Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione*

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1 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n , pagg GruppoMontepaschi Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione* MAURIZIO ZENEZINI** Italy s population is ageing fast and the old age dependency ratio is projected to rise substantially over the next decades. This could contribute negatively to the growth of output per capita for two reasons. The first is that, at given agespecific employment rates, a simple accounting effect will tend to decrease the aggregate rate of employment. The paper argues that this effect could be offset, at least partially, if Italy s low rates of employment for some population groups (women and elderly) now underrepresented in the workforce were increased to levels similar to those currently observed in some European countries. The second derives from the behavioural consequences of ageing on output per worker, reflecting the idea that older workers tend to be less productive than young ones. By using a pure labour model under different technological conditions, the paper shows that the ageing of the workforce need not have negative effects on productivity over the next few decades. While the negative effects on productivity of labour force ageing are not inevitable, the increase in the old age dependency ratio will have distributive consequences. Given the constraints on the GDP share of pension expenditure, current official projections imply a significant reduction of the ratio of average pension to average productivity from 2015 onwards. (J.E.L.: H55, J11, J21, J26) 1. Introduzione Spesso presentato come un fenomeno che influenzerà profondamente le società avanzate nei prossimi decenni, l invecchiamento della popolazione è in realtà un processo già da tempo in corso su scala globale, tanto nell insieme dei Paesi in via di sviluppo, quanto nei Paesi sviluppati. Per i primi è osservabile per l ultimo mezzo secolo (per il quale disponiamo di dati passabilmente affidabili: Bloom et al. 2008), per i secondi, soprattutto per i Paesi di più antica industrializzazione, è un processo sostanzialmente continuo * Articolo approvato nel mese di agosto Desidero ringraziare Sergio Cesaratto, Marina Capparucci e un revisore anonimo per gli utili commenti. ** Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche, Università di Trieste. maurizio.zenezini@econ.units.it

2 432 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n osservabile a partire dalle date per le quali disponiamo di informazioni statistiche (Thane, 1987, per la Gran Bretagna). Il mutamento demografico prenderà tuttavia un passo accelerato nei prossimi decenni in tutte le regioni del mondo, determinando quasi ovunque un aumento significativo dei tassi di dipendenza degli anziani. Secondo le più recenti previsioni centrali delle Nazioni Unite, alla metà del secolo le persone con più di 60 anni rappresenteranno il 22% della popolazione mondiale, contro il 10% del 2005: globalmente vi saranno 37 ultrasessantenni per ogni 100 persone in età lavorativa (15-59 anni), mentre nei Paesi oggi sviluppati (nei quali vive attualmente il 18% della popolazione mondiale) il tasso di dipendenza degli ultrasessantenni raggiungerà il 62%, contro il 32% del 2005 (Bloom et al. 2008). Questo processo non sarà uniforme nelle diverse regioni del mondo, né nell intensità né nei profili temporali, innanzitutto per la diversità delle condizioni iniziali. L aumento assoluto della popolazione anziana sarà ovviamente molto più accentuato nei Paesi oggi considerati in via di sviluppo e alla metà del secolo gli anziani residenti nei Paesi oggi sviluppati rappresenteranno un quinto di tutti gli anziani, contro il 37% del Nell insieme dei Paesi sviluppati è prevista una riduzione della popolazione di anni e in una cinquantina di Paesi la popolazione complessiva dovrebbe diminuire (Bloom et al. 2008), e ci si aspetta che diminuisca nel complesso dei Paesi UE25 (Commissione Europea 2005). Poiché l invecchiamento nei Paesi avanzati procederà circa dalla metà delle piramide dell età, mentre in molti Paesi in via di sviluppo procederà dalla base della piramide, si determineranno tendenze non uniformi, e in molti casi divergenti, dell offerta di lavoro: dati i tassi di attività, l offerta di lavoro tenderà a diminuire nei Paesi del nord e ad aumentare nei Paesi del sud del mondo. Bloom et al. (2008) hanno osservato che, a parità di tassi di attività, l espansione dell offerta di lavoro nei Paesi africani nei prossimi decenni sarà grosso modo dello stesso ordine di grandezza della contrazione dell offerta di lavoro nei Paesi europei. Queste tendenze demografiche sono molto spesso intese come sfide severe per l economia e la società nei Paesi avanzati (talvolta con toni di allarme: un terremoto, un agequake, secondo il settimanale The Economist, 1999, che paragonò le conseguenze dei mutamenti demografici nei Paesi avanzati nel prossimo mezzo secolo all epidemia di peste dell Europa del XIV secolo). I principali motivi di preoccupazione sono i seguenti: lo sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane può determinare una contrazione della partecipazione al mercato del lavoro (Burniaux et al. 2003); può scoraggiare la formazione del risparmio e rallentare il tasso di crescita dell economia (Disney 1996; Oliveira Martins et al. 2005); può ottundere lo spirito imprenditoriale, giacché sembra che i vecchi cerchino la sicurezza piuttosto che l avventurosa intraprendenza (Sauvy 1948; Commissione Europea, 2005, p. 2); può generare forti tensioni nei bilanci pubblici a causa delle crescenti spese pensionistiche e sanitarie in un contesto di tendenziale riduzione delle

3 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 433 basi del prelievo fiscale (Disney 2000; Banca d Italia 2005; OCSE 2005a; 2006a); in alcuni Paesi europei potrà dar luogo a situazioni di scarsità di manodopera. Mentre i fattori centrali dell invecchiamento della popolazione riduzione dei tassi di fecondità al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni e allungamento della speranza di vita sono noti e sono stati ampiamente studiati, la valutazione delle conseguenze sistemiche dell invecchiamento risente di elevati margini di incertezza che dipendono, tra l altro, dalle previsioni sui profili evolutivi dell economia e dalle basi informative di riferimento (ad es. dati macroeconomici o dati microeconomici, simulazioni di modelli: vedi Miles 1999) e che riguardano virtualmente tutti gli aspetti coinvolti: le previsioni demografiche sono tanto più precarie quanto più si spingono avanti nel tempo, ancor più quando richiedono ipotesi sui flussi migratori; i profili dei tassi di partecipazione per le diverse classi di età non evolvono in modo meccanico bensì in risposta ai cambiamenti nei contesti sociali ed economici e riflettono effetti generazionali; le previsioni delle conseguenze dei cambiamenti nella composizione demografica della forza lavoro sul benessere materiale dipendono da una congerie di ipotesi sull insieme dei fattori che determinano la crescita economica; le conseguenze sulla finanza pubblica dipendono, tra l altro, dalle tipologie e dalla tempistica delle riforme dei sistemi di welfare diventate, come mostra, in particolare, l esperienza delle riforme pensionistiche degli ultimi decenni, un processo continuo, non sempre lineare negli orientamenti e talvolta francamente erratico 1. In queste note prendo in considerazione tre aspetti relativi alle conseguenze economiche dell invecchiamento della popolazione. Il primo concerne le relazioni tra invecchiamento e reddito pro capite. Si tratta di relazioni che coinvolgono una pluralità di determinazioni, tanto a livello microeconomico quanto a livello macroeconomico, dagli effetti sulla propensione al risparmio a quelli sul consumo, dagli effetti sulla produttività a quelli sull accumulazione del capitale. Mi concentrerò sugli aspetti più direttamente connessi alle conseguenze produttivistiche dell invecchiamento e ignorerò, in particolare, le implicazioni dell invecchiamento sulla propensione al risparmio o sulla domanda aggregata. In passato le conseguenze dell invecchiamento sulla crescita economica venivano trascurate nella convinzione che altri, e più importanti, fossero i motori dello sviluppo e che, in ogni caso, l invecchiamento della popolazione, essendo un processo sufficientemente lento e uniforme nel tempo, potesse essere socialmente assorbito senza conseguenze significative sul ritmo di crescita dell economia. Sebbene si ritenga oggi che questo non sia generalmente vero, e in ogni caso non scontato (Lindh e Malmberg 1999; Malmberg et al. 2008), sosterrò 1 In Italia negli ultimi quindici anni vi sono stati, ignorando gli aggiustamenti minori, almeno quattro importanti interventi di riforma dei sistemi pensionistici.

4 434 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n che, sulla base di quel che oggi sappiamo, non ci sono ragioni per concludere che, se ci interessano i riflessi sulla dinamica della produttività e del PIL pro capite, l invecchiamento della popolazione, in quanto tale, costituisca un motivo di seria preoccupazione nell orizzonte dei prossimi decenni. Il secondo aspetto riguarda le implicazioni dell invecchiamento della popolazione sui tassi di occupazione. In Italia, com è noto, i tassi di occupazione complessivi, e ancor più quelli degli anziani, sono particolarmente bassi, al di sotto degli obiettivi fissati dall Agenda di Lisbona. L incoraggiamento ad una maggiore partecipazione degli anziani al mercato del lavoro è un obiettivo dichiarato dai responsabili della politica economica tanto in Italia quanto nelle istituzioni dell Unione Europea. Per questo prendo in considerazione le prospettive occupazionali che è realisticamente possibile associare ai previsti andamenti demografici. L ultimo aspetto è relativo alle conseguenze distributive dell invecchiamento della popolazione. Ritengo che siano queste a presentare le implicazioni di politica economica e sociale forse più delicate, poiché l aumento della frazione degli inattivi anziani pone un problema serio di trasferimento di risorse dalle persone in età attiva agli anziani. Si tratta di un problema di rapporti relativi tra segmenti della popolazione che la crescita della produttività e l aumento del tasso di occupazione possono rendere meno spinoso, ma che certamente non possono eliminare. Probabilmente, questo è lo snodo cruciale nella questione dell invecchiamento, assai più delle preoccupazioni connesse alle conseguenze sulla crescita economica e sul mercato del lavoro. 2. La popolazione in Italia L ISTAT predispone con regolarità previsioni sull andamento demografico dell Italia, sempre avvertendo che la loro affidabilità è tanto minore quanto più avanti nel tempo ci si spinge 2. Le proiezioni demografiche richiedono, tra l altro, ipotesi sia sui tassi di fecondità sia sui flussi migratori netti dall estero che riflettono congetture esposte a notevole incertezza e a facili errori. Si comprende quindi perché, oltre una certa data, si tratti piuttosto di scenari che di previsioni. Dal 2000 ad oggi l ISTAT ha modificato previsioni e scenari. Nel 2002 l ISTAT prevedeva nello scenario ritenuto più probabile che la popolazione italiana avrebbe raggiunto un massimo intorno al 2012, per poi progressivamente diminuire fino a 51,9 milioni di unità nel 2051, con un calo tra il 2006 e il 2051 di quasi sei milioni e mezzo di persone (ISTAT 2002). Secondo le più recenti estrapolazioni (ISTAT 2008b) che ipotizzano tassi di fecondità lievemente in aumento nei prossimi anni e più 2 Gli scenari presentati da Mc Donald e Kippen (2001) sulla popolazione in 16 Paesi OCSE per i prossimi 50 anni offrivano per l Italia un intervallo, nel 2050, compreso tra 38 milioni e 59 milioni di persone. Sulle diversità delle previsioni demografiche effettuate dall Istat tra il 2001 e il 2007 v. Barba 2008, pp. 67 sgg.

5 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 435 ingenti flussi migratori, in particolare per il prossimo decennio il massimo di popolazione dovrebbe invece essere raggiunto molto più avanti, intorno al 2038, per poi diminuire a 61,6 milioni nel 2051, un livello comunque ancora superiore a quello del 2007 di oltre 2 milioni e mezzo di unità. Con riferimento alla sola popolazione in età da lavoro (15-64 anni), la proiezione 2002 indicava una perdita di quasi 10 milioni di unità mentre, secondo la previsione più recente, la diminuzione sarebbe di circa cinque milioni e seicentomila persone. Nello scenario centrale la massa di popolazione in età lavorativa dovrebbe raggiungere il picco intorno al 2011, ma fino al 2022 i numeri dovrebbero restare più elevati rispetto al L evoluzione del livello della popolazione non è tuttavia una variabile di particolare rilievo se ci interessano le conseguenze dei mutamenti demografici sul mercato del lavoro e sullo standard di vita (dopotutto, le piccole economie non devono essere necessariamente meno ricche delle economie di maggiori dimensioni, né le maggiori possono sperare in un vantaggio economico persistente e cumulativo) 3. Contano piuttosto i cambiamenti nella struttura demografica della popolazione ed in particolare i cambiamenti nella composizione per età (Bloom e Canning 2008; Bloom et al. 2008; Boersch- Supan 2008). Da questo punto di vista, l incertezza sull andamento della struttura demografica è di gran lunga inferiore rispetto all incertezza sull andamento della dimensione globale della popolazione e i profili evolutivi della struttura demografica e dei principali indicatori demografici italiani per i prossimi decenni sono sostanzialmente assestati, con modeste variazioni nelle due previsioni ISTAT 2002 e ISTAT 2008b, e con lievi varianti a seconda degli scenari adottati: progressiva riduzione dell incidenza della popolazione in età lavorativa, continuo aumento dell incidenza degli anziani (fig. 1) e netto aumento degli indici di dipendenza degli anziani (fig. 2) saranno i tratti salienti dei mutamenti demografici da oggi alla metà del secolo. Questi indicatori si muoveranno piuttosto lentamente nei prossimi dieci-dodici anni in buona sostanza ripetendo le tendenze degli ultimi quindici anni ma cambieranno più decisamente dopo il L incidenza della popolazione in età lavorativa dovrebbe scendere di circa due punti e mezzo tra il 2008 e il 2020, per giungere al 54% circa alla metà del secolo, punti in meno rispetto al 2007; la quota degli anziani aumenterà dal 20% odierno a circa il 3 La teoria economica non offre nessuna risposta netta circa le relazioni tra crescita della popolazione totale e crescita del PIL pro capite. La modellistica neoclassica nella tradizione di Solow tende invero a piegare verso un pessimismo malthusiano quando suggerisce che una crescita più rapida della popolazione sacrifica il livello del reddito pro capite (data l ipotesi di rendimenti costanti di scala, il risultato discende dalla diluizione del capitale per lavoratore provocata dall aumento della popolazione a parità di tasso di risparmio lordo). Contro questa posizione si è facilmente osservato seguendo anche Boserup (1981) che l esperienza storica dei Paesi oggi economicamente avanzati mostra, semmai, che i periodi di espansione economica sono stati accompagnati dall espansione demografica. Le relazioni cross-country dopo la seconda guerra mondiale (ad es. Kelley e Schmidt, 1994) restituiscono tuttavia relazioni più incerte tra crescita della popolazione e crescita del PIL pro capite.

6 436 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n Fig. 1 - Popolazione italiana: anni e 65 + anni. Andamento e previsioni Percentuali sulla popolazione totale. Fonte: Elaborazione propria da ISTAT (2007a, 2008b). 23% nel 2020, per poi salire fino al 33% nel 2050 (ISTAT 2008b). L indice di dipendenza degli anziani (rapporto tra anziani e popolazione in età lavorativa) è destinato ad aumentare di 5-6 punti percentuali tra il 2008 e il 2020 (da 30,5 a 35,9), accelerando in seguito fino a raggiungere il 61% alla metà del secolo. A seconda degli scenari ipotizzati, associati a diverse ipotesi sulla crescita della popolazione complessiva, gli indicatori demografici presenteranno scostamenti rispetto alle previsioni centrali (ritenute più probabili dai ricercatori dell ISTAT, 2008b). Nel 2020, l intervallo ammesso per l incidenza della popolazione in età lavorativa è di circa un punto percentuale, meno di mezzo punto quello per l incidenza degli anziani (tab. 1). Nel 2020, l indice di dipendenza degli anziani è compreso tra il 35,3 e il 36,5%, con valore centrale pari al 35,9%. Stando alla previsione centrale, la variazione percentuale annua dell indice di dipendenza degli anziani tra il 2008 e il 2020 risulterà marginalmente inferiore dell incremento osservato tra il 1980 e il 2006 (ISTAT 2007a, p. 45) ma sarà invece maggiore dopo quella data 4. 4 Da un punto di vista formale, l invecchiamento della popolazione è dovuto, dal basso, alla riduzione dei tassi di fertilità al di sotto della soglia di rimpiazzo delle generazioni e, dall alto, all allungamento della speranza di vita. Se i tassi di fertilità salissero al di sopra della soglia di rimpiazzo delle generazioni, l invecchiamento naturale dall alto sarebbe compensato, ma tale compensazione non potrebbe essere permanente se non nel caso in cui i tassi di fertilità restassero permanentemente al di sopra della soglia di rimpiazzo (o i flussi migratori aumentassero continuamente) determinando però una implausibile (e in ogni caso non desiderabile) crescita senza limiti della popolazione. È quindi vano immaginare di poter contrastare la tendenza all invecchiamento con politiche pro fertilità o pro immigrazione (che, entro certi limiti, possono certamente avere altre giustificazioni). Nello stesso senso, quali che siano le conseguenze economiche dell invecchiamento della popolazione, è vano pensare di contrastarle con politiche demografi-

7 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione Istat, Istat, 2002 Fig. 2 - Indice di dipendenza degli anziani (1). Previsioni (1) Rapporto tra la popolazione con 65 + anni e la popolazione in età lavorativa Fonte: Elaborazione propria da ISTAT, (2002) e (2008b). Tab. 1 - Indicatori demografici della popolazione italiana, Scenari alternativi. Scenario Basso (1) Centrale Alto (2) anni (% popolazione tot.) , ,0 63,5 63, ,6 60,6 59, ,3 54,1 53, (% popolazione tot.) , ,6 22,8 23, ,1 26,5 26, ,9 33,0 33,0 Indice dipendenza degli anziani (%) , ,3 35,9 36, ,4 43,7 44, ,5 61,0 61,9 1, In ipotesi di crescita più lenta della popolazione. 2, In ipotesi di crescita più rapida della popolazione Fonte: elaborazione propria da ISTAT (2008b). che o attraverso i flussi migratori. Per la Francia, che pure presenta dalla fine della seconda guerra mondiale un saldo naturale positivo, si è stimato che per mantenere costante (e pari ad un terzo) il rapporto tra popolazione con oltre 60 anni e popolazione in età da lavoro (20-60 anni) i flussi migratori non dovrebbero essere inferiori alle unità ogni anno (in complesso 24 milioni nei prossimi quarant anni) (Aglietta et al. 2002, pp. 186 sgg.). Un recente rapporto delle Nazioni Unite (2007) calcola che per contrastare l aumento nel tasso di dipendenza degli anziani (persone con oltre 65 anni) l Italia dovrebbe permettere un flusso netto di 2 milioni e 200 mila immigrati all anno fino al Sulle caratteristiche e le implicazioni dei flussi migratori per il mercato del lavoro italiano, cfr. comunque Blangiardo (2008).

8 438 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n I previsti cambiamenti nella struttura demografica italiana appaiono allineati ai profili tendenziali nel panorama europeo, secondo quanto suggeriscono le previsioni demografiche effettuate da Eurostat (Commissione Europea, 2007a, p. 56). Fino al 2030, la contrazione della popolazione in età lavorativa dovrebbe essere più marcata in 12 Paesi della UE25 rispetto all Italia, mentre dopo quella data il declino dovrebbe accelerare in Italia rispetto alla maggior parte dei Paesi UE Cambiamenti demografici e crescita economica 3.1 Effetti contabili Una procedura standard per accertare le conseguenze macroeconomiche del mutamento demografico sulla crescita economica derivata un po meccanicamente dalla modellistica empirica della crescita 5 utilizza una rappresentazione aggregata della produttività del tipo seguente: π = A( t) f ( X ) 1 t t dove π = Y/N è il prodotto per lavoratore (Y = prodotto totale, N = numero di occupati), t la data, f(.) è la funzione di produzione, X è una lista di fattori di crescita (capitale per addetto, grado di istruzione della forza lavoro, variabili geografiche e istituzionali etc.), e A(t) è la deriva tecnologica. Il prodotto pro capite, y = Y/P (P = popolazione), può essere scritto nel modo seguente: 2 y = πτd dove τ = N/PL è il tasso di occupazione (PL = popolazione in età lavorativa) e d = PL/P è la frazione della popolazione in età lavorativa. Sostituendo la (1) nella (2) otteniamo 3 y t = A(t)f(X t )τd t Poiché le previsioni demografiche per l Italia oggi disponibili dicono che il quoziente d è destinato a diminuire nei prossimi decenni, è banale constatare che, a parità di altre condizioni, anche il prodotto pro capite cadrà nella stessa proporzione del quoziente demografico. In realtà, anche il tasso di occupazione è destinato a diminuire un po, a parità di tassi specifici per classi di età, in seguito allo slittamento della popolazione verso classi d età più elevate. Tenendo costanti i tassi specifici per classi di età osservati nel 2006 (10 classi quinquennali tra i 15 e i 64 anni) e facendo variare la popolazione 5 Si veda il supplemento monografico della rivista Population and Development Review, Population Aging, Human Capital Accumulation, and Productivity Growth (2008), dedicato alle conseguenze sulla crescita economica del cambiamento demografico e, in particolare, dell invecchiamento della popolazione.

9 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 439 secondo le previsioni ISTAT (2008b), nel 2050 il tasso di occupazione risulterebbe infatti inferiore di circa due punti percentuali (l effetto negli anni finali dell esercizio, peraltro, sarebbe dovuto alla contrazione dei tassi di attività femminili, data la sostanziale stabilità di quelli maschili). In modo puramente meccanico si può quindi facilmente calcolare la perdita nel prodotto pro capite associata alla prevista riduzione del quoziente d (dai dati della tab. 1), data la produttività e dati i profili per età dei tassi di occupazione 6. La fig. 3 offre una visualizzazione di questo argomento. Vi si riproduce un esercizio controfattuale, a partire dalla definizione (3), facendo muovere il PIL per lavoratore al tasso di crescita effettivo osservato nel periodo , mantenendo costanti i tassi specifici di occupazione per classi di età e permettendo al quoziente d di cambiare secondo il profilo atteso nei 36 anni tra il 2008 e il Il confronto tra l andamento del PIL pro capite effettivo nel periodo e il PIL ipotetico fornisce una rappresentazione sintetica dei puri effetti contabili del previsto mutamento della struttura demografica (a parità di tassi specifici di occupazione). Il tasso di crescita del PIL pro capite ipotetico è pari all 1,37%, quello effettivo all 1,93%, con uno scarto inferiore a 0,6 punti percentuali all anno 7. È un effetto il cui ordine di grandezza è allineato ai risultati di analoghi esercizi presentati da Aglietta et al. (2002) per la Francia e da Bloom et al. (2008) per un centinaio di Paesi nell orizzonte Per l insieme dei Paesi considerati l effetto netto del cambiamento demografico è in media nullo, mentre per i Paesi OCSE, nei quali la frazione della popolazione in età lavorativa è destinata a diminuire, il tasso di crescita del PIL pro capite scenderebbe dal 2,8% effettivo al 2,1% (Bloom et al., 2008, pp ). Anche se non trascurabile, si tratta di una contrazione del tasso di crescita non sufficiente a giustificare allarmi, tanto più in una prospettiva di lungo 6 Si vedano i calcoli dello scenario centrale OCSE per l Italia (OCSE, 2004), che ipotizza tassi di occupazione costanti (tranne che per le variazioni indotte dall evoluzione della struttura demografica); l esercizio prevede una diminuzione della forza lavoro italiana tra il 2000 e il 2050 di circa il 29% e questo vuol dire che, per ogni data previsione di crescita, il livello del PIL risulterà, alla fine, inferiore nella stessa proporzione (ivi, pp ). Dati i tassi di attività, si tratta della riduzione della popolazione in età da lavoro prevista da ISTAT (2002). Con le più recenti previsioni ISTAT (2008b) la contrazione della popolazione in età da lavoro tra il 2007 e il 2051 è pari invece al 14,6% nello scenario centrale. Anche Bloom e Canning (2008) stimano una relazione come la (3) nei tassi di crescita cross-country (per 75 Paesi nel periodo ) e trovano, non sorprendentemente, che l elasticità della crescita del PIL pro capite al tasso di crescita della quota della popolazione in età lavorativa è approssimativamente unitaria. 7 Questa contrazione corrisponde alla riduzione del PIL pro capite tra il 2006 e il 2050 (-20,3%) ipotizzata da Visco (2008) nel caso in cui i tassi di occupazione per età restino quelli del biennio L esercizio fa crescere nel periodo il reddito per lavoratore secondo il profilo osservato nel periodo , ma permettendo ai tassi di occupazione di cambiare secondo i profili demografici previsti tra il 2000 e il Aglietta et al. (2002) calcolano che la riduzione della percentuale delle persone in età lavorativa potrebbe determinare una diminuzione del tasso di crescita del PIL pro capite di mezzo punto percentuale tra il 2000 e il 2030.

10 440 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n Fig. 3 - PIL pro capite in Italia, : valori effettivi e valori controfattuali Tasso di crescita percentuale effettivo medio annuo del PIL pro capite, : 1,94 Tasso di crescita percentuale medio annuo del PIL pro capite ipotetico, : 1,37 Tasso di crescita percentuale effettivo medio annuo del PIL pro capite, : 2,20 Tasso di crescita percentuale medio annuo del PIL pro capite ipotetico, : 1,72 La retta a corrisponde ad una struttura demografica invariata. 1, PIL pro capite con tassi di occupazione specifici per classi di età del 2006 e rapporto popolazione in età lavorativa/popolazione totale pari a quello previsto per il periodo Fonte: elaborazione propria su dati ISTAT. periodo nella quale è lecito attendersi che altri fattori di crescita possano manifestare effetti significativi e ampiamente compensativi dei puri effetti demografici 9. A mo di esempio, possiamo osservare che la crescita del PIL pro capite controfattuale nel periodo , escludendo dunque il quinquennio nel quale la produttività del lavoro è diminuita, sale all 1,72% annuo, recuperando quasi 0,35 punti percentuali. In altri termini, anche brevi periodi di crescita più sostenuta o una riduzione del tasso di disoccupazione potrebbero contrastare la deriva di lungo periodo indotta del cambiamento demografico 10. Un indizio indiretto di quanto importanti possano essere i rallentamenti ciclici della crescita economica sulla capacità 9 Bloom et al. (2008, p. 20) giudicano modesta la riduzione di 0,7 punti percentuali all anno simulata per l insieme dei Paesi OCSE. 10 Aglietta et al. (2002, p. 191) notano che le conseguenze di lungo periodo ( ) del puro cambiamento demografico sul tasso di crescita dell economia sono dello stesso ordine di grandezza di quelle associate ai due shock petroliferi degli anni Settanta. Nello stesso senso vanno le simulazioni delle Nazioni Unite (2007, pp. 65 sgg.).

11 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 441 sistemica di accomodamento dei cambiamenti demografici è offerto dalla recente revisione della quota della spesa pensionistica sul PIL a seguito della contrazione del PIL nel In MEF 2008 (p. XV, tab. A) si stima che nel 2010 tale quota aumenti di un punto percentuale rispetto alla previsione dell anno precedente (MEF, 2007, p. XII, tab. A, pp ) e che resti al di sopra delle previsioni precedenti fino alla metà del secolo, essenzialmente in conseguenza del rallentamento previsto dell economia. Se infatti confrontiamo le previsioni di aumento del prodotto per occupato effettuate a distanza di un anno dalla Ragioneria Generale dello Stato ci accorgiamo che, per il periodo , MEF 2007 (p. 189) indica un aumento complessivo del 31,1%, mentre MEF 2008 (p. 239), che tiene conto delle conseguenze della crisi del 2008 e delle previsioni negative per il 2009, stima un aumento del 18,1% Tassi di occupazione e produttività Nell esercizio riprodotto nella fig. 3 l aumento del tasso di dipendenza diluisce il prodotto degli occupati (dato il profilo di crescita della produttività) su una più ampia platea di fruitori e la conseguenza sul livello di vita è dunque inevitabile come può esserlo un esercizio aritmetico. È naturale pertanto prevedere che le conseguenze negative dell invecchiamento sul prodotto pro capite siano contrastate in almeno tre modi: mediante un aumento dei tassi di occupazione, con l aumento della produttività e attraverso gli effetti sulla produttività indotti dal mutamento della struttura demografica. Tratterò quest ultimo aspetto nel successivo paragrafo 4, ma non esaminerò in queste note la questione dell andamento di lungo periodo della produttività, essenzialmente perché è impossibile fare affidamento sulle previsioni di lungo e lunghissimo periodo (che molto spesso non sono che estrapolazioni delle tendenze osservate nel passato recente: cfr. ad es. Carone 2005, p. 31; MEF 2008, p. 8). C è tuttavia un aspetto problematico della relazione tra produttività e tassi di occupazione emerso nella recente esperienza dell economia italiana che dev essere segnalato poiché può gettare una luce obliqua sulle prospettive future. Se, infatti, oggi ci preoccupa la previsione del declino relativo della popolazione in età da lavoro, dobbiamo solo rammentare che, nel quindicennio , l aumento della quota della popolazione in età da lavoro sulla popolazione totale aveva invece offerto all Italia un dividendo demografico. La tab. 2 mostra infatti che, a parità di altre condizioni, nel periodo l aumento della quota della popolazione in età da lavoro ha contribuito ad un aumento del PIL per abitante di circa 10 punti percentuali, un effetto 11 La revisione al ribasso della crescita del PIL per il 2009 (-1,4%) è peraltro molto inferiore alla caduta effettiva (-4,7). Ma già MEF (2007, p. 8) aveva previsto un aumento del PIL dell 1,5% per il 2008, mentre si è verificata una riduzione di un punto percentuale.

12 442 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n che è stato tuttavia prosciugato dal vistoso declino del tasso di crescita della produttività oraria, più che dimezzato rispetto al decennio Nei dodici anni la riduzione in termini relativi del contingente di popolazione in età da lavoro è stata ampiamente compensata dall aumento della partecipazione al mercato del lavoro che ha determinato un aumento del monte ore lavorato (di poco inferiore ad un punto percentuale all anno), nonostante la diminuzione degli orari individuali: di nuovo, tuttavia, il collasso del ritmo di aumento della produttività oraria (virtualmente nullo tra il 2000 e il 2007: Banca d Italia 2008) ha sterilizzato i guadagni nel PIL pro capite associati alla crescente mobilitazione dell offerta di lavoro sedimentando una crescita molto modesta del PIL pro capite. Tab. 2 - Scomposizione della crescita del PIL pro capite in Italia: Tassi di crescita medi annui. PIL PIL per ora Ore per Ore per Occupati per Popolazione pro capite lavorata persona occupato popolazione in età da in età da in età da lavoro lavoro sulla lavoro popolazione totale ,1 4,7-1,6 0, ,0 2,2-0,6 0, ,1 0,5 0,9-0,3 1,2-0,3 Fonte: OCSE (2007b) ed elaborazione propria su dati ISTAT. Sebbene il ristagno della produttività sia di solito presentato come la faccia deludente dell evoluzione dell economia italiana negli ultimi dieci-dodici anni che avrebbe invece mostrato la sua faccia migliore nella crescita occupazionale e nella riduzione del tasso di disoccupazione i due aspetti sono in larga parte connessi. Già nel 2004, valutando il grado di avanzamento della Strategia di Lisbona, il Rapporto Kok aveva dovuto prendere atto che la creazione di nuovi posti di lavoro nell Unione Europea tra la metà degli anni novanta e l inizio di questo decennio si era concretata per lo più in impieghi a bassa produttività (Rapporto Kok 2004, p. 17). Un recente Employment Outlook dell OCSE sembra accettare la relazione negativa, nel lungo periodo, tra tasso di crescita della produttività e tasso di occupazione per l insieme dei Paesi industrializzati (OCSE, 2007a, pp ). Nello stesso senso, un rapporto OCSE sull Italia di qualche anno fa riconosceva che le riforme del mercato del lavoro hanno quasi certamente contribuito alla 12 In (OCSE 2007b, p. 28) si adotta una posizione più sfumata sugli effetti negativi sulla produttività delle riforme del mercato del lavoro, ma si ammette che possano avere incoraggiato l offerta di lavoro e non la domanda, determinando una pressione al ribasso sui salari (p. 40); è plausibile ritenere che questo abbia stimolato la creazione di impieghi relativamente poco produttivi.

13 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 443 stagnazione della produttività (OCSE, 2005b) 12. Invero, gli effetti sulla produttività dell aumento del monte ore potrebbero essere stati rilevanti se appena rammentiamo che, dopo il 1995, secondo quanto recentemente calcolato da Dew-Becker e Gordon (2008), l aumento dei tassi di occupazione nell Europa continentale (ma soprattutto in Spagna e in Italia) avrebbe sacrificato la crescita della produttività al punto da determinare effetti trascurabili sul prodotto per abitante ( We find that there is a strong and robust negative correlation between the growth of labor productivity and employment per capita across the EU-15, Dew-Becker e Gordon, 2008, p. 3). Se questo è così, l argomento secondo cui in Italia negli ultimi dieci anni l aumento delle ore di lavoro totali avrebbe puntellato la crescita del PIL pro capite (OCSE 2007b, p. 24) è una mezza verità contabile che nasconde la parte più sgradevole della storia, ovvero il declino della produttività oraria che in larga misura è il riflesso degli orientamenti offertisti delle politiche del lavoro I tassi di occupazione: andamenti recenti e prospettive Per ogni dato profilo di crescita della produttività, l aumento del tasso di occupazione può contrastare gli effetti depressivi sul PIL pro capite della riduzione del rapporto tra popolazione in età da lavoro e popolazione totale. Nei dibattiti correnti l accento viene posto per lo più sull aumento dei tassi di occupazione degli anziani che in Italia sono particolarmente bassi. La tendenza alla riduzione dei tassi di occupazione degli anziani si è arrestata nella maggior parte dei Paesi industrializzati per lo più intorno alla metà del decennio scorso e il profilo crescente si è precisato verso la fine del decennio, sebbene i valori odierni restino in molti Paesi inferiori a quelli del periodo (Taylor 2008a). L inversione è più accentuata per gli uomini, mentre per le donne in molti casi si tratta piuttosto di una accelerazione di un profilo crescente avviato già negli anni Settanta-Ottanta, sebbene per alcuni Paesi Italia, Francia, Grecia tra questi si osservi anche per le donne un inversione grosso modo tra il 1990 e il L aumento dei tassi di occupazione per le persone di età nell Unione Europea, almeno negli ultimi anni, riflette in larga misura un processo di convergenza (valgano i dati raccolti in Commissione Europea, 2008). In sede europea prevale la convinzione che il processo di convergenza sia destinato a continuare, per lo più in conseguenza di effetti generazionali, seb- 13 Di fatto le proiezioni ufficiali scontano la possibilità di effetti negativi dell aumento dell occupazione sulla produttività, dato l impianto neoclassico adottato. Ad es., in MEF (2008, pp. 2 sgg.) la revisione al rialzo per i prossimi decenni, rispetto a MEF (2007), dei livelli occupazionali (essenzialmente per i più ingenti flussi migratori ipotizzati), comporta una revisione al ribasso dei tassi di crescita della produttività in conseguenza di un più contenuto capital deepening. Se il lungo orizzonte temporale rende aleatorie le congetture alla base delle previsioni, anche l impianto neoclassico adottato può suscitare perplessità, in particolare l impiego della nozione di capitale a livello aggregato (su questo vedi l articolo di S. Cesaratto in apertura del presente fascicolo).

14 444 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n bene vengano considerati anche gli effetti (riconosciuti comunque incerti) delle riforme pensionistiche (Carone et al., 2005). L istruzione è il singolo fattore sul quale più insistono sia le spiegazioni degli sviluppi recenti, sia le previsioni degli andamenti futuri. I tassi di occupazione degli anziani con elevati livelli di istruzione sono infatti più elevati di quelli degli anziani con minori livelli di qualificazione, perché le persone con istruzione superiore entrano mediamente più tardi nel mercato del lavoro e lo lasciano ad una età più avanzata rispetto ai lavoratori meno qualificati 14. In particolare, in Italia gli uomini con istruzione terziaria e secondaria hanno tassi di occupazione particolarmente elevati nel confronto europeo, maggiori dei valori medi UE15, mentre il tasso di occupazione per le persone meno qualificate è marginalmente inferiore alla media europea (tab. 3). Si prevede quindi, un po meccanicamente, che un aumento del grado di istruzione favorirà una maggiore permanenza al lavoro della popolazione più anziana. Tab. 3 - Tassi di occupazione delle persone di età per livello di istruzione Italia e EU15, Livello di istruzione (1) Alto Medio Basso Totale Alto Medio Basso Totale Maschi Femmine Italia ,4 53,6 36, ,1 30,7 11,3 14, ,6 51,3 37,1 42,7 47,4 30, ,8 EU ,1 47,5 41,6 47,2 50, ,9 26, ,5 48,9 41,7 53,3 53,9 35,7 22,3 35,5 1, Alto indica istruzione di livello almeno universitario, medio indica il diploma superiore (o titolo equivalente), basso indica il livello fino alla scuola media inferiore. Fonte: Auer e Fortuny (2002), per il 1997 e Aliaga e Romans (2006) per il Di fatto, la discussione pubblica sui tassi di occupazione degli anziani insiste sui fattori di offerta lasciando in ombra le numerose circostanze che possono aver contribuito agli andamenti recenti dei tassi di occupazione degli anziani e che possono determinare quelli futuri 15. Questo orientamento si riflette nelle previsioni ufficiali dei tassi di occupazione per le persone di anni che, in larga misura, sono estrapolazioni delle tendenze più recenti sulle quali vengono innestati i previsti effetti delle riforme pensionistiche. In Carone et al.(2005), ad es., il tasso di occupazione delle persone di dovrebbe aumentare un po meno di 0,9 punti fino al 2025 e di circa mezzo punto percentuale all anno tra il 2007 e il 2050 a fronte di un aumento annuo di 0,6 punti tra il 1997 e il Nel 2003, in Italia gli occupati di anni con una istruzione a livello universitario avevano cominciato a lavorare circa 8 anni più tardi delle persone con un grado di istruzione inferiore a quello di scuola secondaria (Commissione Europea, 2003, p. 170). 15 Sul significato e l importanza, per la partecipazione al mercato del lavoro degli anziani, delle condizioni di lavoro, degli orari, della formazione e delle difficoltà di reinserimento v., tra gli altri, Villosio et al., (2008); Aliaga e Romans, (2006); OCSE, (2001), (2004), (2006b); Commissione Europea, (2007a); Gielen, (2007); Taylor (2008b),

15 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 445 In ogni caso, è ovvio che la realizzazione dell obiettivo di Stoccolma per l occupazione degli anziani (tassi di occupazione del 50%) non potrà, da sola, compensare le conseguenze demografiche sul tasso di occupazione generale. Tale azione di contrasto richiede infatti che si attivino tutte le componenti sottorappresentate nel mercato del lavoro, non solamente la forza lavoro anziana. In questa direzione è particolarmente importante porre l accento sulla platea di persone potenzialmente occupabili e oggi sottorappresentate nel mercato del lavoro, soprattutto se rammentiamo l ampiezza della partecipazione nascosta negli inattivi, più alta in Italia che negli altri Paesi europei, come risulta dalle stime Eurostat della forza lavoro di riserva. Alcune cifre per il 2004 sono riprodotte nella tab. 4. In quell anno, in Italia più di un quarto degli inattivi dichiarava di essere disposto a lavorare, contro circa il 14% di EU15. Il divario Italia-UE si osserva tanto per gli uomini quanto per le donne, ed è significativo per tutti i tipi di qualificazione, per i giovani e per le classi centrali di età, mentre è trascurabile per le classi di età più anziane. A parte la scontata segnalazione sulla insufficiente partecipazione giovanile in Italia che si traduce in una ampia inattività forzata, due soprattutto sono gli elementi da segnalare. Tab. 4 - Persone inattive disposte a lavorare nel EU15 e Italia. Percentuali di cella Italia EU15 Totale 26,2 13,8 Maschi 24,0 13,6 Femmine 27,2 13,8 età ,4 12,8 età ,1 22,6 età ,0 5,0 scolarità dell obbligo 21,6 11,7 scolarità secondaria 35,5 17,2 istruzione terziaria 36,9 15,0 Fonte: Commissione Europea (2005), tab. 72, p Il primo riguarda l ampia consistenza in Italia della riserva di lavoro nelle classi centrali di età (in parte come riflesso dei bassi tassi di partecipazione delle donne), mentre, per contro, l inattività involontaria nelle classi di età non appare più diffusa in Italia che nella media UE Se rammentiamo che nel 2007 il tasso di occupazione delle persone di anni 16 Non ha dunque molto senso calcolare la riserva di forza lavoro potenziale degli anziani in base alla differenza tra i tassi di occupazione italiani e quelli di un Paese di riferimento (come si fa ad es. in OCSE 2004, pp. 45 sgg. in cui si prendono come benchmark la Svizzera e la Norvegia rispettivamente per gli uomini e le donne di età 50-64).

16 446 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n era in Italia pari al 73,5% e in EU15 del 79,7% (Commissione Europea, 2008), ci accorgiamo che la mobilitazione della riserva di forza lavoro nella popolazione di questa classe di età potrebbe portare i tassi di occupazione italiani in linea con quelli europei. Il secondo riguarda l inattività involontaria delle persone con alta qualificazione, che rappresenta il 37% degli inattivi in Italia contro il 15% in Europa, onde non è scontato che il prevedibile ampliamento dell offerta di lavoro qualificata si traduca in più alti tassi di occupazione in assenza di appropriati livelli di domanda di lavoro. Garantire opportunità di impiego per le persone delle classi centrali di età (per lo più donne) e alle persone con alta qualificazione appare dunque un orientamento meglio adatto alle caratteristiche della riserva nascosta di forza lavoro, più di quanto non lo siano le politiche volte ad incoraggiare la partecipazione dei lavoratori più anziani 17. A questo riguardo, qualunque sia la giustificazione delle politiche di mobilitazione lavorativa degli anziani, alla luce delle preferenze espresse oggi dagli inattivi il loro contenuto di benessere è meno ovvio rispetto ad analoghe politiche rivolte alle persone di età centrale 18. In ogni caso, è necessario ribadire l ovvio significato dei fattori di domanda nel determinare i profili dei tassi effettivi di occupazione, la cui importanza è occasionalmente riconosciuta anche in documenti ufficiali nonostante la prevalenza degli orientamenti offertisti delle politiche europee del lavoro 19. Ai fini della valutazione delle conseguenze di lungo periodo dell invecchiamento un approccio un po meccanico ai tassi di occupazione basato su fattori di offerta è tuttavia in qualche misura inevitabile, poiché quel che ci serve è accertare l effetto sul tasso di occupazione generale di specifiche ipotesi sui tassi di occupazione di particolari gruppi di popolazione. A questo fine possiamo intanto calcolare il guadagno nel tasso di occupazione aggregato che potremmo conseguire mobilitando l offerta di lavoro degli anziani secondo l obiettivo di Stoccolma. I risultati di questo esercizio sono riprodotti nella tab. 5. Essa mostra i tassi di occupazione, separatamente per maschi e femmine nel 2036 nell ipotesi che i tassi di occupazione per 17 Sul potenziale di lavoro rappresentato dalla disoccupazione nascosta, cfr. Barba 2008, pp In fact, if individual well-being is the concern, then much of the current policy effort [towards older age] may be considered quite misguided (Taylor, 2008b, p. 214). 19 Il Rapporto sull occupazione in Europa del 2007 riconosceva che in the context of raising older people s labour market participation, much analysis and debate has taken place on reviewing financially related aspects (such as pension provisions and increasing the retirement age to receive a pension), while less attention has been given to creating appropriate employment opportunities and the right working and employment conditions to encourage older workers to remain in work for longer (Commissione Europea, 2007a, p. 81). Invero, a fronte di questa focalizzazione sull offerta di lavoro, il dibattito pubblico europeo non ha saputo opporre molto di più della retorica piena di buone intenzioni dell invecchiamento attivo.

17 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 447 classi di età restino quelli del Come sappiamo già, i puri effetti demografici sono associati ad un significativo decremento nei tassi di occupazione generici di quasi sette punti tra il 2007 e il Nel 2036, ai tassi di occupazione specifici del 2007, l occupazione complessiva diminuirebbe di circa il 12% rispetto al 2007, e dovrebbe invece superarla di circa il 5-6% per preservare il tasso di occupazione totale del Se ipotizziamo che in Italia nel 2036 i tassi di occupazione delle persone di età raggiungano il 50% (l obiettivo di Stoccolma), a fronte del 33,8% del 2007, l occupazione addizionale fornita da questa classe di età potrebbe portare il tasso aggregato di occupazione al 35,2%. D altro canto, se nel 2036 il tasso di occupazione delle donne di età anni risultasse allineato a quello medio femminile dell Unione Europea del 2007 (il 70%, ovvero un aumento di 12 punti in trent anni, a fronte dello stesso aumento osservato tra il 1997 e il 2007), il tasso di occupazione aggregato raggiungerebbe il 34,7% (con il tasso di occupazione degli anziani fermo al valore del 2007) 21. L insieme dei due cambiamenti permetterebbe di portare il rapporto tra occupazione e popolazione al 37,4% e la quota degli occupati di anni sul totale raggiungerebbe circa il 18-19%, a fronte dell 11% del Questo non sarebbe tuttavia sufficiente per preservare il tasso di occupazione totale del Tale risultato potrebbe essere però conseguito nel 2036 aumentando il tasso di occupazione della classe di età al livello di quello EU15 del 2007; questo vorrebbe dire un aumento, in trent anni, di 10 punti del tasso di occupazione delle persone di anni, a fronte di un aumento di quasi 6 punti del tasso di occupazione anni tra il 1999 e il 2008 (Banca d Italia 2008, Appendice). Questi calcoli mostrano che se fra trent anni i tassi di occupazione italiani per le classi centrali di età saranno allineati a quelli attuali in UE15 e se il tasso di occupazione degli anziani raggiungerà l obiettivo di Stoccolma, saranno disinnescate molte preoccupazioni sulle conseguenze per il mercato del lavoro dell invecchiamento della popolazione: se queste ipotesi saranno realizzate, esse potrebbero mantenere costante il rapporto tra occupati totali e popolazione totale (e forse aumentarlo). Le ultime proiezioni sulla spesa pensionistica nei prossimi decenni sembrano effettivamente accogliere l ipotesi che, intorno al , il tasso di occupazione aggregato resterà grosso modo quello del (MEF, 2008, p. 239). 20 Fin verso la metà del prossimo decennio i puri effetti demografici favoriranno invece un aumento del tasso di occupazione generico grazie al contributo dei tassi di occupazione delle donne. 21 Si ritiene talvolta che l aumento dei tassi di occupazione femminile possa essere ostacolato dalla prevista tendenza all aumento dei tassi di fertilità. Contro questa congettura, Barba (2008) rammenta che negli anni recenti si è piuttosto osservata, nelle analisi cross country, una relazione positiva tra fertilità e tasso di occupazione delle donne.

18 448 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n Tab. 5 - Tassi di occupazione in Italia, Occupati di anni. Maschi Femmine Totale (a) Totale (a) anni (b) Tassi di occupazione del ,1 30,3 39,4 62, ,2 24,2 32,5 59, Ipotesi 1 35,2 64, Ipotesi 2 34,7 63, Ipotesi 3 37,4 67, Ipotesi 4 39,8 72,6 a, sulla popolazione totale b, sulla popolazione di anni Ipotesi 1: obiettivo di Stoccolma per i tassi di occupazione della popolazione anni Ipotesi 2: i tassi di occupazione femminili anni allineati a quelli femminili di EU15 del 2007 Ipotesi 3: somma delle ipotesi 1 e 2 Ipotesi 4: ipotesi 1 e tasso di occupazione anni allineato a quello di EU15 del 2007 Fonte: elaborazione propria su dati ISTAT Sintesi Tutti gli scenari di previsione per i prossimi decenni ipotizzano l aumento dei tassi di occupazione delle componenti oggi sottorappresentate nel mercato del lavoro italiano. Significativi sono i guadagni occupazionali attesi per i lavoratori anziani che, in qualche misura, scontano una accelerazione dei processi di convergenza osservati nell ultimo decennio nell Unione Europea, interpretabili per lo più come fenomeni generazionali, com è testimoniato dall ingente aumento della partecipazione femminile, mentre i risultati a lungo termine delle riforme del mercato del lavoro e dei sistemi pensionistici restano incerti. Per l Italia resta ovviamente un margine di incertezza sulla possibilità che nei prossimi decenni l aumento della partecipazione al mercato del lavoro, anche proseguendo secondo le tendenze recenti, riesca a compensare il declino dell occupazione indotto dai fattori demografici. Si può tuttavia sostenere che in un orizzonte di lungo periodo almeno nei prossimi anni i guadagni occupazionali necessari per mantenere costante il tasso di occupazione generale non siano proibitivi. Invero, essi sono allineati agli obiettivi che la retorica europea ha da tempo fissato per orizzonti temporali molto più ravvicinati: basti pensare che si tratta, secondo MEF (2008, p. 239), di un aumento in trent anni di 7 punti percentuali del tasso di occupazione anni, meno del divario tra il tasso italiano e quello medio europeo nel In un certo senso, i bassi valori attuali dei tassi di occupazione italiani offrono un margine di manovra relativamente elevato per contrastare gli effetti dell invecchiamento della popolazione, soprattutto in confronto ad un Paese come il Giappone che va incontro ad un processo di invecchiamento altret-

19 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 449 tanto rapido di quello dell Italia partendo da valori già molto elevati dei tassi di attività. Si deve in ogni caso sottolineare che resta tutto sommato piuttosto limitato il significato di simili proiezioni di lungo periodo, com è del resto suggerito dalle significative revisioni apportate regolarmente alle previsioni (demografiche e occupazionali), anche a breve distanza di tempo. A questo proposito basterà rammentare che in MEF (2007, p. 189) si prevedeva un aumento dell occupazione totale tra il 2005 e il 2010 di 4,7 punti percentuali (nello scenario base), mentre in MEF (2008, p. 239), l aumento previsto è solamente di 2,6 punti percentuali, in larga misura come conseguenza della previsione al rialzo dei tassi di disoccupazione (per tener conto della crisi del biennio ) e nonostante la revisione al rialzo delle stime delle popolazione. In conseguenza di questo, fino al 2025 i tassi di occupazione previsti in MEF (2008) restano inferiori ai tassi previsti in MEF (2007) Età e produttività Se l efficienza produttiva delle persone diminuisce con l età, allora l invecchiamento della popolazione ha effetti sulla produttività media di un dato ammontare di forza lavoro, a parità di altre condizioni (in particolare, data la distribuzione della forza lavoro per settori e per tipo di impresa) 23. Sebbene sia quasi un truismo affermare che, oltre una certa età, l efficienza produttiva delle persone è destinata a diminuire, l analisi empirica delle relazioni tra età e produttività non fornisce risultati univoci né per quanto riguarda l età oltre la quale il declino di efficienza si manifesta, né per quanto riguarda l intensità del declino. Questo non dovrebbe sorprendere, dato che l efficienza lavorativa dipende da una pluralità di aspetti sui quali l invecchiamento agisce con intensità diversa. Invero, le ricerche empiriche per lo più restituiscono risultati prevedibili. È accertato, ad esempio, che talune competenze cognitive degradino oltre una certa età, sebbene questa soglia dipenda dal tipo di attività e dal contesto organizzativo in cui quelle competenze sono impiegate. Alcuni anni fa una meta-analisi su 91 studi di psicologia clinica (Verhaegen e Salthouse 1997) sembrava concludere che alcune capacità cognitive come la prontezza di riflessi e la rapidità e persistenza della memo- 22 In MEF (2007, p. 189) il tasso di disoccupazione nel 2010 è pari al 5,6%, in MEF (2008, p. 239) all 8,4%. 23 Non è corretto separare l analisi delle conseguenze sulla produttività aggregata dei cambiamenti nella struttura settoriale e organizzativa dell occupazione associati ai mutamenti demografici dall analisi delle conseguenze sulla produttività direttamente associabili alle componenti individuali dell efficienza lavorativa correlate con l età. In pratica non dovremmo aspettarci che i due effetti siano indipendenti: ad esempio, se i lavoratori anziani sono meno produttivi dei lavoratori delle classi centrali di età, è probabile che essi finiscano per essere impiegati in settori o in mansioni a bassa produttività. È comodo comunque trattare separatamente le due questioni.

20 450 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n ria si riducano sensibilmente dopo i 50 anni, ma uno studio attitudinale per gli Stati Uniti aveva anticipato l età del declino già intorno ai anni (Avolio e Waldman 1994; Skirbekk 2008). D altra parte, non tutte le capacità cognitive rilevanti sono destinate a degradarsi con la stessa rapidità, mentre, a fronte di questi effetti, devono essere conteggiati i benefici dell esperienza e dell apprendimento sul lavoro. In questo senso, numerosi studi hanno documentato gli effetti positivi sulla produttività di carriere lavorative lunghe, sebbene, come al solito, vi siano margini elevati di incertezza circa la durata ottimale delle carriere che dipende, non sorprendentemente, dalla tipologia delle attività coinvolte e dalla combinazione delle specifiche abilità richieste (Skirbekk 2008). Gli effetti generazionali, inoltre, sono destinati a pesare positivamente sulla qualità lavorativa delle persone più anziane. In aggiunta ai probabili effetti positivi dell apprendimento, il degrado dell efficienza produttiva dei lavoratori più anziani può essere contrastato con la formazione continua e agendo sugli aspetti dell attività lavorativa che influenzano le condizioni di salute dei lavoratori, incluse le condizioni generatrici di stress. Il mutamento tecnologico, a sua volta, può ridurre l importanza specifica dell esperienza e, a certe condizioni, accelerare il tasso di obsolescenza dei lavoratori più anziani. Sebbene siano riconosciute le non piccole difficoltà nella costruzione dei profili per età della produttività individuale (non ultime quelle connesse alla virtuale impossibilità di tener conto di tutte le principali caratteristiche che possono influire sul rendimento individuale e quelle connesse alla definizione di relazioni funzionali tra tali caratteristiche e l efficienza produttiva) il messaggio restituito da questa letteratura è sufficientemente chiaro, e può essere riassunto in un paio di considerazioni di buon senso: oltre una certa età l efficienza produttiva delle persone diminuisce, ma le caratteristiche e la velocità del declino restano elusive e il picco di produttività dipende sia dalle azioni orientate a riqualificare l offerta di lavoro sia dalla qualità della domanda di lavoro. Per quanto riguarda quest ultimo aspetto, è chiaro che se la domanda di lavoro chiede esperienza i lavoratori anziani saranno relativamente avvantaggiati; se invece la domanda di lavoro, per qualsiasi ragione, chiede riallocazioni rapide della manodopera (tra settori, imprese e mansioni) anche a scapito dell investimento specifico nel posto di lavoro, i lavoratori anziani saranno relativamente svantaggiati. Per valutare le conseguenze del mutamento demografico sulla produttività aggregata dobbiamo considerare (almeno) due aspetti: l efficienza produttiva relativa delle persone nelle diverse classi di età e il grado in cui persone di età diversa possono essere rimpiazzate nello svolgimento di compiti analoghi. Per quanto riguarda il primo aspetto, gli studi empirici delle relazioni tra produttività e età sono di solito derivati dai profili salariali per età e quindi riflettono sia i fattori che influenzano la qualità lavorativa delle persone sia i fattori, economici ed organizzativi, che ne determinano l utilizzo produttivo.

21 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 451 Pertanto non valgono, se non molto imperfettamente, come una indicazione rigorosa dell efficienza relativa delle persone di età diversa. Non sorprende quindi che gli studi disponibili e le simulazioni di modelli offrano rappresentazioni spesso anche assai diverse: si va da relazioni lineari (i lavoratori sono egualmente produttivi, indipendentemente dalla loro età) a relazioni con curvature molto accentuate (l efficienza dei giovani e degli anziani è molto scadente a paragone dei lavoratori delle classi centrali di età) (Lam 1989; Miles 1999; Prskawetz et al. 2008; Skirbekk 2003, 2008). A mo di illustrazione, la fig. 4 presenta tre modellazioni del profilo per età dell efficienza, per classi di età quinquennali comprese tra 20 e 64 anni (la normalizzazione adottata permette di tracciare le efficienze relative). Le curve A e B divergono essenzialmente per l età alla quale viene riferito il picco di efficienza; il profilo A può essere pensato come derivante dalla curva B permettendo alla componente della produttività associata all età di crescere continuamente ogni anno, ad esempio in conseguenza di processi di apprendimento o in virtù dell avanzamento della produttività dovuto al progresso tecnico aggregato. In particolare, il profilo B sposta il picco di produttività in avanti di circa 10 anni rispetto al profilo A imponendo alla produttività delle diverse classi di età di crescere di un punto percentuale all anno. Il profilo C è desunto da Skirbekk (2008) e Prskawetz et al., (2008). Le età corrispondenti ai picchi di produttività nei profili A e C sono grosso modo allineate alle età alle quali di solito sono fatti corrispondere i picchi dei guadagni nei Paesi economicamente maturi 25. Per valutare le conseguenze dell invecchiamento della popolazione sulla produttività dobbiamo prendere in considerazione, accanto ai differenziali di efficienza, le modalità di impiego delle persone di età diversa. Questo dipende, tra le altre cose, dalle caratteristiche della tecnologia e dal grado di sostituibilità tra le persone di diversa età. Per isolare le conseguenze del solo invecchiamento della popolazione sulla produttività aggregata al netto delle variazioni dei tassi di occupazione, degli effetti dell accumulazione del capitale e del progresso tecnico (a parte gli eventuali effetti catturati dal profilo per età delle efficienze relative) possiamo considerare un economia nella quale il lavoro costituisca il solo fattore di produzione, onde le variazioni aggregate della produttività rifletteranno solamente i cambiamenti nella struttura per età dell occupazione e il modo in cui i diversi segmenti di forza lavoro sono combinati produttivamente. Per tali combinazioni prendiamo in considerazione tre possibili forme funzionali: una relazione additiva, una relazione di tipo Cobb-Douglas ed una funzione ad elasticità di sostituzione costante di tipo CES La relazione, desunta da Miles (1999), è del tipo z età = 0,05 età 0,0006 età. 25 Lee et al. (2008, p. 229) riferiscono che in Francia, Giappone e Stati Uniti il picco dei guadagni si osserva tra 46 e 49 anni.

22 452 Studi e Note di Economia, Anno XIV, n La funzione di produzione additiva è espressa come Y(t) = z a N a ( t ) a= dove Y(t) è il prodotto complessivo nell anno t, N a (t) il numero di occupati nell anno t e di età a che dipende dal contingente di popolazione e dal tasso di occupazione specifico (ipotizzato costante al livello del 2006), z a è la produttività specifica del gruppo 26. La 4 implica una elasticità di sostituzione infinita tra le persone appartenenti a diverse classi di età, ovvero che le persone siano identiche una volta tenuto conto della loro efficienza differenziale. La relazione Cobb-Douglas ipotizza invece una sostituibilità unitaria tra i gruppi di lavoratori e vale Y(t) = N ( t) a= Per la relazione CES scriviamo infine a z a ρ ρ 6 = Y(t) za N a ( t) a= dove σ = è l elasticità di sostituzione tra i gruppi di lavoratori di 1 ρ differente età. Anche se non c è bisogno di dire che queste relazioni offrono formalizzazioni piuttosto semplificate del versante produttivistico dell impiego del lavoro se non altro perché ignorano i rapporti con il progresso tecnico e gli altri elementi di produzione e ipotizzano che l elasticità di sostituzione tra le classi di età sia la stessa indipendentemente dalla distanza assoluta tra le età (si lascia intendere, insomma, che la sostituibilità tra una persona di 25 anni e una di 40 anni sia la stessa che tra una persona di 25 anni e una di 64 anni) esse permettono comunque di portare ad evidenza con un certo risparmio di mezzi alcuni aspetti connessi alle relazioni tra produttività aggregata e composizione della popolazione per età nella prospettiva dei prossimi decenni. Dalle relazioni 4-6 è possibile derivare gli indici di produttività, π, riferiti all occupazione totale al tempo t, N(t), π(t)=y(t)/n(t); in particolare avremo ( t) = π z s ( t) a a a= per la funzione (4), dove s a è la quota della classe di età a nell occupazione totale, 26 In altri termini, N a (t) = τ a (2006). Pa (t) dove τ a è il tasso di occupazione specifico e P a la popolazione.

23 M. Zenezini - Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione 453 Fig. 4 - Efficienza produttiva e età: profili alternativi , Vale la normalizzazione = 1, dove a denota la classe quinquennale di età e z a è la produttività relativa. a = z a A, l efficienza cresce secondo una relazione quadratica, con picco nella classe di età 50-54; B, come A, con picco nella classe di età 40-44; C, l efficienza relativa presenta perdite accentuate nelle classi di età estreme. Fonte: elaborazione propria da Lam (1989), Miles (1999), Prskawetz (2008) π(t) = s ( t) a= per la funzione Cobb-Douglas, e ρ ρ 9 π = (t) za sa ( t) a= a z a per la tecnologia CES. Con ρ = 0 l equazione 9 si trasforma nella 8, e con ρ = 1 si trasforma invece nella 7. Le figg. 5-8 presentano l andamento degli indici di produttività tra il 2007 e il 2051 applicando le relazioni ora indicate alla struttura dell occupazione sulla base dell evoluzione demografica prevista dall ISTAT e tenendo costanti ai valori del 2006 i tassi di occupazione specifici per classe di età. La fig. 5 mostra che il cambiamento nella composizione della forza lavoro si concreta in una contrazione del prodotto per lavoratore grosso modo a partire dal 2021 come conseguenza dell aumento della quota di occupati con oltre 50 anni di età e della contrazione della quota di occupati nelle classi centrali di età; tale effetto è ovviamente tanto più accentuato quanto più il profi-

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