Sulla via di Damasco

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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLV. N MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 EURO 1,50 Sulla via di Damasco Svolta siriana al Palazzo di vetro e nel vertice Obama-Putin: dopo quattro anni di guerra civile alla quale, per procura, ha partecipato l Occidente, ora contro l Isis il presidente Usa «vuole lavorare» con Mosca. Che già avvia la coalizione con Iran e Iraq. Francia isolata e criticata per i raid PAGINE 10, 11 ASSEMBLEA ONU Obama vuole «cooperare», Putin: contro Isis «coalizione» Alla 70ma plenaria Onu hanno parlato Obama e l iraniano Rouhani, ma la «mossa» diplomatica è stata di Putin prima dell escalation della "cooperazione" in Siria e l annuncio di intelligence sharing con Iraq, Siria e Iran per combattere l Isis PAGINA 10 FRANCIA Hollande insiste: la caduta del regime siriano resta centrale Anche il presidente francese all Assemblea generale dell Onu parla del conflitto siriano. E dopo i raid aerei degli ultimi giorni in territorio siriano per «legittima difesa» apre alla collaborazione con Mosca. Sullo sfondo la necessità di arginare l iniziativa iraniana sul terreno PAGINA 11 GUERRA IN SIRIA Mentre l Isis avanza, in campo il coordinamento militare anti-jihad Se il nodo resta quello del periodo in cui Assad uscirà di scena, ormai tutti sembrano accettare che il presidente siriano «per ora» deve restare. E siconfermano le voci sulla crazione di un coordinamento militare anti-isis a Baghdad tra russi, iraniani, siriani e iracheni PAGINA 10 TASSE Renzi e la Ue litigano sui tagli alla casa L a Commissione europea critica il taglio delle tasse sulla prima casa annunciato da Renzi, e il premier risponde per le rime: «La Ue non deve mettere bocca sulle scelte dei singoli Paesi». Il botta e risposta arriva a 15 giorni dall approvazione della legge di Stabilità (prevista il 15 ottobre) e in realtà è la seconda puntata di un dibattito che si era già aperto qualche settimana fa, quando Bruxelles aveva indicato per la prima volta al governo italiano l opportunità di concentrare i tagli più sul lavoro che sul patrimonio. SCIOTTO PAGINA 6 VOLKSVAGEN L ex ad Winterkorn indagato per frode. Entrano ufficialmente nell affaire Audi e Skoda ROSATELLI PAGINA 7 BIANI l PAGINE 2, 3, 4, 5 Ingrao addio, una sfida coraggiosa lunga cento anni È morto domenica a Roma Pietro Ingrao, comunista, direttore de «l Unità», presidente della Camera, fuori dal partito quando ormai il «gorgo» scorreva altrove, nei nuovi movimenti. A migliaia per l ultimo saluto nella sala Aldo Moro del Parlamento. Domani alle 11 i funerali di stato in piazza Montecitorio PROPOSTA-APPELLO Immigrazione, la nostra risorsa *** I l tema non è nuovo. Alcuni degli scriventi ne hanno trattato sul manifesto. La sinistra ha, in Italia, la possibilità di indicare una soluzione non contingente né transitoria al problema gigantesco dell'immigrazione. Lo può fare nel migliore dei modi, risolvendo al tempo stesso alcuni suoi drammatici problemi demografici, territoriali, economici e sociali. Noi possiamo indicare agli italiani, contro la politica della paura e dell'odio, una prospettiva che non è solo di solidarietà e di umano e temporaneo soccorso a chi fugge da guerre e miseria. CONTINUA PAGINA 15 LA NOSTRA TRIBÙ MAI UNA CORRENTE Luciana Castellina Q uando chi viene a mancare ha più di cent anni all evento si è preparati, e dunque il dolore dovrebbe essere minore. E invece non è così, perché proprio la loro lunga vita ci ha finito per abituare all idea irreale che si tratti di esseri umani dotati di eternità. Pietro Ingrao, per di più, è stato così larga parte della vita di tantissimi di noi che è difficile persino pensare alla sua morte senza pensare alla propria. (E sono certa non solo per quelli di noi già quasi altrettanto vecchi). Così, quando domenica mi ha raggiunto la telefonata di Chiara e io ero a sedere al sole in un caffè delle Ramblas a Barcellona dove, essendo di passaggio per la Spagna, mi ero fermata per aspettare i risultati elettorali della Catalogna, il suo tristissimo annuncio è stato quasi una fucilata. Perché prima di ogni altra cosa è stato come mi venisse asportato un pezzo del mio stesso corpo. Così, io credo, è stato per tutta la larghissima tribù chiamata «gli ingraiani», qualcosa che non è stata mai una corrente nel senso stretto della parola perché la nostra introiettata ortodossia non ci avrebbe neppure consentito di immaginare tale la nostra rete. CONTINUA PAGINA 3 VIAGGIO DI RITORNO Bergoglio critica i raid sulla Siria Se la Francia ha buone orecchie Nel viaggio di ritorno, le prime parole del papa con i giornalisti sono per dire no ai bombardamenti sulla Siria, come quelli appena iniziati lo scorso weekend dalla Francia di Hollande PAGINA 11 PIETRO INGRAO FOTO GABRIELLA MERCADINI Costruttore di democrazia GIANPASQUALE SANTOMASSIMO PAGINA 2 Perché «il voto non basta» GIANNI FERRARA PAGINA 3 Un leader continentale LEONARDO PAGGI PAGINA 4 Leggere Ingrao a 30 anni RICCARDO LATERZA PAGINA 4

2 pagina 2 il manifesto MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 LA STORIA DI PIETRO Cerimonia Oggi per tutta la giornata ancora possibile l omaggio al leader comunista. Domani funerali di stato in piazza Il commosso ultimo saluto La camera ardente a Montecitorio per l ex presidente, sipario su una storia ormai chiusa. Compagni divisi che si ritrovano, Napolitano non sfugge alla tentazione di arruolare la memoria La testimonianza d affetto dei romani, che a tratti formano una fila davanti alla camera Andrea Fabozzi L a sinistra italiana che fu comunista e qualche volta lo resta si ritrova ormai soprattutto e qualche volta solo ai funerali. E nulla più dell ultimo saluto a Pietro Ingrao, grande eretico e un uomo profondamente di partito, intellettuale e dirigente popolarissimo, il tutto per cento anni di lunga vita, può rimettere insieme per qualche ora le tante storie di chi nel Pci c è stato, o l ha votato o magari l ha contestato da sinistra. E se la commozione per la morte di un leader che ha lasciato un buon ricordo anche in tutti i suoi avversari è tanta, lo è anche per la diffusa sensazione che questo saluto sia davvero l ultimo. La morte del vecchissimo Ingrao cala il sipario su una storia già chiusa. Al primo piano della camera dei deputati, la camera ardente è allestita nella sala che da qualche anno è intitolata ad Aldo Moro (e nel 78 toccò ad Ingrao presidente dell assemblea di Montecitorio avvertire l aula del rapimento del segretario Dc, con un discorso che fu criticato perché troppo breve e senza dibattito, ma in quell ora tragica il comunista avvertiva l urgenza di far nascere un governo, quello Andreotti, che pure non gli piaceva). Il primo picchetto attorno alla bara scoperta è quello della Fiom, con Maurizio Landini. La grande famiglia Ingrao è sistemata in una fila di sedie sul lato sinistro, la sorella Giulia, le figlie Celeste, Bruna, Chiara e Renata, il figlio Guido, tanti nipoti. Alle pareti le corone di fiori della alte cariche istituzionali e una sola di partito, il Pd. Un ritratto di Ingrao staccato dalla «Corea» - la Galleria dei presidenti - è sistemato al centro tra una bandiera del Pci e una della pace. Mentre si alternano i picchetti - Bertinotti, Vendola e il gruppo dirigente di Sel, Fassina, il presidente della Regione Lazio Zingaretti e il vice sindaco di Roma Causi - arriva subito Giorgio Napolitano. Saluta i parenti con un bacio, resta un po in appoggio sul bastone di fronte al feretro, poi si avvicina e dà un colpetto a mano aperta sul legno, forse una carezza. Alla Stampa ha detto che «Ingrao è stato un uomo di assoluta limpidezza morale, non ha mai combattuto battaglie per interessi o ambizione personale»; i due sono stati molto avversari nel Pci, divisi da tutto ancora prima del celebre dissenso di Ingrao nel congresso del 66 e fino allo scioglimento del 90. «Ingrao era per il monocameralismo», trova il modo di ricordare il presidente emerito della Repubblica che oggi è il primo sponsor della riforma costituzionale di Renzi. Ed è vero, salvo che nella sua costante riflessione sui «problemi dello Stato», Ingrao partiva dall esigenza di rafforzare parlamento e rappresentanza (raccolto da poco in volume il suo carteggio con Norberto Bobbio): il monocameralismo con l Italicum è tutta un altra storia. La tentazione di accordare il pensiero di un grande leader con il proprio è comprensibile - si faceva anche nel Pci con le posizioni di Togliatti, «lo chiamavamo "tirare la coperta", ha ricordato Ingrao nel suo Le cose impossibili -, alla camera ardente arriva Achille Occhetto preceduto da un fondo sull Unità renziana in cui sostanzialmente racconta che Ingrao avrebbe aderito alla svolta della Bolognina se solo gliel avesse spiegata lui. Renzi è a New York per l assemblea Onu, il governo è presente con la ministra delle riforme Boschi, il viceministro Morando e il sottosegretario De Vincenti, che fa anche un turno di picchetto. Assenti in massa alla celebrazione ufficiale della camera del centesimo compleanno di Ingrao, i renziani stavolta fanno capolino: il capogruppo del Pd alla camera Rosato, il capogruppo al senato Zanda, il deputato Carbone, la presidente della prima commissione del senato Finocchiaro. Pochi gli esponenti dei partiti di centro e destra che vengono a rendere omaggio, il vice presidente forzista della camera Baldelli, l ex Dc D Onofrio, Rutelli, Mariotto Segni, Nando Adornato che ha trascorsi comunisti. In serata fa il suo ingresso il presidente del senato Piero Grasso. Ma è soprattutto un incontrarsi a sinistra, tra i tanti che sono stati ingraiani almeno un po, o «minoranza di sinistra» come preferiva Ingrao. Come Occhetto, del resto, che va incontro e si fa riconoscere dall ottantenne Luigi Schettini, che è stato una colonna dell ingraismo meridionale. Un po alla volta arrivano Gavino Angius, Luigi Berlinguer, Gianni Cuperlo, Walter Tocci, Cesare Damiano, Vincenzo Vita, Cesare Salvi, Giorgio Ruffolo, Ugo Sposetti, Walter Veltroni. Invece entra unita la delegazione dell Ars: Aldo Tortorella, Alfiero Grandi e Piero De Siena. La cerimonia nel palazzo si presta poco alla partecipazione popolare, ma sono comunque centinaia i cittadini romani che sfilano davanti al cadavere di Ingrao. A tratti davanti all ingresso principale della camera si forma una piccola fila. Molti portano un fiore, qualcuno alza veloce un pugno chiuso. Domani i funerali saranno in piazza Montecitorio, all aperto. Come quelli di Pajetta, 25 anni fa. P ietro Ingrao era certamente una «brava persona». Come era una «brava persona» anche Berlinguer, e Jovanotti lo attesta. Entrambi erano anche simboli di moralità nella politica, e nessuno può metterlo in dubbio. Ma Ingrao era, come Berlinguer, un comunista italiano, del Pci era stato uno dei dirigenti più popolari, ed era stato anche un costruttore di democrazia nella civiltà repubblicana. Oggi c è molta ipocrisia nel nascondere o sminuire questo dato centrale della sua vita, nel ricondurlo a ennesimo santino della liturgia di una «società civile» sganciata dalla politica o addirittura ad essa contrapposta. Fu certamente considerato e lui stesso si considerò «eretico»: ma all interno di una comunità di donne e di uomini unita da ideali comuni, se pure declinati in forme diverse, di cui condivise fino alla fine (ed anche oltre per pochi anni, a comunità ormai dissolta) senso di appartenenza e obblighi, spesso gravosi, che lo portarono a compromessi e sacrifici che rappresentarono nel tempo un rovello mai interamente placato. Se si osserva con distacco la sua vicenda politica, di là dalle leggende e anche dalle autorappresentazioni, emergerà il profilo di un politico realistico, capace di porre problemi e proporre soluzioni. Dalla consapevolezza nei primi anni Sessanta di una nuova fase aperta dal miracolo L ERETICO Il costruttore di democrazia Gianpasquale Santomassimo economico e dal centrosinistra, che imponevano un ripensamento di tutti i termini della lotta politica e sociale del movimento operaio, alla battaglia del decennio successivo per un rinnovamento complessivo delle istituzioni, fondato sulla centralità del parlamento in vista di una nuova relazione fra Stato, popolo e trama delle assemblee elettive locali, in spirito di fedeltà alla Costituzione. Guardare al leader comunista dovrebbe aiutare a diradare le nebbie dell «ingraismo», diventato gergo e maniera C era in queste battaglie la consapevolezza che la democrazia parlamentare e costituzionale non era un dato acquisito per sempre, ma un patto tra istituzioni e popolo che andava rinnovato e rinsaldato mentre all orizzonte si profilavano nuove insidie interne ed eterne che ne minavano il fondamento: «come se stessimo in bilico - avvertiva nel tra un salto di qualità verso una civiltà superiore e il precipitare nella degenerazione». Divenne col passare del tempo sempre più simbolo di qualcosa difficile da definire in termini univoci (ma comunque lievito e stimolo per molti). Si innestò e si sovrappose alla sua vicenda storica una mitologia facile, fatta di luoghi comuni diffusi e da ultimo perfino interiorizzata da Ingrao medesimo nell ultima fase della sua lunga vita: l enfasi sull utopia contrapposta alla realtà (che aveva invece studiato e analizzato con sguardo mai banale), la fama di «acchiappanuvole», di poeta e sognatore Col che si rischiava di dimenticare che il suo andare «oltre» la politica, nel porre temi che essa abitualmente non si poneva, non voleva essere contrapposizione ma arricchimento, offerta di una dimensione non immediatamente visibile a uno sguardo distratto ma che si poteva e doveva cogliere con uno sguardo lungo. Dimenticando che «scavare nella polvere» fra le rovine delle torri franate non può servire a baloccarsi modellando castelli di sabbia, che dal «gorgo» bisogna doverosamente farsi trascinare - ma senza affogare - per riemergere infine su nuove sponde. Guardare storicamente alla sua attività politica dovrebbe implicare anche evadere dalle nebbie dell «ingraismo» divenuto gergo e maniera, della politica ridotta a stato d animo, indeterminatezza programmatica, elogio del «dubbio» che non prelude a una nuova azione, ma si compiace e si paralizza in esso. Nel modo corrente di ricordare Ingrao temo che oggi molta parte della sinistra stia celebrando e assolvendo anche la propria inconcludenza.

3 MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 il manifesto pagina 3 LA STORIA DI PIETRO Ricordi Quando incontrava qualcuno era sempre lui che per primo chiedeva: «Ma tu cosa pensi?», «Come giudichi quel fatto?»; «Cosa proporresti?» E però siamo stati forse di più: un modo di intendere la politica, e dunque la vita, al di là della specificità delle analisi e dei programmi che sostenevamo. Sicché sin dall'inizio degli anni '60 e fino ad oggi, gli ingraiani sono in qualche modo distinguibili, sebbene le loro scelte individuali siano andate col tempo divergendo, dentro e fuori del Manifesto; e poi dentro e fuori le successive labili reincarnazioni del Pci. Oggi poi - dentro una sinistra che fatica a riconoscere i propri stessi connotati e nessuno si sente a casa propria dove sta perché vorrebbe la sua stessa casa diversa da come è -questo tratto storico dell'ingraismo direi che pesa in ciascuno anche di più. Vorrei che non si perdesse, perché al di là delle scelte diverse cui ha condotto ciascuno di noi, è un patrimonio prezioso e utile anche oggi. Di quale sia stato il nucleo forte del pensiero di Pietro Ingrao, ho L EREDITÀ Una lezione per chi oggi vuole provarci ancora DALLA PRIMA Luciana Castellina una sola: l'ascolto degli altri e l'idea della politica come, innanzitutto, partecipazione e perciò soggettività delle masse. Quando incontrava qualcuno, o anche nelle riunioni e persino nel dialogo con un compagno ai margini di un comizio, era sempre lui che per primo chiedeva: "ma tu cosa pensi?" ;"come giudichi quel fatto?"; "cosa proporresti?". Non era un vezzo, voleva proprio saperlo e poi stava a sentire. Perché il suo modo di essere dirigente stava nel cercare di interpretare il sentire dei compagni. Anche di portare le loro idee a un più alto livello di analisi e proposta, certamente, ma sempre a partire da loro, per arrivare, assieme a loro, e non da solo, a una conclusione, a una scelta. Per questo quel che per lui contava, quello che a suo parere qualificava la democrazia e la qualità di un partito, era la partecipazione, la capacità di stimolare il protagonismo, la soggettività delle masse. Senza di cui non poteva esserci né teoria né prassi significativa. Non voglio esplicitare paragoni DA ATENE L OMAGGIO DI ALEXIS TSIPRAS «È stato una figura emblematica dell eurocomunismo di sinistra e della sinistra radicale, un leader saldo nei suoi valori, dal pensiero aperto e profondamente umano. In anni di ripiegamento, Pietro Ingrao ha rappresentato un forte punto di riferimento per le persone di sinistra e continuerà a illuminare il nostro pensiero e il nostro cuore nelle lotte del futuro. Dobbiamo tenerne viva la memoria. Ai suoi familiari e ai suoi compagni voglio esprimere le mie più sentite condoglianze». Magri, si divise sulle scelte da compiere: fra chi decise di uscire e dette vita a Rifondazione, e chi - come Pietro - decise invece che sarebbe comunque restato nell'organizzazione, il Pds, che, già malaticcio, veniva alla luce. "Per stare nel gorgo", come disse con una frase che è rimasta scolpita nella testa di tutti noi. Certo, è vero: se Pietro si fosse unito alla costruzione di un nuovo soggetto politico sarebbe stato diverso, molto diverso. La rifondazione comunista più ricca e davvero rifondativa, per via del suo personale apporto ma anche di quella larga area di quadri ingraiani che costituiva ancora un pezzo vivo del Pci e sarebbero stati preziosi alla nuova impresa; e invece restarono invischiati e di malavoglia nel lento deperire degli organismi che seguirono: il Pds, poi i Ds, infine, ma ormai solo alcuni, nel Pd. Pietro però capì subito che stare in quel contesto non era più "stare nel gorgo", perché il gorgo, sebbene assai indebolito, scorreva ormai altrove. E infatti ruppe poco dopo e si impegnò nei movimenti che ge- L ascolto degli altri e l idea della politica come partecipazione, due caposaldi dell ingraismo che valgono assai più di ogni ortodossia. Perché restano una buona bussola per un nuovo impegno SPIRITO CRITICO Pensare e agire contro la deriva autoritaria Gianni Ferrara I ngrao ha impersonato i nostri ideali. Tutti. Li ha analizzati, approfonditi, discussi. Ne ha misurato la concretezza, l attualità, l assunzione da parte delle masse, la resistenza alle offese che l ideologia del capitale andava muovendo per distorcerne il senso e per sradicarli dalle coscienze. Non si è mai arreso ai dubbi che muoveva a se stesso ed aprendosi agli altri e mai attenuando o precludendo il suo pensare ed il suo fare di militante,di dirigente, di comunista. Ha voluto sempre sentire, capire, scrutare, criticamente anche quanto a presupposti, tradizioni, metodi, prima di indicare, insegnare, condurre singoli e masse. E capire era per lui penetrare nella realtà dei rapporti umani, cominciando da quelli di produzione e cogliendone ogni prosecuzione, ogni effetto immediato e protratto a qualun- L INIZIATIVA Su Amazon e in pdf ebook di 77 pagine Il 31 marzo scorso, in occasione delle iniziative politiche e culturali per il centesimo compleanno di Pietro Ingrao, «il manifesto» ha pubblicato «la Storia di Pietro», un supplemento speciale dedicato al dirigente comunista, all intellettuale, all appassionato di cinema, al poeta. Da quel lavoro (disponibile anche in pdf sul sito ilmanifesto.info) è poi venuto fuori un ebook di 77 pagine venduto su Amazon (2,99 euro). Articoli, tra gli altri, di Luciana Castellina, della presidente della Camera Laura Boldrini, del segretario della Fiom Maurizio Landini, del regista Citto Maselli, di Massimo Raffaeli, Alberto Olivetti, Alfredo Reichlin, Leonardo Paggi e Guido Liguori. Nel libro anche articoli di Pietro Ingrao sulle riforme (nel 2004 l argomento era il «premierato forte» di stampo berlusconiano), sul ricordo della battaglia asperrima contro la legge truffa del 53, l intervento integrale al Comitato Centrale del 1969 sulla radiazione del gruppo del manifesto, il discorso all ultimo congresso del Pci di Rimini e un intervento inedito del 1972 tenuto a Reggio Calabria sulla questione meridionale pubblicato su gentile concessione dell Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. PIETRO INGRAO DURANTE UN COMIZIO NEGLI ANNI 70 FOTO ROBERTO KOCH-CONTRASTO. A SINISTRA, LA CAMERA ARDENTE ALLA CAMERA FOTO UMBERTO BATTAGLIA/CAMERA DEI DEPUTATI/LAPRESSE. QUI SOTTO, IN UN CANTIERE NEL 1975 FOTO A3 NELLA COLONNA DI DESTRA, UN ALTRO RITRATTO FOTO MASSIMO VERGARI-AGF già parlato, io e altri, tante volte, e ancora nell'inserto che il manifesto ha dedicato ai suoi cent'anni, riproposto on line proprio ieri. Vorrei che quelle sue analisi e linee programmatiche che purtroppo il Pci non fece proprie, non venisse annegato, come è accaduto per Enrico Berlinguer, nella retorica riduttiva e stravolgente dell' "era tanto buono, bravo onesto, ci dà coraggio e passione". Oggi, comunque, di Pietro vorrei affidare alla memoria soprattutto due cose, che poi sono in realtà con l'oggi, sarebbe impietoso. Rossana, rispondendo ad un'intervista di La Repubblica, ieri ha detto di Pietro, anche della sua reticenza nell'assumere posizioni più nette, come fu al momento in cui noi, pur "ingraiani doc", operammo la rottura della pubblicazione della rivista Il manifesto. E poi ricorda anche Arco di Trento, quando quel 30 per cento del Pci che rifiutava lo scioglimento del partito proposto dalla maggioranza occhettiana, pur riconoscendosi nella relazione che a nome di tutti aveva fatto Lucio nerazioni più giovani avevano avviato. E da questi fu ascoltato. La storia come sappiamo non si fa con i se. Ma riflettere su quel passaggio storico, per ragionare sugli errori compiuti, da chi e perché e quali, sarebbe forse utile a chi, come tutti noi, sta cercando di costruire un nuovo soggetto politico. Per farlo nascere bene mi sembra comunque essenziale portarsi dietro l'insegnamento fondamentale di Pietro, che non è inficiato dal non avere, qualche volta, tentato abbastanza : che non c'è partito che valga la pena di fare se non si attrezza, da subito, a diventare una forza in grado di sollecitare la soggettività popolare, perché questa è più preziosa di ogni ortodossia. Ma vorrei che di Pietro ci portassimo dietro anche l'ottimismo della volontà. Era lui che amava citare la famosa parabola di Brecht sul sarto di Ulm ( da cui Lucio Magri trasse poi il titolo del suo libro sul comunismo italiano). Come ricorderete, il sarto insisteva che l'uomo avrebbe potuto volare, finché, stufo, il vescovo principe di Ulm gli disse "prova" e questi si gettò dal campanile con le fragili ali che si era costruito. E naturalmente si sfracellò. Brecht però si chiede: chi aveva ragione, il sarto o il vescovo? Perché alla fine l'uomo ha volato. E' la parabola del comunismo: fino ad ora chi ha provato a realizzarlo su terra si è sfracellato, ma alla fine, come è accaduto con l'aviazione, ci riusciremo. E' questo l'impegno che nel momento della scomparsa del nostro prezioso compagno Pietro Ingrao vorrei prendessimo: di provarci. que altezza e in quale dimensione si collocasse, qualsiasi suo profilo potesse rilevare sulla condizione umana nell età del capitalismo Del più alto valore è stata la concezione della democrazia che Ingrao ha definito e per cui ha combattuto. Sostenendo che «il voto non basta». E «non basta» infatti nei regimi che ne isolano la rilevanza e ne limitano il potere reale di incidere direttamente o indirettamente sui rapporti di potere economico, oltre che di quello sociale e di quello politico. Tanto meno nei regimi che ne distorcono gli effetti deviandoli da quelli autenticamente rappresentativi. Né basta se non collegato ad altri istituti di partecipazione diretta alla dinamica politica. Sostenendo poi la coordinazione di tutte le assemblee elettive come condizione e strumento di una democrazia che pervada l intera complessità istituzionale della aggregazione umana a forma stato. Sostenendo, infine, con grande lucidità ed eguale fermezza la necessità di opporsi alla decadenza di civiltà politica, culturale e morale che andava maturando in Italia con la criminosa prospettiva di un uomo solo al comando. In modo diverso, sentirsi ingraiani ha significato intensità di spirito critico, tensione continua a lottare pensando possibile una società in cui il «libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti».

4 pagina 4 il manifesto MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 LA STORIA DI PIETRO XX secolo Rilettura degli scritti che annunciavano un nuovo periodo storico nel mondo gravido di contraddizioni e conflitti come mai nel passato Un vuoto pesante, eredità per l Europa Profondità sociale e dimensione globale di un leader della sinistra continentale che non si è mai stancato di opporre il superamento critico del presente. Mentre nasceva la "cultura della stabilità" che rielaborava restrittivamente il riformismo socialdemocratico La radicalità del pensiero che ci aiuta a uscire dall imbuto della crisi profonda che stiamo vivendo I l senso di inadeguatezza che provo nello scrivere queste righe deriva innanzitutto dal fatto che quando Pietro Ingrao decise che ormai il gorgo era altrove rispetto alle varie mutazioni dell ormai ex Pci, nel 1993, io non avevo ancora compiuto un anno. Mentre mi affacciavo al mondo la sua vita politica prendeva l ultima, importante, svolta. Per me, per la mia generazione, Pietro Ingrao è stato innanzitutto un uomo del Novecento - un secolo che, osservato dalla sua prospettiva, sembra essere affatto breve - e delle sue incommensurabili contraddizioni. Sarebbe un esercizio inutile ripercorrere, senza scadere in banalità o ridondanze, le sue scelte di vita e in particolare di vita politica: altri ne hanno ben più titolo. È forse più interessante trarre lezioni dall enfasi del suo raccontare, dalla sua straordinaria capacità critica e autocritica. Proprio calcando la mano sulle vicende più discusse del suo impegno nel Pci e in particolare sul suo voto favorevole all espulsione del gruppo del Manifesto nel 1969, in molti ritengono di poter confinare il racconto della figura di Ingrao nella dimensione collocabile tra l eclettismo analitico e l etica del Partito, una dimensione ormai sepolta dalla caduta del Muro e dalla fine della Prima Repubblica. In questa ricostruzione le contraddizioni che egli stesso amava indagare e mettere in tensione, sottoponendole alla prova dell intelletto umano e della sua capacità di illuminare gli angoli più oscuri della realtà, risultano irrimediabilmente spianate. Quella di Ingrao, dunque, sarebbe una figura dalla quale oggi è possibile trarre al limite qualche Leonardo Paggi D i Pietro Ingrao come uomo e come intellettuale, come politico e persino come poeta, abbiamo già parlato in occasione dei suoi cento anni. La sua morte ci chiama ora a pensieri più ardui che oltre la persona mettono in causa la storia, così aspra e contraddittoria, del nostro Paese. Ci sentiamo spinti inevitabilmente a bilanci difficili, a domande sul passato che non possono non essere anche interrogazioni sul futuro. Quella di Ingrao è una bara pesante. In essa c è in primo luogo racchiuso un enorme patrimonio di lotte e di sacrifici del popolo italiano che se non hanno realizzato il socialismo hanno cambiato la faccia del nostro Paese, rendendolo immensamente più civile e più dignitoso. Una grande esperienza collettiva, che Ingrao ha voluto fino in fondo ricordare e rappresentare anche simbolicamente, con quella sua tenace volontà di mantenere il pugno alzato, persino quando il corpo piegato dagli anni cominciava ad abbandonarlo. Quel gesto elementare non era vuota liturgia; intendeva piuttosto riproporre al popolo, come agli intellettuali, il rigetto di ogni presunta fatalità della storia, inteso non solo come atto di volontà, ma come forma obbligata di qualsiasi abitazione intelligente del mondo. Al "disincanto" weberiano con cui tanti intellettuali italiani sono rientrati come veri abatini nel conformismo dell ordine, Ingrao non si è mai stancato di opporre la trascendenza critica del presente come espressione necessaria di una ragione ragionante degna di questo nome. L esercizio di questa ragione è più importante che mai. La bara di Ingrao ci ripropone anche l obbligo di cimentarsi senza mezze misure con quel drammatico rovesciamento dei rapporti di forza che comincia a profilarsi nel nostro Paese, come nel resto di Europa, sullo scorcio del XX secolo, a proposito del quale autori di tradizione socialdemocratica parlano oggi di post democrazia. Mi riferisco alla svolta che si produce nel continente tra il 1989 e il 1992, con la caduta del muro di Berlino, la fine dell Unione sovietica, la riunificazione della Germania e la firma del Trattato di Maastricht, che con la moneta senza stato e la piena libertà di movimento dei capitali prefigura l Europa di oggi, flagellata, senza difese, dai marosi della crisi. E lo spazio temporale in cui si inserisce l ultima battaglia di Ingrao. Ripercorrendo i suoi scritti colpisce la tenacia con cui si batte contro l idea, allora senso comune, della fine della storia; quella stessa che viene messa alla base dell 8 settembre, del «tutti a casa», del Pci. Non sono analisi compiute e formalmente concluse, le sue, ma netta vi è la consapevolezza che un nuovo periodo della storia del mondo si sta annunciando, gravido di contraddizioni e conflitti superiori a quelli del passato, sia per profondità sociale che per dimensione globale. Insomma non è un caso che nel suo comunicato Tsipras abbia parlato di Ingrao come di un leader della sinistra europea. In quegli stessi anni la tradizione liberaldemocratica italiana elabora con la nozione di "cultura della stabilità" una reinterpretazione singolarmente restrittiva del riformismo socialdemocratico. La scienza economica, nata e cresciuta come indagine sulla produzione della ricchezza e sulla sua distribuzione tra le classi sociali in conflitto, diventa moneta e finanza, ossia scienza del rientro dal debito, che i tedeschi hanno posto come condizione perentoria per l abbandono del marco. La stabilità dei prezzi che il Modell Deutschland è riuscito a realizzare diventa motivo di una ammirazione subalterna. I "parametri" di Maastricht, che pongono limiti sempre crescenti al sostegno della domanda interna, aprendo la strada alla stagnazione di oggi, sono invocati come salutare «vincolo esterno» capace di mettere a norma una classe politica spendacciona. Per quanto riguarda la "questione tedesca" il limite profondo di questo riformismo liberista sta nel non vedere come dietro la virtuosa stabilità dei prezzi ci sia un economia che, dopo aver potenziato ininterrottamente la sua forza competitiva in termini di qualità e di prezzo, si appresta a lanciare un nuovo assalto ai mercati mondiali, aggiogando al suo carro tutto il progetto europeo. Oggi che le politiche di austerità si intrecciano con una esplicita deflazione del sistema della rappresentazione politica, sentiamo che tutta la cultura democratica del Paese è giunta a un punto serio di verifica. Sentiamo che l enorme patrimonio storico simbolicamente racchiuso nella figura di Pietro Ingrao può essere salvato solo attraverso la sua trasmissione e la sua traduzione in un contesto sociale completamente mutato. Per uscire dall imbuto della crisi organica che stiamo vivendo è indispensabile anche uno sforzo di pensiero, una nuova radicalità nelle analisi. L esperienza storica ci dice che da una crisi organica si esce solo con la formazione di una nuova classe dirigente. «Si parla di capitani senza esercito scriveva Gramsci nel carcere- ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani». La natura della fase che stiamo vivendo, oltre che la personalità di Ingrao a cui diamo l estremo saluto, ci fa capire oggi meglio di prima la congruità di questa affermazione. elemento di rilevanza storica, vagamente mitologica e agiografica, ma nessun insegnamento concreto, nessuno strumento da mettere nella cassetta degli attrezzi per smontare le brutture di questo mondo. Mi sento di poter dissentire. Dal pensiero e dall azione di Pietro Ingrao sto ancora imparando molte cose, e tante credo di poterne imparare. Innanzitutto su cos è il dubbio, cosa significa provare a farne strumento potente in una società in cui esso è molto evocato e assai poco praticato. Era più difficile mettere in dubbio, interrogarsi e interrogare, dissentire, fare tutto ciò in forma produttiva, LAST GENERATION Cosa ci insegna il vecchio maestro Riccardo Laterza con una continua tensione verso la trasformazione della realtà, nell epoca dello scontro tra ideologie contrapposte? Oppure oggi, nell epoca del dominio incontrastato dell ideologia unica del libero mercato? Per questo credo che questo primo insegnamento non sia affatto scontato. Ancora, credo sia grazie a Ingrao che è diventato per me un po più chiaro cosa sia la luna. La luna, per alcuni, sarebbe la cifra della sconfitta di Ingrao: per me è piuttosto il segno di una battaglia che è ancora aperta. Lungi dall essere un luogo situato in una posizione indefinita tra l astrazione dalla realtà e l eterna sconfitta, come qualche detrattore mascherato vuole far passare in alcuni coccodrilli, essa è piuttosto quella direzione verso la quale far avanzare ancora l orizzonte delle aspettative. La luna è possibile? Sì, lottando dentro il continuo sviluppo della società, dentro le vecchie forme di dominio e le nuove possibilità di liberazione, sapendo che «in fondo, a ben vedere, certi guardiani, per forti e feroci che siano, sono tuttavia alla fine abbastanza stupidi», come disse Ingrao al XIX Congresso del PCI, nel Ciò che ancora non credo di aver colto in tutta la sua complessità è il significato primo dell indicazione di «rimanere nel gorgo». Quando mi imbattei

5 MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 il manifesto pagina 5 LA STORIA DI PIETRO Le scelte «La politica e il fare, lo Stato e il produrre possono consentire (per non dire: invocare) il silenzio dell interrogarsi e del contemplare?» per la prima volta nella formula retorica utilizzata da Ingrao all XI Congresso in risposta a Longo sulla questione del centralismo democratico, la trovai di un tatto incomprensibile per la dialettica politica di oggi: quel volteggio di piuma, accolto da applausi scroscianti, era stato tuttavia capace di ferire come FOTO MASSIMO VERGARI/AGF A DESTRA, IN UN COMIZIO DEL 2007, A SINISTRA, DURANTE UNA SEDUTA DELLA CAMERA, NEGLI ANNI 70. FOTO LAPRESSE una lama d acciaio. Difficile dunque astrarre da un periodo storico completamente diverso da quello di oggi: credo tuttavia che «rimanere nel gorgo» fosse un indicazione di ricerca e di azione - e del rapporto indissolubile tra questi due aspetti - rivolta alla realtà, all intricato rapporto tra masse e potere, impossibile da ridurre alla semplice collocazione dentro o fuori dal Partito (che pure era parte fondamentale di quell indicazione). Infine, l insegnamento più prezioso, che più sento dentro, è quello di lasciarsi interrogare dalle rivolte. Non ho mai avuto la fortuna di incontrare Pietro Ingrao, ma ho incontrato spesso la misura concreta di queste sue parole nella costruzione delle organizzazioni studentesche, negli sguardi delle migliaia di studentesse e studenti in strada e in piazza, nell impegno politico e nella necessità di cambiare il mondo. Il nostro cammino è ancora nel tempo delle rivolte che non è sopito. Grazie di tutto Pietro Ingrao. LA LETTERA Un testo che spiega i contrastanti sentimenti verso l impegno e la vita «Difendere gli umili non è un agire per gli altri, è un agire per me» A vvertenza.nel gennaio del 1992 Ingrao rese nota la decisione di non porre la sua candidatura alle imminenti elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati ove sedeva dal 1948 e della quale aveva tenuto la presidenza nel corso della settima legislatura. Colpito dal poco risalto che la stampa aveva tributato alla notizia del ritiro dalla politica istituzionale di uno dei più grandi protagonisti della democrazia italiana, Bettini dedicò a Pietro Ingrao un articolo su Paese Sera in cui tracciava un profilo della sua personalità, mettendo in luce le peculiarità della sua condotta politica e civile. Condotta che ancora oggi è da considerarsi esemplare, quanto rara. Dopo aver letto l articolo, Pietro Ingrao scrisse la lettera, che qui pubblichiamo, a Goffredo Bettini in cui esprimeva i motivi profondi, personali e intimi, che avevano guidato e avrebbero continuato a guidare il suo agire politico e nel mondo. Tredici anni dopo, nel giorno del novantesimo compleanno di Pietro Ingrao, il 30 marzo del 2005, Bettini rispose a quella lettera, continuando la riflessione sul valore della politica e sul significato dell appartenenza alla sinistra. Oggi, che viviamo l epoca delle "larghe" intese e del costante calo della partecipazione causato da una classe dirigente sempre più delegittimata agli occhi degli elettori, queste riflessioni appaiono allo stesso tempo monito e sprone al recupero del valore alto della politica. L editore Una lettera di Pietro Ingrao Caro Goffredo, torno a ringraziarti per l articolo che hai scritto su di me: non solo per l affetto e la stima che esso esprime (e ci sono anche, in questo senso, parole che temo eccessive, molto); ma perché l articolo vede punti reali e radicati della mia esperienza e del mio sentire: aspetti di me che raramente ho sentito cogliere così. E' vero: ci sono due facce contraddittorie (ma è giusto chiamarle così?) della mia vita. Evidentemente io devo avere una "passione" per la politica che è tenace; altrimenti non si spiega come essa passione duri così a lungo, e ancora adesso in un età così avanzata fatichi a spegnersi. Posso dire di più: ogni tanto mi accorgo che (diversamente, assai diversamente da quello che qualcuno dice di me) a me interessa, nella politica, anche l aspetto "tattico" (mi capisci: non nel senso di furbesco). Me ne accorgo; e ripeto a me stesso che questo nelle mie condizioni è esorbitante, e può essere anche un "vizio"; ma poi vedo che mi interessano anche i passaggi "quotidiani"; quante volte sono tentato di impicciarmici! Perché non staccarsene? Tu spieghi ciò con una motivazione morale. Io ho sempre molte esitazioni ad adoperare questo termine: perché io non sono in consonanza con un certo "eticismo": il "dover essere" mi sembra che contenga una astrazione; e io credo molto in una corporeità della vita; credo nelle passioni vitali che ci scuotono e ci segnano. È vero. Io ho raccontato nel mio ultimo libro che fui trascinato a pedate nella politica dalla resistenza a Hitler. Ho ricordato una cosa che tutt ora è in me nitidissima: quando di fronte al rischio che Hitler vincesse, (i momenti terribili che la vostra generazione non ha vissuto), ho detto nella mia mente: non ci Dal libro «Un sentimento tenace», le riflessioni di Pietro Ingrao su incanto e disincanto dopo la scelta di non ricandidarsi alle elezioni del 1992 sto. Anche in quel caso però, continuo ancora oggi a pensare che fosse qualcosa di altro, o di non riducibile a un dovere etico. Era una resistenza del mio essere, una difficoltà della mia vita ad adattarsi a quell esito (cioè a una vittoria del nazismo sul mondo). Tu dici: il punto essenziale è per me dove «si difendono meglio gli umili e gli oppressi». E questo coglie, con parole semplici, un sentimento che è tenace dentro di me. Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili. Ti dirò un episodio che rischia di risultare stupidamente lacrimoso. L altra sera, ho visto a Mixer alcuni filmati sui bambini iracheni colpiti durante e dopo la guerra dalle malattie e dalla penuria. Mi sono sembrati dei fatti letteralmente insopportabili. E mi sono rimproverato la mia inettitudine o defezione dinanzi a quella insopportabilità. Scusa queste parole: ho avvertito una nausea psichica. E mi sono vergognato, perché io non ho fatto e non facevo e non avrei fatto nulla di fronte a ciò che diceva, rappresentava (significava) quella realtà. Questo episodio può dire la ragione per cui io rimango incollato alla politica, persino sotto l aspetto tattico. Non sono sicuro che ciò si possa rappresentare come una motivazione morale. C entrano gli "altri", in quanto la loro condizione mi "turba", e senza gli "altri" non esisto (nemmeno sarei nato). Ma veniamo alla questione che tu affronti. Tu dici, per me: «incanto» e «disincanto». È chiaro: sono immagini, sono metafore. Forse sono ancora prudenti. A fare un po di letteratura, si potrebbe dire più seccamente che io sono "scisso". Sapessi quante volte quell intervenire nella politica (persino sotto l aspetto "tattico", o addirittura congiunturale) mi appare di una lontananza astrale dai miei stati d animo più profondi. Quante volte, stando "dentro le mura", so che vengo e sto "fuori le mura": sento una estraneità, persino una strana indifferenza in certi momenti. Mi chiedo: che ho a che spartire? Tu dici: coscienza del limite della politica. Sì. E anche coscienza della astrazione-mutilazione che reca in sé la norma. Ci mettono le brache dal momento che nasciamo. È curioso che io mi sia interessato tanto di istituzioni e di Stato (cioè di "norme", regole), e abbia lavorato tanto (per mia scelta) dentro le istituzioni, con la crescente, fredda coscienza che la norma è riduzione, quantificazione di fronte all immisurabile, allo "smisurato" della vita. Così succede: sto dentro la misura, e la rifiuto. Quante ne facciamo per campare. Amando così la vita, accettiamo di essere "misurati" continuamente: come fossimo sempre alla visita di leva. Per fortuna, nei rari momenti di forza e di libertà, io mi dico: ma io non sono di questa città. (Comprendi da ciò la cautela grande, e sospettosa, con cui cerco di adoperare la parola "morale" e la parola "diritti": che cosa sono le leggi? Chi le fa? A chi?). Il "convento". Il convento è questa distanza; e la sensazione che questa condizione che chiamiamo vivere sia certo il pane da mangiare (il "produrre"), ma anche la passione (l irriducibile alla "ragione", a una qualche "ragione") e il silenzio (come interrogarsi). La politica e il fare, lo Stato e il produrre possono consentire (per non dire: invocare) il silenzio dell interrogarsi e del contemplare? Non sembra. L inutile e il gratuito sono disprezzati in questo attuale modo di vivere: il cui motto è l efficienza nel produrre e per il produrre. Certo in un quarto (o in un quinto) del mondo non si muore più di fame e di pellagra. E anche a me e a te piace molto mangiar bene, e una vita lunga. E paghiamo debitamente il prezzo richiesto. Vedi come sono "scisso". Invoco il silenzio, e già sono al comizio. Mi dichiaro "straniero" e voglio fare le leggi. Mi capita. Più di quanto tu puoi immaginare. Questa lettera, lo so, è segnata di narcisismo. E, alla mia età, ciò è scandaloso. Mi ci ha un po trascinato il tuo scritto, l "amor sui", e quel desiderio di trovare la parola, che è rimasto così inappagato in questi lunghi anni di vita. Tu sai che il solo, vero consiglio che ho cercato di darti è stato: sforzati di essere libero. tuo Ingrao. P.S. Non ricopio e rivedo, perché questa lettera (personale) ti arriverebbe tardi. Non ho avuto ancora la copia del Paese.

6 pagina 6 il manifesto MARTEDÌ 29 SETTEMBRE 2015 POLITICA LO SCONTRO Bruxelles: «L Italia tagli piuttosto le tasse sul lavoro». Il premier: «Non mettete bocca» Renzi e la Ue litigano sulla casa I dubbi dei tecnici delle Camere e della Corte Conti sul Def: «Coperture confuse e incerte» MATTEO RENZI A NEW YORK FOTO LAPRESSE Antonio Sciotto L a Commissione europea critica la riforma fiscale annunciata da Renzi, con il taglio delle tasse sulla prima casa, e il premier risponde chiaro, per le rime: «La Ue non deve mettere bocca sulle scelte dei Paesi». Il botta e risposta arriva a 15 giorni dall approvazione della legge di Stabilità (prevista il 15 ottobre) e in realtà è la seconda puntata di un dibattito che si era già aperto qualche settimana fa, quando Bruxelles aveva indicato al governo italiano l opportunità di concentrare i tagli più sul lavoro che sul patrimonio. Ma ieri, al bis dei commissari europei, Renzi è stato ancora più netto, rinviando tutto al mittente e confermando la sua intenzione di procedere alla riforma. Nel rapporto 2015 «Riforme fiscali negli Stati membri dell Unione europea», redatto dalle direzioni generali Affari economici e Fiscalità della Commissione europea, si legge che l Italia dovrebbe ridurre la pressione fiscale sul lavoro e spostare il carico sui consumi, sugli immobili e sulle donazioni. Sempre econdo il rapporto, l Italia, assieme a Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Lettonia, Ungheria, Austria, Portogallo e Romania, sembra «avere una potenziale necessità di ridurre la pressione fiscale relativamente elevata sul lavoro e la possibilità di aumentare tasse meno distorsive». D altronde, per la Commissione è comunque una necessità in sé quella di abbattere la tassazione sul lavoro, monito che ha indirizzato anche ad altri stati, tutti quelli sopra la media di un cuneo fiscale "fisiologico": nel rapporto si indica infatti che uno Stato membro ha «una potenziale necessità di ridurre l onere fiscale complessivo sul lavoro», se l aliquota fiscale implicita sul lavoro o se il cuneo fiscale sul salario medio sono relativamente elevati rispetto alla media europea. Dato che, secondo Bruxelles, vale per l Italia come per Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria e Finlandia. L aliquota fiscale implicita sul lavoro in Italia nel 2012 era del 42,8%, il livello più alto nella Ue assieme al Belgio, e più alto della media Ue (36,1%) e area euro (38,5%). Nel 2014, il cuneo fiscale sul salario medio era del 48,2%, contro il 43,4% della media Ue e il 46,5% dell eurozona. Ultima raccomandazione all Italia: insieme a Grecia, Spagna, Polonia e Regno Unito, ha un gettito Iva «significativamente al di sotto» della media Ue; nel 2014 era pari al 36,8% del gettito complessivo, contro il 48,1% della media Ue e il 48% dell eurozona. La Ue invita dunque l Italia a «limitare l uso di aliquote ridotte e di esenzioni», perché questa misura «può contribuire a evitare distorsioni economiche, ridurre i costi per il rispetto delle norme e aumentare le entrate fiscali». La reazione di Renzi non si è fatta attendere: «Ricordo all Europa e a me stesso - ha detto il premier a New York, a margine dell Assemblea Onu - che il compito dell Europa non è quello di mettere bocca su quali scelte fiscali fa uno Stato. L Europa ha tanti compiti, deve occuparsi di tante questioni ma non deve decidere al posto dei singoli Paesi quali scelte fiscali devono fare». «Quali tasse ridurre lo decidiamo noi, non un euroburocrate a Bruxelles - ha ripreso il presidente del consiglio - Per molti anni l Italia ha alzato le tasse venendo incontro all Europa, questa volta è bene che gli italiani sappiano che decidiamo noi ma le riduciamo le tasse. L Europa faccia il suo mestiere e noi il nostro e sul nostro decidiamo noi». Intanto perplessità e dubbi sul Def sono arrivati ieri sia dai tecnici delle Camere che dalla Corte dei Conti. I tecnici di Camera e Senato, nella Nota di aggiornamento al Def, scrivono che insieme all indicazione «puntuale» delle misure da inserire nella prossima legge di Stabilità, «sarebbe opportuno» chiarire «il nuovo profilo» della spending review «sia in termini qualitativi che in particolare quantitativi, l impatto di tale revisione in termini di minori risparmi conseguiti» e «le conseguenti misure di copertura che si prevede di utilizzare». Insomma, «la relazione non fornisce alcun tipo di informazione circa la composizione quantitativa delle misure, limitandosi a indicare l entità complessiva della manovra». Per i tecnici bisogna chiarire su «spending, voluntary disclosure e clausole di salvaguardia». La Corte dei Conti, in audizione al Senato, nota che il Def prevede un ulteriore «margine non scontato sui saldi bilancio per la clausola per gli immigrati» (insomma, non è detto che ci sarà). Ancora, il gettito previsto «non è esente da incertezze», «perché risente dell andamento dell economia». E infine si dovrà chiarire il programma di taglio di tasse sulla casa, vista «l incertezza che è stata generata dal susseguirsi di scelte a volte contraddittorie». DEMOCRACK Nuovo senato, oggi parte la maratona Il caso Verdini agita Pd Rossi: rifiutarne i voti Inizia oggi a Palazzo Madama l illustrazione degli emendamenti alla riforma costituzionale, con l incognita delle oltre 75milioni di correzioni presentate da Roberto Calderoli. Oggi si capirà se il leghista è disponibile a un accordo. In ogni caso il presidente Grasso dovrà comunicare la sua decisione per consentire che il voto finale ci sia, come già stabilito, il 13 ottobre. Da New York il premier fa sapere di non temere ritardi perché i milioni di emendamenti sarebbero stati presentati con «una modalità tecnica non conforme al regolamento». In pratica l ex lettiano Francesco Russo chiederà la verifica della correttezza delle firme elettroniche, procedura finora mai usata (tant è che lo stesso Calderoli ha presentato alcuni emendamenti veri in cartaceo e con firma autografa, per non rischiare che vengano respinti). Comunque vada, dopo l accordo fra maggioranza e minoranze Pd la suspence sul voto finale della riforma è molto diminuita. Sta invece risalendo la temperatura nel partito dopo un articolo di Repubblica in cui Denis Verdini raccontava di essere «il taxi» dei transfughi berlusconiani verso il Pd di Renzi e di prepararsi ad entrare in coalizione con il Pd presto liberato della (residua) sinistra interna. La cosa ha fatto imbufalire Bersani &Co. Ma dal Nazareno non è arrivata nessuna smentita, neanche d ufficio. Segnale inquietante per le minoranze che si sono appena arrese sulla riforma sperando di aver così salvato il Pd dal «soccorso azzurro». Ieri Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana ma anche (auto)candidato alla futura sfida per la segreteria ha chiesto a Renzi di non accettare i voti del nuovo ciambellano: «Sbaglieremmo nel Pd a pensare che il sostegno di Verdini sia privo di interessi e condizionamenti. Se ci sarà, esso segnerà la qualità delle riforme e dei provvedimenti governativi e tutta la transizione politica e istituzionale ed economica e sociale di cui Renzi si propone come leader». Meglio dire no «ancor prima che per ragioni morali o moralistiche per ragioni politiche». FISCO Le spese pubbliche fanno crescere il reddito dei cittadini. La relazione tra diritti e prelievi Ma meno tasse non è stare meglio I l rapporto 2015 della Commissione «Riforme fiscali negli Stati membri avremmo oggi e di quale libertà godremmo Roberto Romano il diritto positivo, quale situazione sociale dell Unione europea» veicola un messaggio se attraverso l intervento regolatore non fosse ambiguo: occorre tagliare le tasse sul la- voro, e spostare il fisco su consumi, proprietà e ambiente per favorire la crescita. Dall elenco dei Paesi che dovrebbero ridurre le imposte sul lavoro non manca praticamente nessuno: Italia, Belgio, Germania, Francia, Olanda, Portogallo, Austria, Finlandia, Svezia, ecc. Sostenere che gli imprenditori non assumono perché il cuneo fiscale è pari al 48 per cento, contro la media europea del 43, fa sorridere: il costo del lavoro dell Italia è agli ultimi posti tra i paesi di area Ocse. Ma il punto non è questo, piuttosto cosa dobbiamo aspettarci dal fisco e quali sono gli obbiettivi che deve perseguire. Per alcuni le imposte e le tasse sono un «corrispettivo» dei servizi pubblici; altri sottolineano il ruolo delle tasse per finanziarie servizi che diversamente i cittadini dovrebbero comprare sul mercato a prezzi di mercato, appunto; recentemente alle tasse è assegnato un ruolo spiccatamente re-distributivo. In realtà, il sistema fiscale non è estraneo alla struttura del sistema economico e ai principi maturati nel corso dell ultimo secolo. I tributi si sono sempre adattati ai modi di produzione e agli assetti patrimoniali emergenti dal sistema economico, come all evoluzione del diritto. Inoltre, le spese pubbliche e l erogazione di beni di merito permettono, più di altre misure, la crescita reale del reddito dei cittadini. In qualche modo i servizi per tutti senza nessuna «corresponsione» individuale, hanno permesso lo sviluppo dell attuale organizzazione economica. Diversamente dai luoghi comuni - minori tasse uguale maggiore sviluppo - un basso livello di tassazione non significa maggior benessere. Tanto più la società è complessa, tanto più è necessario adeguare non solo il livello del prelievo fiscale in generale, ma anche i presupposti di imposta. Il livello e la qualità (alta) della vita dei cittadini è legata al livello e al target della tassazione e, più in generale, al peso delle entrate fiscali sul Pil; si tratta dei diritti presi sul serio (Einaudi). Sicuramente c è il problema di tassare in modo uguale persone uguali, principio difficilissimo da realizzare, ma analizzando il peso delle entrate fiscali in Europa, non è difficile accorgersi della relazione diretta tra diritti e prelievo fiscale. Dove esiste un adeguata pressione fiscale si osserva un adeguato stato sociale e tassi di crescita mediamente più alti. Quindi il «dovere» di pagare le tasse ha le sue ragioni nella realizzazione di una società più giusta: «Se non si fosse strutturato promossa l equità di quello che alcuni economisti chiamano lo scambio fiscale, e se non si fossero garantiti, insieme ai diritti proprietari, anche i cosiddetti diritti presi sul serio, cioè i diritti di libertà dal bisogno?» (Franco Gallo). Le tasse esistono non solo per risolvere un problema particolare, piuttosto sono un particolare esercizio di sovranità dei cittadini per soddisfare, attraverso la spesa pubblica, i diritti collettivi positivi. Quando si sostiene la necessità di ridurre le tasse per alcune categorie di contribuenti occorre prestare molta attenzione. Nel pensiero liberista i tributi sono visti come uno strumento di finanziamento della spesa per la sicurezza e la protezione dei diritti proprietari che si rifanno, in genere, alle cosiddette libertà negative, ma trascurando, a differenza del pensiero liberale, le libertà positive civili e sociali, cioè le libertà fruibili da ciascun individuo nell uguaglianza, che trovano il loro limite nella libertà degli altri e, soprattutto, non riducono l autorità dello stato legandola «all autorità» dei cittadini. Per questa ragione i tributi e le tasse devono essere considerati parte del moderno sistema dei diritti positivi, senza limitazioni di nessuna natura nella pressione fiscale (art.53 della Costituzione), cioè il legislatore è legittimato ad allargare l area della contribuzione alle spese pubbliche e sociali, consentendogli di selezionare i presupposti di imposta in ragione della maggiore articolazione della realtà economica. Questa sembra essere la policy più adeguata per rinnovare l azione pubblica e probabilmente, in prospettiva, per aumentare il salario reale dei lavoratori. Peccato che il fisco sia diventato un esercizio per bulloni di quartiere. «REPORT» De Luca contro Raitre, l azienda valuta querela I l tiro a Raitre, sport un tempo prediletto dai forzisti, ha preso ultimamente piede in casa Pd. Prima Ballarò (criticato da Matteo Renzi in persona), poi Presadiretta, il programma di Riccardo Iacona ritenuto reo di aver nascosto ai telespettatori le meraviglie del Jobs Act. E ora nella lista compare anche Report. Domenica mattina, ospite a Salerno della festa di Scelta Civica, il governatore della Campania, il dem Vincenzo De Luca, in uno dei suoi show si è scagliato contro il programma di Milena Gabanelli che lo aveva intervistato sul caso Crescent (il mastodontico complesso edilizio progettato proprio sul lungomare di Salerno, per il quale l ex sindaco è a giudizio). Ma anche contro Presadiretta, che nella sua prima puntata della stagione si è occupato anche del Pd campano. E in generale è partito a testa bassa contro la terza rete: «La più grande fabbrica di depressione», la «lobby radical chic del Paese» responsabile, secondo il governatore, di «atti di camorrismo giornalistico, attacchi personali, atti di imbecillità, ma non ingenua». «La camorra è una roba seria, ci sono giornalisti che sono morti per camorra, bisognerebbe avere l intelligenza di non usare questi termini per fare polemiche», la risposta arrivata ieri da Iacona, che invita De Luca a svolgere i suoi «compiti difficilissimi in Campania», lasciando perdere la critica televisiva. Eccessiva, la sortita di De Luca, anche per gli esponenti dem della commissione di vigilanza: «Parole inaccettabili», le aveva definite già domenica il capogruppo Vinicio Peluffo. E troppo, questa volta, anche per i vertici Rai. Ieri sul fare della sera l azienda è intervenuta con una nota: «L attacco del governatore Vincenzo De Luca a Raitre è offensivo e ingiustificato. La definizione di camorrismo giornalistico usata nei confronti di una rete del servizio pubblico è intollerabile per l'azienda e i tanti professionisti che vi lavorano. Un conto è il diritto di critica, un conto accostare il rigoroso lavoro giornalistico a realtà criminali». Dunque viale Mazzini «valuterà con i suoi legali gli estremi di un eventuale azione a tutela della rispettabilità». E così all ora di cena (nel pomeriggio era intervenuto anche il presidente della commissione di vigilanza Rai, il 5 Stelle Roberto Fico, chiedendo al Nazareno di battere un colpo, così come aveva fatto Nicola Fratoianni di Sel), interviene anche il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini: «Solidarietà a Raitre e a tutte le professionalità che ci lavorano. Non condivido le parole del governatore De Luca - dice il vice di Renzi - che reputo sbagliate. L eventuale dialettica che può nascere tra informazione e politica non deve trasformarsi in affermazioni che oltrepassano il confronto, anche aspro, per scadere nell offesa». Insomma, si attacchino pure i programmi sgraditi, ma senza strafare. Anche perché il rischio è che poi qualcuno sospetti, come fanno i 5 Stelle, che «il nuovo corso del Pd renziano» sia «intimidire in maniera violenta chi fa informazione». (mi. b.)

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