Renato Frisanco. (Settore Studi e Ricerche della Fondazione Italiana per il Volontariato di Roma)

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1 Renato Frisanco (Settore Studi e Ricerche della Fondazione Italiana per il Volontariato di Roma) Vorrei portare un contributo come ricercatore. Avendo coordinato alcune indagini sul volontariato di settore in questi ultimi anni, porto un contributo empirico che può essere utile alla riflessione e che, al tempo stesso, dà conto dell impegno del volontariato nel campo specifico dell immigrazione. L anno scorso abbiamo condotto un indagine su 151 organizzazioni che operano nel settore della giustizia, da cui risulta che il 65,4% di queste organizzazioni ha in carico uno o più soggetti che usufruiscono di misure alternative alla detenzione, sia adulti che minori. Nel caso dei minori c è un impegno, un attenzione del volontariato all attuazione della messa alla prova - misura cautelare non detentiva - non su grandi numeri per la verità, poiché la presa in carico di queste persone è ancora ridotta a pochi casi. C è però indubbiamente uno spostamento significativo del baricentro operativo del volontariato dal carcere al territorio. Prima il rappresentante della Caritas diceva che è finita l epoca del volontariato consolatorio e che si va verso un volontariato che opera per progetti e che finalizza la propria attività all inserimento socio-lavorativo dei detenuti. E vero, è questa una realtà in costante incremento. La ricerca evidenzia che il volontariato è un importante

2 infrastruttura che rende praticabili queste misure, ed è al tempo stesso un soggetto di garanzia rispetto all efficacia di queste esperienze particolari. I dati relativi alla messa alla prova e alle sanzioni sostitutive alla detenzione dei minori impegnano il 18% delle organizzazioni esaminate (che è un campione significativo) e nel 5,2% dei casi in modo prioritario. Forse è ancora poco, però c è un interesse in questo senso. Abbiamo tra l altro esaminato in profondità un associazione ligure, l Alpim (Associazione ligure per i minori di Genova) che ha una metodologia precisa di recupero dei minori, non solo italiani, ma anche stranieri, attraverso l istituto della messa alla prova. C è un lavoro interessante, dell Ufficio distrettuale dei servizi sociali per i minori e c è un progetto per far compiere ai ragazzi un percorso educativo formativo, a partire dalla scuola dell obbligo, per sistemarli in corsi di avviamento professionale, e poi ricercare per loro datori di lavoro che offrano un esperienza come stage o come tirocinio. C è proprio un contratto di borse e lavoro riconosciuto dall Ispettorato del Lavoro di Genova. Si chiama stage di addestramento, in cui l associazione assume, a suo carico, tutti gli oneri assicurativi ed economici relativi al periodo in cui il minore svolge un attività lavorativa presso il datore di lavoro che si rende disponibile ad insegnare un mestiere. L ottica con cui si muovono le organizzazioni di volontariato in questo campo, è quello di seguire il minore, rendendolo protagonista,

3 responsabile del proprio cammino di recupero. Quindi esiste un contratto, esiste un attenzione a che il soggetto acquisisca un impegno, sviluppo le proprie potenzialità positive e si responsabilizzi. Una più recente indagine fatta sulle organizzazioni di volontariato che tutelano gli immigrati, o fatte dagli stessi immigrati (talvolta si tratta di un mix tra immigrati e popolazione autoctona), fornisce altri riferimenti. Se andiamo a vedere le finalità perseguite da queste associazioni - ne abbiamo intervistate, con un questionario piuttosto denso, emerge che, ovviamente, l intervento più cospicuo è quello socioassistenziale, l 82%, poi viene la difesa e promozione dei diritti, l impegno culturale e, invece, all ultimo posto c è quello formativo professionale e al penultimo quello scolastico educativo. Questi sono due settori su cui il volontariato dovrebbe lavorare di più. Le organizzazioni di volontariato che prendono in carico dei minori immigrati, che li assiste, li tutela costituiscono il 33% del totale. Esse dichiarano di lavorare esclusivamente con i minori o alla pari con gli adulti immigrati. Andando, invece, ad esaminare l attenzione all assistenza legale in giudizio dei minori, vediamo come questo sia l intervento meno cospicuamente svolto dalle organizzazioni. Infatti solo il 19% delle organizzazioni attua con una certa frequenza l assistenza legale in giudizio, mentre nel

4 33% dei casi è più ampia la quota di organizzazioni che garantiscono consulenza legale al minore, per una serie di problemi correlabili ai diritti di cittadinanza. Per tornare all ambito del volontariato penitenziario, o meglio che opera nel campo della giustizia (sempre meno penitenziario, si spera, e sempre più legato al territorio) vediamo come il volontariato trovi dei limiti, non solo in se stesso, perché anche il volontariato sconta dei limiti propri, ma anche in quelli che sono oggi alcuni orientamenti ideologico culturali e limiti che appartengono alle istituzioni penitenziarie. Diversi sono i tipi di approccio ideologico culturale che si riscontrano nelle diverse realtà e istituzioni penitenziarie nel nostro paese, si va da istanze punitive, di sicurezza e punizione a istanze di trattamento e inserimento. Queste istanze determinano diversità di giudizio e di trattamento, sia nella magistratura, ordinaria e di sorveglianza, che negli operatori, agenti di polizia e tecnici, anche con vistose differenze regionali. La conseguenza più frequente di questa situazione è lo scadimento delle istituzioni di controllo in una routine gestionale, con il prevalere della linea tradizionale, custodialistica e burocratica, chiusa ad ogni innovazione, che alla fine offre maggiore sicurezza. Quindi l azione di volontariato, pur tesa a creare una dialettica ed una sostanziale pari dignità con le istituzioni penitenziarie rischia di essere respinta o confinata negli antichi limiti.

5 Quindi due constatazioni: le difficoltà a definire l effettiva efficacia della normativa in materia penitenziaria e del contributo del volontariato - dati gli scarti tra l astrattezza dell enunciazione e le realtà operative e poi lo stretto legame tra l azione di volontariato e la politica penitenziaria praticata. Se tale politica è ispirata al trattamento e alla rieducazione, al reinserimento sociale dei condannati, gli spazi del volontariato sono più ampi, con possibilità di ulteriore crescita. Invece, se la politica penitenziaria si caratterizza nel versante dell esclusione e del custodialismo, tali spazi si restringono grandemente e rischiano di essere annullati. E un dato di fatto che il volontariato cresce laddove il pubblico funziona meglio e ciò vale per tutti i servizi e per tutte le istituzioni. I percorsi innovativi, devono prevedere, come condizioni necessarie, circuiti differenziati e progetti mirati o trattamenti individualizzati e l analisi previa dei bisogni dei vari gruppi che costituiscono le popolazioni detenute. Stamattina, sentendo i vostri interventi, ho annotato sette fattispecie di stranieri nelle carceri minorili: - essere minori non accompagnati, figli di nessuno o con propria famiglia; - appartenere ad una diversa etnia; - essere clandestini o non; - l avere cittadinanza italiana oppure no; - essere minorenni o maggiorenni;

6 - essere vittime della stessa criminalità straniera o non; - essere nomadi e non. E pertanto un universo umano che richiede di essere scomposto, valutato, e su questo si devono poi orientare dei progetti mirati. Il carcere, nel circuito differenziato della giustizia, ove è più importante l aspetto del trattamento, quindi dell intervento, è uno dei moduli del progetto, ma devono prevalere tutti gli altri, possibilmente le misure alternative, i servizi socio sanitari territoriali, le comunità terapeutiche, i presidi ed i servizi del volontariato e della cooperazione sociale e l utilizzo delle risorse del territorio. Solo un progetto mirato serve a superare la divisione tra dentro e fuori, che oggi determina la separatezza tra detenzione e misure alternative e crea, invece, sinergie che agiscono positivamente sia sull uno che sull altro versante. Vorrei precisare che il discorso delle misure alternative comporta non solo l umanizzazione della pena, che sempre pena rimane, non solo una miglior gestione degli spazi culturali, che devono necessariamente rimanere, ma anche un minor dispendio di risorse per lo Stato e sappiamo che il costo di una misura alternativa è di un terzo inferiore a quella di un posto in carcere. Una misura alternativa non è permissivismo, ma assicura anch essa una giusta pena. I progetti non sono favori per il reo, ma reale impegno e si

7 caratterizzano come interesse precipuo della comunità. Sarebbe interessante poi, valutare la situazione dei minori stranieri in Italia, e se vogliamo veramente fare uno studio del problema, l indicatore privilegiato per capire il fallimento del carcere, visto che tutti parliamo di fallimento del carcere, è andare a constatare qual è il tasso di recidiva degli stranieri. Questo sarebbe un dato da acquisire. Oggi vi sono strumenti e opportunità per fare qualcosa al riguardo, soprattutto dalla parte della pena, nel momento della sanzione e post. Ci sono protocolli di intesa tra il Ministero della Giustizia e le regioni, però molte regioni non hanno sottoscritto questo protocollo d intesa e solo dieci regioni mi risulta lo abbiano fatto. Per favorire questa politica c è anche il protocollo tra il Ministero e la Conferenza nazionale del volontariato giustizia, ed è un protocollo che stabilisce la pari dignità tra le due parti. Poi il volontariato è entrato a far parte, con tre rappresentanti, della Commissione nazionale dei rapporti tra il Ministero della giustizia, le regioni e gli enti locali. E una commissione che emana indirizzi sui problemi in discussione, come quello della collaborazione con il volontariato. Ci sono dei gruppi di lavoro su alcuni temi, e un gruppo di lavoro riguarda i detenuti extracomunitari. Il problema delle carceri è oggi un problema che è diventato un contenitore di miserie, come lo era l ospedale psichiatrico una volta. Oggi chi va in carcere? Ci va chi ha meno risorse umane, economiche, professionali. Se

8 andiamo a vedere i tassi di disoccupazione e di istruzione dei detenuti, abbiamo subito in chiaro l idea di chi va a finire in carcere. Allora il volontariato cosa può fare al riguardo? Anzitutto dovrebbe aprire un confronto aperto al suo interno - e la Conferenza permanente può avere un ruolo importante in questo senso - sulle esperienze, sui valori, sulle modalità promosse fino ad oggi, che sono patrimonio consapevole condiviso e diffuso; occorre generalizzare dei modelli di buone pratiche del volontariato, finalizzate all inserimento sociale e all attuazione delle misure cautelative e poi il superamento dell attuale frammentazione delle attività di solidarietà, al fine di delineare una strategia comune di intervento. Il volontariato attivo nel campo della giustizia ha un vantaggio che lo distingue dal più generale fenomeno del volontariato, quello di essere meno frammentato. Il primo coordinamento del volontariato che nasce in Italia è il SEAC, che raggruppa proprio le associazioni di volontariato carcerario. Un maggior impegno attende il volontariato sull attuazione di percorsi di formazione permanente che innalzino il comune livello di preparazione - perché gestire le misure alternative è un impegno ben maggiore che portare conforto in carcere - e su come affrontare il rapporto con le istituzioni, al fine di promuovere dialogo e maggiore collaborazione. La nostra ricerca conferma una buona capacità di dialogo tra volontariato e

9 istituzioni, anche se avviene spesso in modo discrezionale, ciò che manca è la concertazione comune, il programmare insieme gli interventi tra il dentro e il fuori, la comune ricerca di una collaborazione con le altre forze sul territorio, al fine di potenziare i servizi di rete che possono consentire la prevenzione di situazioni di esclusione sociale e dare quindi opportunità per la promozione della persona e il successivo inserimento nella comunità e nel lavoro. Un ultima cosa, uno dei problemi per cui noi stamattina abbiamo parlato di fallimento della soluzione carcere, è che in effetti i minori stranieri che vengono da altre culture rifiutano il carcere perché lo vedono come un elemento che forza il processo di assimilazione alla nostra cultura. Quindi c è questo problema che rende più difficile l intervento in carcere, perché è una forzatura, vista come una violenza sulla loro cultura di origine. Ed è questo un motivo in più per ripensare le politiche giudiziarie e penitenziarie nei confronti dei minori immigrati: perché non provare a immaginare tutti insieme interventi che permettano di utilizzare paradossalmente il sistema sanzionatorio come opportunità per questi ragazzi, come occasione e volano di un inserimento sociale reale. E noto dalla pedagogia che l interiorizzazione delle regole cresce con l allargamento degli spazi della propria esperienza umana e con l esercizio della

10 responsabilità. Nel caso degli stranieri, anche con la salvaguardia della propria dignità umana e della propria identità culturale.

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