabili Istat. La relatrice, Annamaria Parente (Pd) ha confermato che una delle possibili fonti del finanziamento potrebbe essere l aumento della tassazione sui giochi. Resta solo da capire quale sarà il testo finale e se il governo Renzi, che ha appena esteso l Aspi ai soli collaboratori, intende proseguire su questa strada.

14 pagina 10 il manifesto VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 CULTURE PALINSESTO URBANO Strategie metropolitane Felice Mometti È possibile scrivere una storia del Post-Modernismo in architettura? La «biografia» di un movimento/stile architettonico ibrido, basato su codici multipli, la mescolanza di periodi contrapposti - passato, presente e futuro - che parla contemporaneamente alla cultura alta e bassa e fa della differenza e del pluralismo l obiettivo di una comunicazione pubblica? Charles Jencks non ha dubbi e risponde affermativamente nel suo Storia del Post-Modernismo (Postmedia books, pp. 314, 26 euro). E torna su questa convinzione, mettendola in pratica, a quasi quarant anni dal suo libro-icona, The language of Post-Modern architecture: un opera che ha avuto una grande importanza nell attività professionale di molti architetti e archistar e, ancor di più, in altrettante carriere accademiche. Una narrazione del Post-Modernismo - è la teoria implicita di Jencks - non poteva che essere scritta in forma analoga, cioè decostruendo fino a sbriciolare il concetto stesso di storia. Ambiguità da postfordismo S inizia cambiando in continuazione il registro interpretativo del Movimento Moderno in architettura, che viene presentato a volte come un «blocco storico» coeso, subordinato al potere e ai vari totalitarismi, e altre come un ambito contraddittorio, che anticipa e prefigura quel futuro votato al «post». Le dimostrazioni più eclatanti della subordinazione sarebbero state, secondo Jencks, la simultanea disponibilità di Le Corbusier nei confronti del fascismo italiano e del comunismo sovietico, le lettere intrise di «germanità» di Gropius a Goebbels, l accettazione da parte di Mies van der Rohe dell incarico per la progettazione del padiglione tedesco (in realtà nazista) nell Esposizione universale di Bruxelles del Alcune anticipazioni, invece, possono considerarsi la cappella di Ronchamp sempre di Le Corbusier, il Salk Institute a La Jolla di Louis Kahn e lo stadio olimpico di Tokyo di Kenzo Tange. In altri termini, la traiettoria del Movimento Moderno è stata segnata da un ambivalenza che ha oscillato tra un evoluzione lineare - andando incontro a un destino inevitabile, in sintonia con la rigidità dei suoi simboli e linguaggi architettonici e con una fede incrollabile nel progresso dello «spirito del tempo» - e la «tempesta perfetta» generata, tra l altro, dalla dismisura della composizione delle anticipazioni architettoniche. Il Post-Modernismo, invece, ha interpretato - e, per Jencks, tutt ora continua a interpretare - la complessità e la pluralità delle rappresentazioni dello spazio e della composizione architettonica nell epoca del postfordismo finanziarizzato. L ambito urbano è concepito come se fosse un palinsesto sul quale le diverse generazioni possono scrivere la loro identità, non prima però che sia avvenuto il decentramento, il disorientamento e la decostruzione dei soggetti coinvolti. Il Post-Modernismo architettonico in quanto movimento «trans-storico», per essere raccontato ha bisogno di più modelli storiografici. Per sfuggire a una visione stereotipata, a giudizio dell autore, si deve concepire la storia come un insieme di correnti a onde multiple che scompaiono e riemergono in alcuni periodi. Il Post-Modernismo scorre dagli anni 60, aumentato nella portata anche dalla controcultura e dai movimenti di protesta, per ricevere il riconoscimento definitivo con la Biennale di Venezia del 1980 intitolata La presenza del passato. Giunge poi all attualità con una radicalità eclettica che possiede un energia sorprendente. Tuttavia, secondo Jencks, la storia si fa anche con la disamina delle opere dei singoli architetti e l aneddotica personale dello storico protagonista dei fatti. Un pudding difficile da cucinare se non privilegiando un solo ingrediente. Le opere degli architetti diventano le vere chiavi di lettura dell architettura postmoderna. Una riduzione della complessità, operata da Jencks, con il supporto di tre categorie passepartout: il contrappunto contestuale, il segno «indessicale» e l «adhocismo». Il time-building postmoderno è una stratificazione di tempi e stili che parafrasa il passato e si relaziona al contesto come un camaleonte, permettendo sia una lettura culturalmente «alta» che «bassa» che rinvia alla metafora del contrappunto jazzistico. Il segno indessicale indica la presenza di una contemporanea variazione dei codici della forma architettonica e del contesto, una volta completata la costruzione. I progetti e gli interventi che combinano elementi preesistenti, giustapponendo ad hoc stili e funzioni, pervengono a risultati solo in parte previsti. In questo modo,jencks arruola nel Post-Modernismo quasi tutta l architettura contemporanea. Da Stirling a Isozaki, passando per Frank Gehry e Rem Koolhaas. I criteri sono talmente ampli e vaghi da Charles Jencks, nel suo ultimo libro, torna sulla sua antica ossessione: come raccontare il post-modernismo in architettura. Il suo saggio lascia però aperta la questione del rapporto con il mercato e il sistema economico-finanziario BENI CULTURALI Presentato il bando pubblico per i venti musei-star Al via la corsa al direttore eccellente N on ci saranno il Colosseo e i Fori tra i luoghi «star» per la gestione autonoma e valorizzante («esiste un problema di fondo che ci ha spinto a molta prudenza nel trasferire alcuni siti archeologici ai Poli regionali museali, e cioè che quasi sempre accanto all attività museale c è quella degli scavi: abbiamo lasciato che prevalessero le soprintendenze»), ma ci sarà invece la Pinacoteca di Brera nel bando internazionale per la direzione dei venti musei italiani previsti dalla riforma del Mibact. Dario Franceschini ha presentato il concorso non al Collegio Romano, ma nella sede dell Associazione della stampa estera auspicando evidentemente una eco mediatica oltrefrontiera; d altronde, l elenco dei luoghi messi a disposizione della futura «corsa al direttore» e le modalità per partecipare verranno pubblicate sull Economist. Si va dalla Galleria Borghese alla Gnam di Roma, agli Uffizi e il Bargello a Firenze, passando per Capodimonte a Napoli, la Reggia di Caserta, le Gallerie dell Accademia di Venezia e il Polo Reale di Torino. «Per chi vorrà candidarsi - ha affermato il ministro - è un occasione che SOPRA IL MUSEO GUGGENHEIM DI BILBAO DI FRANK GEHRY, A SINISTRA LA SEDE DI CHINA CENTRAL TELEVISION A PECHINO DI REM KOOLHAAS indurre l autore, alla fine, a rivederli implicitamente, concentrandosi solo su due aspetti: l ornamento semantico e l edificio iconico. Un ornamento reso possibile dalla progettazione computerizzata in grado di implementare geometrie frattali e andamenti «caotici», in sintonia con le cosiddette scienze della complessità. Si abbattono in questo modo tutte quelle inibizioni che perduravano dall inizio del secolo scorso, quando Adolf Loos paragonò l ornamento in architettura a un delitto. Ma la vera posta in gioco è l edificio iconico. Dopo «l effetto Bilbao» con il Guggenheim Museum progettato da Frank Gehry, che ha rappresentato un investimento che sta rendendo miliardi di euro con i milioni di visitatori, molte amministrazioni di città piccole e grandi hanno tentato di riprodurre un effetto simile. Sono alla ricerca di edifici «landmark» dai significanti enigmatici che suggeriscono molte interpretazioni, senza evocarne direttamente nessuna. Una strategia comunicativa pensata per suscitare l interesse del turismo culturale e dei media. capita una volta nella vita, un iniziativa importante a conclusione di un anno positivo per l amministrazione dei musei, con tante iniziative a partire da quelle tariffarie, l introduzione delle prime domeniche del mese gratuite per compensare quella delle tariffe per gli over 65». La scadenza per la presentazione delle domande online sul sito del Mibact è per il 15 febbraio, mentre la procedura si concluderà il 15 maggio. Dal 1 giugno, la «rivoluzione» sarà compiuta. Magari a spingere professionisti italiani e stranieri a partecipare all estrazione del «vincente» saranno di conforto alcuni dati: i musei statali hanno aumentato i loro visitatori (+6,2% rispetto al 2013) e anche gli introiti (+7%), con punte di eccellenza al sud e in musei poco frequentati. Trovandoci in Italia e conoscendo i fatti, solo qualche considerazione: la competenza riuscirà a sconfiggere i giochi politici? E i musei «minori» non rischieranno l abbandono, chiudendo i battenti con un effetto domino perché non «portatori di lucro», ma «solo» di cultura e memoria? E da ultimo: i direttori avranno i soldi per gestire le galline dalle uova d oro? Un «non-grattacielo» I nuovi «monumenti» che aggrediscono il terreno, il cielo e il contesto in modo violento, senza mediazioni, stanno acquisendo una rilevanza pari ai più classici monumenti storici. Gli esempi della Cina e di Dubai e, in misura minore, gli ultimi grattacieli milanesi sono paradigmatici. Dal centro finanziario di Shangai al non-grattacielo di Koolhaas a Pechino per la televisione cinese per approdare al «sogno capitalista dopato con gli steroidi», per usare le parole di Mike Davis nella descrizione di Dubai, si assiste a una tecnica dello choc sottraendola dalla critica di Benjamin. La domanda che sorge di fronte a questi esempi, che sono diventati punti di riferimento a livello internazionale, riguarda il ruolo degli architetti e dei progettisti rispetto le varie scale urbane e funzioni correlate. Jencks, nelle sue «conclusioni premature», riconosce che gli architetti postmoderni sono scesi a patti con i regimi autoritari se non reazionari e che la descrizione del Post-Modernismo come la «sovversione dall interno dell élite del potere», nei fatti si è tradotta nella collaborazione con gli obiettivi del potere. Ma non va oltre perché qui il libro si chiude dove in realtà avrebbe dovuto cominciare. Lasciando aperta la questione del rapporto del Post-Modernismo con il mercato e con un sistema economico e finanziario. Immaginari ibridi Le recenti analisi (J.T. Nealon, Post-postmodernism or the cultural logic of just in time capitalism, Stanford University, 2012) che sviluppano la teoria di Fredric Jameson di un postmoderno strettamente connesso a una precisa fase del tardocapitalismo non sembrano del tutto convincenti. Senza scomodare il Marx dell introduzione ai Grundrisse che parla di sviluppo ineguale tra le forme della produzione sociale e i generi artistici, sarebbe però utile riprendere alcune pagine della Storia dell architettura italiana di Manfredo Tafuri. Il Post-Modernismo, in architettura, non fa altro che riprendere i caratteri più superficiali del Moderno portandoli all eccesso. Per Tafuri, infatti, l accezione migliore è quella di «ipermoderno»: qui domina una perfetta equivalenza delle forme e dei significati (e anche della mancanza di significato), un annullamento della storia grazie alla sua riduzione a campo di scorrerie visive. Una sorta di «nichilismo imperfetto» che si limita a prendere atto delle trasformazioni sociali e urbane pur generando un immaginario che le ibrida e, a volte, le le travalica. È questo probabilmente l aspetto performativo del Post-Modernismo: l accettazione delle regole del gioco facendo uso di strumenti che superficialmente le sovvertono.

15 VENERDÌ 9 GENNAIO 2015 il manifesto pagina 11 Libri VISIONI «The Science of Interstellar» di Kip Thorne, ripercorre la lavorazione del film di Nolan, ed esplora le teorie scientifiche su cui è fondato con un linguaggio rivolto a tutti La bellezza nascosta in un buco nero Nelle pagine il fisico esplora le leggi più complesse dell universo, raccontando il processo di realizzazione degli effetti speciali Marco De Vidi B runo Dorella suona in tre gruppi diversi, gira l Italia e l Europa per portare la sua musica sui palchi più sperduti, rappresenta così la perfetta incarnazione del musicista che per campare riesce a fare anche 150 concerti in un anno. A 40 anni si ritrova più che mai appassionato e fiero del suo lavoro, che nel tempo lo ha portato anche a fondare (e poi chiudere) un etichetta come Bar La Muerte, scoprendo piccoli gioielli tutti italiani come Bugo, gli Zeus, Bologna Violenta. Ora Dorella pubblica un nuovo album con la sua band di più lungo corso, i Ronin, che con Adagio furioso giungono al quinto capitolo di un percorso personalissimo dove rock e sound cinematografico vanno a braccetto, musica strumentale e folk esplorato in ogni forma. Un lavoro in cui prendono il sopravvento la melodia e l atmosfera onirica. «Lavorando su più progetti» spiega Dorella, «cerco di renderli più distinti tra loro. Ho tre gruppi ognuno dal suono peculiare, addirittura suono strumenti differenti». Dorella è infatti conosciuto per essere un batterista dalla tecnica Giovanna Branca L o spazio e la sua esplorazione «fisica» da parte dell'uomo è, per molti versi, terra incognita. Ma per tanti altri - assai più di ciò che un profano in astrofisica potrebbe immaginare - non è poi così misteriosa. La linea che divide la conoscenza certa dalla speculazione è ciò su cui si regge l'ultimo blockbuster di Christopher Nolan, Interstellar, epopea fantascientifica che, ripetendo l'operazione che già fu vincente per la trilogia di Batman, viene fondata su delle basi realistiche. Il viaggio degli astronauti guidati da Cooper (Matthew McConaughey) attraverso un wormhole per trovare nuovi pianeti abitabili per la razza umana in «una galassia lontana lontana» è stato scritto da Nolan e dal fratello Jonathan in collaborazione con il fisico americano Kip Thorne, incaricato di fornire una plausibilità scientifica a tutti i passaggi del film. In The science of Interstellar-pubblicato da W. W. Norton&Company ed ancora inedito in Italia Thorne ripercorre la lavorazione di Interstellar ed illustra le teorie su cui è fondato. Dalle leggi di Newton sulla gravità alla teoria della relatività di Einstein, fino al territorio ancora largamente «inesplorato» della gravità quantistica, il lavoro del professore di fisica teoretica esplora le leggi più complesse che regolano l'universo con un linguaggio comprensibile ai non addetti ai lavori, e che fa appello all'interesse di quella larga fetta di pubblico che, da semplice estimatore della materia, già si era appassionato alle opere divulgative di luminari come Stephen Hawking - il cui saggio Dal Big essenziale, di derivazione punk, ma estremamente efficace. Il suo primo strumento è però la chitarra, che nei Ronin usa per comporre. «Come chitarrista sono un produttore di temi costante, il mio forte sono le idee più che la tecnica» riflette Bruno». Dorella si rituffa ora in tourneè coi suoi Ronin, accompagnato da una formazione totalmente rinnovata: «Quando esce un disco dei Ronin almeno per un anno l impegno è notevole, quindi posso capire che uno non se la senta più dopo un tour intensissimo quale è stato quello dell album precedente, Fenice. Nella zona di Ravenna, dove ora vivo, ho trovato dei musicisti molto giovani e preparati, che hanno il giusto entusiasmo». Bang ai buchi neri ha venduto oltre nove milioni di copie e Carl Sagan, il cui programma televisivo degli anni Ottanta, Cosmos, resta ad oggi il più seguito della storia del canale americano Pbs. La possibilità scientifica che il protagonista, di qualche anno più anziano di quando ha lasciato la terra, si ricongiunga con la figlia ormai vecchissima, o che si impadronisca dei segreti della singolarità che si trova nel cuore di un buco nero, è ciò che costituisce il fascino di Interstellar nonché ciò che Kip Thorne spoglia delle inaccessibili formule matematiche che INCONTRI Bruno Dorella, la vita on the road di un musicista multitasking Il suono visionario ed evocativo creato dalla band, oltre che la predilezione per i brani strumentali, ha creato nel tempo un legame quasi naturale con il cinema. Sono diverse le collaborazioni tra film, corti e serie tv. Uno degli esperimenti più riusciti resta la colonna sonora scritta per il documentario di Alina Marrazzi Vogliamo anche le rose, collaborazione poi ripropostasi per il film Tutto parla di te. L ultimo album dei Ronin nasce proprio da una colonna sonora: molto materiale è stato scritto infatti per l esordio su lungometraggio di Enrico Maria Artale, Il terzo tempo. Il rapporto col cinema si sta sviluppando ultimamente anche attraverso sonorizzazioni dal vivo. Nel 2014 uno dei lavori presentati è stato Frankenstein, il capolavoro di James Whale del 1931, musicato dagli Ovo. E poi la proiezione del Deserto Rosso di Antonioni, con le musiche «live» della Byzanthium Experimental Orchestra, costituita appositamente per celebrare il cinquantesimo anniversario dall uscita dell opera del maestro: «Abbiamo riempito il Teatro Alighieri a Ravenna, dove sono state girate delle scene del film: è stato un piccolo trionfo». per la maggior parte delle persone ne celano la bellezza. Suddividendo rigorosamente le teorie di cui parla in verità, ipotesi plausibili e speculazioni, l'autore consente a chi legge di cogliere almeno parte della meraviglia connaturata allo studio di fenomeni come i buchi neri o l'incurvarsi dello spazio e del tempo. «M i ALCUNE SCENE TRATTE DA «INTERSTELLAR» IL FILM DI CHRISTOPHER NOLAN Interstellar non è infatti un progetto nato dall'idea di un cineasta, ma dal desiderio di uno scienziato - lo stesso Thorne - di rendere in qualche modo visibili dei concetti di astrofisica di cui in parte è stato lui stesso pioniere, come i wormholes, e - con le sue stesse parole - «di realizzare un blockbuster fantascientifico fondato dal suo stesso principio nella vera scienza». Le peripezie per trovare una casa di produzione ed un regista; il colossale lavoro di ricerca e preparazione sono ciò che rendono appetibile questo libro anche per un pubblico di cinefili. Il progetto che Thorne covava insieme all'amica e produttrice Lynda Obst approdò nell'ormai lontano 2006 sulla scrivania di Steven Spielberg, con cui per mesi il fisico si incontrò per lunghi brainstorming, finché un non meglio specificato «disagreement» non lascia il film ancora senza titolo orfano di un regista. Solo molti anni dopo, nel 2011, arriva finalmente al timone Christopher Nolan, autore della breve introduzione che apre il libro e da allora in poi costante interlocutore di Kip Thorne, che racconta di aver passato lunghe notti insonni per risolvere scientificamente le richieste del regista inglese, ad esempio quella di rendere possibile l'esistenza di un pianeta in cui una manciata di minuti equivalgano a decine di anni sulla terra. Nel libro viene largamente dettagliato anche il processo di realizzazione degli effetti speciali, per cui la squadra addetta ai visual effects trasponeva sullo schermo le equazioni inviate dallo stesso Thorne. Così facendo, sono state prodotte delle simulazioni al computer talmente accurate che il buco nero «protagonista» del film, Gargantua, è ad oggi la più dettagliata simulazione esistente di come sarebbe un buco nero simile se mai potesse essere visto da occhi umani, ed ha addirittura condotto Thorne ed i suoi studenti a delle nuove scoperte sulla forma dei buchi neri. Com'è naturale, un libro che tratta complessissime teorie scientifiche non è sempre di facile comprensione, o ancor meno scorrevole, ma la fatica causata da certi passaggi è sempre ripagata. D'altro canto, come recitava Cosmos di Carl Sagan: «Se vuoi fare una torta di mele partendo da zero, devi prima inventare l'universo». EVENTI Torna in sala, il 12 gennaio, «Barry Lyndon» di Stanley Kubrick Il Settecento filmato a luce naturale Uscito nel 75, viene considerato tra i capolavori del regista. La parabola di un avventuriero ha sempre attirato un film il cui destino del protagonista è già inciso sul primo fotogramma» diceva Stanley Kubrick parlando del suo Barry Lyndon che, ispirato al romanzo di William Thackeray, dal momento della suo arrivo sugli schermi, il 1975, lascia un segno indelebile nella storia del cinema, e in quella del suo autore. Il regista ne scrive la sceneggiatura, modificando alcuni passaggi della pagina scritta, e «traccia una parabola che conduce al vuoto» (come scrive il critico francese, Michel Ciment). La storia dell avventuriero Redmond Barry, (interpretato da Ryan O Neal) e della sua ossessione di ascesa sociale che lo porterà a sposare l aristocratica Lady Lyndon (stupenda Marisa Berenson), restituiscono lo sforzo d ordine e di disciplina del Settecento illuminista, che lo sguardo di Kubrick però svuota di ogni trionfalismo e di fiducia nell avvenire. Tra pochi giorni, il 12, Barry Lyndon ritorna sugli schermi nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, un occasione bella, da non farsi sfuggire, per rivedere o per scoprire questo film in cui Kubrick ripercorre il Settecento a lume di candela (complice il lavoro del direttore della fotografia John Alcott), immergendo i suoi personaggi nella pittura dell epoca, e nella colonna sonora sospesa tra Haendel e Schubert. Qui, in un salotto di Gainsborough, o in un giardino di Watteau, o a una tavola di Hogarth si rincorrono ambizioni, falsità, rovine annunciate, sentimenti corrotti,disillusioni, soprusi, umiliazioni. Racconta ancora Kubrick : «Credo di avere fatto a pezzi tutti i libri d arte disponibili sul mercato per classificare la riproduzione dei quadri... Ho creato un vastissimo archivio iconografico di disegni e di dipinti, queste figure sono servite come punto di riferimento per tutto quello di cui avevamo bisogno di creare: vestiti (i costumi di Milena Canonero hanno vinto uno dei quattro Oscar del film, gli altri sono per la colonna sonora, fotografia, scenografia), suppellettili, arnesi, strutture architettoniche, veicoli, ecc. Una buona ricerca è assolutamente indispensabile, e mi diverte farla.si ha un motivo importante per studiare un certo argomento con una profondità maggiore di come l avreste studiato altrimenti, e si ha inoltre la soddisfazione di utilizzare quelle conoscenze acquisite per un buon fine immediato. Mi ci è voluto un anno per preparare Barry Lyndon prima di passare alle riprese, ma credo che sia stato un tempo ben speso. Il punto di partenza per qualsiasi vicenda storica o fantascientifica consiste nel farvi credere a quel che vedete».

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