The creative elaboration of a real-life experience and its transformation in a work of art

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1 64 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. JUNE 2007, VOL. 5 NUMBER 2 ORIGINAL ARTICLE The creative elaboration of a real-life experience and its transformation in a work of art To become stage director of one s personal history: an accompaniment through the discovery of life experience thanks to a theatrical process L elaborazione creativa del proprio vissuto e la sua trasformazione in opera d arte Divenire regista della propria storia: un accompagnamento alla scoperta del vissuto individuale grazie ad un processo teatrale Benedetta Barabino 1, Marcos Malavia 2 et Jean-Philippe Assal 3 1 Biologa, Fondazione Educazione e Ricerca per l Insegnamento ai Malati, Ginevra 2 Regista, Direttore della compagnia teatrale Sourous, Parigi e della Scuola Nazionale di Teatro della Bolivia 3 Medico, Direttore della Fondazione Educazione e Ricerca per l Insegnamento ai Malati, Ginevra Abstract The inability to air significant life events is a problem that goes beyond the borders of the world of medicine and chronic diseases. This is particularly true for cultures like ours, where suffering and stress often do not find the fertile ground for their expression and for their elaboration. The workshop Expression and Experience, through a creative process of writing and stage direction, offers to its participants the occasion to express, elaborate and share a significant life experience. A professional stage director and two actors guide and support the participant through this complex process. The life experience, as traumatic as it may be, is not considered as a symptom in need of treatment but as potential raw material for creation. Theatre, through its metaphorical language, enables the participant to elaborate his/her own life event in a work of art. This creative and empowering process opens new unexpected ways of looking at the event itself, allowing the participant to start an internal transformational process. Keywords: adult-education, art, creativity, elaboration, experience, metaphor, mimesis, process, theatre, transformation Journal of Medicine and The Person, 2007; 5(2): Submitted September 16 th 2006, Accepted October 28 th 2006 Introduzione Nella nostra società ci si interessa al vissuto individuale solo quando interferisce in maniera importante con il percorso di vita della persona. L approccio psicologico o psichiatrico offre allora un aiuto importante: le sedute private, le tavole rotonde o le terapie di gruppo sono metodi validi affinché l individuo possa descrivere gli eventi, meglio comprendere le cause della propria sofferenza ed elaborarne eventualmente soluzioni. Tali approcci si concentrano spesso sull aspetto patologico del vissuto e sui diversi modi di affrontarlo. Se la persona non si trova in una situazione di crisi, il vissuto critico spesso non viene affrontato e resta incapsulato in una sorta di ibernazione all interno dell individuo. La sofferenza ha bisogno di essere detta e condivisa; deve trovare un interlocutore. Il sintomo, la crisi, sono spesso la manifestazione di una sofferenza che non ha trovato destinatario cui indirizzarsi. Jean-Philippe Assal si è interessato per anni all influenza che il vissuto dei pazienti e del personale medico in ambito ospedaliero ha sulla evoluzione del disagio. Resosi conto della resistenza degli individui nei confronti del supporto psicologico e della confusione che spesso esiste tra il vissuto difficile e la malattia psichiatrica, ha sentito il bisogno di trovare delle vie alternative per affrontare e facilitare l espressione del vissuto individuale. Tale ricerca ha portato alla nascita del laboratorio Espressione e Vissuto ( Expression et Vécu ) che consiste nell espressione del proprio vissuto attraverso la scrittura di un dialogo completata da una messa in scena teatrale. Nato nel 2001 nell ambito del Servizio di Educazione Terapeutica del Paziente nel Dipartimento di Medicina Interna dell Ospedale Universitario di Ginevra, grazie alla

2 Original Article. Benedetta Barabino et al 65 collaborazione tra Jean-Philippe Assal e Marcos Malavia, esso si indirizzava in un primo tempo esclusivamente a pazienti affetti da malattie croniche. In seguito, medici ed infermieri hanno espresso il desiderio di potervi partecipare. Ripreso dalla Fondazione Educazione e Ricerca per l Insegnamento ai Malati, il laboratorio vede, da tre anni, la partecipazione dell organico del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra. Fino ad oggi circa 130 persone hanno potuto beneficiare di questa esperienza. La natura del vissuto Il vissuto è costituito dall evento in sé (una malattia, una guerra, la perdita di una persona cara, oppure un successo, una promozione, ecc.) e dal significato che l individuo gli attribuisce. Esso è dunque intimamente legato alla persona, alla sua maniera di comprendere la propria vita, ai suoi valori, alle sue esperienze passate e alle sue credenze. Se è vero che nella maggioranza dei casi la natura dell evento passato non può essere cambiata, il senso che gli viene dato può sempre evolvere. Secondo Viktor Frankl, psichiatra, fondatore della logo-terapia (un nuovo orientamento della psichiatria moderna centrato sulla ricerca del senso della propria esistenza) e sopravvisuto ai campi di concentramento nazisti, il significato di un vissuto doloroso non risiede nel fatto che si soffre ma nel come si soffre. L esperienza nei campi di concentramento ha rinforzato la sua convinzione che la capacità di sovravvivenza in condizioni estreme è intimamente connessa al significato che l individuo dà alla propria esperienza e alla propria vita. Quello che conta dunque, «dal punto di vista della medicina o meglio dal punto di vista del malato è l atteggiamento assunto di fronte alla malattia, la posizione che si prende. [ ] Il come l uomo sopporterà una sofferenza inevitabile, racchiude una possibilità di significato dell esistenza» (Frankl, 1990, p.74) Lavorare al proprio vissuto Lavorare al proprio vissuto significa dunque lavorare sul significato che gli si attribuisce. Il laboratorio Espressione e Vissuto consiste nello scrivere, sotto forma di dialogo, una propria esperienza significativa e nel metterla in scena. Il partecipante é accompagnato in questo processo da un regista e da attori professionisti. Tale elaborazione artistica della propria esperienza permette di scoprire e rivelare il significato contenuto nel vissuto e quindi nel percorso di vita della persona. Questo significato non può venire dall esterno e neppure dall animatore del gruppo o dallo psicologo; deve essere ricercato dall individuo stesso. Questo processo attinge dunque le proprie radici nella fiducia nel potenziale creativo dell essere umano, nella sua inerente capacità di dare un significato a un avvenimento importante della propria vita. Perché un tale lavoro di elaborazione sia possibile la relazione della persona con il proprio vissuto deve essere viva e libera di evolvere. Lo psichiatra Bierens de Han, che ha lavorato per diversi anni al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), spiega nel suo libro I salvatori dell impossibile ( Les sauveteurs de l impossible ) che la mancanza di ventilazione dello stress si rivela spesso più pericolosa del fatto stesso d essere confrontato con situazioni ad alto rischio; la guerra in Vietnam ha visto morire soldati americani per suicidio, più del doppio di quelli che hanno perso la vita sul fronte (Bierens de Han, 2005). I Centri di Veterani sono stati la risposta da parte dei sopravvissuti al bisogno di ventilare, di entrare in relazione con il proprio vissuto traumatico. D altra parte l insuccesso della psichiatria nei confronti di questa realtà drammatica ha portato alla luce la debolezza dei criteri medici nell elaborazione del vissuto. Se da una parte il lavoro d analisi ha permesso in questo caso di sviluppare dei nuovi criteri diagnostici, dall altra non ha saputo proporre delle soluzioni efficaci. La mancanza di ventilazione del proprio vissuto é una problematica che riguarda non solo il mondo della medicina ma tutti i campi, in particolare in una società in cui sofferenza e stress non trovano spazio per esprimersi. Ne consegue un ripiegamento su se stessi ed il tentativo di nascondere le proprie emozioni. Favorire, grazie al laboratorio teatrale, l approccio creativo al proprio vissuto Il rischio inerente all azione terapeutica è dovuto al fatto che spesso terapeuta e paziente restano entrambi concentrati sul problema da risolvere. Cosa si può fare in più con il vissuto, oltre che analizzarlo, metterne in evidenza le problematiche, cercare delle soluzioni lenitive o semplicemente trovare delle parole per poterlo esprimere? La forza del laboratorio Espressione e Vissuto sta nel fatto che il vissuto significativo non è visto come un sintomo da curare, ma come un potenziale da scoprire. Tramite il processo creativo di scrittura e messa in scena, esso permette di elaborare e di valorizzare il vissuto e dunque la persona; il vissuto stesso, per quanto difficile o doloroso, diventa la materia prima della creazione. Un partecipante ha commentato: «La mia piccola storia che sembrava tanto banale é divenuta un opera d arte». Parliamo di opera d arte quando il testo, rinforzato dalla messa in scena, esprime il vissuto profondo e si trova in accordo completo con l individuo. Questo é possibile Punto Effe, 2007

3 66 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. JUNE 2007, VOL. 5 NUMBER 2 grazie alla presenza di un regista professionista il cui ruolo è quello di tradurre il senso espresso dal testo in messa in scena e al fatto che l individuo si trova in un contesto di libertà e fiducia, dove non deve difendere quello che è, o giustificare ciò che fa. Il laboratorio teatrale Espressione e Vissuto : tappe del processo creativo L équipe, che si riunisce per tre giorni, è formata da un gruppo di partecipanti (da 5 a 8), un regista e due attori professionisti, ed uno/a psicologo/a. Il primo giorno i partecipanti sono invitati a scrivere un dialogo o un monologo su un evento significativo della loro vita. Per favorire il lavoro di scrittura, vengono date a ciascuno alcune direttive specifiche (per esempio delle frasi brevi da inserire nel testo e/o la riproduzione di un quadro che possa essere d ispirazione alla scrittura). Piu di un racconto autobiografico o una testimonianza, la scrittura teatrale, destinata ad essere rappresentata, implica il trasferimento ad una dimensione metaforica. Le direttive sono già una guida per aiutare lo scrittore a fare il primo passo verso l elaborazione metaforica della propria esperienza. Questa tappa di scrittura permette al partecipante di prendere una certa distanza dall evento vero e proprio. La maniera in cui i partecipanti traducono in parole il loro vissuto varia molto. Si passa da testi che descrivono nel dettaglio e con una preoccupazione di oggettività un fatto preciso, a testi totalmente metaforici dove il mondo fattuale lascia il posto ad un universo immaginario. Si notano anche testi che si sviluppano in tempo reale, altri che attraversano la storia di una famiglia di generazione in generazione; testi popolati da personaggi reali o ancora testi dove il dialogo tra i personaggi rappresenta il dialogo tra differenti stati d animo o parti dell autore. La particolarità di ogni testo é in sè il riflesso dell unicità di ogni vissuto e dell unicità di come questo vissuto viene percepito dall autore al momento stesso della scrittura. Dopo la prima versione scritta, il regista invita i partecipanti a mettere il testo in relazione con uno dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco): ogni partecipante sceglie di bruciare, sotterrare, immergere nell acqua o nell aria il proprio testo. L autore entra così in uno spazio simbolico e, allo stesso tempo, in una relazione assai fisica con il suo testo. Il testo stesso comincia a prendere vita. Questo processo rappresenta la prima tappa di presa di distanza, di disidentificazione (Assagioli, 1965) del partecipante dal proprio vissuto. A questo momento, segue una fase di riscrittura del testo. Uno dei partecipanti, dopo aver sotterrato e dissotterrato il suo testo, commenta: «Il mio vissuto non è più lo stesso. Nel sotterrarlo, ho voltato pagina. È uscito dalla terra trasformato. Nella versione finale il mio testo era cambiato e con esso il significato del mio vissuto». Questa messa in relazione con la terra lo ha portato a dare un nuovo senso al proprio vissuto e dunque il vissuto stesso di questa esperienza si é trasformato. Il testo riscritto viene letto alla fine del primo giorno dal suo autore in presenza degli altri partecipanti. La mattina del secondo giorno il testo viene letto da attori professionisti. Questa lettura rappresenta un altra tappa importante nel processo di presa di distanza dal proprio vissuto. Uno dei partecipanti ci ha detto: «In quel momento il mio testo non era più il mio testo. Me ne ero separato fisicamente». È dopo questa lettura che arriva il momento chiave del processo creativo: la messa in scena del testo diretta dal suo autore accompagnato dal regista professionista. Ogni partecipante diventa il regista del proprio vissuto. La lunghezza del testo è di due o tre pagine e la messa in scena dura tra le due e le tre ore. Durante questa tappa, il regista conduce l autore, attraverso un dialogo e domande continue, ad esprimersi sulla pertinenza della messa in scena: deve pronunciarsi sul tipo di musica, il tipo di colore per lo sfondo della scena, sull organizzazione degli scenari e la posizione degli attori. Luce, scenario, musica, intonazione della voce, ecc., permettono di esprimere ciò che spesso le parole non hanno saputo dire. Come dice un partecipante: «questo processo ci avvicina a quello che c è a monte della storia; ci avvicina all emozione che non siamo riusciti ad esprimere esattamente con le parole. La storia, grazie alla messa in scena, prende significato». Il regista deve fare uno sforzo intenso di comprensione del testo per restituire al suo autore il messaggio percepito ed avere il suo accordo per la traduzione di tale messaggio nella messa in scena. Il regista è dunque al servizio totale del partecipante. È colui che «ricerca la radice dalla quale è partito l autore, in modo da ritrovare il soffio originale del testo», come ha testimoniato un partecipante. Il regista entra così in risonanza con l emozione dell autore, l accompagna nelle sue scelte fino a che lui dica: «sì, è esattamente ciò che volevo dire». È colui che rivela ciò che c è tra le righe, che traduce il senso velato delle parole e che scopre le potenzialità creatrici del partecipante, accompagnandolo verso la scoperta del senso profondo del testo e del valore dell esperienza vissuta. In questo processo, l importante è non fermarsi prima di aver trovato il giusto, prima di aver tradotto ciò che si nasconde dietro le parole, prima di aver dato una risposta alla domanda: «Cosa volevate dire con questa frase?». È solo quando il regista è in accordo con l au-

4 Original Article. Benedetta Barabino et al 67 tore del testo che la messa in scena può continuare. Ogni piccolo dettaglio è cruciale. È la ragione per la quale il processo di messa in scena è così lungo (2-3 ore per cinque minuti di rappresentazione). Come spiega uno dei partecipanti, la messa in scena del proprio testo, permette di «decomporre un sentimento, un emozione, qualcosa d interno e di ricomporlo all esterno». In effetti, è uno smantellamento del mondo interiore ed una riedificazione di tale mondo sulla scena: «Tu sei sempre proprietario del testo rappresentato ma ne sei più lontano che all inizio. Si tratta di un distacco che ti permette di guardare in maniera oggettiva ciò che è veramente successo». La messa in scena durante il laboratorio, spiega Marcos Malavia, «è un processo creativo che ci permette di guardare, di svelare all interno di sé, in un faccia a faccia personale, il quadro di cui noi stessi facciamo parte. È come se potessimo guardare, facendone, allo stesso tempo, parte, una foto nella quale viviamo». Durante la tavola rotonda che conclude il laboratorio, un partecipante ha commentato: «L aspetto visivo della messa in scena mi ha molto aiutato a dire «ecco, adesso è distante». Non dimenticheró la mia esperienza vissuta, ma è passata. Sono in un altra fase della mia vita e vederlo mi ha aiutato a prendere ancora più coscienza di questo processo di cambiamento che avevo cominciato a fare scrivendo». Ultima tappa, il terzo giorno: rappresentazione finale delle messe in scena alla quale assistono tutti i partecipanti. «La rappresentazione finale è l eco dei primi gesti» dice Marcos Malavia. Il laboratorio è un «processo circolare in risonanza con il vissuto». Ogni tappa, ognuna paragonabile ad una sorta di parto, permette di rivelare a se stessi il proprio vissuto e di prendere così progressivamente distanza dall evento descritto. Il laboratorio termina con una discussione di gruppo animata dallo/a psicologo/a. Si tratta di uno spazio di scambio e condivisione delle impressioni, delle perplessità, delle emozioni personali e della scoperta dei legami che si sono creati tra i partecipanti grazie all esperienza dei tre giorni precedenti. Qualora i partecipanti lo desiderassero possono contattare di nuovo lo psicologo. Dopo qualche mese una riunione riunisce di nuovo i partecipanti. Molti di loro vorrebbero rifare un tale percorso. Caratteristiche del processo di scrittura e di messa in scena Mimesis: il viaggio del vissuto Scrittura e messa in scena permettono al partecipante del laboratorio di mettere en intrigue la propria storia attraverso un processo di mimesis: sentimenti ed emozioni, motivi ed intenzioni, gioie e dolori dell autore prendono corpo nella carne dei personaggi e prendono forma nelle loro azioni. Con la mimesis concetto introddotto da Aristotele nella Poetica intendiamo la rappresentazione di uomini in azione attraverso l azione dei protagonisti del racconto. Nel laboratorio, parole e azioni dei personaggi non rappresentano la realtà ma la vita interiore dell autore in relazione ad un avvenimento significativo. L autore è accompagnato attraverso un processo simile a quello dell artista quando crea la sua opera. Tale processo creativo rappresenta il carattere innovativo del laboratorio Espressione e Vissuto come metodo di elaborazione dell esperienza. Secondo Aristotele l arte è una forma di mimesis; essa permette di rappresentare sentimenti, passioni, stati d animo come una sorta di secondo linguaggio. Grazie alla mise en intrigue la narrazione propone, come dice Bronckart, «un mondo fittizio nel quale agenti, motivi, intenzioni, ragioni, circostanze, ecc., vengono messi in scena in maniera tale da formare una struttura concordante; in altri termini, essa organizza gli eventi e gli incidenti individuali poco intellegibili in una struttura sensata, ed è attraverso tale struttura che gli eventi e la loro successione temporale diventano suscettibili di prendere senso» (Bronckart, 2005, p.33). La mise en intrigue di un vissuto significativo rende intellegibile, dona un ordine al disordine che spesso caratterizza il vissuto. Essa permette così al suo autore di scoprire significati, realizzati e possibili, nella sua esperienza di vita. Un vissuto significativo nel corso di una vita non è mai un fatto isolato ma fa sempre parte di un flusso continuo, emerge dal passato e apre il futuro. La mise en intrigue consiste in una sorta di incorniciatura di un frammento della storia personale, frammento che contiene in sé il tutto; l evento narrato prende vita indipendente, diventa una storia con un inizio, uno sviluppo ed una fine e allo stesso tempo porta in sé la storia di tutta una vita. Attraverso scrittura e messa in scena, facciamo uno zoom su una storia nella storia della nostra vita. La spirale mimetica Nel suo Tempo e Racconto ( Temps et Récit ), Paul Ricœur individua tre stadi nel processo di mimesis (Ricœur, ): Mimesis I: il tempo della comprensione dell azione, del suo significato, della sua struttura, del suo valore simbolico. Mimesis II: il tempo della creazione del racconto, della mise en intrigue dell azione e dei personaggi. Il vissuto diventa una storia con un inizio, uno svolgimento e una fine. Punto Effe, 2007

5 68 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. JUNE 2007, VOL. 5 NUMBER 2 Mimesis III: il tempo dell incontro del testo con il lettore. «[Il testo] diventa opera attraverso l incontro con il destinatario. Egli gli ridà vita attualizzandolo, conducendolo al suo fine» (Pita, 2005). Con il laboratorio il partecipante é accompagnato attraverso il processo di mimesis a due riprese: Fase 1: la scrittura e la lettura del testo Fase 2: la messa in scena e la rappresentazione teatrale. Ognuna delle due fasi é caratterizzata dai tre tempi descritti da Ricoeur (mimesis 1, 2, 3). Dopo la scrittura e la lettura del testo, il partecipante é accompagnato nuovamente attraverso il ciclo mimetico in tre stadi grazie alla messa in scena e alla rappresentazione teatrale. Nella prima fase, la mimesis I corrisponde al lavoro di comprensione ed elaborazione del vissuto che precede il laboratorio. Il partecipante porta un vissuto significativo che per lui ha un valore, una sruttura e un significato. Nella seconda fase questo lavoro di elaborazione é materializzato dal testo, il vissuto espresso attraverso le parole del suo protagonista. Il tempo della mimesis II constituisce la nascita della storia, del racconto. Il vissuto é messo en intrigue grazie alla scrittura (fase 1) e alla messa in scena (fase 2). Nell ultimo tempo (mimesis III) il testo é ricevuto, grazie alla lettura (fase 1) e alla rappresentazione teatrale (fase 2), dagli altri partecipanti e dall autore stesso che diventa spettatore della sua storia. Con questa ultima tappa si conclude il processo di disidentificazione. L autore rilegge, rivive, condivide la sua esperienza e se ne riappropria in maniera differente; il vissuto prende vita, il suo significato simbolico si rivela e si trasforma. La messa in scena (fase 2) offre un nuovo linguaggio per tradurre altrimenti il vissuto. Se la prima traduzione attraverso la scrittura (fase 1) è in due dimensioni, con la messa in scena se ne aggiunge una terza: il senso profondo, la rivelazione attraverso il linguaggio teatrale di quello che il testo nascondeva ancora. Peter Brook nel suo Punti di sospensione ( Points de suspensions ) scrive: «quello che un libro non può tradurre, quello che un filosofo non può veramente spiegare, può essere portato a consapevolezza dal teatro. Tradurre l intraducibile è uno dei suoi ruoli» (Brook, 1992, p.220). La risultante delle due fasi non è una semplice somma, ma un amplificazione esponenziale dell effetto mimetico. La messa in scena permette all autore di esprimere quello che, nella prima fase, era rimasto nascosto. Con la messa in scena si lavora ad un livello differente, più metaforico, che con la scrittura: si osserva cosi un amplificazione dell effetto mimetico. Questo movimento potrebbe essere rappresentato simbolicamente con una spirale che si apre verso l alto e che chiameremo «spirale mimetica» (Fig. 1). Fig. 1: La spirale mimetica La spirale mimetica è la risultante delle due fasi di scrittura-lettura e messa in scena-rappresentazione teatrale. Ognuna delle due fasi si sviluppa in tre tempi: Scrittura e lettura: Mimesis I: precomprensione del vissuto significativo Mimesis II: messa en intrigue attraverso la scrittura del dialogo Mimesis III: lettura del testo e ricezione dalla parte dei partecipanti e dell autore Messa in scena e rappresentazione teatrale: Mimesis I: vissuto significativo sotto forma di testo scritto Mimesis II: messa in scena del dialogo Mimesis III: rappresentazione del testo e ricezione da parte dei partecipanti e dell autore-regista La messa in scena, un universo d immagini in cui tutto è possibile Il teatro ed il suo linguaggio metaforico permettono di entrare in un universo dove tutto è possibile, un universo di immagini e di scene dove la creatività viene liberata. In questo universo si possono intravedere soluzioni che prima risultavano impossibili, si possono scoprire nuovi potenziali d azione. Si può reinventare la propria storia, si può rivedere la propria esperienza con una luce diversa e dunque si può elaborare un nuovo significato del proprio vissuto. La traduzione del racconto in immagini metaforiche ci conduce nell universo della finzione. E, come spiega Nancy Murzilli nel suo articolo L esplorazione dei possibili ( L exploration des possibles ): «La finzione permette di moltiplicare all infinito la sperimentazione dei possibili, così come altrettanti punti di vista differenti su un aspetto delle cose, e, facendo ciò, ci apporta una migliore comprensione del mondo» (Murzilli, 2006). Eventi, personaggi, rappresentazioni contraddittorie possono prendere posto allo stesso tempo sulla scena. «Il teatro ha il potenziale, che non esiste in nessun altra forma d arte, di sostituire un

6 Original Article. Benedetta Barabino et al 69 punto di vista unico con una moltitudine di altre prospettive. Il teatro può mostrare contemporaneamente un mondo in più dimensioni» scrive Peter Brook (Brook, 1992, p.29). «Ogni storia alla quale assisto, è anche la mia»: la storia personale s iscrive nella storia umana Il processo di mimesis ed il linguaggio metaforico permettono al vissuto espresso di trascendere la dimensione dell individuo per raggiungere, in tutte le forme artistiche, una dimensione universale. L esperienza individuale diventa un esperienza che parla all Altro. S iscrive nell umanità. «Ogni storia è anche la mia» spiega una partecipante dopo aver assistito alla messa in scena dei testi degli altri. Questa condivisione ci umanizza. Emmanuelle Assal, psicologa, che ha seguito il laboratorio per diversi anni, spiega: «Quando tu esprimi simbolicamente qualcosa di primordiale, che appartiene alla vita, attravero la tua esperienza l altro diventa tuo fratello». Il fatto che un vissuto strettamente personale arrivi ad essere condiviso fa già parte di un processo di presa di distanza. Non si può condividere ciò che resta racchiuso in sé. Si deve in qualche modo farlo uscire dal sé, esprimerlo. Nel processo di disidentificazione, l altro gioca un ruolo chiave: è testimone del nostro vissuto, ed in qualche modo, questo vissuto risuona in lui in quanto essere umano. Dunque questa condivisione mette in contatto l individuo con la propria umanità. L altro é chiamato a testimoniare la nostra sofferenza. Il fatto di non essere più soli nella sofferenza ci umanizza ed umanizza anche colui che ascolta e che accoglie. Spesso l esperienza traumatica crea all interno dell individuo una frattura, una perdita del legame con se stesso che gli impedisce di abitare il proprio vissuto. Condividere la propria sofferenza permette di ritessere tale legame. «Quello che ho trovato di straordinario, era anche di assistere alle messe in scena degli altri. Ti avvalevi così della storia dell altro cui eri molto vicino. Passavi attraverso il suo vissuto, le sue difficoltà, le sue sofferenze. Eravamo un gruppo di 5 ed abbiamo vissuto 5 volte la nostra storia attraverso gli altri. E questo è un riavvicinamento; si è molto vicini in questi momenti» commenta un partecipante. Un altro continua: «C erano dei momenti in cui mi sono riconosciuto nelle scene degli altri». Il fatto che ognuno, attraverso la lettura e la messa in scena del proprio testo, si rivela e si apre all altro, permette di creare e di rinforzare i legami interpersonali. «Il fatto d aver condiviso la mia esperienza mi ha permesso di conoscermi meglio e di rinforzare le mie relazioni con gli altri colleghi. Mi sento più vicino agli altri. La condivisione reciproca ha favorito lo sviluppo della fiducia ed altri legami si sono tessuti». Un altra partecipante dopo aver preso parte al laboratorio insieme alla sua équipe ha osservato all interno del gruppo un interesse ed un ascolto reciproco maggiore: «In seguito al laboratorio il tutto bene del mattino non era più una formula banale». «Sono io, ma non sono più io»: il processo di presa di distanza Il processo di scrittura-lettura-messa in scena e rappresentazione teatrale permette, attraverso una metaforizzazione progressiva dell esperienza di vita, di prendere distanza rispetto al vissuto iniziale. Un partecipante commenta: «C è chiaramente una presa di distanza che si fa e che ti permette di osservare quello che è successo in modo più neutro e critico. È la prima volta che ho potuto prendere distanza e vedere quello che era veramente successo». Come per la relazione tra gli individui, se la distanza che li separa è troppo piccola, la relazione rischia di essere soffocata. D altra parte, se gli individui si allontanano troppo, la relazione può perdersi. Esiste dunque una distanza ottimale nella quale gli individui sono liberi di essere pienamente se stessi e di poter evolvere nella relazione. Questa distanza, che permette di veder l altro, lascia a ciascuno lo spazio necessario alla trasformazione. Lo stesso accade nella relazione tra l individuo ed il proprio vissuto. Deve esistere una distanza ottimale in un prolungamento del sé, una distanza liberatoria, una distanza all interno della quale la relazione è libera di evolvere. Questa distanza non è un allontanamento dal proprio vissuto, ma un integrazione dell individuo al proprio vissuto. «È un piccolo miracolo, un colpo di bacchetta magica. Il risultato finale era, da una parte, quello che avevo scritto e allo stesso tempo non aveva più niente a che vedere con esso. Da un lato avviene quello che si chiama presa di distanza e dall altro una riappropriazione» ha spiegato uno dei partecipanti dopo l esperienza del laboratorio. La trasformazione del vissuto e l apertura di nuovi potenziali d azione Per Elisabeth Kübler-Ross, «è impossibile vivere pienamente la propria vita se non ci si libera della propria negatività» (Kübler-Ross, 1998). Grazie al processo di presa di distanza (scrittura-lettura-messa in scena-rappresentazione teatrale), il vissuto, liberato dai diversi strati della capsula che l imprigiona, può evolvere, trasformarsi. Questa trasformazione si manifesta attraverso le nuove possibilità d azione che descrivono i partecipanti. Una madre di famiglia, abitando negli Stati Uniti, si colpevolizzava di non aver potuto occuparsi come avrebbe voluto di suo figlio; in seguito al laboratorio, ebbe l oc- Punto Effe, 2007

7 70 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. JUNE 2007, VOL. 5 NUMBER 2 casione di andare a fargli visita in Francia e decise di condividere con lui la sua preoccupazione. Un altra partecipante medico spiega che, dopo il laboratorio, nelle sue relazioni con i pazienti ha potuto «accordare una comprensione più forte ed un rispetto più profondo per quello che vivevano. Ho visto l importanza di condividere queste emozioni con il gruppo». Un altra partecipante dopo aver messo in scena l esperienza traumatizzante di un guasto al motore della sua barca che aveva messo la sua vita in pericolo, ha scritto: «Ho già ripreso la barca sapendo che questa situazione potrebbe riprodursi. Ma, qualora capitasse di nuovo penso che la vivrei in un altro modo». Questi esempi mostrano come, per citare Vygotski, «percepire le cose altrimenti, significa allo stesso tempo acquisire altre possibilità d azione in relazione ad esse» (Vygotski, 1997). È il potere del linguaggio metaforico del teatro che rende tutto questo possibile. Secondo Paul Ricœur una delle funzioni del linguaggio è quella di raffigurare il mondo e quindi di comprendere in maniera diversa l esperienza vissuta grazie ad un processo metaforico. Nella Metafora viva ( Métaphore vive ) egli definisce la metafora come «un processo retorico attraverso il quale il discorso libera il potere che certe finzioni comportano di descrivere la realtà» (Ricoeur, 1975). Viktor Frankl afferma che «ogni essere umano possiede la libertà di cambiare in ogni istante» (Frankl, 2006, p.119). Se è vero che la natura del vissuto è costituita essenzialmente dalla relazione dell individuo con l evento al quale è stato confrontato, allora è anche vero che in ogni istante questo vissuto, anche passato, può evolvere. Un entourage accogliente, rispettoso ed empatico Affinchè l autore del testo possa disidentificarsi e riappropriarsi del proprio vissuto, è necessario che questo vissuto sia rispettato, che la sua storia resti la sua e che non sia tradita dalla messa in scena. Il rispetto totale del vissuto nel testo è un elemento chiave. Nel teatro se l attore o il regista giudicano i personaggi, questi ultimi non possono prendere vita sulla scena. È dunque loro necessario essere totalmente in ascolto del testo e del suo autore. Lo sguardo esteriore empatico rispetto all esperienza è il solo garante che la storia di vita possa essere descritta e difesa. Per Peter Brook, «il regista deve ascoltare all interno, ascoltare i movimenti interiori del processo nascosto» (Brook, 1992, p.239). Come dice Marcos Malavia un atteggiamento analitico da parte del regista rischia di «rompere totalmente la storia». Durante tutto il processo del laboratorio la maggior parte dei partecipanti dichiara di sentirsi ascoltata e compresa dal regista. Quest ultimo entra in risonanza con il testo e dunque con il vissuto. La partecipazione empatica e non giudicante delle altre persone che compongono il gruppo trasmette fiducia all autore. Infine, essere in ascolto di se stesso e del proprio testo è anche determinante per poter scegliere tra le diverse proposte del regista. Una partecipante commenta: «Non ho dovuto giustificarmi, dare delle spiegazioni. Ho sentito una grande libertà quando ho partecipato alla mia messa in scena. Non dovevo rendere conto a nessuno sulla veridicità della mia rappresentazione. L importante era che il fatto per me era reale, reale per la mia propria soggettività. Il fatto di avere espresso il mio vissuto mi ha permesso di lasciarlo partire per sempre». Intervistata in seguito ad un laboratorio, la psicologa Emmanuelle Assal commentava: «I partecipanti hanno spesso riconosciuto la qualità dell entourage empatico che assumeva una funzione riparatrice. Là, dove c è una malattia o una sofferenza estrema, c è una rottura con se stessi. La presenza e l ascolto da parte degli altri aiuta. L altro, per il fatto che si mette in relazione con te, permette di creare un ponte tra te e se stesso. Molto spesso in una grande sofferenza c è un estrema solitudine. Penso che essere ascoltati con empatia dall altro possa offrire una via d uscita ad una situazione che sembrava bloccata». Diventare regista della propria storia: un processo formatore La messa in scena permette di passare da un ruolo passivo di fronte al proprio vissuto ad un ruolo d attore. Grazie alla metafora ed all immaginario è possibile agire sul vissuto di un azione o un avvenimento passato, liberarlo e dare nascita ad una nuova azione. John Dewey, pioniere dell apprendimento basato sull esperienza, scrive: «Un esperienza è anti-educativa quando il suo effetto è quello di arrestare o di deformare lo sviluppo di nuove esperienze» (Dewey, 1997, p.25). Al contrario dunque l esperienza é formativa quando incoraggia e apre la strada a nuove esperienze e potenziali d azione. Il laboratorio, permettendo ad esperienze dolorose e spesso traumatiche di rivelare tutto il loro potenziale creativo, ha in questo senso un effetto formatore sul partecipante. Nello stimolare la presa di coscienza del proprio potere d azione, il processo creativo riattiva in lui un sentimento di speranza. L indicibile entra in scena La traduzione del vissuto in linguaggio teatrale è un processo intuitivo, creativo e non analitico. L immaginario occupa un posto centrale. Esso ci permette di avvicinarci ad una realtà soggettiva spesso indicibile. Ogni testo contiene un certo numero di chiavi di lettura che

8 Original Article. Benedetta Barabino et al 71 solo il suo autore conosce, metafore del suo mondo interiore. La messa in scena permette di svelare una parte di questo mondo, di svelare l indicibile, quello che le parole non arrivano ad esprimere. Sul palcoscenico, emozioni e sentimenti prendono corpo; il testo s incarna, prende vita, acquisisce una dimensione organica nel corpo e nell agire dell attore. Marcos Malavia spiega: «Lo strumento teatrale dona corpo, forma alla sofferenza interiore. Quando questa diventa fisica, corporale, organica, quando è vissuta dagli altri (attori e spettatori), allora può essere che: Non sono più io. Senza le tappe di traduzione metaforica attraverso la scrittura del dialogo e la messa in scena il processo di presa di distanza non sarebbe completo, rischierebbe di fermarsi ad un livello più superficiale, più cronicistico del vissuto. Non si arriverebbe dunque a raggiungere la dimensione dell indicibile. Questo processo di traduzione metaforica non è un processo spontaneo; è passando attraverso metafore intermediarie, in qualche sorta maldestre, che si arriva, alla fine dei tre giorni ed in modo progressivo, alla metafora finale che verrà scoperta nella rappresentazione teatrale. Conclusioni Quando un vissuto significativo difficile viene trasceso grazie al processo teatrale e si ottiene un equilibrio tra il vissuto originale, il testo scritto e la messa in scena, si può allora parlare d opera d arte. In questo caso, questa nozione si avvicina a quella di bellezza più che a quella di produzione artistica. Elisabeth Kübler-Ross, dopo aver perso in una notte la sua casa e tutto ciò che possedeva in un incendio doloso, scrive nella sua autobiografia: «Riconosco che è difficile associare questa notte d ottobre al concetto di bellezza. Ma, durante tutta la mia vita, ho dovuto affrontare tali sfide scrutando l orizzonte per scoprire qualcosa che era praticamente impossibile vedere. In tali circostanze si può rinforzare la negatività e cercare i colpevoli, o si può scegliere la via della guarigione e dell amore. Siccome sono persuasa che la nostra unica ragione d essere sia quella di evolvere, la mia scelta fu presto fatta» (Kübler-Ross, 1998). Con queste parole Elisabeth Kübler-Ross ha espresso la sua fede nel potenziale che esiste in ogni esperienza di vita di farci evolvere e dunque di renderci più forti. In questo senso il laboratorio Espressione e Vissuto come luogo di elaborazione dell esperienza personale permette al vissuto di ogni partecipante di prendere forma, di esprimersi liberamente nelle sue diverse dimensioni (diniego della realtà, ribellione dinnanzi ad una perdita importante, rassegnazione di fronte alle difficoltà, angoscia di fronte a nuove responsabilità, percezione della propria fragilità, ecc.), di essere condiviso con gli altri e di rivelare nuovi significati e possibiltà d evoluzione. Allora, come dice Elisabeth Kübler-Ross, una volta che «abbiamo imparato le nostre lezioni [dalle nostre esperienze difficili], il dolore sparisce» (Kübler-Ross, 1998). Indirizzo per la corrispondenza: Prof. Jean-Philippe Assal Fondation Education et Recherche pour l Enseignement aux Malades 52, Bld. St-Georges 1205 Genève Suisse jphassal@gmail.com REFERENZE Assagioli Roberto (1965) Principi e metodi della Psicosintesi Terapeutica, Roma:Astrolabio Bierens de Han Barthold (2005). Les sauveteurs de l impossible, Parigi: Belin Bronckart Jean-Paul (2005). Une introduction aux théories de l action, Carnet de science de l éducation, Università di Ginevra Brook Peter (1992). Point de suspensions, Parigi: Editions du Seuil [Edizione originale: 1987] Dewey John (1997). Experience and Education, NY: Touchstone Frankl Viktor (1990). Alla ricerca di un significato della vita, Milano: Mursia [Edizione originale: 1952] Frankl Viktor (2006). Découvrir un sens à sa vie avec la logothérapie, Quebec: Les Editions de l homme [Edizione originale: 1959] Kübler-Ross Elisabeth (1998). Mémoires de vie, mémoires d éternité, JC Lattès Murzilli Nancy (2006). L exploration des possibles, Sciences Humaines, 174, Pita Juan Carlos (2005). Ecriture et démarche histoires de vie, Tesi di laurea, FAPSE, Università di Ginevra Ricoeur Paul (1975). La métaphore vive, Parigi: Editions du Seuil Ricoeur Paul ( ). Temps et récit, Parigi: Editions du Seuil Vygotski Lev (1997). Pensée et langage, Parigi: La Dispute [Edizione originale: 1934] Gli autori ringraziano per la preziosa collaborazione: Christina Anzules, Emanuelle Assal, Jaqueline Avril, Francesca Barabino, Olivier Beetschen, Bachtold Bierens de Hahn, Henri Danon Boileau, Catherine Büchi, Jean-Luc Farquet, Alain Golay, Jean-Luc Grandin, Anne Lacroix, Anna Limoni, Guy Olivier Second, Valentine Sergo, Laurence Türkal. Punto Effe, 2007

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