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1 Sulla natura delle somme spettanti al lavoratore riammesso in servizio (Nota alle sentenze del Tribunale di Roma, 29 novembre 2007, Est. Orrù e del 26 marzo 2008, Est. Orrù) 1. Le pronunce annotate traggono origine dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 4372/07 che ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra l Acea S.p.A. e un gruppo di lavoratori che avevano prestato la propria attività lavorativa all interno del call center della anzidetta società in forza di un contratto d appalto dichiarato illecito ai sensi dell art. 29, commi 1 e 3 bis, del d. lgs. 276/2003 (Trib. Roma 28 febbraio 2007, in q. Riv., 2008, 1, p. 182, con nota di Valente). I lavoratori destinatari del provvedimento giudiziale hanno richiesto all Acea S.p.a., senza ottenerlo, il ripristino del rapporto ed hanno successivamente proposto una serie di decreti ingiuntivi aventi ad oggetto il pagamento delle retribuzioni maturate successivamente alla sentenza non ottemperata dal datore di lavoro. L Acea ha proposto opposizione ai decreti ingiuntivi concessi dal Tribunale di Roma, rilevando, per quel che qui interessa, che le somme richieste dai lavoratori avrebbero dovuto essere compensate con le retribuzioni percepite dagli stessi in forza dei rapporti instaurati con altri datori di lavoro successivamente al non ottemperato provvedimento giudiziale di riammissione in servizio. Il Giudice del Lavoro di Roma, al fine di potersi pronunciare su tale eccezione, ha affrontato la controversa questione della natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore che abbia offerto le proprie energie lavorative e che non sia stato riammesso in servizio nonostante l esistenza di un ordine giudiziale. É, infatti, pacifico in giurisprudenza che l aliunde perceputm possa essere detratto da quanto dovuto al lavoratore esclusivamente nelle ipotesi di richieste aventi titolo risarcitorio e non retributivo, trovando tale eccezione fondamento nella previsione di cui all art del codice civile in tema di risarcimento del danno (ex plurimis Cass. 24 settembre 1998 n. 5222, in Not. giur. lav., 1998, p. 852; Cass. 28 settembre 1989, n. 3941, in Mass. giur. lav., 1989, p. 644; Cass. 22 gennaio 1987, n. 585, in Mass. giur. lav., 1987, p. 257; Cass. 11 novembre 1986, n. 6618, in Giust. civ. mass., 1986, 11; Cass. 14 giugno 1983 n. 4088, in Giust. civ., 1983, I, p. 2934). 2. La questione affrontata dal Giudice del Lavoro di Roma non è di facile soluzione, tanto che nel passato si è sviluppato un vasto dibattito dottrinario sulla più ampia questione della natura retributiva o risarcitoria delle somme dovute dal datore di lavoro costituito in mora. Al riguardo, una corrente minoritaria ha propeso per la natura risarcitoria di tali somme, aderendo ad una lettura del principio di corrispettività del rapporto di lavoro secondo la quale non è concepibile la retribuzione ove non sia stata effettivamente prestata attività lavorativa, anche qualora ciò sia dipeso dalla mancata cooperazione del datore di lavoro (G. Ghezzi, La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano, 1965, p. 120 ss.; L. Mengoni, In tema di mora credendi nel rapporto di lavoro, in Temi, 1954, pp ). Secondo tale impostazione, che ha risentito delle conclusioni di parte della dottrina civilistica in materia di inadempimento delle obbligazioni di fare, il datore di lavoro in mora non ottiene la prestazione originariamente dovuta, bensì la prontezza ad adempiere, che non equivale all adempimento ma ne costituisce un mero surrogato, con la conseguenza che il prestatore di lavoro non avrà diritto alla controprestazione bensì al mero risarcimento del danno (A. Falzea, L offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Giuffrè, Milano, 1947, p. 110 ss.). A tali tesi si è contrapposta quella secondo la quale, pur in assenza dell effettiva prestazione di lavoro, il datore di lavoro in mora è tenuto all obbligo di pagare le

2 retribuzioni. Le varie argomentazioni addotte a sostegno di tale interpretazione hanno avuto natura diversa, ma hanno avuto un denominatore comune nella rivalutazione dell importanza del sinallagma genetico del rapporto di lavoro. Nel contratto di lavoro la retribuzione trova fondamento nel sinallagma genetico e non in quello funzionale e deve pertanto essere erogata anche nei casi di mancata esecuzione della prestazione per causa non imputabile al lavoratore, visto che il suo titolo giustificativo va rinvenuto nella persistenza del vincolo obbligatorio (F. Santoro Passarelli, Nozioni di Diritto del Lavoro, Jovene, Napoli, 1985, p. 153; E. Ghera, Diritto del Lavoro Il rapporto di lavoro, Cacucci, Bari, 1991, p. 246; G. Suppiej, Il rapporto di lavoro (costituzione e svolgimento), in G. Mazzoni (diretta da), Enciclopedia Giuridica del Lavoro, Cedam, Padova, 1982, p. 16). In tale ottica, si è rilevato come la retribuzione abbia una duplice struttura: a) una prima, quale obbligazione sociale, permeata dalla tutela di interessi che trascendono il piano dell autonomia negoziale privata, il cui ammontare viene fissato a prescindere dall utilità arrecata all organizzazione datoriale e dal suo concreto valore di mercato; b) una seconda, quale obbligazione corrispettiva, nell ambito della quale la retribuzione è specificamente diretta a compensare qualità e quantità del lavoro prestato ed è, pertanto, commisurata all utilità che, anche in base al solo contratto, la prestazione deve arrecare al datore di lavoro. La retribuzione, come obbligazione sociale, è dovuta in conseguenza della semplice esistenza del contratto ed anche in assenza della prestazione per causa imputabile al datore di lavoro, mentre la retribuzione, quale obbligazione corrispettiva, presuppone una prestazione effettiva di lavoro (L. Zoppoli, La corrispettività nel rapporto di lavoro, Esi, Napoli, 1991, pp. 314 ss.). Nell argomentare nello stesso senso, altra dottrina ha valorizzato, al fine della risoluzione della questione, l importanza dell art. 1207, comma 1, del codice civile in tema di responsabilità del creditore in mora per l impossibilità sopravvenuta della prestazione. La mancata collaborazione del datore di lavoro non giustificata da un motivo legittimo gli impone in ogni caso di erogare la retribuzione o perché le prestazioni non eseguite tempestivamente vengono successivamente recuperate (e, quindi, normalmente remunerate in base al principio di corrispettività), o perché sopravviene una impossibilità definitiva della prestazione lavorativa che, ai sensi dell art. 1207, comma 1, cod. civ. obbliga ugualmente il datore di lavoro ad eseguire la controprestazione (V. Speziale, Mora del creditore e contratto di lavoro, Cacucci, Bari, 1992, p. 320; N. Sapone, Il contratto a termine e la riassunzione: va chiesta la condanna all adempimento, in Dir. e giur., 2004, p. 43). 3. La questione delle conseguenze economiche della ricostituzione ope iudicis di un rapporto di lavoro illegittimamente interrotto è stata affrontata in più occasioni anche dalla giurisprudenza, anch essa giunta a conclusioni non univoche (sul tema, M. Mariani, Le conseguenze economiche della ricostituzione ope iudicis del rapporto di lavoro, fuori dalle ipotesi disciplinate dall art. 18 St. Lav, in Riv. it. dir. lav., 2003, 3. p. 581) Secondo parte della giurisprudenza la retribuzione è collegata alla prestazione effettiva di lavoro, non soltanto ai fini della sua commisurazione, ma anche per la stessa configurazione del relativo diritto, il quale non sorge ex se in ragione dell esistenza e del protrarsi del rapporto, ma presuppone per la natura sinallagmatica del contratto di lavoro la corrispettività effettiva delle prestazioni (Cass. Ss. Uu. 27 luglio 1999, n. 508, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, p. 145, con nota di Ogriseg; Cass. Ss. Uu. 05 marzo 1991, n. 2334, in q. Riv., 1991, II, p. 493). Il lavoratore che abbia offerto le proprie le proprie energie lavorative e che si veda

3 opporre il rifiuto del datore a riprendere l attività lavorativa ha diritto non al pagamento delle retribuzioni ma al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni, fatta salva la detraibilità dei compensi percepiti per prestazioni lavorative svolte nel periodo considerato presso altri datori di lavoro (ex plurimis Cass. 16 aprile 2008, n. 9988, in Giust. civ. mass., 2008, 4; Cass. 27 marzo 2008, n. 7979, in Giust. civ. mass., 2008, 3; Cass. 03 marzo 2006, n. 4677, in Giust. civ., 2006, 11, p. 2338; Cass. 21 marzo 2000, n. 3345, in Orient. giur. lav., 2000, I, p. 467). Le somme spettanti al lavoratore riammesso in servizio al di fuori dell area di applicazione dell art. 18 dello Statuto dei Lavoratori hanno, dunque, secondo tale orientamento giurisprudenziale che può definirsi maggioritario, natura essenzialmente risarcitoria, con conseguente rilevanza dell eccezione di aliunde perceptum formulata dal datore di lavoro. Altra giurisprudenza ha, al contrario, aderito ad una differente interpretazione del principio giurisprudenziale secondo cui l inadempimento alla condanna di riammissione in servizio del dipendente obbliga il datore di lavoro al risarcimento del danno. Non vi è, infatti, dubbio che il dipendente riammesso in servizio subisca un pregiudizio economico che può andare al di là della misura delle retribuzioni non percepite: basti al riguardo considerare la perdita di professionalità, che normalmente si accresce continuando a lavorare. Tale statuizione non può, tuttavia, essere estesa fino a comprendere nel danno anche gli importi delle retribuzioni non percepite dal lavoratore che abbia offerto le proprie energie lavorative al datore di lavoro inadempiente: queste retribuzioni non sono, infatti, il sostitutivo della prestazione contrattualmente dovuta, ma proprio la stessa prestazione dovuta (Cass. 24 giugno 2005, n , in Not. giur. lav., 2006, 3, p. 417; Cass. 30 agosto 2004, n , in Giust. civ. mass., 2004, 7-8; Cass. 14 febbraio 1996, n. 1131, in Lav. giur., 1996, p. 688; Cass. 28 dicembre 1991, n , in Riv. it. dir. lav., 1992, II, p. 989). Il descritto panorama giurisprudenziale si complica ulteriormente se si considera l intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2002, secondo il quale al dipendente che cessi l esecuzione della prestazione in ragione di un termine nullo apposto al contratto di lavoro non spetta la retribuzione ed il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo a detta scadenza finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro (Cass. Ss. Uu. 08 ottobre 2002, n , in Dir. lav., 2003, II, p. 309). La pronuncia dà, infatti, per acquisito che le somme dovute nel periodo successivo alla scadenza del termine illegittimo apposto al contratto di lavoro possano avere sia natura retributiva, sia natura risarcitoria, ma non specifica quale siano le ragioni di tale differenza. 4. A fronte di tale complesso e contraddittorio quadro giurisprudenziale, le annotate decisioni del Tribunale di Roma distinguono, al fine di accertare la natura delle somme da corrispondere al lavoratore riammesso in servizio ope iudicis al di fuori dell area di applicazione dell art. 18 St. Lav., il periodo precedente e quello successivo al provvedimento giudiziale, attribuendo alle prime valore risarcitorio ed alla seconde valore retributivo. Tale interpretazione, a cui hanno aderito altre due successive pronunce del Tribunale di Roma (Trib. Roma 11 aprile 2008, n e Trib. Roma 26 marzo 2009, n. 5572, inedite) si fonda su una valorizzazione delle previsioni dell art cod. civ., ai sensi del quale, nella categoria dei contratti a prestazioni corrispettive - quale è il contratto di lavoro - quando uno dei contraenti non adempie le proprie obbligazioni, l altro può a sua scelta chiedere l adempimento o la risoluzione del contratto, salvo

4 in ogni caso il risarcimento del danno.... In base alla norma citata, il lavoratore che sia stato riammesso in servizio per effetto di un provvedimento giudiziale e che abbia offerto le proprie energie lavorative, ha diritto, nell ipotesi di mancata ottemperanza del datore di lavoro all ordine di reintegra, a percepire le retribuzioni maturate per il periodo successivo al provvedimento giudiziale quale adempimento dell obbligazione nascente dal ripristino del sinallagma contrattuale e non a titolo risarcitorio. Ne consegue che la retribuzione percepita dal lavoratore in tale periodo quale compenso per lo svolgimento di attività lavorativa per altro datore di lavoro non può formare oggetto di decurtazione a titolo di aliunde perceptum da quanto dovuto per effetto della ricostituzione dell obbligo contrattuale imposta dal provvedimento giudiziale. 5. Le conclusioni del Tribunale di Roma appaiono condivisibili nella loro argomentazione, oltre ad essere particolarmente apprezzabili per il tentativo di fornire dei parametri oggettivi di definizione della annosa questione della natura delle somme dovute in forza di un provvedimento giudiziale di ricostituzione del rapporto di lavoro al di fuori dell area di applicazione dell art. 18, St. Lav., che sul punto prevede una disciplina ad hoc (per un panorama delle varie questioni dottrinarie e giurisprudenziali sulle conseguenze economiche derivanti dal provvedimento di reintegra nel posto di lavoro disposto ai sensi dell art. 18 St. Lav. v. G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, Il diritto del Lavoro,Volume II, Art. 18, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 208 ss.). La soluzione adottata si fonda, in particolare, su una corretta lettura dell art c.c. che consente nei contratti a prestazioni corrispettive alla parte adempiente di potere richiedere l esatto adempimento della controprestazione, che, nell ipotesi del rapporto di lavoro, consiste anche nel pagamento della retribuzione, oltre che nella cooperazione del datore di lavoro affinché la prestazione del lavoratore possa essere resa ed il cui inadempimento può dar luogo all insorgenza di ulteriori tipologie di danno (per tale profilo v M. Vendramin, Inottemperanza all ordine di reintegra e danni risarcibili, in q. Riv., 2008, 3, p. 576, a cui si rimanda anche per gli ampi riferimenti bibliografici ivi presenti). La differenziazione della natura delle somme spettanti al lavoratore a seconda che si riferiscano al periodo precedente o successivo al provvedimento giudiziale di ripristino del rapporto corrisponde, inoltre, ad una situazione di fatto di cui non si può non tenere conto. In effetti sino a che non intervenga il provvedimento giudiziale che ricostituisca il rapporto di lavoro, l esistenza dello stesso è ipotizzabile solo in astratto, con la conseguenza che, in relazione a tale periodo, non può essere richiesto l adempimento di un obbligazione non eseguibile, essendo il sottostante rapporto contrattuale formalmente cessato e sub iudice. L unica forma di tutela configurabile in tale periodo è quella risarcitoria e trova il proprio fondamento nella responsabilità del datore di lavoro per avere determinato la cessazione illegittima del rapporto, non potendo incidere il successivo provvedimento giudiziale di ripristino dello stesso sulla mancanza di un'effettiva prestazione lavorativa nel periodo precedente. Una volta, invece, che il rapporto sia stato ripristinato, il lavoratore che abbia offerto le proprie energie lavorative può richiedere a pieno titolo, ai sensi dell art cod. civ., l adempimento del contratto e quindi il pagamento della retribuzione al datore di lavoro che non ottempera all ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto. La situazione che si verifica in tale ipotesi è, infatti, del tutto analoga a quella della cosiddetta sospensione di fatto del lavoratore, ossia il rifiuto unilaterale del datore di lavoro di riceverne le prestazioni, la quale, per consolidata giurisprudenza, lascia

5 immutati gli obblighi nascenti dal rapporto ed in particolare quello di corrispondere la retribuzione (Cass. 09 agosto 2004, n in Giust. civ. mass., 2004, 9; Cass. 19 maggio 2003, n. 7843, in q. Riv., 2004, II. p. 550, con nota di Federici ed in Riv. it. dir. lav., 2004, II, p. 94, con nota di Spolverato; Cass. 11 aprile 1996, n. 3370, in Not. giur. lav., 1996, p. 722). L argomentazione del Tribunale di Roma pare, inoltre, in linea con una corretta interpretazione del principio di corrispettività richiamato da alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità. Anche sotto tale profilo, deve, infatti, distinguersi tra la mancata esecuzione della prestazione nel periodo in cui il rapporto è di fatto cessato e rispetto al quale non è ipotizzabile alcun sinallagma ed il periodo nel quale vi è l offerta della prestazione da parte del lavoratore sulla base del provvedimento giudiziale che ha ripristinato il rapporto e la corrispettività dello stesso non si realizza per l inadempimento del datore di lavoro. In tale ultima ipotesi la mancata esecuzione della prestazione e la sopravvenuta impossibilità definitiva della stessa gravano, ai sensi dell art. 1207, comma 1, cod. civ., sul datore di lavoro che, trovandosi in situazione di mora accipiendi, è tenuto all adempimento della controprestazione originaria e cioè al pagamento della retribuzione. 6. Si osserva, in conclusione, come la rilevanza delle decisioni annotate sia da rinvenire, oltre che nella linearità e correttezza dell interpretazione seguita in una materia piuttosto controversa, anche nella possibilità di estendere i relativi principi a tutte quelle ipotesi, sempre più frequenti nelle aule giudiziarie, in cui vi sia un ripristino giudiziale del rapporto di lavoro al di fuori dell area di applicazione dell art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, quali, a titolo esemplificativo, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato, la trasformazione dei contratti di collaborazione a progetto, il licenziamento intimato in forma orale o tardivamente motivato, l accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l utilizzatore della prestazione in caso di somministrazione a termine fraudolenta. Per l importanza della questione trattata e delle conseguenze economiche che ne derivano, si ritiene, tuttavia, auspicabile che vi sia un intervento risolutore della Corte di legittimità che affronti in modo specifico il problema della natura retributiva o risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore riammesso in servizio al di fuori dell area di applicazione dell art. 18 St. Lav.. Giuseppe Sottile

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