Garanzie di giustizia nell'azione amministrativa

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1 da: Quaderni del Lionismo n pag. 25 Osvaldo de Tullio Garanzie di giustizia nell'azione amministrativa Mi consentirete, cari amici, di iniziare con una premessa ed una chiarificazione: una chiarificazione che attiene alla formulazione stessa del tema prescelto che, come ognuno di voi sa, è: La giustizia al servizio del cittadino: prospettive di riforma. Io mi rendo conto che il primo moto di reazione alla enunciazione di questa formula può essere di scettica sufficienza, perché di giustizia, come di tante altre cose, al servizio del cittadino si usa parlare, abusandone anche, da parte di tutti. A questo nostro cittadino tutti vogliono rendere grandi servizi, ma ben pochi vi riescono. Non vi riesce nemmeno lo Stato che, nel periodo che viviamo, non è in grado di assicurare al cittadino nemmeno la sicurezza dei beni fondamentali: la incolumità personale, il possesso indisturbato dei propri beni, la tranquillità contro le aggressioni fra le mura di casa propria. Uno solo dei diritti fondamentali, forse, è veramente acquisito al cittadino italiano: una generica e molto fraintesa libertà che viene, però, usata con così scarso senso di equilibrio e di autolimitazione da dimostrare che non di libertà si tratta ma di degenerazione di questa. Quando abbiamo scelto questo tema della giustizia al servizio del cittadino non abbiamo inteso solo affermare un principio politico, il che sarebbe stato ovvio dato che questo principio, su tale piano, è ormai acquisito. Piuttosto ne vogliamo verificare il grado di realizzazione concreta, anche sul piano tecnico-giuridico, che è strumentale ma indispensabile ai fini della attuazione del principio politico. Posto, cioè, che la giustizia deve essere resa nell'interesse dei consociati, noi pensiamo che dì questo principio debba farsi puntuale applicazione nei singoli istituti giuridici, che in concreto dovrebbero realizzare quel tipo di servizio a favore della collettività. Il discorso potrebbe sembrare ovvio e quella che ho espresso essere considerata una tautologia. Ma errerebbe - e chiedo scusa - chi pensasse 27

2 questo. Ed infatti, se la formula delle sentenze che prima venivano rese in nome di Dio o del sovrano oggi è cambiata, e le sentenze vengono pronunciate in nome dei popolo italiano, non è cambiato il clima mentale e non sono, purtroppo, cambiati gli strumenti giuridici che, se erano idonei a rendere giustizia quando questa era una graziosa concessione sovrana o una giustizia delegata dal sovrano ad un proprio corpo giudiziario che a lui rispondeva, non lo sono più quando è il popolo che esprime questo corpo giudiziario, che, al di fuori di ogni considerazione che non sia la legge e l efficienza della funzione, ha il solo dovere di rendere al popolo questo fondamentale servizio pubblico, che è la amministrazione del giusto e del lecito. E vedremo nel corso di questa esposizione come profondamente incidono sulla sostanza della giustizia la persistenza di princìpi nati - ed allora costituirono magari una preziosa conquista - in presenza di una ormai superata concezione della società e dei rapporti tra Stato e cittadino. Io, cari amici, sono un po innamorato del diritto pubblico, e sarà forse questo mio grande amore ad indurmi alla affermazione che sto per farvi (si sa, l amore è cieco e non fa vedere le pazzie che si commettono). Dunque, volevo dirvi questo: che se c è una branca giudiziaria particolarmente qualificante dell assetto politico-costituzionale e dello stato di civiltà di un popolo, questa è quella del diritto pubblico e del diritto amministrativo in particolare. Perché? Ma perché il motivo di fondo di tutte le lotte sociali e politiche, di tutte le dottrine del reggimento pubblico, tutte le ricorrenti ansie di libertà e di giustizia, che travagliano i popoli che cosa sono, se non un espressione del conflitto mai sopito e mai, forse, riducibile, fra gli opposti princìpi della massima libertà individuale e della limitazione di questa in vista di un benessere collettivo e generale, rappresentato, appunto, dallo Stato? Ecco dunque: lo Stato rappresenta il punto di incontro tra libertà e responsabilità; tra libertà e benessere di tutti, fra libertà e socialità e, secondo alcuni, tra libertà e moralità. Ma questo Stato sintesi di opposti princìpi non è una figura teoretica; è una entità che realizza sé stessa quotidianamente nei rapporti con chi lo costituì tale, e cioè del cittadino, che non può ammettere limitazioni che non siano in armonia con il patto sociale che dette origine allo Stato. 28

3 E già; perché anche qui si è verificato quel curioso fenomeno che è un dato di comune esperienza in tutti i campi; che la creatura, crescendo, spezza il cordone ombelicale da cui trasse vita ed afferma una propria personalità autonoma magari in opposizione al proprio creatore. Anche lo Stato non è sfuggito a questa legge dell autoesaltazione: ed abbiamo avuto le figure monarchiche ed assolutistiche, gli Stati autoritari, che non occorre qui ricordare senza fare torto ai cortesi lettori. Onde, storicamente, si è verificato un fenomeno che contrasta con la logica: il popolo si è trovato oggi, nell evo moderno, a dover riconquistare, elaborando apposite teoriche, quel bene fondamentale della libertà che era già suo per diritto naturale e del quale illegittimamente era stato, nel corso di secoli oscuri, privato. Ora in nessun rapporto come in quello tra cittadino a Stato viene ad avere immediato e fondamentale rilievo il valore che la società e lo Stato attribuiscono alla libertà ed alla posizione del singolo nel complesso polimorfico delle componenti sociali. Ed i rapporti amministrativi tra cittadino e Stato non sono così infrequenti come quelli di diritto penale o di altre branche giuridiche. Dalla iscrizione di nostro figlio a scuola, al rilascio di un certificato, dal parcheggio della nostra auto alla prestazione tributaria è tutta una rete fittissima di relazioni e di vicende che hanno come nostro interlocutore lo Stato, o altri Enti Pubblici. E nell atteggiarsi dello Stato in questo infinito numero di rapporti è sempre possibile cogliere - e deve cogliersi - l espressione di un dato politico, costituzionale e sociologico, che è a monte di quello atteggiamento. Ora io temo che a questo punto qualche fine umorista fra i miei lettori possa non infondatamente pensare che troppo spesso gli atteggiamenti del nostro Stato non rivelano che un dato negativo: cioè una assenza di princìpi, una carenza di linee direttive di condotta. Ma anche questo atteggiamento è un dato politico, è, purtroppo, un dato di disordine, di violazione dei princìpi costituzionali, di inefficienza politica ed amministrativa, cui occorre porre riparo per riaffermare l autorità della legge e la validità del sistema di garanzie previsto dalla Costituzione. 29

4 A questo punto occorre che io tiri le file delle premesse ed affronti la parte più squisitamente tecnica del tema. Ma prima devo rendervi ragione delle premesse, a cui bisogna aggiungerne un altra: quella della perfetta equiparazione, sul piano dell onere di giustificazione della propria condotta che lo Stato di diritto ha operato fra P.A. e cittadino. Come tutti sappiamo la legalità del comportamento dell Amministrazione ha come unico fondamento la legge ed al di fuori di questa la P.A. non ha poteri particolari o privilegi che le competano naturaliter. Le premesse di cui innanzi sono state necessarie in quanto non si può giudicare il grado di efficienza della giustizia resa al cittadino nei confronti della P.A. al di fuori del quadro politico-costituzionale che definisce questi rapporti. E naturale che in uno Stato autoritario, che assuma fra le proprie finalità mete trascendenti i valori singoli, il tipo di giustizia che i giudici devono rendere al cittadino si qualifichi in un certo modo, anche sul piano procedurale. Ed è del pari intuitivo che in una società in cui veramente la giustizia si concepisca come un servizio da rendere al cittadino, per garantirgli equi e sicuri rapporti con lo Stato, questa giustizia debba servirsi di mezzi ed essere basata su istituti giuridici che forse mal si addicono allo scopo se furono scoperti - ed allora fu certamente un grandissimo merito - un secolo fa o giù di lì, quando il rapporto Stato-cittadino era ancorato a princìpi costituzionali del tutto diversi. Il mio discorso di critica di alcuni istituti giuridici che, a mio parere, oggi non assolvono compiutamente la funzione cui sono predisposti deve, tuttavia, essere preceduto da una parola di considerazione per coloro che hanno posto le basi ed hanno il merito dello svolgimento delle nostre discipline amministrative. Questo perché nel campo del diritto amministrativo poco è dovuto al legislatore mentre molto hanno fatto i giuristi, dalle loro cattedre, ed i giudici, in primo luogo quelli del Consiglio di Stato. Se voi pensate che quest ultimo organo venne prendendo la posizione che gli competeva di organo giurisdizionale indipendente più per la costante e penetrante opera propria giurisprudenziale che per esplicito disposto legislativo voi comprenderete quanto il concetto di giustizia nell Amministrazione debba a questo giudice, cui spetta anche il merito di avere dato una idonea 30

5 sistemazione alle categorie dei vizi di legittimità, tentando anche, quando possibile, un sindacato che rasenta, nell interesse del singolo, il merito dell atto mediante accorgimenti tecnici di non dubbia validità. Quando, però, l ordinamento politico-costituzionale conosce degli elementi di rottura dovuti all avvento di un sistema di chiara democrazia - e non può negarsi che questo sia ora avvenuto in Italia - non è sufficiente l opera del giudice ad operare quelle modifiche di indirizzo che, piuttosto, esso sembra il meno idoneo a compiere, prigioniero com è della propria giurisprudenza e della propria quasi secolare elaborazione. Peraltro alcuni tipi di riforme impongono in ogni caso l intervento legislativo, essendo esse chiaramente al di fuori delle prerogative dei giudici. Per darvi un idea dello stato della nostra giurisdizione amministrativa e di quanto e come sia tutelato il patrimonio giuridico del cittadino devo farvi degli esempi. Dovete sapere - e chiedo scusa ai tecnici se mi esprimerò in maniera che a loro potrà sembrare banale; ma questo è un convegno lionistico e non giuridico per quanto giuridico sia il tema che affrontiamo - ora dovete sapere, dicevo, che in Italia esiste un sistema per cui - in linea di massima - se l atto della P.A. lede un vostro diritto soggettivo voi dovete ricorrere all A.G.O.; se invece è stato leso un vostro interesse legittimo voi dovete impugnare l atto presso un organo giurisdizionale amministrativo. Questo in linea di massima perché ci sono poi tante eccezioni che rendono ancor meno credibile il sistema. A questo punto ciascuno si attenderebbe che la distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo sia una cosa pacifica e senza dubbi, che sia magari il legislatore a dirci quando ricorre l un caso o l altro, e che la P.A. che ha adottato l atto dica al cittadino inesperto a quale giudice, in funzione di quel criterio discriminante, deve ricorrere. Niente di tutto questo: la distinzione è tra le più ardue che il diritto amministrativo conosca e su ogni caso concreto, salvo alcune eccezioni, possono scorrere fiumi di inchiostro; il legislatore non ci ha mai dato alcun indirizzo; la P.A. che adotta l atto non può darci, in genere, alcuna indicazione perché, poverina, anch essa non è in grado di fornire lumi sicuri. 31

6 Gli avvocati, a cui la parte privata si rivolge per il patrocinio, sanno tutto questo e sono, nonostante ogni sforzo, vittime delle stesse incertezze. Ed allora che fanno? Presentano due ricorsi con doppie spese e fatiche, o ne presentano uno solo correndo il rischio di vederselo rigettare per difetto di giurisdizione dell organo adito e con grave pericolo di decorrenza dei termini che davanti alle giurisdizioni amministrative sono molto brevi (30-60 giorni in genere). Ora, di fronte a questa situazione oggettiva di grave disagio, che spesso si trasforma in denegata giustizia per chi non eserciti una diligenza ben più che media, poco conta che la differenza tra diritti soggettivi ed interessi legittimi colga puntualmente un diverso grado di intendere le posizioni soggettive del cittadino di fronte alla legge e che la sua formulazione abbia meravigliosamente illustrato la dottrina italiana del diritto amministrativo; poco conta soprattutto perché - e devo subito dirlo per evitare equivoci - non è che la protezione degli interessi legittimi sia meno completa e scrupolosa di quella dei diritti soggettivi. L unica differenza sta nella diversità del giudice. Ma io mi domando, a questo punto, se questa diversità di giudice deve per forza esistere o, se deve esistere, non possa essere ancorata a criteri più univoci come è nei Paesi stranieri. Certo, storicamente, la categoria degli interessi legittimi ha permesso la protezione di rispettabili pretese individuali che mal trovavano garanzie nella unica formula allora conosciuta dei diritti civili e politici. E di questo, come detto, va reso gran merito alla nostra scienza giuridica ed ai nostri giudici amministrativi. Ma, ormai, la distinzione appare ingiustificata se vale ai soli fini di una discriminazione di competenza tra i giudici, con le conseguenze che abbiamo visto. Ed allora occorre correre ai ripari, che possono essere: o la concentrazione in un unico giudice di tutte le controversie amministrative o la adozione di un criterio discriminatore delle competenze più chiaro ed univoco. E inutile che l art. 25 della Costituzione si affanni a precostituire il giudice naturale quando il nostro stesso ordinamento rende problematica la individuazione, a priori, di questo giudice. Ora io so che la semplice proposizione di questo problema causa una serie di obiezioni che vanno dal piano scientifico a quello dello spirito di corpo di alcune giurisdizioni. Ed 32

7 allora mi affretterò a dire che non c è motivo di differenziare proprio perché tutti riteniamo in Italia che il Consiglio di Stato (ed, ora anche i Tribunali Amministrativi Regionali) sono perfettamente in grado di giudicare in ambedue i campi avendo dato lunga prova di preparazione tecnica e morale che non consente dubbi. E diremo ancora che la scarsa propensione del giudice ordinario a problemi amministrativi dipende appunto dalla sottrazione operata per così gran tempo dei giudizi sugli interessi legittimi. Il problema è soltanto quello di rendere giustizia al cittadino, piuttosto che omaggio a pur rispettabili tradizioni giuridiche, a certe formule che si sono venute creando, alla pretesa ineluttabilità di certe situazioni di fatto. Ed ecco perché io vi ho fatto una lunga premessa; per chiarire appunto, che se si vuole rendere giustizia pronta, efficace e sollecita al cittadino è un conto, ed i mezzi ci sono, purché ci sia una corrispondente volontà politica. Se, invece, si presta ascolto a pur rispettabili altre ragioni, vuol dire che l esigenza di giustizia è meno sentita di altre. Mi rendo conto che quello che affronto è un grosso problema; ma sono sicuro che questo sasso scagliato in un mare solo apparentemente tranquillo dovrà pur dare qualche frutto anche perché non è certo il primo e opinioni sono già state espresse in tal senso da qualificate cattedre. Non sarà inopportuno, a proposito, uno sguardo alle legislazioni straniere alcune delle quali conoscono anch esse un sistema di doppia giurisdizione che, però, non è basato sul nostro criterio, così labile ed evanescente, del diritto soggettivo e dell interesse legittimo. Francia, Belgio e Germania pongono altri criteri più obiettivi e più certi mentre in altri ordinamenti (Inghilterra, URSS, Paesi Scandinavi) vale il principio del giudice unico che conosce sia di rapporti privati che di rapporti amministrativi. In sostanza ciò che occorre definire è la esistenza o meno di un interesse giuridicamente protetto del privato. Se questo interesse esiste - ed in questa ricerca è certo ancora utile la nozione di interesse legittimo - da ciò non deve necessariamente discendere la conseguenza di un particolare giudice di questi interessi visto che il sistema causa una serie di inconvenienti che è doveroso eliminare. Peraltro 33

8 le originarie linee della distinzione si sono venute alterando in maniera tale da inficiare la validità della stessa ai fini procedurali di cui discutiamo. Quando il legislatore ha attribuito al giudice amministrativo competenza esclusiva (cioè anche per diritti soggettivi) in materia di pubblico impiego, di operazioni elettorali, di concessioni di beni o servizi - che statisticamente, credo, costituiscono almeno il 50 per cento, se non di più, dei ricorsi al giudice amministrativo - non ha il legislatore stesso negato le linee della distinzione che, pertanto, oggi non ha nemmeno il pregio di una aderenza ad un qual certo principio teorico? Però - mi diceva non più tardi di qualche giorno fa un autorevolissimo collega, un eminente magistrato amministrativo - il giudice amministrativo conosce meglio degli altri il funzionamento della P.A., si rende conto di alcune particolari esigenze che ad essa si pongono, giudica, insomma, su situazioni che conosce in concreto e non soltanto su astratti paradigmi giuridici. (E da ciò faceva discendere l utilità anche dei frequentissimi distacchi di magistrati amministrativi presso i Ministeri nelle note funzioni presso i Gabinetti, gli uffici legislativi, ecc., cosa, che io invece considero perniciosa quant altra mai per la indebita commistione di idee e di posizioni che si verifica). Ora, in verità, io non saprei condividere questa utilità, ai fini del giudicare, del conoscere il concreto modo di atteggiarsi di una questione se ciò si verifica nei confronti di una sola delle parti in giudizio: la P.A. Riterrei, invece, che il giudice debba formare il proprio convincimento sulla base che della disciplina del rapporto dà la legge, perché se concorrenziali circostanze di fatto non sono state valutate dal legislatore occorre che ad esse non presti cura neppure il giudice. Peraltro, non vorrei in questa sede dire di più di quanto sia utile. Il problema che noi vogliamo porre è un problema di semplificazione delle procedure: o un giudice unico o una doppia giurisdizione basata su criteri più solidi, più chiari, meno labili. Questo è il discorso che intendiamo aprire, che vorremmo fosse ripreso, insieme agli altri a cui accenneremo, in sedi più ampie ed in ambienti più tecnici, cui spetterà anche di determinare il giudice idoneo. 34

9 Un altro grave ed importante aspetto dei rapporti cittadino-p.a., è quello attinente ai poteri discrezionali della Amministrazione. Esistono cioè - e questo è ovvio - dei casi per la cui risoluzione la P.A. è investita di una certa libertà di apprezzamento sia per quanto riguarda la opportunità di intervenire sia per quanto concerne il tipo di intervento da operare. Che questi poteri discrezionali della P.A. debbano riconoscersi non è oggetto di dubbio sul piano teorico. E ovvio che esistono delle situazioni di difficile predeterminazione per le quali non è possibile stabilire in anticipo, nelle leggi, i criteri in base ai quali l Amministrazione sia vincolata ad intervenire e, posto ciò, debba intervenire in un senso piuttosto che in un altro. La tutela del pubblico interesse deve essere lasciata, in alcuni campi, ad una valutazione contestuale ai fatti in modo che la condotta amministrativa possa atteggiarsi nella maniera più consona alle reali dimensioni di questa adottando un provvedimento che per il suo contenuto, per il tempo e per le altre modalità sia il più idoneo alla protezione dell interesse pubblico. Fin qui siamo sul piano teorico e nulla v è da eccepire. Ma vi è un risvolto del problema che causa gravi perplessità. Ed è quello del sindacato giurisdizionale su questi atti discrezionali. Il principio valido in materia è che laddove esiste un potere discrezionale non vi può essere in genere controllo del giudice: badate, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, cioè di quel giudice che, per essere più vicino alla P.A., dovrebbe saper valutare il buon uso del potere discrezionale. E ovvio che in tutti i manuali di diritto si trova enunciato l aureo principio per cui potere discrezionale non è arbitrio, non è irragionevolezza: ergo anche il suo esercizio deve sottostare a certe regole. Quando però abbandoniamo il piano dei princìpi teorici ed affrontiamo la realtà dei rapporti dei cittadino con la P.A. vediamo che la impossibilità del giudice di esercitare un controllo sulla discrezionalità, quello che noi chiamiamo controllo di merito, vanifica grandemente le impostazioni teoriche. Quali le conseguenze? Un esempio valga per tutti. 35

10 Se un pubblico impiegato, sottoposto ad un procedimento disciplinare, sia stato punito con una sanzione sproporzionata alla mancanza commessa il giudice amministrativo non potrà pronunziarsi su questa sproporzione ed il discorso giurisdizionale su questo punto non potrà essere nemmeno introdotto perché, si dice, la commisurazione della sanzione alla infrazione attiene alla discrezionalità della P.A. e non può essere sindacata dal giudice. Dobbiamo alla meritoria giurisprudenza del Consiglio di Stato di aver introdotto i criteri della manifesta illogicità o della macroscopica ingiustizia che, considerati vizi di legittimità, consentono di ricondurre il caso nel sindacato di legittimità e di porre riparo alle ingiustizie più eclatanti. Ma per quelle meno eclatanti l impiegato è sfornito di qualsiasi tutela giurisdizionale e la P.A. decide e manda senza alcuna possibilità di appello. Ancora un altro esempio. La nostra organizzazione amministrativa è inflazionata di organi (collegiali e non) nei quali spesso la P.A. ha il potere di nominare degli esperti. Anche la nomina di questi esperti costituisce una discrezione amministrativa; ma nei casi in cui è chiaro per mille segni che di esperti si tratta solo per la loro capacità politica di procurasi le nomine non sarebbe giusto che l organo di giustizia potesse intervenire? Si badi bene, non per designare un esperto al posto di un altro (ché questo è veramente il potere discrezionale che spetta all Amministrazione), ma al solo fine di accertare che veramente di un esperto si tratti cioè di accertare un fatto, che può considerarsi addirittura un presupposto di legittimità. Purtroppo i casi in cui la legge consente al giudice amministrativo il controllo di merito si contano sulle dita di una mano e non hanno nemmeno gran rilievo pratico. Poi c è un problema più a monte di quello della insindacabilità. Si tratta della scarsa chiarezza dei testi legislativi che la (pretesa) discrezionalità attribuiscono. Onde, prima di affermare che un atto è insindacabile nel merito occorre dimostrare che l asserito potere discrezionale veramente esista. Il che non è sempre obiettivamente agevole. Come si vede una fitta cortina avvolge la materia e rende quanto mai arduo il cammino agli operatori del diritto nella giusta difesa dei diritti del 36

11 cittadino: incerta spesso la esistenza di un potere discrezionale, ma certa, in caso positivo, l insufficienza della tutela. Le cose, poi, si aggravano per la inesistenza di sicuri princìpi in ordine ad un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi. Non manca infatti - per quanto l affermazione non sia condivisa da tutti - chi ritiene che proprio per gli atti discrezionali non occorra una motivazione in quanto la discrezionalità comporterebbe una libertà di scelta che escluderebbe la necessità della esternazione dell iter logico della autorità che adotta l atto. Non faremmo un discorso realistico se disconoscessimo le difficoltà cui andrebbe incontro il legislatore che cercasse di essere esplicito in fatto di attribuzione o meno di potere discrezionale. E ci sia consentito di non illustrarne i motivi, che ci porterebbero molto lontano e per di più su un piano troppo tecnico, che non si addice a questo Convegno. Pur tuttavia è ampiamente desiderata, e realizzabile, una maggiore chiarezza da parte dei legislativo in molti casi in cui è possibile. Ciò che, invece, deve auspicarsi in quanto perfettamente realizzabile, anzi, direi, doverosamente realizzabile in una società il cui ordinamento giuridico ripeta la propria giustificazione dal popolo sovrano, è l estensione del controllo di merito a casi più numerosi ed un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi, siano essi discrezionali o non. In ogni caso il giudice deve poter giungere ad un più penetrante controllo dei fatti, la cui esistenza o meno ed una sommaria valutazione dei quali, non tocca, a rigore, nemmeno il concetto di merito e di discrezionalità. Insomma, se una P.A. per liberarsi di un funzionario inviso, lo trasferisce in una sede disagiata adducendo la generica ed immotivata causa di servizio, sembra giusto, in uno stato di diritto, che la Amministrazione dia ragione della esistenza di tale causa in misura tale da aver imposto il trasferimento. Il Consiglio di Stato francese, pur conoscendo un po gli stessi limiti del nostro, ha ritenuto, ad esempio, che le misure di polizia che restringono la libertà del cittadino non sono legittime se non nella misura in cui esse siano necessarie al mantenimento dell ordine pubblico. Ha ritenuto altresì, che il Governo avesse fatto cattivo uso dei poteri eccezionali conferitigli quando 37

12 pose alcune deroghe ai princìpi comuni di procedura penale, ritenendole non necessarie ai fini che nella fattispecie il Governo doveva raggiungere 1. Ecco alcuni esempi di quel controllo più intimo e penetrante che auspichiamo. Lo stesso tipo di indagine opera il giudice inglese che parte, in via di massima, dalla presunzione che il potere discrezionale debba sempre essere esercitato in modo da rispettare i diritti degli altri. Ad esempio è stato ritenuto che il potere di costruire in Londra Ospedali per i poveri non si estendesse ad un Ospedale contro le malattie infettive in un quartiere residenziale, dove avrebbe nociuto al vicinato 2. Una sentenza del genere non verrebbe mai fuori in Italia, dove si sostiene che, in mancanza di un vincolo derivante dalla legge, la P.A. può costruire Ospedali in qualsiasi zona. Ancora in Inghilterra il giudice ha ritenuto che, in mancanza di un esplicita e non dubbia volontà di legge, il comune di Derby non potesse scaricare le fognature di nuova costruzione nel locale fiume in quanto ciò avrebbe recato danno ai titolari dei diritti di pesca. E così via in numerosi casi che dimostrano tutti la esigenza di un chiaro e non equivoco conferimento di potere discrezionale da parte dei legislatore ed, in ogni caso, di un oculato confronto della proporzione e congruità del provvedimento adottato in relazione ai fini pubblici assegnati. Più semplice è il discorso in ordine alla motivazione degli atti amministrativi, che può essere resa facilmente obbligatoria, non incontrando il problema grossi ostacoli di ordine scientifico. Al limite può ritenersi che sarebbe sufficiente, almeno per i Ministeri, una conforme determinazione della Presidenza del Consiglio, o, meglio, del Consiglio dei Ministri. Anche per questo problema abbiamo precedenti utili nel diritto francese ed inglese pur per tanti versi differenti. In Francia la famosa decisione Barel del 1954 e, dopo tante altre, la decisione Société Maison Génestal hanno affermato il principio che l esistenza di un potere discrezionale dell Amministrazione, per quanto ampio esso sia, non le consente, quando si trova dinnanzi ad un giudice, di rifiutarsi di dargli le spiegazioni necessarie 1 C.E , Canal, Robin e Godot, A. j Metropolitan Asylum District v. Hill (1881) 6 App. Cas

13 a dimostrare la proporzione dell atto in relazione al potere discrezionale conferito. Ed in Inghilterra è sancito l obbligo dell Amministrazione di rendere noti i motivi di un atto in modo che il giudice sia sempre in grado di decidere se essi sono giuridicamente adeguati. Per l ipotesi che il Ministro rifiuti di enunciare i motivi il giudice presume che non ne esistano di validi e considera illegittimo l atto. Cari amici, le disfunzioni, le anomalie e le ragioni di perfezionamento della nostra giustizia amministrativa sono molte ed io rischierei di abusare della vostra pazienza se volessi elencarle tutte, tentando, nel contempo, di suggerire qualche rimedio. Per questo mi limiterò, ormai, a qualche problema essenziale, facendo un rapido volo d uccello sugli altri, non direi meno essenziali, ma più tecnici e più semplici a risolversi con delle rapide indicazioni che, per quanto succinte, spero siano comprensibili. Ma prima vorrei sgombrare il campo da un equivoco che potrebbe essersi creato in funzione delle critiche finora rivolte al nostro sistema di giustizia amministrativa, che non è, con tutti i suoi difetti, il peggiore fra quelli esistenti. Risente, naturalmente, delle sue origini, delle concezioni autocratiche dello Stato, e stenta a modellarsi secondo i più recenti orientamenti costituzionali. C è, come dire, un vizio di fondo. Concepito in tempi in cui lo Stato era un po tutto ed era esso a dare, ad attribuire, a concedere qualche cosa al cittadino, stenta naturalmente ad adattarsi ad una visione della società il cui perno non è più lo Stato, ma il cittadino medesimo, sicché in tanto l azione pubblica è legittima in quanto - e soltanto in questi limiti - realizza meglio e più compiutamente il cittadino nello Stato. Un ragionamento facilmente estremista direbbe che bisogna cambiar tutto ab imis, distruggendo le vecchie strutture per sostituirle con strumenti decisamente nuovi. Ma noi sappiamo quanto un procedimento del genere sarebbe pericoloso, anche perché non può impunemente rinunciarsi, nella nostra materia, a quegli affinamenti ed a quella esperienza che ci vengono dai padri. Del resto, anche altri ordinamenti amministrativi moderni non sono immuni da pecche: in Germania frequentemente emerge un senso troppo 39

14 vivo dei pubblici poteri; in Inghilterra c è l anacronistica isola della posizione della Corona e de1 Governo Centrale; la Francia ed il Belgio non sono immuni da molti dei nostri stessi inconvenienti. Volendosi fare qualche cosa di nuovo io penso alla più viva partecipazione del cittadino degli Stati Uniti d America alla fase di elaborazione degli atti amministrativi sia generali (i regolamenti) che particolari. Qui gli interessati hanno possibilità di intervenire nella fase di formazione delle norme regolamentari, che sono atti amministrativi impugnabili, e che non sono elaborate in maniera quasi segreta e sotterranea, ma liberamente e, nei limiti del possibile, con il consenso degli interessati. In questa prassi di partecipazione di organi e di persone private alla formazione dei regolamenti si sono poi sviluppate varie tecniche che, dopo alcuni anni, sono state enunciate legalmente, e meglio elaborate dalla scienza giuridica. La prima di questa tecniche è quella delle consultazioni e delle conferenze con le parti interessate. Man mano che determinati settori economici o sociali si organizzavano ed aumentavano di importanza, gli organi amministrativi americani hanno cominciato a far appello alla loro competenza domandando la loro opinione sui problemi da risolvere. Quando si desidera una partecipazione più immediata ed intima o quando lo richiede la particolare natura della materia che mal si adatta al sistema della corrispondenza burocratica vengono organizzate delle conferenze e riunioni. L invito a queste riunioni è accompagnato dal progetto del regolamento che servirà di base alle discussioni. L uso delle consultazioni e delle conferenze ha teso a regolarizzarsi in America con la creazione di Comitati consultivi dell Amministrazione. Questi organismi hanno cambiato la natura dei Comitati temporanei creati ad hoc per collaborare con l Amministrazione in Comitati Consultivi più o meno permanenti la cui composizione e funzioni sono minutamente regolate dalla legge. 40

15 Tali organi consultivi potrebbero far pensare ai vari Consigli Superiori sedenti presso i vari Ministeri Italiani. (Cons. Sup. della P.I., dei LL.PP., dell Agricoltura e Foreste ecc.). In effetti l analogia è più apparente che reale. Da noi essi vengono concepiti come veri e propri organi dello Stato e non come estranei a questo. Ed anche la loro composizione riflette questa posizione dato che sono formati in misura quasi prevalente da funzionari dello Stato. Comunque, anche nei casi in cui tale preminenza non si riscontra, i Consigli risentono della presenza di rappresentanti delle scienze, della cultura, delle varie tecniche e di altri enti pubblici, sicché la voce dei privati (singoli o associati) non riesce quasi mai ad avere rilievo in quei consessi. In America, invece, essi vengono generalmente concepiti in funzione rappresentativa dei privati interessi che vengono ad essere toccati dai regolamenti che stanno per emanarsi. Non può negarsi che, specialmente in questi anni, vada prendendo dimora, anche in Italia, la prassi di ascoltare alcune associazioni interessate alla soluzione di determinati problemi. Ma tale sistema, oltre. che essere limitato quasi esclusivamente alle associazioni sindacali ed ai problemi economici interessanti alcune categorie di lavoratori e posto su di un piano frequentemente di opposizione politica è ancora ben lungi dall essere divenuto obbligo giuridico generalizzato a tutti i problemi che possono formare oggetto di norme giuridiche da emanarsi dal Governo. Oltre che le tecniche delle consultazioni e delle conferenze o riunioni, vengono soventemente praticate negli USA anche altre tecniche che generalizzano ancor più e meglio la possibilità di partecipazione degli interessati al processo formativo dei regolamenti. Trattasi delle pubbliche udienze. Queste assicurano agli interessati la indizione di una udienza pubblica prima della emanazione del regolamento. Queste ultime differiscono dalle consultazioni e dalle conferenze per il fatto che sono in precedenza pubblicamente annunciate e che ogni cittadino interessato può prendervi parte ed esprimere la sua opinione. Esse permettono così di manifestare il proprio punto di vista anche a coloro che 41

16 potrebbero non essere raggiunti dalle tecniche delle consultazioni e delle conferenze. L uso di queste pubbliche udienze è divenuto così diffuso, che sarebbe impossibile enumerare i campi nei quali esso viene usato. Anche nella fase di formazione dei provvedimenti amministrativi in senso stretto concernenti un singolo caso concreto trova modo di estrinsecarvi il generale principio contenuto nell Administrative Procedure Act, del 1946, della partecipazione dei singoli interessati alla fase di formazione della volontà della P.A. Prima della adozione di un atto amministrativo in genere la P.A. americana cerca di ottenere il consenso dell interessato all atto che lo riguarda dato che nessun cittadino può essere privato della vita, dei beni o della proprietà senza l esperimento di un regolare procedimento giuridico (due process of law). Non ottenendo questo consenso l Amministrazione è obbligata a deferire il caso ad appositi organi davanti ai quali si svolge un procedimento formalmente amministrativo, ma in sostanza contenzioso tendente ad acquisire, in pieno contraddittorio con l interessato, la certezza preventiva della legittimità dell atto che sta per adottarsi. Solo così l atto formato sarà poi, eventualmente, impugnabile presso gli organi della giurisdizione vera e propria. Come si vede la panoramica dei perfezionamenti da introdurre è molto ampia sì da rendere ormai necessaria in materia una vigorosa presa d atto dei pubblici poteri. Certo, l argomento non si presta alla facile demagogia e non ha il fascino di una immediata e vasta eco di consenso popolare e per questo dubitiamo di trovare un immediato ascolto. Tuttavia la parte più responsabile e seria del Paese - e, fra questi, i magistrati, i giuristi, gli operatori del diritto, e in genere quanti, in politica, sentono la responsabilità del mandato - non dovrebbe rimanere insensibile all invito che parte da questo Convegno per lo studio e l approfondimento dei temi qui trattati al fine di realizzare nella maniera più congrua un migliore assetto della giustizia nella Pubblica Amministrazione. A tal fine meritano ancora, tra i tanti, particolare attenzione il problema relativo alla attuale, dispendiosa, anacronistica necessità di un doppio giudizio: il primo davanti al giudice amministrativo per ottenere 42

17 l annullamento dell atto, il secondo davanti al giudice ordinario per ottenere il risarcimento del danno; la opportunità di sancire, per economia di giudizio e per una più morale azione amministrativa, l obbligo di estendere gli effetti del giudicato a casi analoghi mediante idonee garanzie dell eventuale interesse del terzo al mantenimento in vita nei suoi confronti dell atto annullato; la irrazionalità del limite posto al giudice di prendere in esame motivi di illegittimità che non siano stati prospettati dalla parte ma che siano comunque evincibili dal contesto degli atti; la utilità di introdurre, nella comunicazione degli atti della P.A., un generale obbligo di indicare, in maniera esauriente, i termini, le modalità e l organo al quale potranno essere rivolti i gravami sia amministrativi che giurisdizionali; la opportunità della abolizione di alcuni adempimenti procedurali irrazionali e fastidiosi e la compilazione di un testo unico di unificazione delle procedure davanti agli organi di giustizia amministrativa. La realizzazione degli indicati capisaldi di una riforma della giustizia dell Amministrazione presuppone una mobilitazione di intelletti coscienti del dovere di realizzare questi aspetti, che non sono i minori, di un effettivo e non meramente nominalistico Stato di diritto e sociale. Non esiste vera giustizia quando alle solenni affermazioni garantistiche della Costituzione e delle altre leggi non corrispondono provvedimenti adeguati sul piano procedurale. Attraverso le maglie di una procedura incongrua il più sacrale dei diritti può rimanere evanescente affermazione di principio confermando il più denigrante dei nostri brocardi: summus ius, summa iniuria. Lo Stato sociale, lo Stato di diritto, in una parola lo Stato moderno non deve limitarsi al riconoscimento astratto di una certa posizione giuridica ma deve apprestare mezzi e strumenti tendenti a dare la certezza di una giustizia pronta, sollecita, efficace, completa, ed accessibile a tutti. 43

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