Categoria: Accertamento e riscossione Sottocategoria: Accertamento e controlli
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- Enrico Vigano
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1 Fiscal News La circolare di aggiornamento professionale N Accertamento analitico induttivo ed applicazione delle percentuali di ricarico A cura di Giovambattista Palumbo Categoria: Accertamento e riscossione Sottocategoria: Accertamento e controlli L analisi della economicità o meno della gestione di impresa può esse utilizzata dall Amministrazione Finanziaria per riscontrare la congruenza del reddito dichiarato. La legittimità della contestazione dipenderà comunque anche dal tipo di accertamento prescelto dall Ufficio accertatore, potendosi in casi del genere procedere ad un accertamento analitico induttivo, nell ambito della quale dovranno essere specificatamente indicate quelle presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti che possano legittimare la ripresa a tassazione. Uno di questi elementi presuntivi potrebbe essere rappresentato dalla ricostruzione della percentuale di ricarico del settore. Lo scostamento tra la percentuale del settore ricostruita e quella concretamente applicata, per assumere rilevanza probatoria, dovrà essere in ogni caso rilevante e significativo. Il caso La Corte di Cassazione, con la sentenza n del , è tornata su un tema sempre fonte di notevole contenzioso: i presupposti di legittimità dell accertamento analitico induttivo e l uso delle percentuali di ricarico a fini impositivi. Nel caso di specie, il giudice d'appello, riformando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto corretto il ricorso all'accertamento con metodo analitico- 1
2 induttivo in ragione delle incongruenze nei dati dichiarati dalla contribuente, che erano apparsi, da un lato, privi di logica di mercato per il loro carattere antieconomico (testimoniato, in particolare, dallo scarto tra il costo globale del lavoro e la minore redditività dichiarata dai soci), e dall'altro, intrinsecamente incoerenti per la discordanza tra le variazioni dello stato patrimoniale. Il tutto, era poi stato confermato dallo scostamento della percentuale aziendale di ricarico (9%) rispetto quella ritenuta congrua (14%) secondo la media regionale del settore e le rilevazioni degli studi di settore. Il contribuente ricorreva allora in Cassazione, affermando, tra le altre, che la sentenza d'appello aveva riconosciuto significato indiziante ad elementi non significativi sul piano logico-giuridico e probatorio quali: (a) il modestissimo scostamento percentuale nella stima del ricarico rispetto a una inattendibile media regionale fondata sui dati di sole tre ditte; (b) la pretesa incoerenza rispetto agli studi di settore pur in assenza di contraddittorio e in presenza di un "congruo" inferiore a quanto "accertato"; (c) l'antieconomicità e la bassa redditività per i soci, valutate senza tener conto della notoria crisi del mercato, della salvaguardia dei livelli occupazionali e dell'incidenza sul costo del lavoro della retribuzione degli stessi soci pur essi dipendenti. Il tutto aggravato dalla mancata considerazione delle rimanenze dei prodotti finiti e con riferimento alla percentuale di ricarico. Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era fondato. L'Amministrazione, evidenziano i giudici di legittimità, può procedere, ai sensi dell art.39, co.1, alla determinazione induttiva dei ricavi sulla scorta delle percentuali di ricarico, le quali costituiscono tuttavia presunzioni semplici, che debbono essere assistite dai requisiti di cui all'art Cod. civ. e desunte da dati di comune esperienza, oltreché da concreti e significativi elementi desunti dalla singola fattispecie. In presenza di scritture contabili formalmente non contestate (come nella specie) non era quindi sufficiente, ai fini dell'accertamento di maggiori ricavi, il solo rilievo dell'applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico aritmeticamente diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, ovvero nel campione rilevato dai verificatori. Infatti, le medie matematiche, ponderate o no, non costituiscono un "fatto noto", cioè storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, il 2
3 fatto ignoto da provare, ma soltanto il risultato di un'estrapolazione ragionata di dati. Pertanto, tali percentuali sono di per sé sole inidonee a integrare gli estremi di una prova per presunzioni, occorrendo quantomeno che emerga, quale elemento ulteriore, l'abnormità o l'irragionevolezza della percentuale (cfr. Cass. n del 2010, n del 2009, n del 2005), laddove l'abnormità e l'irragionevolezza della difformità è esclusa nel caso di scostamenti di pochi punti percentuali (es. sulla irrilevanza di uno scostamento di quattro e sette punti v. Cass. n del 2014 e n del 2009). Nel caso di specie, le risultanze dell'accertamento impugnato riferivano di un ricarico dichiarato dalla parte del 9%, a fronte di un ricarico medio di settore del 14%, con dunque una differenza del 5% che non pareva abnorme e fuori dalle dinamiche economiche, anche considerato, sottolinea la Corte, che i verificatori avevano ottenuto il risultato del 14% sulla scorta dei dati offerti da sole tre ditte: due che dichiaravano il 9% (compresa la contribuente) e l'altra che dichiarava il 24%. Inoltre, il raffronto tra il reddito accertati induttivamente e quello ragguagliato agli studi di settore, ma adoperato solo come parametro di raffronto, non essendo stata adottata la relativa procedura di accertamento, risultava, a detta dei giudici della Corte, poco significativo, essendo il valore di studio anche inferiore a quello di accertamento. Il che, tenuto conto del campione di sole tre ditte, rendeva non evidente la sussunzione del globale ragionamento presuntivo nelle regole legali dell'art Cod. civ., in disparte dai rilievi circa i criteri di calcolo adottati nell'accertamento (es. mancato errato computo delle rimanenze e dei costi per i soci-lavoratori). Infine, secondo la Corte, anche l'apparente antieconomicità della prosecuzione dell'attività con scarsi ricavi non è, di per sé, circostanza idonea a disconoscere la dichiarazione e a presumere maggiori entrate, ove risulti adeguatamente rilevata, da un lato, l'effettività di circostanze produttive di crisi (nella specie la contrazione del mercato automobilistico) e, dall'altro lato, la legittima aspirazione dell'azienda a proseguire l'attività confidando in una ripresa del settore (con migliore economicità della gestione). L accertamento analitico induttivo Il caso in esame riguardava quindi una tipica ipotesi di accertamento "analitico- induttivo", con la quale il fisco fonda la sua tesi sulla valorizzazione 3
4 di elementi (es. campione di ditte del settore) coi quali, mediante ragionamento logico-deduttivo, tenta di ricostruire un volume d'affari diverso e superiore. La prova presuntiva di maggiori entrate, per essere idonea a fondare l'accertamento con il metodo "analitico-induttivo" ex D.P.R. 600/1973 (art. 39, co. 1, lett. d), deve però essere desunta, quanto meno, da una condotta commerciale anomala (Cass. n del 2014), non potendo di per sé ritenersi decisivo il solo dato del modesto utile economico, in assenza di abnormità e irragionevolezza della percentuale di ricarico applicata dalla contribuente rispetto a quella desunta dal controllo indiretto tramite campione di ditte rappresentative. L'utilizzo del computo del ricarico al di fuori dello schema legale del ragionamento presuntivo inficiava quindi la concatenazione logica operata dal giudice d'appello. In proposito, la Corte ricordava del resto anche che, al fine di valutare la corretta applicazione dell'art Cod. civ., occorre sempre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi offerti in giudizio, posto che la scorretta valutazione di essi non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cass. n del 2015; conf. Cass., sez. un., n.8054 del 2014). Infatti, compete alla Corte di cassazione, nell'esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell'art.2729 Cod. civ., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete, che, effettivamente, risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n del 2008). Se è quindi sicuramente devoluto al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt e 2729 Cod. civ., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità se, violando i succitati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice di merito abbia conferito valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso (Cass. n del 2015). In proposito, le sezioni unite della Corte hanno peraltro da tempo stabilito che: 4
5 "Il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni si articola in due momenti valutativi; in primo luogo, occorre che il Giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. È pertanto viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità - a tale sindacato sottraendosi l'apprezzamento circa l'esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato da illogicità o da erronei criteri giuridici - la decisione in cui il Giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento" (sentenza n. 584 del 2008). E dunque fondamentale non solo valutare i singoli elementi di fatto, ma soprattutto considerarli nella loro valenza complessivo. Le percentuali di ricarico La Corte di Cassazione, con la sentenza n del 17 aprile 2015, ha peraltro stabilito che, nel caso in cui il metodo del ricarico medio non discenda da mere elaborazioni statistiche ricavate dal settore merceologico, ma dalle rilevazioni effettuate in sede di verifica, lo stesso è legittimo, a condizione però che sia operato su un inventario generale delle merci, o comunque su un campione di merci rappresentativo ed adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo e a condizione, infine, che, quando tra i vari tipi di merce esista una significativa differenza di valore, corrisponda alla media ponderale. Ciò che rileva è dunque che non sia un mero dato numerico privo di riscontro oggettivo. La possibilità di procedere con accertamento analitico-induttivo, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, può essere quindi senz altro innescata dal riscontro di 5
6 inesattezze contabili gravi, o dal rilevamento di situazioni di infedeltà. E uno di questi elementi presuntivi, di conferma della irragionevolezza dei dati dichiarati, può ben essere rappresentato dalla ricostruzione della corretta percentuale di ricarico. La percentuale di ricarico non potrà però essere utilizzata solo come metodo di quantificazione dei maggiori ricavi, ma dovrà essere precisamente ricostruita, grave, nel senso di indicare uno scostamento rilevante e dovrà infine anche concordare con altri elementi di sospetto, come può essere considerata la situazione di antieconomicità, la quale, però, da sola, non può rappresentare una presunzione grave, precisa e concordante. Anche, la Guardia di Finanza, con la Circolare n. 1/2008, nell illustrare le ricostruzioni indirette basate sulle percentuali di ricarico, ha del resto specificato che l attività ispettiva non può prescindere dalla ricerca dei valori maggiormente verosimili, che conducano a stabilire una percentuale di ricarico media ponderata accettabile. E la determinazione di detta percentuale media di ricarico, dovendo produrre effetti su un impianto contabile esistente e regolare, deve essere fondata su basi particolarmente solide, calibrate rispetto alle specifiche condizioni di esercizio dell attività ed adeguatamente differenziate con riferimento alle diverse tipologie di prodotti commercializzati dall impresa. La Cassazione, con la Sentenza n del 16 dicembre 2009, in un caso di insufficienza dei ricavi a coprire i costi di gestione, ha inoltre evidenziato come non appare inutile osservare che la misura di ricarico applicata, svincolata da studi di settore mirati, e tesa soltanto a portare in lieve avanzo il bilancio è del tutto arbitraria, in quanto la mera enunciazione dello scopo prefisso non può certo sostituire un criterio razionale di determinazione della entità della variazione, che deve preesistere alla stessa e prescindere dall effetto della medesima sul bilancio della società. La Corte non poteva essere più chiara. Conclusioni In conclusione, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico - induttivo del reddito d impresa, ai sensi dell'art. 39 primo comma, lett. d), del DPR 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del 6
7 comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all'ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell onere della prova a carico del contribuente (in senso conforme v. Cass. sent. nn.7871 del 18/05/2012; Cass. n.6852/2009; Cass. n.5731/2012). Valore di presunzioni gravi, precise e concordanti può essere dunque attribuito anche alla difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti da studi di settore, quando però vi sia uno scostamento che renda del tutto non credibile il risultato della dichiarazione e la difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza raggiunga livelli di irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità (cfr. in merito, Cass. sent. n /2009; Cass. n.15310/2000; n.4821/2002; n.19620/2005; n.417/2008). La percentuale di ricarico non potrà in ogni caso essere utilizzata solo come metodo di quantificazione dei maggiori ricavi, ma, come detto, dovrà essere precisamente ricostruita, con un accurato paragone con percentuali di ricarico di settore effettivamente comparabili, dovrà essere grave, nel senso di indicare uno scostamento rilevante rispetto alle altre percentuali prese a paragone e dovrà infine anche concordare con altri elementi di sospetto, come appunto può essere considerato il detto sbilancio tra costi e ricavi (il quale, però, da solo, non può rappresentare una presunzione grave, precisa e concordante). Non è infine legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su pochi articoli anziché su un inventarlo generale delle merci da porre a base dell'accertamento (cfr. anche Cass. n.13319/2011) e comunque nell'accertamento tributario fondato su percentuali di ricarico della merce venduta il ricorso al criterio della media aritmetica semplice, in luogo di quella ponderale è consentito solo quando risulti l'omogeneità della merce o non sia eccepita la disomogeneità (v. altresì Cass. sent. n /2009). - Riproduzione riservata - 7
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