PLATONE (427 ac 347 ac)

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1 PLATONE (427 ac 347 ac). PARTE TERZA. 10. L APPROFONDIMENTO DELLA TEORIA DELLE IDEE [SOLO PER CHI VUOLE APPROFONDIRE!] Nella Repubblica, Platone non discute il contenuto della scienza dialettica, né analizza approfonditamente la teoria delle Idee. In effetti, in nessuna delle sue opere scritte Platone ce ne fornisce una trattazione completa (è possibile che questa fosse riservata alle famose "dottrine non scritte", cioè all insegnamento orale). D altro canto, nei cosiddetti dialoghi dialettici Platone approfondisce la struttura del mondo ideale in risposta ad alcuni importanti quesiti e dubbi sorti riguardo alle Idee: Che rapporti hanno le Idee fra loro? Quale relazione intrattengono con l Idea somma, il Bene? Che rapporto hanno con la realtà delle cose fisiche? Le due realtà - mondo fisico e Iperuranio - si basano interamente su princìpi comuni o, almeno in parte, su princìpi distinti? Abbiamo già detto di come il mondo delle Idee condivida alcune delle caratteristiche portanti dell Essere parmenideo: come l Essere, infatti, le idee sono eterne, immutabili e perfette. Come sappiamo, però, l Essere di Parmenide era del tutto incapace di fornire una valida spiegazione del mondo sensibile e, se questo accadeva, era proprio a causa delle regole del pensiero e del discorso che Parmenide stesso aveva stabilito. Il mondo ideale di Platone, per essere davvero un modello valido di quello sensibile, deve in qualche modo ammettere quei caratteri che Parmenide negava all Essere: la disomogeneità e la molteplicità, pur mantenendo la coerenza logica. Di questo problema Platone si occupa in due dialoghi: il Parmenide e il Sofista. IL PARMENIDE Il Parmenide mette in scena un dialogo immaginario fra un giovanissimo Socrate, l anziano Parmenide e il suo discepolo Zenone. Quest ultimo ha appena terminato di leggere il suo libro, Sulla Natura, e Socrate gli obietta che la teoria delle Idee di Platone potrebbe permettere di superare il suo paradosso secondo cui tutto è uno e molteplice allo stesso tempo, il che non è possibile. Socrate, in particolare, oppone a Zenone la teoria della partecipazione (metessi): un oggetto può essere contemporaneamente uno e molteplice, partecipando (cioè prendendo parte ) sia dell Idea di Uno che di quella di Molteplice. Parmenide, intervenendo a sua volta nella discussione, ammette che l esistenza delle Idee non può venir negata, ma solleva delle importanti obiezioni: -1- Anche le cose più insignificanti derivano da un Idea ad esse corrispondente? Anche la più sconosciuta e rara specie vegetale, per esempio, esiste per derivazione da una Idea che ad essa e solo ad essa corrisponde? 1

2 Se le cose stanno così, non accade forse che le Idee rischino di diventare davvero troppe e, in questo modo, la teoria di Platone non rischia di diventare inutilmente complicata? -2- Gli oggetti partecipano di tutta l Idea o solo di una sua parte? Le cose non possono, dice Parmenide, partecipare di tutta l Idea, perché non si vede come una cosa sola, unica (l Idea, appunto) possa essere presente in più cose contemporaneamente. Allo stesso tempo, però, l Idea non può neppure essere presente in una singola cosa fisica solo in parte, perché in questo caso l Idea dovrebbe essere divisibile, cosa che contraddice uno dei principi dell Essere parmenideo! Parmenide, in questa sua analisi, non riesce a giungere ad una conclusione valida e definitiva: proprio come era accaduto nel suo discorso sull Essere. Con le parole di Socrate e con queste auto-obiezioni, Platone pare voler dire che il mondo sensibile è sì caratterizzato dal mobilismo eracliteo e che quello intelligibile deve avere le caratteristiche dell Essere parmenideo, ma tale mondo non può essere studiato con il metodo di Parmenide. Con questo metodo infatti si giunge alla totale incomunicabilità fra i due mondi, cosa inaccettabile visto che per Platone le cose fisiche derivano proprio dalle Idee. Non potendo, a nessun titolo, utilizzare predicazioni esistenziali negative (ricordate che, per Parmenide, non si può né pensare il non Essere né parlarne!) i rapporti delle Idee fra loro e quelli fra le Idee e le cose fisiche diventano assolutamente inspiegabili. IL SOFISTA Se il Parmenide ha sollevato i problemi, al Sofista spettano i tentativi di soluzione. In questo dialogo, a condurre il discorso non è più Socrate, ma un non meglio identificato straniero di Elea che è definito un vero filosofo. Egli vuole sapere, proprio secondo il metodo del che cos è tanto caro a Socrate, chi sia il sofista. Insomma: qual è la definizione di sofista? Egli comincia con l esporre il suo metodo, quello che è stato chiamato metodo dicotomico. Questo consiste nel rispondere a domande di volta in volta più precise e specifiche riguardanti la cosa da definire, in modo da riuscire progressivamente a scartare tutto ciò che non riguarda la cosa di cui stiamo discutendo e, allo stesso tempo, a tenere presente tutto ciò che, invece, la riguarda. Ogni domanda pone la scelta fra due alternative (è per questo che il metodo si chiama "dicotomico") fra le quali occorre scegliere quella corretta. Facciamo un semplicissimo esempio. Ammettiamo di voler ottenere una definizione di una certa attività, quella del muratore. Potremmo fare le seguenti domande, una dopo l altra: 1 si tratta di un attività compiuta dall uomo o dagli animali? [dall'uomo] 2 è un attività a scopo di divertimento o di lavoro? [è un lavoro] 3 è un attività manuale o intellettuale? [è manuale] 4 è un attività che serve a costruire o a distruggere? [serve a costruire] 2

3 Come potete notare, anche solo la risposta a queste quattro banali domande ci fornisce una concezione (certo ancora piuttosto generica) di quale possa essere l attività del muratore: si tratta di una attività lavorativa di tipo manuale, compiuta dall uomo allo scopo di costruire. È chiaro che, continuando con domande più specifiche, si giungerebbe poco per volta a una definizione sempre più precisa di chi sia e di che cosa faccia il muratore. Comincia nel dialogo, una volta ben descritto il metodo dicotomico, la ricerca della definizione di sofista. A un certo punto si giunge a dire che il sofista è colui che dice le cose non come sono, ma come sembrano, ovvero dice il non essere. Ma questo non dovrebbe condurre a contraddizione, proprio come sosteneva Parmenide? Ecco il punto a cui Platone voleva giungere: che cosa significa che il non Essere non può venir detto né pensato? Significa che la cosa non è possibile, anche volendolo, oppure significa che, essendo un procedimento scorretto, esso deve essere vietato? Platone rifiuta entrambe le spiegazioni: la prima conduce a dire che non si può affermare il falso, cosa assurda, la seconda conduce ad ammettere come valide solo le affermazioni tautologiche (le tautologie sono verità ovvie, del tipo A = A). Bisogna dunque, dice il filosofo di Elea, negare questo principio parmenideo, ed egli dipinge il fatto quasi come un parricidio. Ecco che, contrariamente a quanto diceva Parmenide, deve essere possibile, sotto certe condizioni, dire ciò che non è. A questo punto Platone opera, per la prima volta, una distinzione fondamentale relativa alle espressioni è e non è. Tali espressioni hanno infatti due significati diversi, nota Platone: una ACCEZIONE PREDICATIVA, con la quale effettivamente dico che una cosa esiste o non esiste (esempi: il libro è, oppure il libro non è ), e una ACCEZIONE COPULATIVA, con la quale il verbo essere funge solo da collegamento (esempi: il libro non è un cane, Roberto non è al lavoro ). Nel primo senso, Parmenide aveva ragione: noi non possiamo pensare né dire qualcosa che non esiste, che non è. Possiamo, però, tranquillamente dire che una cosa non è un altra cosa. Questa seconda forma di non essere "esiste" sia nel mondo sensibile che in quello ideale. Nella sua accezione copulativa, anche il non essere proprio come l'essere, è perfettamente accettabile! Siamo giunti ad escludere sia la liceità di qualunque predicazione, anche la più assurda e insensata, cosa che veniva sostenuta dalla peggiore sofistica, sia la sola liceità delle tautologie. Abbiamo, come risultato, che alcune predicazioni saranno valide, altre no. E proprio qui sta il ruolo della dialettica: essa deve individuare, tra tutte le predicazioni possibili, tra tutti i rapporti possibili intercorrenti fra le Idee, quelli che sono validi e quelli che non lo sono. Già nel Sofista Platone percorre questa strada. Egli individua infatti cinque Idee somme, dotate cioè di grande generalità: Essere, Moto, Quiete, Identico, Diverso. Ecco che l Idea di moto e quella di quiete partecipano entrambe dell Idea di essere, che è più generale (sia il moto che la quiete, infatti, esistono!), ma non partecipano l una dell altra (infatti quiete e moto sono cose opposte: nel moto non c è quiete e nella quiete non c è moto!). Le Idee, quindi, non sono tutte sulle stesso piano, ma si distinguono in base alla loro maggiore o minore generalità. A un livello di generalità molto alto troviamo poche Idee: via via che si 3

4 passa dal generale allo specifico il numero di Idee aumenta, come in una sorta di costruzione a piramide. Immaginate, ora, un immenso insieme di punti, ciascuno dei quali rappresenta una singola Idea: quando due Idee sono in rapporto di partecipazione, come il moto e l essere, allora i due punti corrispondenti sono uniti da una linea; quando invece non c è rapporto di partecipazione, nessuna linea unisce le due Idee. Si viene così a creare una gigantesca "ragnatela" di collegamenti costruita in un immensamente grande spazio vuoto (lo spazio vuoto sono tutti i collegamenti non validi i quali, naturalmente, sono molto più numerosi di quelli validi). È per questo che Platone dice che molto è l essere e che infinito per numero è il non essere. Con questo complesso approfondimento della teoria delle Idee, Platone compie una mossa geniale e del tutto inedita: egli sposta l attenzione dalla singola Idea al rapporto esistente fra più Idee. Perché fa questo? Lo fa perché si è accorto che ogni singolo concetto astratto (ovvero ciò che lui chiamava Idea) non può essere se stesso, cioè non può avere senso se non in relazione ad altri concetti, ad esso in qualche modo collegati, concetti che ne delimitano e chiariscono il senso. Prendiamo, come esempio, il concetto (o Idea che dir si voglia!) di gatto : questo concetto come potrebbe avere significato se non in relazione ad altri concetti come quelli di essere vivente, animale, mammifero, felino, ecc.? Nessuna Idea, presa da sola, ha senso! Adesso, forse, capite meglio il concetto di partecipazione! 11. IL TIMEO, L'OPERA DEL DEMIURGO E LA COSTITUZIONE DEL MONDO Abbiamo visto, almeno nelle linee più semplici e generali, come è fatto il mondo delle Idee: l Iperuranio. Platone si dedica anche alla costituzione del cosmo fisico e lo fa in uno degli ultimi suoi dialoghi: il Timeo. Platone mette subito in chiaro una cosa: un discorso riguardante le cose sensibili, materiali, non può avere il medesimo grado di certezza di uno concernente il mondo delle Idee: la ragione la conosciamo già! Il racconto del pitagorico Timeo viene definito, proprio per questo, come una narrazione verosimile. Il mondo sensibile, fisico, è quello dove le cose nascono e muoiono, sono generate e si corrompono. Il cosmo sensibile, l universo in tutta la sua interezza, è stato generato, è nato : cosa inevitabile, visto ch non è eterno come le Idee! Tutto ciò che nasce, però, richiede una causa. Ecco la comparsa del Demiurgo: si tratta di un essere divino, a metà fra le Idee e le cose sensibili (un po come l anima umana), che contempla le Idee e crea il cosmo a imitazione di queste, proprio come farebbe un artista. Si noti che il Demiurgo ha poco a che vedere con il Dio in cui i cristiani credono: sappiamo, infatti, che (oltre a moltissime altre differenze) il Dio cristiano crea l universo dal nulla. Nella bellezza sempre incompiuta del mondo sensibile, grazie all opera del Demiurgo, è possibile intravedere la bellezza perfetta delle Idee. Il Demiurgo, dice Platone, è buono e, di conseguenza, vuole che anche la sua opera sia buona. 4

5 Il mondo sensibile non è nato né per caso, né per meccanica necessità, ma per una volontà precisa, una causa intelligente. C è quindi un finalismo, cioè uno scopo, in tutto ciò che esiste, un orientamento verso un bene superiore. Di cosa è fatta la realtà fisica? Essendo corporea e visibile, deve essere composta innanzitutto di terra e di fuoco. Tramite complessi ragionamenti (di cui non parliamo) Platone introduce anche l acqua e l aria. I quattro elementi sono razionali e necessari, collegati con il superiore intelletto finalistico. Ma, in definitiva, se il Demiurgo desiderava di creare il cosmo a somiglianza del mondo ideale, cosa gli ha impedito di renderlo perfetto? Timeo, a questo proposito, ammette l esistenza di una seconda causa, indipendente dal Demiurgo. Questa causa prende il nome di ricettacolo, matrice o, meglio, chora. Impossibile tradurre questa parola con un preciso termine della lingua italiana. La chora è, da un lato, ciò in cui tutte le cose si plasmano, il sostrato inerte privo di qualunque forma, ciò che rimane dopo l eliminazione della forma, dall altro lato essa si avvicina molto al non essere parmenideo. Noi potremmo identificare questo principio con la "materia", ma questo non sarebbe corretto: per noi la materia ha già una qualche forma determinata, a differenza della chora, inoltre per noi una cosa materialmente esistente è qualcosa in più rispetto all idea che abbiamo di essa. Platone ha una concezione contraria: per lui la realtà più vera e concreta è quella delle Idee, le cose sensibili, materiali, hanno qualcosa in meno. Questo concetto negativo è appunto la chora. È ormai chiaro il quadro ontologico di Platone. Al primo livello, il più alto, c è l Idea del bene, superiore allo stesso essere. Al secondo livello c è il mondo delle Idee, dove esiste anche il non essere logico (dunque in senso di copula). Al terzo livello c è il mondo sensibile, fatto ad imitazione delle Idee ed impregnato della chora, che può essere vista come il non essere ontologico di Parmenide. Al quarto e più basso livello c è la chora stessa. 12. L'ULTIMO PLATONE: LE LEGGI Abbiamo visto che nei dialoghi dialettici e nelle dottrine non scritte Platone si occupa essenzialmente di ontologia e gnoseologia. Il Platone della maturità, però, torna ad occuparsi anche di questioni politiche e sociali con questo dialogo, il più lungo di tutti, le Leggi. L impostazione è del tutto diversa da quanto avevamo visto nella Repubblica, qui Platone non riprende lo Stato ideale, ma cerca di porre l accento su uno Stato meno perfetto, ma possibile, realizzabile. È per questo che punta il dito proprio sulle leggi le quali, in uno stato ideale, non avrebbero nemmeno motivo di esistere. Platone analizza le varie costituzioni esistenti. Dice che, in teoria, la migliore sarebbe la monarchia, ma all atto pratico è la democrazia ad essere il meglio, perché la distribuzione del potere allontana i mali più grandi. Il X libro delle Leggi è la parte più interessante. Qui Platone affronta la questione della religione, riguardo alla quale egli non pare avere idee troppo chiare. Non rifiuta il politeismo (in effetti il Demiurgo era accompagnato, nella 5

6 sua azione creatrice, da numerose divinità intermedie ed inferiori) pur criticando l antropomorfismo. In altri dialoghi, Platone pare credere in divinità astrali, corrispondenti ai corpi celesti. Sembra, comunque, che l interesse di Platone per il divino si limiti all influenza che questo può avere sulla morale e il corretto agire. Non a caso qui la discussione sugli déi è originata dalla constatazione che chi ci crede non agisce che secondo giustizia. A questo punto, per porre gli déi come garanti del giusto ordine politico e sociale, deve da una parte smontare la loro beata indifferenza e dall altra l antropomorfismo. Platone dimostra innanzitutto l esistenza delle divinità, e per fare questo parte dall anima. Abbiamo visto nel Fedro che l anima è movimento e dà vita ai corpi. Essa è la sola a possedere il movimento primariamente e, quindi, deve essere anteriore alle cose fisiche. Ma, come detto, l anima non è solo nelle creature, invece vivifica e muove tutte le cose, esplicitandosi in modo diverso a seconda della cosa che va ad animare. Se il mondo è davvero quell essere meraviglioso e ordinato non possono non esistere gli déi, e quindi aveva ragione Talete dicendo che tutto è pieno di déi. 6

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