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1 IL NOTIZIARIO del C.A.I. Padova Notiziario CAI n. 1 Estate Semestrale. Poste Italiane Spa. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD

2 sommario sommario CLUB ALPINO ITALIANO SEZIONE DI PADOVA Cronache Consiglio Direttivo Anno 2007 Un ciliegio a Rocca Pendice di Michela Drusian L inaugurazione della Torre dei Materiali di Giuliano Bressan Lo scempio del Cervino di Elena Turchetti 14 Cerimonia e annuncio al Cippo di Giovanni Piva La nostra storia 19 Avventura sul Mercedario di Leri Zilio Diario Alpino Ladakh India Incontro tra cultura e alpinismo di Renato Beriotto e Roberta Bettini Canada Ice and Snow Tour 2007 di Francesco Cappellari Riflessi di Daniela Grigoletto Un altra riga sul nostro viso di Francesco Cappellari Cima Immink - Diario di una giornata in solitaria di Marco Schiavon Inverno 2007, in Italia poca neve in Marocco invece... di Angelo Soravia Il viaggio 58 La scoperta delle Langhe di Angelo Soravia Escursionismo 60 1 Corso di Escursionismo di Base 2006 Alpinismo Corso di Roccia In libreria Ricordiamo SEMESTRALE SEGRETERIA REDAZIONALE c/o Sezione CAI Padova - Gall. S. Bernardino, 5/10 Tel info@caipadova.it Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DR PD Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 401 del DIRETTORE RESPONSABILE: Giovanni Piva VICE-DIRETTORE: Lucio De Franceschi COMITATO DI REDAZIONE: Francesco Cappellari, Leri Zilio IMPAGINAZIONE GRAFICA e STAMPA: Officina Creativa IN COPERTINA: Parinacota 6342 m (Cile) Foto: Giovanna Galeazzo, Marco di Tommaso e Federico Battaglin 3

3 cronache cronache cronache Consiglio Direttivo Anno 2007 UN CILIEGIO A ROCCA PENDICE Nel corso dell ultima Assemblea dei Soci, tenutasi il 30 marzo scorso presso l Auditorium Modigliani, sono stati votati i nuovi Consiglieri. La compagine del Consiglio Direttivo è così ora composta. Sabato 31 marzo, è stato piantato un ciliegio a Rocca Pendice, nell area attrezzata. C erano i familiari di Olivia e i suoi amici. Non croci né tristi lapidi, ma un albero, che è vita e bellezza. È stata una bella giornata, bella come quella in cui Olivia se n è andata. 4 PRESIDENTE Ragana Armando VICE PRESIDENTE Ferro Oddo SEGRETARIO Sartorati Luigina TESORIERE Soravia Angelo CONSIGLIERI Baliello Giampaolo, Beriotto Renato, Carpesio Sergio, De Franceschi Lucio, Edifizi Stefano, Feltrin Antonio, Guglielmi Maurizio, Magro Paolo, Montecchio Gianni, Schirato Giorgio, Stefani Mario, Tognon Tonino, Tosato Antonio, Venturato Raffaello. REVISORE DEI CONTI Luzzato Valeria, Carretta Lucio, Munari G.Franco. DELEGATI Ragana Armando, Carrari Luciano, Fantin Stefano, Mastellaro Antonio, Sartorati Luigina, Tosato Antonio, Zecchini Giorgio. Molti mi hanno chiesto: ma di che parlavate, cosa stavate dicendo che lei si è distratta mentre si faceva il nodo? Era una bella giornata, il sole filtrava in mezzo agli alberi e un venticello lieve rinfrescava. Tra una via e l altra mangiavamo qualche ciliegia. Le aveva portate Olivia, che le aveva comperate al mercato il giorno prima. Siamo arrivate in Est che non c era ancora nessuno, era il giorno di Sant Antonio, l università era chiusa, la voglia di passare una bella giornata era più forte del pensiero del lavoro. Abbiamo iniziato con una delle vie facili, Olivia l ha tirata, poi è stato il mio turno. Olivia un po mi ha preso in giro per il fatto che le facevo portare su i rinvii, così il lavoro duro toccava a lei. E io, ovviamente, ribattevo con la solita cantilena degli arrampicatori, che lei era alta e di fatica ne faceva comunque meno di me. Ci piaceva arrampicare, era una gioia, quel giorno la nostra cordata era in pace. Finita la prima via, ci siamo spostate un po a destra, per fare quella adiacente, ancora una via facile di riscaldamento. Era un periodo in cui Olivia arrampicava benissimo, era proprio in forma, non sbagliava una presa o un appoggio, non aveva incertezze. Procedeva leggera leggera, lunga e magra, con quella apertura di gambe che le faceva risolvere sempre tutti i passaggi. Ecco, la tacchettina, la punta del piede su un appoggio, un po levigato forse, ma non fa niente, è tutto talmente bello. Un movimento di equilibrio, giusto per rendere la salita un po coreografica e su, all altro spit, 5

4 cronache cronache 6 poi il rinvio, poi la corda, poi lo sguardo in su, ancora, per vedere dove andare. Com è bello. È bello arrampicare, è bello il sole, e il vento che ci voleva proprio, e la roccia, che dà un gusto a prenderla e a salirla. È scura, ma solida e dà fiducia. Sono arrivate altre due cordate, un ragazzo con una ragazza alle prime armi, e due amici, Carlo e Luca. Abbiamo fatto ancora un 5c, con un passaggio che se non sai dov è la presa che ti permette di salire sullo sperone di roccia, un po stai lì a pensare come faccia a essere un 5c. Tocca poi di nuovo a me, e per fortuna che c erano i rinvii su, altrimenti facevo il doppio della fatica. In quei giorni avrebbe dovuto essere in Sardegna, con gli amici di Roma, ma per lavoro aveva deciso di restare a Padova e di rimandare le vacanze di un po. Ma quel giorno di festa, quello ci voleva, perché sarebbe stato un peccato passarlo in casa a studiare, a rivedere le sue formule e le sue logiche. Spostiamo la corda alla base della via che preferivo, perché è una bella placca, con movimenti e spostamenti che danno soddisfazione. La guardiamo dal basso, insieme, individuiamo la linea, gli spit, la catena. E visto che oggi è giornata, ma sì dai, vediamo anche com è il secondo tiro. Chiedo a Carlo come si chiama il secondo tiro, lui mi dice scherzando che ha un nome particolare, si chiama Banda Bassotti secondo tiro. Ridiamo di gusto e le passo i rinvii. Mi siedo sul sasso che c è lì vicino alla partenza e guardo Luca e Carlo che hanno appena fatto una via, che io non ho mai fatto, e chissà se. Quando mi giro la vedo con le scarpette già indossate, pronta a partire. Allora, veloce, prendo la corda e la passo dentro il gri gri, le chiedo pronta? Ok, vado, mi dice lei. Mentre si legava non stavamo dicendo nulla. Vorrei poter dire che stavamo parlando di lavoro o di chissà che cosa di così importante da farla, da farci, distrarre. E invece. Passa il primo spit, arriva al secondo, mette il rinvio e prende corda come faceva lei, allungava il braccio e prendeva la corda che le serviva, raramente teneva la corda con i denti. Prosegue, senza incertezze, la via è bella e semplice per lei. Arriva in catena, passa la corda nel moschettone e guarda in su, verso l altro tiro. La prima catena di quella via è su un terrazzino, su cui si sta in piedi, senza appendersi all imbrago. Ma sì, la giornata è buona e le va di provare, si sente bene e ha voglia di arrampicare. Prosegue e mette il rinvio dopo la sosta, allora torna un pochino in giù per togliere la corda dalla catena, sennò fa troppo attrito. Ha il rinvio all altezza del bacino e la aspetta una pancetta da passare per arrivare all altro spit. Trova un appiglio, allora alza i piedi su due begli appoggi, poi per allungare un braccio per cercare un altro appiglio si stende sulla pancetta. L appiglio non c è, e intanto sta lì a cercare e si stanca. Da giù la stiamo tutti guardando e la incoraggiamo, dai, tieni duro, ce la fai, alé, sei messa bene, trova qualcosa, tranquilla. Lei da su, non trova niente, la mano sinistra si sta aprendo e non le piace volare, ma tranquilla hai il rinvio appena sotto, ti tengo, ti tengo. Mi preparo a tenere il volo. La corda non va in tensione. Il gri gri non si blocca. Non ho niente da tenere. C è un ciliegio a Rocca Pendice. È il ciliegio di Olivia. Farà ombra a chi si siede sulle panchine e darà frutti a quelli che passano di lì, arrampicatori verso la Est, ciclisti, escursionisti. Quando sarà grande ospiterà uccellini e magari i gatti si arrampicheranno sul tronco. Olivia amava i gatti e le ciliegie e l arrampicata e le belle giornate di sole, magari con un venticello leggero che rinfresca. Olivia era estremamente precisa e fissata con i nodi che dovevano essere fatti bene. Che cos è stato, come ha fatto, non posso comprenderlo. Mi rimane la pena di non aver guardato il suo nodo. Michela Drusian 7

5 cronache cronache L INAUGURAZIONE DELLA TORRE DEI MATERIALI Domenica 1 aprile alle 11 al Centro Sportivo Brentella di Padova si è inaugurata, alla presenza del Vice Sindaco di Padova dott. Claudio Sinigaglia, dei Vice Presidenti Generali del CAI, Francesco Bianchi, Valeriano Bistoletti, Umberto Martini e del Direttore dott.sa Paola Peila, del Presidente Generale del CAAI Giacomo Stefani, del Presidente della nostra Sezione Armando Ragana, del Direttore della nostra Scuola di Alpinismo Lucio De Franceschi e di altri dirigenti nazionali e veneti del CAI, la nuova Torre messa a punto dalla Commissione Materiali e Tecniche del CAI per testare i materiali alpinistici e le tecniche di assicurazioni in alpinismo. La Torre, originariamente collocata nell area adiacente al Palazzetto dello Sport di S. Lazzaro, deve la sua origine da un idea dell ing. Carlo Zanantoni, all epoca Presidente della Commissione Centrale Materiali e Tecniche, di Giuseppe Secondo Bepi Grazian, di Giuliano Bressan e di Piero Mengotti. Bepi e Giuliano - Istruttori Nazionali della Scuola di Alpinismo Franco Piovan della nostra Sezione - e Piero erano invece membri della Commissione Materiali e Tecniche VFG. Si era, in effetti, capito come una struttura simile al Dodero avrebbe permesso lo svolgimento, in tempi brevi, di un gran numero di prove sui materiali di alpinismo e di rendere i test ripetibili, grazie a condizioni controllate. La torre, ricavata da un ex traliccio Enel dell altezza di 16 metri, opportunamente rinforzato e modificato, è stata realizzata nel 1990 e consente la caduta di una massa di 80 kg in assenza di attriti, per un altezza complessiva di circa 15 metri. La massa scorre mediante cuscinetti a sfere lungo due binari collocati al centro del traliccio, quindi in presenza di attriti trascurabili. Sul traliccio originale sono state inserite due piattaforme a differenti altezze, per ospitare le persone che effettuano le prove o che vi assistono. Negli anni successivi sono state aggiunte un appendice unita al corpo principale da una trave posta a 12 metri di altezza, dalla quale gli utenti possono provare l ebbrezza del volo in totale sicurezza, ed una parete attrezzata posta alla base dove si possono eseguire tutti i tipi di soste per provare le varie tecniche di assicurazione. Su richiesta del Settore Servizi Sportivi del Comune di Padova la Torre è stata trasferita nell inverno 2004 presso il Centro Sportivo Bretella, guadagnando sicurezza, visibilità e prestigio. Le sessioni di prove e gli stage formativi sono ripresi nel marzo 2005; nei mesi seguenti sono state installate una nuova strumentazione di controllo e di registrazione dei dati e sono state realizzate le scale esterne e la copertura del fondo permettendo l effettuazione delle sessioni anche in caso di pioggia. La struttura, unica nel suo genere, si è dimostrata, in questi anni, palestra ideale per gli alpinisti, poiché consente, attraverso un percorso formativo guidato, di apprendere, di provare in prima persona, di fare esperienza diretta sui meccanismi della fisica che regolano la dinamica di questi fenomeni e di acquisire pertanto la padronanza e l esperienza che contribuiscono grandemente ad aumentare il margine di sicurezza delle attività alpinistiche. La Torre costituisce inoltre uno strumento indispensabile di ricerca e di studio - qualche anno fa si sono svolte anche due sessioni, a livello mondiale, della Commissione Sicurezza UIAA, sicuramente nota a tutti gli alpinisti - che consente di aumentare le conoscenze riguardo alle caratteristiche dei materiali, al comportamento di tipi diversi di assicurazione, all esecuzione delle manovre inerenti alla pratica alpinistica. La struttura è visitata ogni anno da un notevole numero di alpinisti e arrampicatori: Istruttori di Alpinismo e Sci- Alpinismo, allievi dei corsi del CAI, membri del CNSAS, Guide Alpine (nel 2006 circa 500 persone hanno partecipato ai vati stage). L inaugurazione della Torre, che pone la città di Padova a centro internazionale per questo genere di ricerche e di test, ha rappresentato anche un importante momento di riconoscimento alla nostra Sezione per il gran contributo d uomini e d idee nella realizzazione e nella gestione della struttura stessa. Senza il fondamentale apporto di Bepi Grazian, Antonio Mastellaro, Giuliano Bressan, Lorenzo Contri, Antonio Feltrin, Silvio Santori, Gian Carlo Zella, Marcello Coradeschi - attuale Presidente della Commissione Materiali e Tecniche V.F.G che gestisce la struttura - e di numerosi altri istruttori della nostra Scuola di Alpinismo quest essenziale palestra-laboratorio non si sarebbe potuta realizzare. Giuliano Bressan (Pres. Comm. Centrale Materiali e Tecniche) 8 9

6 cronache cronache di Elena Turchetti 10 Lo scempio del Cervino Per luglio 2007 è previsto l avvio dei lavori per la costruzione della Piramide sul Piccolo Cervino, nel versante Svizzero. Il progetto è promosso dalla municipalità di Zermatt che vede in esso la possibilità di realizzare la Tour Eiffel svizzera con il conseguente innalzamento della cima della montagna fino a 4000 metri. Si tratta di un opera architettonicamente interessante e sicuramente di grande impatto. Il progetto prevede la costruzione di una struttura in vetro e acciaio alta quasi 120 metri che terminerà con una piattaforma panoramica a metri sul livello del mare. All interno saranno predisposte varie aree con ristoranti, spazi multimediali, e successivamente anche un albergo. Vista la rarefazione dell ossigeno, sono previste camere di compensazione per gli ospiti. Inoltre, sulle pareti esterne della piramide verrano sistemati degli ascensori panoramici che la percorreranno fino a raggiungere la piattaforma finale, circondata da vetrate. Grazie alla leggera inclinazione della costruzione, la piattaforma sembrerà quasi sospesa. Da qui si vedrà lo straordinario spettacolo delle Alpi. Ma sarà anche possibile guardare - sotto i propri piedi attraverso un altra piattaforma alla base crepacci e ghiacciai. Il primo stadio di costruzione, con la realizzazione dell accesso sotterraneo, della caffetteria e degli alloggi, sarà completato per l autunno Tale progetto è volto ad incentivare il turismo nell area svizzera del Cervino, creando nuove attrattive all insegna della modernità e del divertimento. Purtroppo però sono rimaste inascoltate le voci di quanti si sono strenuamente opposti al progetto sostenendo che la montagna va rispettata e deve essere salvaguardata da interventi che ne modificano sostanzialmente l ambiente. La creazione di un parco giochi con centro commerciale a 4000 metri può sembrare la sfida riuscita dell uomo che sovrasta le difficoltà ambientali e si appropria di spazi finora inaccessibili. Risulta però evidente come il fascino che avvolge le cime e come il silenzio delle vette vengano annientati dal chiassoso rumoreggiare di allegri gitanti appena catapultati a 4000 metri pronti ad usare il nuovo gioco messo loro a disposizione. La montagna, nel cuore di chi la ama, rappresenta un interlocutrice silenziosa ed aspra, una maestra che insegna la via e la cui durezza ci obbliga al confronto con noi stessi e con i nostri limiti. Guardare ad una vetta significa cercare dentro noi stessi la forza ed il coraggio per raggiungere la serenità che quella vista ci ispira. I paesaggi naturali incontaminati ci aiutano a cercare e ritrovare il contatto con la Terra e con la nostra natura umana. La realizzazione del progetto della piramide sul Cervino non può certo incontrare il favore di chi ama e rispetta la montagna, ma incontrerà solamente gli interessi di chi da quest opera trarrà enormi benefici economici, aiutato da una clientela sempre più alla ricerca del facile divertimento e dell emozione preconfezionata. Resta a noi far sentire la nostra voce ed esprimere il dissenso per quanto sta accadendo. Elena Turchetti 11

7 cronache cronache di Giovanni Piva 12 Cerimonia e annuncio al Cippo Il rifugio alle Tre Cime cambia nome, a Locatelli si affianca Innerkofler Un angolo di Padova, e finalmente un angolo di pace. Qui, dove fischiavano pallottole fra i reticolati e i proietti degli obici come tremendi pugni lasciavano buche sulla candida roccia macchiata di sangue. Qui, alla forcella Toblin, dove sotto il muto sguardo delle pareti anche le parole hanno avuto toni d aspra contesa per un fazzoletto di paradiso. Una nuova serenità si può ora respirare in quest angolo di Padova, accanto al rifugio, sostando dai pensieri e cercando con l occhio incantato il volo di un rapace nel cielo, o il faticato avanzare di un puntino,...due puntini,... o forse tre, in verticale tra il giallo e il grigio, in retta con le celebri Cime, verso l azzurro. Quest aria nuova scaturisce dall incontro tra due uomini, che avviene ora, molto tempo dopo la loro dipartita. Sepp Innerkofler la fece, il 4 luglio 1915, ad un tiro di schioppo dal suo vecchio ed amato rifugio Drei Zinnen, subito trasformato dalla Guerra in ruderi, così come lui era stato trasformato da uomo delle vette, da vincere e conquistare con gioia e in libertà, a messaggero di rovina e campione da imprese tristi, sospinte a comando. Morì, come sappiamo, cercando di scalare ancora una volta il Paterno, questa volta per tentare di scalzarvi uomini che erano non più graditi ospiti dell incantato regno delle sue crode, ma nemici, giunti dalle valli italiane con armi e cannoni. Non sappiamo invece come, dando credito ora all una ora all altra delle differenti versioni, effettivamente morì. Antonio Locatelli la sua dipartita da quel mondo nuovamente incendiato la fece ben lontano dalla sua Bergamo, vent anni più tardi della guida pusterese. Morì in Etiopia il 27 giugno Anche laggiù si combatteva per conquista e difesa di una terra, e la sorte gli negò di cadere facendo quello in cui era così capace e ardito: volare. Dopo aver superato indenne tanti pericoli sui suoi amati aerei, con cui ebbe a tentare delle vere e proprie imprese, fu vittima sul terreno di una breve ma cruenta scaramuccia intorno ad un accampamento militare. Viaggiatore e giornalista, sapeva anche scalare le montagne e guidò come presidente la sezione del Cai bergamasca, ma fu anche un politico e per qualche tempo podestà della sua città. Il nostro più celebre rifugio cambia nome e d ora in avanti, in omaggio a questi due uomini, sarà il Rifugio Locatelli-Innerkofler. Un incontro simbolico tra due grandi personaggi che riporta una pace completa in un luogo eccezionale. Dieci anni dopo la costruzione del cippo che la nostra sezione su idea del presidente Armando Ragana ha dedicato a Sepp Innerkofler, la comunicazione di questa decisione del direttivo Cai Padova è stata data in occasione dell annuale ritrovo a forcella Toblin, in una cornice istituzionale davvero inconsueta: alla giornata commemorativa in rifugio hanno preso infatti parte, lo scorso 1 luglio, il sindaco Flavio Zanonato, il prefetto Paolo Padoin, il questore Alessandro Marangoni e ancora due assessori del Comune di Padova, Marco Carrai e Daniela Ruffini, il comandante della Polizia municipale Lucio Terrin con alcuni agenti in divisa e il gonfalone della città, oltre ad alcuni volontari della Protezione civile. La santa messa è stata celebrata in quest occasione da padre Secondo Bongiovanni, dell Aloisianum, istituto di studi filosofici della Compagnia di Gesù, su incarico di padre Mario Ciman, che dopo tante celebrazioni al Locatelli, fin dalla posa del cippo, questa volta non ha potuto presenziare. Immancabile invece la presenza del nostro coro, che ha ammantato la parte ufficiale della giornata di quel sapore tipico delle cose di montagna. A rappresentare il Cai centrale è giunto il vicepresidente Umberto Martini, e la sezione di Bergamo ha inviato un consigliere, così come presenti erano le sezioni di Sesto e Dobbiaco, i Comuni sul cui territorio sorge il rifugio e che erano rappresentati dai rispettivi primi cittadini Fritz Egarter e Bernhard Mair. Ha portato con simpatia e amicizia il saluto di Friburgo, città e sezione gemellata a Padova, Lebrecth Goetz, che ha ricevuto dal nostro presidente l aquila del venticinquennale, in quanto socio della nostra sezione dall inizio del gemellaggio, che appunto compie quest anno un quarto di secolo. Per i presenti, a partire dal nostro presidente Ragana, atmosfera di commozione, e la consapevolezza di vivere un giorno speciale con un iniziativa il cui valore simbolico ha saputo colpire tutti nel profondo. Lo hanno ribadito il prefetto Padoin, cogliendo nelle belle parole del sindaco di Padova Zanonato il pieno senso dell iniziativa, e il questore Marangoni che si è detto colpito dal contrasto di questa idea di pace con i ricordi e i segni ancora evidenti dei fatti drammatici vissuti da questi incantevoli luoghi. Stessi sentimenti sono stati colti e condivisi dai primi cittadini dei Comuni altoatesini, che hanno ringraziato il Cai Padova per questa iniziativa, questa mano tesa in gesto di amicizia che chiude ogni spazio agli ultimi risentimenti. Un brano letto da Antonella Fornari da Basta aprire le ali- Quando gli alpinisti erano uomini in divisa, il suo libro dedicato a Innerkofler e a quei drammatici tempi, ha chiuso la cerimonia arricchendola d un ultimo tocco emotivo. A memoria di questo 1 luglio 2007 le Poste hanno eseguito uno speciale annullo filatelico con due eleganti cartoline postali dedicate l una ad Antonio Locatelli e l altra a Sepp Innerkofler. 13

8 la nostra storia la nostra storia la nostra storia di Leri Zilio La via nuova seguita dalla spedizione padovana. Avventura sul Mercedario No, non è il rumore della caffettiera sul fornello. In questo pianoro ghiacciato a seimila metri, dopo quattro notti passate all addiaccio senza tenda e con viveri e liquidi ormai esauriti, ci si può anche permettere di avere qualche allucinazione. È un elicottero, Dio Santissimo, e forse per i tre alpinisti l odissea è giunta alla fine. Ecco che sbuffando ed ansimando il turboelica della Marina Argentina fa un ampio giro sopra le loro teste. Il pilota Pablo Aguilar sa che la macchina è al limite della portanza, e solo una straordinaria manovra di sfruttamento delle correnti ascensionali gli ha permesso di librarsi a quella quota. A bordo, con il pilota, c è Almo Giambisi, ed è lui a lanciare ai tre compagni un sacco con viveri, bombole di gas ed un thermos di the caldo. Giù nel bianco accecante Toni Mastellaro, Armando Ragana ed Andrea Cassutti guardano con sgomento l elicottero che se ne va. Ma come, ci abbandonano? Comunque il sacco è provvidenziale, anche se la delusione è grande quando scoprono che con la caduta il thermos si è rotto. Siamo sul Cerro Mercedario, Ande Argentine, è il 22 gennaio 1975 e i tre alpinisti sono componenti di una spedizione padovana che si è prefissa il compito di superare l inviolata parete est. Tutto stava andando bene, con due cordate che, sfalsate di un giorno, puntavano alla vetta. La prima composta da Almo Giambisi, Nino Portolan e Andrea Cassutti. La seconda con Toni Mastellaro (capospedizione) e Il gruppo ricevuto dal Governatore Argentino di San Juan. Da sinistra: Franco Cremonese, Pierpaolo Cagol, Armando Ragana, il Governatore, Graziano Mingardo, Toni Mastellaro, Sergio Billoro, un altro rappresentante, Almo Giambisi, Andrea Cassutti, Nino Portolan. Armando Ragana. Il tempo è splendido, e mentre la prima cordata punta ai 6770 metri della cima (poi raggiunta dal solo Almo Giambisi il 18 gennaio) senza incontrare ostacoli, la seconda deve fare i conti con un paio di imprevisti subdoli e micidiali. A Toni ed Armando si è unito Andrea, sceso dai campi alti per un lieve malessere, ma ora deciso a proseguire. Ed è proprio a lui che capita la sventura di perdere l unica tenda del gruppo. Hanno appena lasciato il Campo 3 a quota 5500 metri, c è un vento fortissimo, i movimenti non sono proprio lucidi e così la tenda scivola dallo zaino e precipita lontana. Ma ormai la zona più difficile è superata, il cabagito, roccione che da lontano ricorda le sembianze di un cavallo, è sotto di loro, così come un insidiosa zona crepacciata. Sono su di una specie di pianoro a circa 6000 metri e la cima non è più lontanissima. Passa la notte, e non è una bella notte. Al mattino Armando si sente spossato, le gambe sono fiacche, ha un sapore amaro in bocca, e di colpo si rende conto che la sua giacca a vento gialla è diventata tutta rossa sul davanti. Perde sangue dalla bocca, tanto, e non c è verso di fermarlo. Si pensa all edema polmonare, bisogna assolutamente tornare indietro, perdere quota. Mastellaro che è il più esperto ed il più lucido tenta ripetutamente di mettersi in contatto via radio con il 15

9 la nostra storia la nostra storia Nino Portolan (in centro) aiuta Andrea Cassutti e Armando Ragana a salire sull elicottero Cassutti si accinge a salire sull elicottero Campo Base, ma inutilmente. Nessuno risponde. Egli sa anche che qualcuno dei componenti della spedizione sta salendo da nord per la via normale. È una cresta rocciosa abbastanza facile, e con un po di fortuna ci si può anche incontrare. Ci andrà uno solo perché Armando non si può muovere e necessita di assistenza. Bisogna compiere un lungo traverso verso destra, ma Andrea non si accorge che per superare una zona crepacciata prosegue troppo in diagonale e verso l alto, allungando così considerevolmente il cammino. È quasi buio quando si rende conto che non ha ancora raggiunto la cresta rocciosa. Comincia ad urlare per richiamare l attenzione di qualcuno, ed urla per ore. Ma nessuno risponde. Ed allora è assalito dalla paura e dalla disperazione. Andrea ha solo vent anni, ha perso anche il sacco a pelo, e si appresta a passare una notte assicurato a due viti da ghiaccio su un pendio ripido. Sarà una notte che non dimenticherà mai, in una solitudine totale, con un freddo intensissimo, e con nello stomaco una misera busta di aranciata idrolitina mescolata a pezzi di ghiaccio. Il giorno seguente non gli resta che tornare dai compagni, là dove Armando sta sempre più male. Toni continua a chiamare via radio ed il plateau è tutto rigato dal suo continuo andirivieni in cerca di un luogo dove poter catturare qualche voce via etere. Ragana mi dirà che deve la vita a questo uomo forte, di poche parole, tenace e sempre lucido. E le tenebre tornano a calare, con i tre che si stringono a cercare un po di calore. Armando debolissimo per il sangue perso, Andrea che precipita in un sonno profondo, anche se senza sacco a pelo, e Toni che si arrovella chiedendosi perché mai nessuno risponde ai suoi appelli via radio. Non c è più nulla da mangiare e da bere, e la situazione si fa drammatica. E poi ecco che al mattino finalmente qualcuno capta le richieste di aiuto. Un radioamatore, o forse qualche impiegato di una delle tante miniere di rame della zona. Viene stabilito un contatto con il campo base, e da qui parte una richiesta di aiuto per San Juan, la città dell Argentina da cui la spedizione era partita. Il giorno seguente, ed è ormai il 22 gennaio, parte un elicottero guidato dal già menzionato Pablo Aguilar, folle e generoso pilota che per questo intervento, primo in assoluto in America a quella quota, riceverà poi la medaglia d oro dal Governo Argentino. Almo Giambisi, che nel frattempo è tornato al Base dopo aver raggiunto la cima, salirà a bordo per il giro di ricognizione, ed al ritorno si ritroverà con qualche precoce capello bianco e nessunissima intenzione di risalire su quel mezzo. Mi racconta che all angoscia di ritrovarsi su di un guscio metallico che scricchiolava sinistramente cercando di tenersi su in un aria quasi completamente rarefatta, si era aggiunto un particolare agghiacciante. Il pilota non stava bene. L essere salito in poco più di un ora dai 600 metri di San Juan ai 6000 del plateau gli provocava nausea, capogiro, vertigini. Si sentiva svenire e chiedeva ossigeno. Con il terrore dentro Almo ricordò che nella sacca da lanciare ai tre stavano delle bombolette di ossigeno che il previdente Toni aveva fatto portare dall Italia in caso di bisogni particolari. A volte la disperazione ti rende lucidissimo, e così Almo, a tempo di record, riuscì ad estrarre una bombola, leggere le istruzioni, collegarvi una maschera e porla sul viso del pilota. Le cose andavano decisamente meglio, ma al ritorno al Campo Base nessuno più riuscì a schiodarlo dal terreno. A dire il vero neanche Aguilar voleva più ritornare. Il carburante era poco, ed il rischio di precipitare altissimo. Poi però prevalse il senso del dovere, e così tornò a prendere quota con a bordo questa volta Nino Portolan. Il sangue riaffluisce copioso nelle vene di Andrea. Ed il suo viso si illumina. L elicottero è tornato, e poggia i suoi pattini a pochi metri da loro. Può salire uno solo, forse due, ma è molto rischioso. Prima tocca ad Armando, poi sale anche Andrea, Toni rimane, tiene duro, chissà dove prende tutta quella energia. Per lui ci sarà ora una lunga discesa lungo la via di salita con Nino Portolan, ancora due bivacchi, e poi finalmente il Campo Base. L elicottero non ce la fa a sollevarsi, e così il pilota inclina le pale e lo fa scivolare sui pattini in discesa, e quando c è un cambio di pendenza come per miracolo il mezzo si alza, prende quota, ansima, arranca e va, giù, sempre più giù in cerca di ossigeno e verso la vita. Leri Zilio Ragana e Cassutti nella camera d albergo dopo il ricovero in ospedale

10 la nostra storia Questo racconto è stato scritto sulla base di testimonianze raccolte dalla voce di Armando Ragana, Andrea Cassutti ed Almo Giambisi. Spedizione padovana al Cerro Mercedario (metri 6770) Ande Argentine per l inviolata parete est. Componenti della spedizione: Toni Mastellaro (capo spedizione), Pierpaolo Cagol (medico), Sergio Billoro, Andrea Cassutti, Franco Cremonese, Almo Giambisi, Graziano Mingardo, Nino Portolan, Armando Ragana. diario alpino diario alpino Ladakh India 2006 incontro tra cultura e alpinismo 24 Marzo 2006 serata culturale organizzata dal C.A.I. Padova, ospite Mario Vielmo. Renato: ciao Tonino, come zea? Tonino: eh dei, tuto ben zente ghe né e desso scumisiemo ea serata, ciò Renato, cossa fasio stòistà. Renato: a varda, no fasso programmi parchè co tutti i problemini che gavemo casa se meio che no ghe ne fassa. Tonino: sarisito interessà se organizemo un trekking in Ladakh? Renato: pensa che voevimo ndare l anno scorso e dopo pai problemi che ne se successi gavemo assa stare però te me istighi e vurria dire che provare a sognarghe no ne costa gnente. Tonino: scolta sarisimo noialtri quatro, mi comissio a vedere voli e el resto e se ea và, ben vegna. di Renato Beriotto e Roberta Bettini 18 La piccozza di Almo Giambisi in vetta al Cerro Mercedario Partecipare ad una serata culturale del CAI, scambiare qualche parola con l amico Tonino e mettere in piedi un itinerario culturale e alpinistico non è stato impossibile. Giorni, settimane e mesi sono trascorsi, prima della partenza, all insegna di incontri tra di noi amici: io, mia moglie Roberta, Tonino, la sua consorte Rossana. Lo scopo è stato preparare il viaggio; ci siamo avvalsi anche della consulenza di Lucio D.F. per avere delle dritte, vista la sua esperienza in zona. Arriva, dopo tanta organizzazione, il fatidico sabato 5 Agosto: tutto è pronto; i bagagli sono grossi e pesanti. Il pulmino dell Airservice ci porta a Venezia con destinazione Delhi, quindi Leh, la capitale del Ladakh. A Venezia l aereo ha due ore di ritardo. Poco male; andiamo a mangiare qualcosa, senza preoccuparcene, visto che il cambio a Mosca sarebbe avvenuto con la stessa compagnia di volo e, una volta arrivati a Delhi, avremmo avuto un buon lasso di tempo per la coincidenza. Bene, quello che pensavamo non si avvererà. A Mosca, l aereo parte nel momento stesso del nostro atterraggio. Non aspetta, non solo noi, ma altri venticinque passeggeri. Ci troviamo all aeroporto moscovita, bloccati, senza nessuna certezza. Alle undici di sera veniamo prelevati, schedati e portati in un albergo in attesa di partire il giorno successivo. Non ci perdiamo d animo e iniziamo a riordinare le idee, a fare il punto della situazione, cercando, per prima cosa, un contatto in Ladakh per spostare il nostro arrivo 19

11 diario alpino Il monastero di Thikse e la partenza del trekking, dopo innumerevoli tentativi, riusciamo a fare qualcosa. Finalmente arrivati a Delhi, siamo costretti ad acquistare quattro biglietti in business class per poter partire al più presto, ma in realtà, quattro giorni dopo. Spostiamo ancora il nostro arrivo a Leh, ribaltando quello che era il nostro programma, studiato con tanta cura. Vista la situazione poco modificabile, ci organizziamo per la visita di Delhi e posti limitrofi. Con l aiuto del direttore dell albergo dove abbiamo trovato alloggio, riusciamo a strappare, ad un buon prezzo, tre giorni di visite guidate per Delhi ed Agra, una città a circa 200 Km. Di queste realtà c è poco da dire, se non la grande povertà che convive in maniera perfida con ricchezze inestimabili, palazzi da mille una notte e, poco distante, agglomerati di catapecchie, che resistono solamente alla vista, ma non al vento. Quello che ci rimane dentro è un grande rammarico per non poter far nulla. Ci rattrista vedere persone che, per potersi accaparrare il turista, arrivano quasi alle mani, il tutto per ricevere pochissimi spiccioli, ma che per loro è fonte di vita e, soprattutto, dignità. Tutti ci avevano detto che si deve contrattare dalla cipolla al giro col risciò perché è la cultura del posto. Certo che quando contratti con chi fa scorrazzare quattro persone per la città pedalando con fatica per qualche ora e alla fine chiede l equivalente di sedici dollari e, per la mania di contrattare, gliene dai meno, ti senti proprio un perdente. Abbiamo visto, a Delhi, i monumenti più caratteristici, come la Moschea Jama Masjid, il Raj Ghat, un parco perfettamente curato dove è stato cremato Gandhi, il Museo Nazionale Gandhi dedicato allo stesso. Ad Agra, arriviamo dopo cinque ore di viaggio su una vettura simile alla nostra oramai scomparsa Fiat Riusciamo a visitare pochino, oltre al monumento più importante, il Taj Mahal: tomba gigantesca e curatissima anche nei minimi particolari, dedicata alla moglie dell imperatore Shah Jahan morta dando alla luce il suo quattordicesimo figlio. Alle due mezza di notte del giovedì partiamo, con un pulmino, del tipo usato nei cartoni animati, alla volta dell aeroporto per imbarcarci per Leh. Il nostro primo viaggio in business class! Peccato sia durato solamente un ora per il servizio lussuoso! Quale magnifico scenario si è presentato durante il volo e soprattutto all atterraggio. Non pensiamo sia facile far scivolare, in una valle stretta come quella dove siamo arrivati, un Boeing 737 girando intorno a maestose montagne per potersi allineare con la pista. Sbrighiamo tutte le formalità in aeroporto ed usciamo. I 3500 m. di quota si fanno un pochino sentire, però al motto siamo forti e vinceremo, facciamo finta di nulla e andiamo avanti. Gli amici dell agenzia contattata ci vengono a prelevare per portarci nell alloggio, che, nella sua semplicità, è bello ed accogliente. Dopo un rapido riposo, ci dedichiamo alla visita della cittadina, alla quale non manca nulla o quasi. La gente è splendida, il paesaggio da fiaba. Iniziamo subito con il vecchio palazzo del governo, per poi spostarci in un monastero che lo sovrasta, a cui si arriva dopo una salita con cui testiamo immediatamente le nostre forze per i giorni a venire. Da lì, la località si presenta stupenda, posta in una valle con colori che variano dal verde dell erba all arancio del terreno che, seppur franoso, mostra tutta la sua bellezza. La sera ci viene comunicato che il trekking previsto non si può fare per problemi di frane, però è possibile un altro percorso arrivando sempre alla nostra attesa meta. Prima di rimetterci in marcia, 21

12 diario alpino visitiamo altri monasteri che, nella loro semplicità, mostrano un popolo di grande religiosità, povero, ma ricco di costumi e usanze. Noi, con rispetto e umiltà, cerchiamo di non dare fastidio e veniamo sempre accolti molto bene dai monaci e dalle persone con cui entriamo in contatto. Nel nostro tempo a disposizione, riusciamo a visitare i monasteri che rispondono al nome di Shey, Tikse, Hemis. Intanto, il momento più desiderato si avvicina e qualcuno di noi inizia ad indagare con i trekker che rientrano a Leh. La realtà si fa immediatamente chiara: nessuno da noi intervistato è riuscito a fare la salita: chi per il freddo, chi per la pioggia, chi per questo, chi per quello. Poco importa, visto che siamo partiti senza alcuna velleità. Si fa conoscenza con le nostre guide: Sherap, ragazzo nepalese di una simpatia e disponibilità che da noi sono difficilmente riscontrabili; scopriremo, nel corso dei giorni, che ha all attivo quattro ottomila e in più quattro salite all Everest compiute con spedizioni commerciali per attrezzare la via; Norge, ragazzo ladako della Nubra Vallei, simpaticissimo e anche lui disponibilissimo. Sherap e Norge ci hanno praticamente viziato; ci facevano di tutto a cena, persino la pizza e il dolce; alle volte il cibo era un po piccantino, però sempre di qualità; siamo anche ingrassati! Ci portiamo al punto di partenza, dove troviamo, Giovanni, da noi così chiamato per semplificare il suo vero nome, l uomo dei cavalli. Gli dobbiamo immediatamente praticare una medicazione ad un piede, causa una vescica che si portava chissà da quanto tempo. Fatto questo, sistemategli le scarpe, caricati cavalli e asini, partiamo per la nostra prima tappa. Che dire del tempo? Non è stato dei migliori, però siamo sempre riusciti a scansare la grande pioggia. Il primo giorno arriviamo a montare le nostre tendine al primo campo e poi inizia a piovere. Non ci scoraggiamo e, così facendo, siamo premiati perché la sera il cielo torna sereno, regalandoci un mantello di stelle da mille e una notte. Il giorno seguente, dopo circa sette ore, si arriva al campo successivo, dove c è chi sperimenta un salutare bagno nei torrenti a quattromila metri. L indomani mattina stessa storia: tempo pessimo, dopo una nottata con pioggia, anche se è doveroso precisare a sece roverse. Partiamo; ci aspetta un altra tappa di sette-otto ore con una serie di guadi, che, oramai, ci lasciano indifferenti. Il tempo rimane sempre instabile, alternando pioggia a vento freddo, ma, oramai quasi temprati, non ci facciamo impaurire e imperterriti continuiamo. Ci vengono alla mente quelle riviste che parlano del Ladakh come Terra dove non piove mai; l unico luogo della Terra dove nello stesso momento puoi prendere un colpo di calore e uno di freddo!!!!. Arriva la mattina in cui Norge, ottimo conoscitore di usi e costumi del loco, parte prima di noi e sale al campo base a quota 4990 per prendere i posti migliori, che avremo secondo le sue intenzioni. Durante il nostro spostamento, delle marmotte bellissime ci fanno sentire quasi a casa; riusciamo ad avvicinarle e fotografarle; sembrava fossero in posa per noi. Dopo quattro ore di marcia, che passano in un battibaleno, siamo al campo base. È l ora della verità, è l ora della quota. Qualcuno di noi non si sente bene e va a dormire, qualcun altro esplora il campo facendo amicizia e raccogliendo informazioni da chi ha già tentato la salita. Decidiamo di rimanere fermi un giorno, di non spostare le tende al campo avanzato, ma di partire direttamente da dove siamo, anche se il dislivello in salita sarà di 1200 metri. Un gruppo di italiani parte la notte stessa; ci ripromettiamo di attenderli il mattino successivo. Il mattino dopo siamo fuori dalle tende; c è gente che torna e che ci dice: Non sono arrivato, troppo freddo; 22 23

13 diario alpino oppure siamo arrivati sopra, ma non abbiamo visto nulla, nemmeno durante la salita, una nebbia incredibile. Scambiamo un po di idee con gli amici al campo. Al pomeriggio saliamo verso la lingua del ghiacciaio. Fisicamente rispondiamo bene, la quota non ci dà più fastidio; ci si guarda intorno, in lontananza un po di azzurro fa capolino e ci fa ben sperare. Si decide: a mezzanotte si parte; quindi, ultimi controlli del materiale e poi a letto. Mezzanotte ci accoglie con un the ristoratore. Siamo pronti. Sherap e un suo amico tibetano saranno le nostre guide. La salita non presenta grosse difficoltà, ma, orientarsi nel buio, in un ambiente che non è familiare, non è il massimo. Ci aspettano 1200 metri di salita. Ognuno con il proprio passo, arriviamo ad una forcella, da dove si vede ancora il campo. Il sentiero, a questo punto, svolta a sinistra e, con un falsopiano, ci porta al campo avanzato, quota Iniziano i primi rallentamenti, ci dividiamo, per poi ritrovarci tutti insieme. È buio pesto, l unica luce è quella delle pile frontali; spegniamo tutto e alziamo gli occhi al cielo; iniziano a vedersi le stelle, il freddo si fa pungente, ripartiamo. Riprendiamo la salita; ci mancavano ancora 750 metri di dislivello; cerchiamo di rimanere vicini, ma presto sarà inevitabile, per il diverso procedere, distanziarci. Non possiamo camminare e fermarci continuamente, così decidiamo di avanzare, ogni coppia, con il proprio ritmo. L ascensione si fa sempre più erta tanto che calziamo i ramponi; è impossibile salire senza, si rischia troppo; decidiamo di non legarci per poter essere più liberi di avere ognuno il proprio passo. Alziamo gli occhi e il cielo è sempre più stellato; qualche piccola sosta per mettere sotto i denti qualcosa e via. Passo dopo passo, il dislivello diminuisce e la meta si avvicina. Alle cinque inizia ad albeggiare, così possiamo renderci conto per dove stiamo salendo: fa letteralmente impressione! Nel buio della notte non ci si rendeva conto della profondità che avevamo sotto di noi. In cresta superiamo i 6000 metri, una sosta per aggiungere un piumino, mentre la nostra guida, l amico tibetano, saluta me e Roberta e ci spiega che rimane fermo ad attendere Sherap, Tonino e Rossana. Io e Roberta ripartiamo sul filo di cresta, qualche passaggio tecnico, ma superabile. Nelle nostre menti serpeggia sempre più l idea di essere in dirittura d arrivo. La cima è lì, ci aspetta. Alle sei e dieci del 18 Agosto 2006 questa grande montagna si lascia calpestare dai nostri piedi. Il sole ci accoglie con i suoi raggi. Attorno a noi uno spettacolo indimenticabile, una distesa infinita di montagne. Ci fermiamo, un grande e lungo abbraccio tra di noi. Non ci sono parole, solo sguardi tra due persone normalissime, senza grandi ambizioni, se non di vivere la montagna. Per completare l opera devono arrivare Tonino e Rossana; siamo partiti assieme ed è giusto festeggiare assieme. Quando arriva l amico tibetano, siamo felici perché la sua presenza significa anche quella dei nostri compagni. È proprio così; riconosciamo, in lontananza, due sagome note, dietro di loro Sherap. Passano ancora pochi minuti e siamo tutti sulla cima. A questo punto foto e rito tibetano: bandierine di preghiera, giro intorno al punto simbolo della cima, baci abbracci tra di noi e le nostre meravigliose guide. Restiamo in cima un bel po ; questo regalo è bene tenerlo in mano a lungo, chissà se risuccederà un esperienza simile. Altra gente arriva; in totale, saremo una quindicina a goderci questa giornata. Tutti rientrano per la via di salita; noi no, ci incamminiamo verso il versante opposto. Il cielo comincia a velarsi, ripartiamo per la discesa, che non è pericolosa solamente perchè la neve tiene bene, anche se è letteralmente in piedi. Con questo ritorno, in cui ci aspettano circa settecento metri di dislivello con una pendenza simile alla salita, compiremo un giro ad anello. Iniziamo a scendere il pendio restando perfettamente lucidi e attenti a quello che facciamo fino in fondo, riguardando, talvolta, indietro, oltre le nostre spalle, la cima, che ora si fa preziosa alla vista. L amico tibetano ci fa notare delle Gli ultimi passi verso la cima

14 diario alpino 26 slavine sul pendio che fiancheggia quello di salita, siamo fuori da qualsiasi pericolo, poi ci saluta e va avanti; quella notte stessa sarebbe ripartito con un altro gruppo. Grazie amico tibetano! Non conosciamo nemmeno il tuo nome, ma la tua figura rimarrà a lungo nei nostri cuori. La tua luce nella notte buia ci ha sempre guidati; eri sempre sopra le nostre teste in quella salita ripida e ghiacciata, come una stella da inseguire e quando la via si è fatta, visivamente, alla nostra portata ti sei messo da parte per regalarci quel mondo, che tu hai capito, da noi desiderato. Grazie Stok Kangri, i tuoi 6153 metri si sono fatti calpestare dai nostri piedi. Rientriamo al campo, stanchi, ma contenti. Norge, che era rimasto al campo, ci accoglie con il suo grande sorriso e con l immancabile the. I ricordi, già, ritornano alla salita e alla spettacolare vista. Arriva il giorno di ripartire per ritornare a Delhi. Eccoci, per quattordici ore, in una jeep a superare cinque passi di oltre 5000 metri, una esperienza da provare, ma meglio una sola volta nella vita. Il paesaggio è tale che ci rende silenziosi, non solo per le meraviglie della natura, ma anche per il fatto che siamo circondati da povertà. Incontriamo persone che combattono con i capricci del tempo per poter tenere aperta una strada, unica via di comunicazione con il Ladakh. Lavorano bambini, donne e anziani, che avranno 40 anni, ma che in quelle condizioni disumane ne dimostrano 100. Ci domandiamo come possano resistere a quelle condizioni difficilmente descrivibili; le parole sarebbero riduttive, bisogna solo vedere per rendersi conto. Alle 9 di sera, oramai buio, siamo ancora lontani dal nostro primo posto di sosta, quando lungo un tratto di strada che stanno asfaltando, restiamo bloccati. Il nostro autista cerca di ripartire, ma siamo fermati e veniamo guardati insistentemente da un folto gruppo di operai; ci assale un po di timore, ma finisce bene e ci lasciano ripartire dopo l intervento del capocantiere. Dopo una notte di riposo in albergo, al mattino si riparte, e dopo una decina di ore di jeep arriviamo a Manali, cittadina famosa per le sue stravaganze. Non c è molto da visitare, ma tantissimo da fotografare. Sopra Manali Old Manali, posto turistico per eccellenza, ritrovo di personaggi un po sballati, ma sempre tranquilli, alle volte anche troppo. Il nostro sport preferito diventa quello degli assaggi culinari della zona; scopriamo dei posticini niente male, spendendo per un pranzo l equivalente di una colazione italiana. Dobbiamo proseguire verso Delhi. Scegliamo il miglior pullman in circolazione: vetri rotti, gomme lisce, rumori da lasciare perdere e servizio di doccia gratuito, visto che, al momento di partire, si scatena un vero e proprio diluvio. Quando imbocchiamo l autostrada, un altra volta restiamo a bocca aperta: corrono tutti, dalle macchine ai carretti, dalle moto alle bici e, cosa incredibile, ognuno prende la corsia che preferisce, anche quella contraria. Arriviamo a Delhi sani e salvi. L ultimo giorno visitiamo quei monumenti che ci mancavano all appello, le moschee, il Red Fort, Old Delhi, la parte più vecchia e caratteristica della città, qualche bel mercato nella zona di Connaught Place, il Bahai Temple nel momento più suggestivo, il tramonto. Praticamente corriamo su e giù per Delhi con i motorisciò per poi fermarsi all ora di cena convinti che tutti i quattordici milioni di abitanti della città li abbiamo sicuramente incontrati. Mezzanotte: è finito tutto, carichiamo i nostri bagagli pieni di ricordi e partiamo per l aeroporto. Si parla poco. Ci si rende conto che tutto sta per finire, si è consapevoli che, dopo poche ore, saremo di nuovo catapultati nel nostro mondo frenetico, con ritmi scanditi dal lavoro. Per quanto tempo questo sogno continuerà a fare capolino nelle nostre memorie, non lo sappiamo, ma come avevamo detto all inizio, per fortuna i sogni non costano nulla e nessuno ci impedisce di sognare. In vetta allo Stok Kangri Renato Beriotto Roberta Bettini

15 diario alpino di Francesco Cappellari Canada Ice and Snow Tour 2007 Le idee, a volte, nascono così. Forse rimangono latenti per uscire quando vogliono loro, senza un preavviso. Il Canada era da tempo un sogno. È, in verità, il sogno di tutti gli amanti del ghiaccio verticale. Ma non solo per il ghiaccio questa immensa terra attira gli appassionati di montagna. La quasi intatta wilderness, i grandi spazi, le Rockie Mountains, così tanto diverse dalle nostre Alpi. E poi ancora la neve pulita e polverosa, le discese vertiginose al di fuori da rumori e traffico. L uomo in Europa è riuscito a rovinare e a deturpare, per il piacere di pochi, quanto di più bello possa esso stesso godere. La natura ha ceduto il passo al business e sempre più assistiamo all avanzare di un industria che nel nome della sopravvivenza degli agglomerati montani sta inesorabilmente perdendo la sua identità. Visitare il Canada rappresenta quindi, per certi versi, un modo per tornare ad assaporare gli spazi senza case, senza antenne, senza impianti. Solo con una strada che attraversa un ampia e ondulata vallata. Dove la vista guarda sempre oltre, a quella montagna con quella forma strana, a quella neve sospesa su larghe cenge tra alte pareti. Un viaggio degli occhi e dell anima. Ma anche delle braccia e delle gambe. In un veloce tam tam raggiungo, grazie ai mezzi di comunicazione veloce, molte persone e diverse, in verità più di quanto me ne aspettassi, rispondono positivamente. Evidentemente la voglia di sensazioni che provo io è condivisa da molti altri. Siamo in tredici. Non ci spaventa il numero non propizio. L importante è la motivazione che spinge ognuno ad aggregarsi con gli altri e l ambiente. Faremo attività alpinistica a 360, senza limitazioni, senza inibizioni. Ognuno si esprimerà secondo il proprio gusto ed il proprio disegno. In tre siamo appassionati, anzi sfegatati, di arrampicata sulle cascate di ghiaccio. A noi si aggiunge una ragazza che ancora non molto esperta su questo tipo di terreno vuole provare ed imparare. Due partono per la vacanza più sfrenata, all insegna del divertimento puro. La loro voglia è disegnare i pendii vergini con regolari serpentine risalendo con gli impianti di famose località sciistiche come Banff, Lake Louise, Jasper. Altri, e sono ben sette, hanno nel sangue lo sci alpinismo e si dedicheranno esclusivamente a scoprire, con carta e bussola, le cime delle Montagne Rocciose. Saranno quelli che in effetti avranno l opportunità di scrutare ed ammirare dall alto questo nuovo mondo. Attorno a Field, paesino di 200 anime della British Columbia, ci sono cascate di ghiaccio dai nomi caratteristici. Ognuna infatti si chiama come una birra famosa. È conosciuta dai ghiacciatori come la zona delle birre. Guinness Gully, Heineken Hall, Wild Cougar, Pilsner Pillar, Carlsberg Column sono i loro mitici nomi. Le saliamo tutte nei primi tre giorni di permanenza. La motivazione e la voglia di ghiaccio, dovute anche alla quasi astinenza forzata per l inverno torrido vis- Il Bow Lake Tipica immagine al Rogers Pass Discese nella powder canadese 28 29

16 diario alpino L attacco di Wild Cougar Su Oh Le Tabernac L indimenticabile Kitty Hawk I 4 ghiacciatori sotto Melt Out suto in Europa, ci fanno macinare metri su metri sia di pendii nevosi e slavinosi per raggiungere la base delle colate, sia di ghiaccio, la materia principe, il freddo che acquista un calore intenso, che sprigiona energia, che dà ai nostri sensi l opportunità di risvegliarsi dal torpore. Nel frattempo i free riders scandagliano i pendii immacolati attorno a Lake Louise, famosa località che ha visto, poco più di un decennio fa, scendere sulle sue piste gli atleti olimpionici. Ma i dintorni di Field sono anche un paradiso per gli sci alpinisti. Grazie anche alle continue nevicate notturne e mattutine i sette riescono ad assaporare la prima powder canadese. Ma il bello deve ancora arrivare. Al quarto giorno ci dividiamo. Gli sci alpinisti vanno ad ovest, in British Columbia, al mitico Rogers Pass, mentre in sei raggiungiamo, spostandoci verso nord, il lodge di Rampart Creek. In entrambe i casi si respira la vera natura invernale del Canada: quella fatta di grandi distanze, isolamento, tanta neve e tanto ghiaccio. A Rogers Pass ogni giorno scendevano dai 40 ai 60 centimetri di neve! Naturalmente questo creava un certo disagio per l individuazione della giusta traccia da seguire ma, con l uso di carta, bussola e a volte del GPS, i magnifici sette sono riusciti a compiere mirabolanti discese con la polvere che riempiva gli occhi, il naso, le orecchie. La polvere che non ti faceva respirare. Cose dell altro mondo! Rampart Creek è invece il fulcro centrale delle cascate di ghiaccio del Canada. Nomi come Polar Circus e Weeping Wall rappresentano per ogni ghiacciatore le mete di una vita. Il lodge è isolatissimo. Lo raggiunge solo una strada, la Icefield Parkway che molte volte viene chiusa per pericolo di slavine. È quindi necessario portare tutto l occorrente di cibo e vettovaglie per diversi giorni. Si potrebbe anche incappare di rimanere bloccati per parecchio tempo naturalmente senza poter sciare od arrampicare. Riusciamo in qualche mitica realizzazione. Ice Nine, un grado 6 formato da due lunghezze su colonne giganti, Weeping Wall, la grandiosa cascata tanto alta quanto larga, Oh Le Tabernac, un tiro impegnativo ma soprattutto una cascata storica ed infine Kitty Hawk, una stupenda linea incassata tra le rocce. Negli ultimi giorni ci riuniamo tutti di nuovo a Field. I lodge sono carini, ben curati e serviti. Facciamo le ultime salite, così, un po in scioltezza, senza andare più in cerca di particolari difficoltà. È bello anche godersi le salite senza patemi, condividendo con Laura i suoi primi successi sul ghiaccio verticale. Per gli sciatori salta fuori la gita più bella. Dopo una notte di nevicata intensa riescono a vivere la più succosa gior- L ultima lunghezza di Weeping Wall riserva intense emozioni 30 31

17 diario alpino L ultima mitica discesa sul Fairview Mountain nata del viaggio. Non si può esprimere la gioia della sciata, come al solito è necessario essere lì, al posto giusto nel momento giusto. Nel frattempo in tre si dedicano ad un altra tipica attività canadese: l eliski. Una giornata passata a scendere i pendii vergini di montagne sperdute. Il commento al loro ritorno è stato: mitico! Ma è tempo di tornare, il gioco è finito. Nella mente non resta che il ricordo di quindici giorni frenetici, sempre in attività e nel cuore la solita, immancabile voglia di tornare. Francesco Cappellari COMPONENTI DEL VIAGGIO Bernardi Luigi Vicenza sci alpinismo Brazzale Giorgio Vicenza sci alpinismo Francesco Cappellari Padova cascate di ghiaccio Carpenter Paola Vicenza sci alpinismo Colpo Pompea Vicenza sci alpinismo Dalla Vecchia Lorenzo Vicenza sci alpinismo Fontana Laura Belluno - cascate di ghiaccio, sci alpinismo, free ride Gadina Rossana Verbania free ride Gamberini Andrea Faenza cascate di ghiaccio Longoni Paolo Verbania free ride Peli Carla Vicenza sci alpinismo Vaudo Francesco Verbania sci alpinismo Zamperetti Fabio Vicenza sci alpinismo SALITE EFFETTUATE Cascate di ghiaccio Mount Dennis - Wild Cougar, 25 m, II 4 X Mount Dennis Heineken Hall, 100 m, III Mount Dennis Carlsberg Column, 150 m, III Mount Dennis Pilsner Pillar, 215 m, III Mount Dennis Guinness Gully, 245 m, III Mount Wilson Ice Nine, 95 m, IV Tangle Ridge Melt Out, 100 m, III Weeping Wall Area Weeping Wall con Weeping Pillar, 380 m, V Mount Wilson Oh Le Tabernac, 55 m, III Lake Louise Louise Falls, 110 m, II Mount Eliot Kitty Hawk, 200 m, III Mount Rundle Professor Falls, 280 m, III 4 Sci alpinismo Emerald Peak (2568 m),1250 m, BS Mount Field (2500 m), 1200 m, BS Little Sifton (2750 m), 1450 m, BS Ursus Minor Bowl (2360 m), 1050 m, MS Grizzly Shoulder (2080 m), 850 m, MS Observation sub Peak (2850 m), 850 m, MS Mount Jimmy Simpson (2940 m), 1000 m, BS Fairview Mountain e Saddle Peak (2744 m), 1350 m, BSA Colle del Niblock (2829 m), 1200 m, BS Free ride Zona Lake Louise, Zona Banff, Zona Jasper Eli ski Zona Golden Ringraziamenti Ringrazio la sezione di Padova del Club Alpino Italiano che ha voluto patrocinare l iniziativa

18 diario alpino Riflessi Non conoscevo la voce dell acqua immobile, né lo slancio di riflessi sparsi in alto. Non sapevo dell ombra che si fa cristallo nè della pietra che veste luce larga. Non sapevo, ma gli occhi inseguono un luogo che li fermi e il respiro cerca un battito più ampio, che pulsi con lo stesso ritmo di quello interno ritmo libero, caldo, intero In macchina zaini, musica e parole si mescolano nell attesa del mattino. Corriamo verso nord, apro e chiudo mille volte la guida di cascate. Val Gardena, Bullaccia, domani Val Lunga, Palestrina. Dietro agli occhi di Francesco riconosco sete e passione. L energia mi arriva sottile e densa, la verso nella mia, ne raccolgo la spinta, sorrido e vado. vado dietro la sua traccia che affonda nella neve fresca. Andiamo tra i larici che si piegano al bianco, andiamo sotto l aria che rimbalza fra le pareti strette, andiamo, dentro ai nostri pensieri senza corpo, dentro al giorno che fuori cresce. Occhi sempre alti a cercar una linea accesa, piega illuminata fra le guglie e i canaloni, riflesso incastonato nel palmo d un intaglio. Ora ho sete anch io. Desidero star nel riflesso. Passata una quinta d alberi fitti, filtra un raggio azzurro. Esco dal bosco e mi poso in un altra forma. Cambio terra e sensi, tempo e modo, perdo i minuti, trovo il respiro, lascio il vuoto, tocco la materia; goccia, acqua, ghiaccio, odore di neve e gusto di freddo. Nella musica di fondo ogni suono si fa nuovo. Il ghiaccio si tende, piega, spezza, infrange. Si lascia graffiare e scolpire in un disegno. Non c è parola o canto, ma note secche e regolari, fatte di elementi che si parlano. Lo spazio si riempie dei colpi della becca e dei passi dei ramponi. La mente si abbandona al nuovo ritmo e ogni nervo l accompagna. Salendo ho smesso di pensare, muovendo ho smesso di tener chiuso. Sento, distendo e vado. Sto nell azzurro e mi sembra di non avere pelle. Tutto da fuori passa dentro. Al ritorno camminiamo sulla traccia dell andata, leggeri e calmi, bagnati e distratti. Parliamo ridendo, mentre la sera veste in fretta ogni cosa. La Val Lunga scivola verso est aprendosi al sole. Il cielo è brillante e compatto. Camminando lo zaino sbatte sulla schiena, mentre la valle svela i suoi fianchi ai nostri occhi ancora alzati. Linee di ghiaccio sottili cadono ai lati, scivolando nell ampia valle che ora trabocca di luce. La cascata è laggiù in fondo. Inseguiamo la linea d ombra che ora sta salendo. Camminiamo sul suo filo sino a sotto la colata. Ai suoi piedi ci sediamo. Un po per rispetto, un po per stupore. Il sole si infila tra una sella e accarezza i nostri volti, poi guarda il ghiaccio e lo fa vibrare come una corda di colore, spargendolo sulla tela del pendio. Il tempo d uno sguardo e poi la voglia di salirlo. Ora qui, nell istante, il suo e il nostro. Domani sarà altro. Sia lui che noi. Francesco sale schiena al sole. Un altra cordata si affianca a sinistra. C è energia tutt intorno. La salita è veloce e regolare, corre fra placche e risalti verticali, per poi adagiarsi in alto, dove il ghiaccio scioglie in neve e riveste a tratti pietre e terra. L ultimo colpo di becca mi porta fuori dalla verticale, mi rilasso e sento parlare in sosta, il bianco ora si macchia di aghi di pino e terra smossa, l odore d acqua si mescola a quello del legno e della roccia. Quando incontro nuovamente lo sguardo di Francesco sento che sono felice. Scendendo indugio nuovamente sotto la cascata, coi piedi nella neve fonda e le mani chiuse in tasca, accompagno il sole verso ovest, dove termina la valle. Curve di luce densa vestono la neve d oro, mentre a est, la valle nasce con la luna che ora ha negli occhi il sole basso. In quell istante perdo corpo e tempo e spazio, e il respiro trova un battito più ampio, scandito tutto intorno dalla valle e i canaloni, dalle pareti e i cristalli d oro, che pulsa con lo stesso ritmo di quello interno.ritmo libero, caldo, finalmente intero Daniela Grigoletto 34 35

19 SCONTI SPECIALI AI SOCI CAI VISITA IL SITO ALPINISMO TREKKING SCI SCI ALPINISMO SNOWBOARD ABBIGLIAMENTO SPORTIVO FITNESS CONCESSIONARIO IMPORTATORE IMPORTATORE CONCESSIONARIO 36 37

20 Un altra riga sul nostro viso Ieri siamo scesi dall Argentiere. Un lunga scivolata ci ha accompagnato a Chamonix. Nella pelle abbiamo ancora il calore e il colore del sole. Ci rinfranchiamo su un prato verde intenti ad asciugare i nostri indumenti. La calura della cittadina francese promette bene. Per sera guanti, corde e vestiti saranno evaporati. La funivia è un mezzo sleale, lo so. Ci dobbiamo confrontare con questi marchingegni moderni se vogliamo riuscire a tornare a casa tra due giorni. Al Plan le solite facce abbronzate e rigate. Ogni segno è una salita, ogni colore rispecchia la meteo. Andrea e compagni ci raggiungono a breve, chiassosi perché reduci felici di un successo. Domani saremo insieme sulla nord. Sarà lunga e dura, lo sappiamo tutti. Qui nessuno fa sconti, il Bianco fa rischiare, fa faticare, fa sognare. La notte è breve, le due tende si accendono. Il gas scalda l acqua e i pensieri, per un giorno immersi tra i ghiacci. Dura solo un ora la tregua con le tenebre, poi ci si deve far forza, siamo qui per uscire ed affrontarle. La marcia nella neve raggelata porta ricordi a volte truci, pieni di paura. Quando arriva la luce? Tre ore lunghe come tre giorni. Siamo alla base del ghiaccio. Finalmente si entra in azione. Vai Andrea, sei giovane e forte. Ma l esuberanza a volte non concede sconti, qui i movimenti devono essere precisi, misurati, sicuri. Dieci metri e la montagna si fa insegnante, punisce ma redime. Il giovane è costretto a chiedere scusa, ok ho capito, recupero la piccozza laggiù in fondo e parto con maggior rispetto. Il mio avanzare è più calmo, devo controllare i movimenti altrimenti il fisico si ribella. La montagna l ha già fatto per oggi Ghiaccio neve roccia, settecento metri di fiato sospeso, di fatica ripagata. La cresta è affilata, l obiettivo ancora lontano. Ma cos è ora camminare su questo filo? Un altra riga da aggiungere al nostro bel viso scavato. Francesco Cappellari 38 39

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