Giovanni Verga. I Malavoglia

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1 !! Giovanni Verga I Malavoglia

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3 !! Giovanni Verga I Malavoglia

4 !! Giovanni Verga I Malavoglia! Classici italiani - 1! E- book stampato nel febbraio 2014 Nota introduttiva a cura di Francesco Barritta Copyright: edizione rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate Internazionale.! In copertina: Paesaggio marino a Berck, barche da pesca e pescatori (1873, particolare) di Edouard Manet, Collezione privata.! Le immagini presenti nel presente e- book sono state reperite nel web e quindi considerate di pubblico dominio. Per esercitare eventuali diritti di copyright sulle stesse, si prenda contatto con il curatore.

5 !! Nota introduttiva Il contesto delle vicende narrate! I Malavoglia è forse il romanzo più conosciuto di Giovanni Verga, pubblicato a Milano nel 1881 dall editore Francesco Treves. Narra la storia dei Toscano, un umile e laboriosa famiglia di pescatori che vivono ad Aci Trezza, piccolo paese nei pressi di Catania, e che per antifrasi vengono soprannominati con l appellativo (o, meglio, la ngiuria) Malavoglia. I Toscano sono guidati dal patriarca Padron Ntoni, un vedovo che vive presso la casa del nespolo con suo figlio Bastiano, la moglie di questi Maruzza e i loro cinque figli Ntoni, Luca, Filomena, Alessio e Rosalia. La loro principale fonte di sostentamento è legata alla pratica della pesca con la piccola imbarcazione denominata la Provvidenza. Oltre alla casa del nespolo, ci sono comunque altri luoghi di Aci Trezza che hanno una certa importanza per il romanzo: fanno infatti da sfondo alle vicende dei personaggi alcuni posti tipici del paese, come ad esempio la piazza, dove ci si incontra e si diffonde ogni pettegolezzo, o l osteria, che rappresenta il luogo di perdizione, o ancora la farmacia di don Franco, in cui, lontani dalle proprie mogli, gli uomini parlano di politica e di rivoluzione. A scandire i tempi della narrazione e le attività dei vari protagonisti sono le ricorrenze religiose e l alternarsi delle stagioni. I personaggi L impostazione del romanzo è corale, con una selva di personaggi accomunati da una base di valori imprescindibili, quali l unità della famiglia, la dedizione al lavoro e il rispetto dell ambiente. Ogni personaggio si differenzia però dagli altri in base alle proprie aspirazioni, che comunque sono tutte vinte da un destino inevitabile, da cui cioè è impossibile sottrarsi.! Padron Ntoni È il capostipite dei Malavoglia. Saggio e pratico al contempo, è un esperto marinaio e un buon pescatore. Testimone delle morti precoci dei parenti, soffre anche per la scelta di Ntoni di partire, dopo la morte della nuora Maruzza. Quando il nipote maggiore torna, infatti, pur senza soldi, Padron Ntoni è felice perché pensa che i giovani avranno una guida. Purtroppo quest idea si rivela l ennesima speranza destinata a diventare una delusione. Dopo aver speso molti soldi per la causa del nipote, perde la voglia di fare che lo aveva caratterizzato in precedenza: non parla più e non pensa alla casa I

6 del nespolo o a una barca per tornare a fare i pescatori. A seguito del grande dispiacere che gli dà la nipote Lia, si riesce a consolare solo con Alessi e Mena, che mantengono saldi i valori di famiglia.! Bastiano (Bastianazzo) Unico figlio di padron Ntoni, muore quasi subito a seguito del naufragio con la Provvidenza e il suo carico di lupini. La tragedia legata alla morte di Bastianazzo rappresenta in pratica una sorta di rottura dell equilibrio iniziale che impone drastici cambiamenti agli altri personaggi. Viene descritto come un uomo grande e grosso come quanto il S. Cristoforo dipinto sotto l arco della peschiera della città.! Maruzza (la Longa) Moglie di Bastianazzo e madre di cinque figli. Porta un soprannome che non la caratterizza affatto, poiché dal punto di vista fisico viene descritta come una donna minuta, che aiuta la famiglia nella lavorazione del pesce, anche se è una tessitrice. Dopo la morte del marito deve subire anche quella del figlio. È contraria al fatto che Ntoni volgia partire da Aci Trezza per cercare fortuna. Muore a causa del colera.! Ntoni Figlio primogenito di Bastianazzo e Mariuzza, è il nipote di Padron Ntoni. Cerca di cambiare vita perché non sopporta la situazione di difficoltà familiare. A seguito della disgrazia di Lia e della propria carcerazione e dopo la morte della madre, va via da Aci Trezza e, in seguito, riconosce di non appartenere al mondo di valori da cui si è allontanato.! Luca Secondogenito di Bastianazzo e Mariuzza, è il più responsabile dei fratelli. Muore nel corso della battaglia di Lissa.! Filomena (Mena o Sant Agata) Terza figlia di Bastianazzo e Mariuzza, è semplice e operosa. Rinuncia all amore per Alfio e viene promessa in sposa a Brasi Cipolla. Dopo la rovina della famiglia, però, il matrimonio non si può fare. Resta quindi con il fratello Alessi e sua moglie Nunziata a dimostrazione della sua dedizione ai valori della famiglia.! Alessio (Alessi) Fratello minore di Ntoni e Luca, a dispetto del suo ruolo iniziale, diventa l erede della tradizione tramandata dal nonno, mostrando interesse per i proverbi e l esperienza marinara del nonno. Sposa la cugina Nunziata e, divenuto adulto, ricostruirà la famiglia Malavoglia, assumendo il ruolo di patriarca e ricomprando la casa del nespolo.! II

7 Rosalia (Lia) La più piccola dei figli di Bastianazzo e Mariuzza, dopo la caduta in miseria e la disgrazia della propria famiglia col processo a Ntoni, perde la reputazione e l onore. Abbandona Aci Trezza e diventa una prostituta.! Alfio Mosca Onesto lavoratore, possiede un asino ed (in seguito) un mulo. Il suo amore per Mena è ricambiato, ma la sua povertà non le consente di sposarla. Alfio partirà da Aci Trezza per farvi ritorno otto anni dopo. Zio Crocifisso (Campana di legno) Il vecchio usuraio del paese, proprietario di barche e case. Sposa la nipote Vespa per interesse, ma lei ci mette poco a dilapidare il suo patrimonio, accumulato con avarizia durante tutta una vita.! Compare Agostino Piedipapera Sensale di pochi scrupoli, è sposato con la pettegola Grazia Piedipapera. Ha un ruolo nella vicenda del contrabbando e, assieme allo zio Crocifisso, ha anche delle responsabilità della rovina dei Malavoglia, poiché finge di acquistare il credito che Padron Ntoni deve a Zio Crocifisso per far uscire la famiglia dalla casa del nespolo.! La Locca Vecchia vedova demente, è sorella di zio Crocifisso. Vaga per il paese cercando il figlio Menico, morto in mare assieme a Bastianazzo sulla Provvidenza. Finisce all ospedale dei poveri dopo l arresto del suo secondo figlio, che nel romanzo viene chiamato soltanto figlio della Locca.! La trama! La chiamata di Ntoni, il maggiore dei figli di Bastianazzo, per la leva militare nell esercito del Regno d Italia, sancirà l origine della rovina dei Toscano. Il racconto ha quindi inizio nel 1893 e per i Malavoglia la partenza di Ntoni rappresenta la prima volta che un membro della famiglia viene sottratto al suo lavoro per servire il Regno. Ecco perché, dal punto di vista dei pescatori, lo Stato viene percepito come un nemico, che opprime gli umili con il servizio di leva, con le continue tasse e con la falsa giustizia. Padron Ntoni, per sopperire alla mancanza di forza lavoro dopo la partenza del nipote, tenta di rifarsi con un affare. Compra a credito una grossa partita di lupini (tra l altro avariati) dal suo compaesano Zio Crocifisso. Il carico, nel progetto di Padron Ntoni, sarebbe dovuto essere venduto a Riposto dal figlio Bastianazzo. III

8 Senonché la Provvidenza subisce un naufragio in cui per poco non va distrutta, mentre Bastianazzo perde la vita. I funerali rappresentano l occasione, per Verga, di presentare i personaggi del romanzo e l ambiente popolare di Aci Trezza, contestualmente ai fatti narrati, secondo la tecnica della regressione, cioè procedendo con una narrazione che parte dall esterno e arriva all interno della vicenda. Con la morte di Bastianazzo e l assenza di Ntoni la disgrazia che piove addosso ai Malavoglia è totale. Si assiste così al continuo declino della famiglia, dovuto alle conseguenze dello sfortunato affare dei lupini e al tentativo della famiglia di saldare il debito senza rinunciare alla casa del nespolo e, con essa, all onore della famiglia. Alla morte di Bastianazzo, infatti, che dopo la partenza di suo figlio Ntoni era rimasto la principale fonte di sostentamento dei Toscano, si aggiunge l impossibilità di pagare il debito contratto per l acquisto dei lupini, anche perché la Provvidenza dev essere riparata. Neppure il ritorno di Ntoni riesce a sollevare la drammatica situazione economica in cui versano ormai i Malavoglia. E questo quadro si complica ancor di più quando, durante la battaglia di Lissa del 1866, anche il secondogenito Luca muore. L ennesima sventura provoca inoltre un immediato peggioramento della situazione per tutti i membri della famiglia. Mena, in particolare, deve subire la rottura del suo fidanzamento con Brasi Cipolla. Ma il dramma familiare non finisce qui. Per via del debito, infatti, i Malavoglia perdono la casa del nespolo, oltre che la reputazione, e sono costretti all umiliante trasferimento nella casa del beccaio. Successivamente è lo stesso Padron Ntoni a rischiare di perdere la vita per via di un nuovo naufragio della Provvidenza. A portarsi via la nuora Maruzza è invece il colera. Dopo la morte della madre, che era l unica contraria alla partenza di Ntoni, questi decide di andare via da Aci Trezza, per tentare la fortuna in città. Ciò costringe Padron Ntoni a vendere anche la barca, che non serve più, e a lavorare a giornata da Padron Cipolla per cercare riacquistare la casa del nespolo. Per Ntoni l avventura non porta alcun progresso e, al suo ritorno, è più povero di prima: il fallimento gli fa perdere ogni desiderio di lavorare e così si abbandona all ozio e inizia a bere. Si invaghisce di lui la padrona dell osteria Santuzza, a sua volta desiderata dallo sbirro Don Michele. Santuzza mantiene nel proprio locale Ntoni, che nel frattempo entra nel giro del contrabbando. Questo comportamento del ragazzo, assieme alle parole del padre, convincono Santuzza a lasciar perdere Ntoni e a riconsiderare Don Michele. I due finiscono inevitabilmente per litigare e Ntoni, durante una retata anti- contrabbando, sferra una coltellata al petto di Don Michele. Il giovane Malavoglia finisce così in prigione. Al processo, Padron Ntoni sviene, dopo aver sentito delle voci riguardanti sua nipote Lia, secondo le quali la ragazza avrebbe avuto una relazione con Don Michele. Su tale relazione si basa infatti la linea difensiva dell avvocato di Ntoni, che riesce a evitargli una forte condanna proprio per motivi d onore, lasciando intendere che all origine della rissa vi fosse la volontà del giovane di difendere la reputazione della sorella Lia, la quale avrebbe respinto le avance di Don Michele. IV

9 Mentre Ntoni è costretto al carcere per scontare la sua pena, anche Lia, ormai disonorata per via di quelle voci e delle malelingue, è costretta a lasciare Aci Trezza e finisce per fare la prostituta a Catania. Padron Ntoni, testimone del disastro totale in cui versa la sua famiglia, è divenuto ormai vecchio e incapace di lavorare. Dopo i tanti dispiaceri, sembra lasciarsi praticamente morire. I suoi continui proverbi - che fin dall inizio del racconto rappresentano una particolarità del personaggio, caratterizzandolo come persona dotata di una profonda saggezza popolare - cominciano a non avere un senso logico per gli altri personaggi. Per non essere un peso per i nipoti, chiede alla giovane Nunziata di portarlo all ospedale. Degli unici due nipoti rimasti, Mena si sacrifica in nome della famiglia e rinuncia al matrimonio con compare Alfio, anche per via della vergognosa situazione di Lia, rimanendo in casa ad accudire i figli di Alessi, che nel frattempo si era sposato con Nunziata. Incarnando il rispetto di quel mondo di valori su cui la famiglia si basava prima delle disavventure, Alessi, continua a fare il pescatore e riesce così a ricomprare la casa del nespolo, dove in pratica ricompone un nuovo nucleo familiare. A questo punto tutti i membri rimasti della famiglia Toscano, che dispone nuovamente della vecchia abitazione, si reca all ospedale per annunciare al vecchio Padron Ntoni della possibilità di un suo imminente rientro a casa. Ma dopo quest ultima gioia, il vecchio muore proprio nel giorno previsto per il suo ritorno. Ntoni, invece, uscito di prigione, non accetta gli inviti di Alessi a far ritorno a casa, perché si rende conto che le sue scelte errate lo hanno reso estraneo ai principi della famiglia e del mondo di valori che lui ha nei fatti rinnegato. La ricomposizione della nuova famiglia attorno al focolare domestico nella casa del nespolo, con Alessi destinato a diventare il nuovo capofamiglia, perché erede e testimone di quegli antichi valori su cui la famiglia e la stessa dimora sembrano reggersi, non compensa comunque le perdite e gli stravolgimenti che i Malavoglia hanno subito negli anni (ne sono trascorsi circa nove dalla partenza di Ntoni per la leva).! I vinti e la tecnica dell impersonalità! In generale, la visione della vita appare pessimistica, ma ciò che viene realmente sottolineato è il fatto che solo coloro i quali tentano di migliorare le proprie condizioni sono destinati al fallimento. Sono dei vinti Padron Ntoni e Bastianazzo, che cercando il guadagno col commercio dei lupini cercano di sovvertire il loro destino, e sono dei vinti Ntoni e Lia, che abbandonando i valori della famiglia e per trovare delle vie alternative riescono soltanto a perdere l onore e la dignità. Vittime degli eventi sono invece Maruzza e Luca, ai quali la malattia e la guerra tolgono ogni opportunità di salvezza. Mena, invece, perde l opportunità di sposare V

10 Alfio Mosca, quindi di essere felice, e non può sposare neppure Brasi Cipolla quando la situazione della famiglia peggiora. Avrà una nuova opportunità fatta di rinuncia e sacrificio soltanto quando, accettando il ruolo in cui si è venuta a trovare, sostiene la nuova famiglia del fratello Alessi. Solo Alessi, che si è adattato alla propria condizione, si è salvato. È la realizzazione del cosiddetto Concetto dell ostrica, teorizzato dallo stesso Verga nella novella Fantasticheria in cui il valore più importante è quello della famiglia, della casa, del focolare domestico, in una parola della coesione fra i personaggi appartenenti allo stesso nucleo familiare, per non essere divorati dal pesce vorace, cioè dalle insidie del mondo. Il concetto alla base del romanzo è del resto quello che sta alla base del Ciclo dei vinti, che nelle intenzioni di Verga avrebbe dovuto contenere cinque romanzi, ma di cui, a parte I Malavoglia, esiste solo un secondo romanzo dal titolo Mastro- don Gesualdo e poco più di un capitolo di un terzo romanzo, La Duchessa di Leyra. Gli altri due romanzi con cui Verga avrebbe voluto completare il Ciclo (L Onorevole Scipioni e L uomo di lusso) non furono mai scritti. In queste opere Verga avrebbe voluto affrontare la tematica legata al progresso inteso dalla prospettiva di chi non riesce a migliorare la propria condizione, narrando cioè il punto di vista degli sconfitti, che possono appartenere a ogni ceto sociale, da quello più umile a quello più aristocratico. Gli sconfitti delle novelle di Verga, e de I Malavoglia in particolare, perdono pian piano ogni speranza di cambiare la propria condizione e, con essa, la possibilità di raggiungere la felicità. Nella stesura de I Malavoglia, Verga adotta la tecnica dell impersonalità, tentando sempre di adattarsi al punto di vista dei personaggi, anche attraverso la riproduzione di alcune caratteristiche del dialetto. Frequenti nello stile narrativo di Verga sono i dialoghi, in cui il discorso si mischia a quello indiretto e al discorso indiretto libero. La prosa verghiana è arricchita dei modi tipici del parlato siciliano. Questo stile narrativo rende naturale percepire i personaggi come un tutt uno con il loro ambiente. La coralità del parlato, inoltre, permette a Verga di non comparire mai in primo piano con i propri giudizi, se non in modo indiretto attraverso le sentenze o i proverbi messi in bocca ai suoi personaggi. Il lettore si trova così al racconto di un fatto oggettivo e deve dare al racconto la propria interpretazione.! L autore e le opere! Figlio di Giovanni Battista Catalano e di Caterina Di Mauro, Giovanni Carmelo Verga nacque il 31 agosto 1840 a Catania, dove visse in via Sant Anna durante l infanzia con la famiglia, assieme ai fratelli Mario e Pietro. La famiglia paterna era originaria di Vizzini, dove possedeva delle proprietà, mentre quella materna apparteneva alla borghesia catanese. VI

11 Giovanni compì gli studi primari presso la scuola di Francesco Carrara e proseguì con gli studi secondari presso quella dello scrittore repubblicano don Antonio Abate, che gli fece studiare le opere di Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Monti e Manzoni. Tra il 1854 e il 1855, la famiglia di Verga cercò rifugio all epidemia di colera in campagna, presso Tèbidi. Queste esperienze potrebbero essere alla base di alcune sue novelle come Cavalleria rusticana e Jeli il pastore, e del romanzo Mastro- don Gesualdo. Tra il 1856 e il 1857, Verga scrisse il romanzo Amore e patria. Questo primo lavoro, d ispirazione risorgimentale, piacque a don Abate, ma su consiglio del suo maestro di latino don Mario Torrisi, che lo ritenne immaturo, rimase inedito. Nel 1858 Verga si iscrisse alla Facoltà di legge all Università di Catania. Nel 1861, però, abbandonò i corsi per dedicarsi al giornalismo politico e all attività letteraria. Investì quanto ricevuto dal padre per gli studi nella pubblicazione del romanzo storico I carbonari della montagna ( ), in cui vengono riprese le imprese della Carboneria calabrese contro il dispotismo napoleonico di Gioacchino Murat. In Sicilia, Verga fu testimone delle rivolte e delle sommosse popolari per l abolizione del dazio sul macinato - che nel catanese arrivarono a veri atti di violenza da parte dei contadini - nella novella Libertà. Conobbe Nicolò Niceforo, col quale ebbe un esperienza con il settimanale Roma degli Italiani e poi con la rivista letteraria L Italia contemporanea sulla quale Verga pubblica la novella Casa da thè. Tra il 1862 e il 1863 pubblica Sulle lagune, il suo terzo romanzo, che esce in 22 puntate sulla rivista fiorentina La nuova Europa e che narra la storia sentimentale tra un ufficiale austriaco e una veneziana. In questo periodo, tra il 1860 al 1864, Verga fece anche parte della Guardia nazionale. Nel gennaio 1865 si reca a Firenze, all epoca capitale del Regno, dove rimane fino a maggio e dove scrisse la commedia I nuovi tartufi (rimasta inedita fino al 1982) e il romanzo Una peccatrice, che gli fu pubblicato l anno seguente dall editore torinese Negro. Quest opera, di carattere autobiografico, racconta la storia di un piccolo borghese catanese che ottiene ricchezza e fama, ma che per amore si toglie la vita. La nuova epidemia di colera del 1867 costrinse la famiglia di Verga a rifugiarsi tra le proprietà di San Agata li Battiati e Trecastagni. Nel 1869 tornò a Firenze, dove rimase fino al 1871, e dove tra artisti, musicisti, poeti e letterati che in quel tempo venivano richiamati dalla capitale, Verga aveva precedentemente conosciuto Luigi Capuana. In questi anni ebbe modo di frequentare i salotti culturali più conosciuti, conducendo una vita mondana, e scrisse il romanzo epistolare Storia di una capinera, comparso nel 1870 sul giornale di moda Il Corriere delle Dame e pubblicato dalla tipografia Lampugnani di Milano nel 1871, grazie al suo amico giornalista Francesco Dall Ongaro, che ne scrisse la prefazione. Con il successo derivato da questo romanzo arrivano anche i guadagni. Verga si trasferì quindi a Milano (il 20 novembre 1872), città in cui rimarrà fino al Negli ambienti milanesi venne introdotto proprio dagli amici conosciuti a VII

12 Firenze: Capuana scrisse una lettera a Salvatore Farina, romanziere e direttore della Rivista minima, mentre Dall Ongaro scrisse di lui al letterato Tullio Massarani. Frequentando assiduamente il salotto Maffei, Verga venne a contatto coi maggiori rappresentanti del secondo romanticismo lombardo e del movimento della Scapigliatura (Arrigo Boito, Emilio Praga e Luigi Gualdo). Sempre in questi ambienti conobbe Federico De Roberto, autore de I Viceré, al quale lo legò una lunga amicizia. Pubblicò in questi anni le opere ascrivibili al periodo tardoromantico di Verga: Eva (1873), Eros e Tigre reale (1875). In Nedda (1874), invece, si intravede già qualcosa del verismo verghiano, che l autore stava sperimentando nel romanzo I Malavoglia, iniziato proprio in quel periodo. Intanto, nel 1876, l editore Brigola pubblicò la raccolta Primavera e altri racconti, contenente novelle apparse in precedenza sulle riviste Illustrazione italiana e Strenna italiana. Sulla rivista Il Fanfulla comparve invece, nel 1878, la novella Rosso Malpelo. Dopo la morte della madre, avvenuta proprio nel dicembre di quell anno, Verga tornò a Catania, dove passò un momento di sconforto. Tuttavia proseguì nel suo progetto di realizzare un ciclo di romanzi per rappresentare tutti gli strati sociali, dal più umile al più aristocratico, che sarà intitolato I vinti (ma in principio doveva essere intitolato La Marea): Padron Ntoni, Mastro- don Gesualdo, La Duchessa delle Gargantas, L onorevole Scipioni, L uomo di lusso. Nell estate seguente tornò a Firenze e poi a Milano e riprese la sua attività letteraria: già ad agosto del 1879 comparve sul Fanfulla della domenica la novella Fantasticheria e, su varie riviste, altre novelle poi confluite nella raccolta Vita dei campi, che sarà pubblicata nel 1880 da Treves, oltre a scrivere Jeli il pastore. In Fantasticherie sono presenti tracce, seppur romanzate, della relazione sentimentale che Verga intrattenne con la contessa milanese Paolina Greppi Lester (che andò avanti dal 1878 al 1905). L anno seguente fu caratterizzato da un fiasco pieno e completo, come scrisse lo stesso Verga all amico Capuana, per via della fredda accoglienza che la critica riservò a I Malavoglia, pubblicato presso l editore Treves. Così, nel 1882, con il romanzo Il marito di Elena, edito sempre da Treves, Verga tornò a riprendere i temi erotici e mondani del suo primo periodo, mentre affidò a varie riviste alcune novelle, accomunate dal tema centrale della roba, che poi saranno pubblicate nel 1883 nella raccolta dal titolo Novelle rusticane. Sempre nel 1882, intanto, Verga si recò prima a Parigi, per vedere Louis Edouard Rod (uno scrittore svizzero che aveva conosciuto in precedenza e che nel 1887 pubblicherà la versione francese de I Malavoglia), poi a Médan per incontrare Emile Zola, infine a Londra. Nel 1883, oltre alla pubblicazione di Novelle rusticane, fu impegnato a lavorare sui racconti Per le vie, che furono pubblicato da Treves, dopo essere comparsi sulle riviste Fanfulla della domenica, Domenica letteraria e Cronaca bizantina. Il 1884 rappresentò, per Verga, l anno dell esordio e del successo a teatro. Il pubblico apprezzò molto, infatti l adattamento della novella Cavalleria rusticana, VIII

13 apparsa in Vita dei campi, che fu rappresentata al Teatro Carignano di Torino il 14 gennaio, messa in scena dalla compagnia di Cesare Rossi, con l attrice Eleonora Duse nel ruolo di Santuzza e Flavio Andò per la parte Turiddu. Diversa fortuna ebbe invece il successivo tentativo di adattare la novella Il canarino, già inserita nella raccolta Per le vie, che fu rappresentata al Teatro Manzoni di Milano l anno seguente. A questo periodo risale un momento di particolare scoramento vissuto da Verga, che decise di far ritorno in Sicilia. Nel 1887 pubblicò, presso l editore Barbèra di Firenze, la raccolta Vagabondaggio, che contiene alcune novelle già comparse dal 1884 in poi, ma rielaborate e ampliate. Comparvero nel frattempo, sulla rivista La Nuova Antologia, varie puntate del romanzo Mastro- don Gesualdo, di cui era pronta una prima stesura alla quale Verga aveva lavorato durante tutto il 1889, e che venne pubblicato da Treves a fine anno. La buona accoglienza del pubblico per questo romanzo spinsero Verga a proseguire il ciclo dei Vinti, con La duchessa di Leyra e L Onorevole Scipioni. Nel 1890, dopo un soggiorno di alcuni mesi a Roma, tornò in Sicilia. Proprio a Roma al Teatro Costanzi, nell aprile di quell anno fu messo in scena l adattamento della novella Mala Pasqua, che non ottenne il successo sperato, mentre a maggio fu rappresentata Cavalleria rusticana, musicata da Pietro Mascagni, che riscosse il favore del pubblico e della critica. L opera, che venne rappresentata anche successivamente, raccogliendo un successo sempre crescente, non si tradusse però nel guadagno economico sperato: l editore offrì infatti come compenso la cifra di lire, che Verga rifiutò, rivolgendosi prima alla Società degli Autori e procedendo poi per vie legali. La vicenda giudiziaria durerà tre anni, dal 1891 al 1893, e si concluderà con una compensazione finale che l editore dovette offrire all autore centinaia di volte superiore all offerta iniziale. In quegli anni l editore Treves aveva pubblicato I ricordi del capitano d Arce (1891) e Don Candeloro e C.i. (1894). Nel 1893 Verga si trasferì quindi definitivamente nella sua Catania, che lascerà solo per alcuni brevi viaggi a Milano e a Roma e dove rimarrà fino alla morte. In questo periodo inizia una sorta di crisi creativa, che lo indusse a tornare al suo stile tardoromantico, allontanandosi dal verismo. Il tentativo di completare il Ciclo dei Vinti si rivelò infatti arduo, per via dell impossibilità di mantenere fede alla poetica dell impersonalità, senza lasciar trapelare il suo disprezzo, nel trattare le classi aristocratiche. E infatti non riuscì a terminare La duchessa di Leyra, al quale continuò a lavorare per anni (almeno fino al 1907). Nel 1896 l editore Treves pubblicò i drammi ricavati dalle novelle Cavalleria rusticana, In portineria e La Lupa (quest ultima riscosse un gran successo presso il Teatro Gerbino di Torino). L anno seguente Treves pubblicò una seconda versione di Vita dei campi, modificata dall autore e arricchita delle illustrazioni di Arnaldo Ferraguti, mentre compare sulla rivista catanese Le Grazie, la novella La caccia al lupo. Questo lavoro ed un altro dal titolo La caccia alla volpe, fu adattato per la IX

14 rappresentazione teatrale, che avvenne nel 1901 presso il Teatro Manzoni di Milano (mentre nel 1902 saranno pubblicati da Treves). Nel 1903 morì il fratello Pietro e gli vennero affidati i nipoti Giovanni Patriarca, Caterina e Marco, che Verga volle poi fare suoi figli adottivi. Sempre nel 1903 fu rappresentato al Manzoni di Milano il dramma Dal tuo al mio che nel 1905 comparirà a puntate su La Nuova Antologia, e sarà pubblicato da Treves nel La sua attività di scrittore, in questo periodo, si ridusse notevolmente, poiché Verga si dedicò alla cura delle proprietà di famiglia e si allontanò dalla scena letteraria. Tra il 1912 e il 1914 affidò all amico Federico De Roberto la sceneggiatura cinematografica di alcune sue opere. Lo stesso Verga ridusse Storia di una capinera e La caccia al lupo per farne una versione destinata al teatro. Durante gli anni del primo conflitto mondiale, Verga si schierò al fianco degli interventisti e, nel 1915, entrò a far parte dell Associazione Nazionalista Italiana, assieme a Enrico Corradini e Gabriele D Annunzio. Fu inoltre vicino al movimento fascista durante il dopoguerra, ma non si iscrisse ai Fasci di combattimento. Nel 1919 scrisse la sua ultima novella Una capanna e il tuo cuore, pubblicata postuma nel 1922 sull Illustrazione italiana, mentre nel 1920 venne pubblicata a Roma, sulla rivista La Voce, l edizione riveduta delle Novelle rusticane. Gli ottant anni di Verga furono festeggiati a Catania, presso il Teatro Massimo Vincenzo Bellini, di fronte al Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce. Il discorso ufficiale per le onoranze fu tenuto da Luigi Pirandello. Nello stesso anno, per decisione del re Vittorio Emanuele III, Verga ricevette a Roma la nomina di senatore del Regno. Giovanni Verga morì il 27 gennaio 1922, a causa di un ictus che lo aveva colto tre giorni prima a Catania, nella casa di Sant Anna. Fu assistito dai nipoti e dall amico De Roberto. Le sue spoglie sono conservate nel cimitero monumentale di Catania, presso il viale degli uomini illustri. X

15 ! Introduzione! Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell ignoto, l accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell Onorevole Scipioni, per arrivare all Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera dell azione umana si allarga, il congegno della passione va complicandosi; i tipi si disegnano certamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all idea, in un epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un uniformità di sentimenti e d idee. Perché la produzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come 1

16 mezzi necessari a stimolare l attività dell individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest immensa corrente dell attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l osservatore, travolto anch esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d oggi, affrettati anch essi, avidi anch essi d arrivare, e che saranno sorpassati domani. I Malavoglia, Mastro- don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l Onorevole Scipioni, l Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l esistenza, pel benessere, per l ambizione - dall umile pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - all uomo dall ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini, di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge - all artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un altra forma dell ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com è stata, o come avrebbe dovuto essere.! Milano, 19 gennaio

17 ! I! Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso - un pugno che sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le cinque dita s aiutino l un l altro. Diceva pure, - Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo. E la famigliuola di padron Ntoni era realmente disposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c era dipinto sotto l arco della pescheria della città; e così grande e grosso com era filava diritto alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso» tanto che s era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: Ntoni il maggiore, un bighellone di vent anni, che si buscava tutt ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. - Alla domenica, quando entravano in chiesa, l uno dietro l altro, pareva una processione. Padron Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi, «Perché il motto degli antichi mai mentì»: - «Senza pilota barca non cammina» - «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano» - oppure - «Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» - «Contentati di quel che t ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante» ed altre sentenze giudiziose. Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron Ntoni passava per testa 3

18 quadra, al punto che a Trezza l avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria. Padron Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto». Nel dicembre 1863, Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato per la leva di mare. Padron Ntoni allora era corso dai pezzi grossi del paese, che son quelli che possono aiutarci. Ma don Giammaria, il vicario, gli avea risposto che gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si metteva a ridere fra i peli della barbona, e gli giurava fregandosi le mani che se arrivavano a mettere assieme un po di repubblica, tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbero presi a calci nel sedere, ché soldati non ce ne sarebbero stati più, e invece tutti sarebbero andati alla guerra, se bisognava. Allora padron Ntoni lo pregava e lo strapregava per l amor di Dio di fargliela presto la repubblica, prima che suo nipote Ntoni andasse soldato, come se don Franco ce l avesse in tasca; tanto che lo speziale finì coll andare in collera. Allora don Silvestro il segretario si smascellava dalle risa a quei discorsi, e finalmente disse lui che con un certo gruzzoletto fatto scivolare in tasca a tale e tal altra persona che sapeva lui, avrebbero saputo trovare a suo nipote un difetto da riformarlo. Per disgrazia il ragazzo era fatto con coscienza, come se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza, e il dottore della leva, quando si vide dinanzi quel pezzo di giovanotto, gli disse che aveva il difetto di esser piantato come un pilastro su quei piedacci che sembravano pale di ficodindia; ma i piedi fatti a pala di ficodindia ci stanno meglio degli stivalini stretti sul ponte di una corazzata, in certe giornataccie; e perciò si presero Ntoni senza dire «permettete». La Longa, mentre i coscritti erano condotti in quartiere, trottando trafelata accanto al passo lungo del figliuolo, gli andava raccomandando di tenersi sempre sul petto l abitino della Madonna, e di mandare le notizie ogni volta che tornava qualche conoscente dalla città, che poi gli avrebbero mandati i soldi per la carta. Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un gruppo nella gola anch esso, ed evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l avesse con lei. Così se ne tornarono ad Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastianazzo, che si era sbrigato in fretta dal disarmare la Provvidenza, per andare ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a quel modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo di aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattr occhi colle vecchie stoviglie, e padron Ntoni disse al figliuolo: - Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più. Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per veder passare il 4

19 convoglio dei coscritti che andavano a Messina, e aspettarono più di un ora, pigiati dalla folla, dietro lo stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti, le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringimento di cuore che si aveva prima. - Addio Ntoni! - Addio mamma! - Addio! ricordati! ricordati! - Lì presso, sull argine della via, c era la Sara di comare Tudda, a mietere l erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c era venuta per salutare Ntoni di padron Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che Ntoni salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a guardare finché il treno non si mosse. Alla Longa, l era parso rubato a lei quel saluto; e molto tempo dopo, ogni volta che incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le voltava le spalle. Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i curiosi si furono dileguati, non rimasero che alcune donnicciuole, e qualche povero diavolo, che si tenevano ancora stretti ai pali dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco si sbrancarono anch essi, e padron Ntoni, indovinando che la nuora dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesimi di acqua col limone. Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le andava dicendo: - Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto, e non pensarci più. Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla Longa nell apparecchiare il deschetto, o a proposito di certa ganza che Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l argano. Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava - Qui ci vorrebbe Ntoni - oppure - Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, mentre ribatteva il pettine sul telaio - uno! due! tre! - pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordimento, e le picchiava ancora dentro il petto, - uno! due! tre! Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confortarsi, e per confortare gli altri: - Del resto volete che vel dica? Un po di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarsele a spasso la domenica, anziché servirsene a buscarsi il pane. Oppure: - Quando avrà provato il pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua. Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera di Ntoni, che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le donne, in quelle parti là, scopavano le strade colle gonnelle di seta, e che sul molo c era il teatro di Pulcinella, e si vendevano delle 5

20 pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano i signori, e senza soldi non ci si poteva stare, e non era come a Trezza, dove se non si andava all osteria della Santuzza non si sapeva come spendere un baiocco. - Mandiamogli dei soldi per comperarsi le pizze, al goloso! brontolava padron Ntoni; già lui non ci ha colpa, è fatto così; è fatto come i merluzzi, che abboccherebbero un chiodo arrugginito. Se non l avessi tenuto a battesimo su queste braccia, direi che don Giammaria gli ha messo in bocca dello zucchero invece di sale. La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio c era anche Sara di comare Tudda, tornava a dire: - Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano apposta Ntoni di padron Ntoni per rubarselo; che non ne avevano visti mai dei cetriuoli laggiù! Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d allora in poi le ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo». Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l avevano visto tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di comare Tudda lo faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San Michele Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati sul tappeto, e quella cortina sul capo, come quella della Madonna dell Ognina, così bello, lisciato e ripulito che non l avrebbe riconosciuto più la mamma che l aveva fatto; e la povera Longa non si saziava di guardare il tappeto e la cortina e quella colonna contro cui il suo ragazzo stava ritto impalato, grattando colla mano la spalliera di una bella poltrona; e ringraziava Dio e i santi che avevano messo il suo figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie. Ella teneva il ritratto sul canterano, sotto la campana del Buon Pastore - che gli diceva le avemarie - andava dicendo la Zuppidda, e si credeva di averci un tesoro sul canterano, mentre suor Mariangela la Santuzza ce ne aveva un altro, tal quale chi voleva vederlo, che glielo aveva regalato compare Mariano Cinghialenta, e lo teneva inchiodato sul banco dell osteria, dietro i bicchieri. Ma dopo un po di tempo Ntoni aveva pescato un camerata che sapeva di lettere, e si sfogava a lagnarsi della vitaccia di bordo, della disciplina, dei superiori, del riso lungo e delle scarpe strette. - Una lettera che non valeva i venti centesimi della posta! borbottava padron Ntoni. La Longa se la prendeva con quegli sgorbj, che sembravano ami di pesceluna, e non potevano dir nulla di buono. Bastianazzo dimenava il capo e faceva segno di no, che così non andava bene, e se fosse stato in lui ci avrebbe messo sempre delle cose allegre, da far ridere il cuore agli altri, lì sulla carta, - e vi appuntava un dito grosso come un regolo da forcola - se non altro per compassione della Longa, la quale, poveretta, non si dava pace, e sembrava una gatta che avesse perso i gattini. Padron Ntoni andava di nascosto a farsi leggere la lettera dallo speziale, e poi da don Giammaria, che era del partito contrario, affine di sentire le due campane, e quando si persuadeva che era scritto proprio così, ripeteva con Bastianazzo, e con la moglie di lui: - Non ve lo dico io che quel ragazzo avrebbe dovuto nascer ricco, come il figlio di padron Cipolla, per stare a grattarsi la pancia senza far nulla! Intanto l annata era scarsa e il pesce bisognava darlo per l anima dei morti, ora che 6

21 i cristiani avevano imparato a mangiar carne anche il venerdì come tanti turchi. Per giunta le braccia rimaste a casa non bastavano più al governo della barca, e alle volte bisognava prendere a giornata Menico della Locca, o qualchedun altro. Il re faceva così, che i ragazzi se li pigliava per la leva quando erano atti a buscarsi il pane; ma sinché erano di peso alla famiglia, avevano a tirarli su per soldati; e bisognava pensare ancora che la Mena entrava nei diciassett anni, e cominciava a far voltare i giovanotti quando andava a messa. «L uomo è il fuoco, e la donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia». Perciò si doveva aiutarsi colle mani e coi piedi per mandare avanti quella barca della casa del nespolo. Padron Ntoni adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c era un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini erano un po avariati; ma non ce n erano altri a Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapea pure che la Provvidenza se la mangiava inutilmente il sole e l acqua, dov era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla; perciò si ostinava a fare il minchione. - Eh? non vi conviene? lasciateli! Ma un centesimo di meno non posso, in coscienza! che l anima ho da darla a Dio! - e dimenava il capo che pareva una campana senza batacchio davvero. Questo discorso avveniva sulla porta della chiesa dell Ognina, la prima domenica di settembre, che era stata la festa della Madonna, con gran concorso di tutti i paesi vicini; e c era anche compare Agostino Piedipapera, il quale colle sue barzellette riuscì a farli mettere d accordo sulle due onze e dieci a salma, da pagarsi «col violino» a tanto il mese. Allo zio Crocifisso gli finiva sempre così, che gli facevano chinare il capo per forza, come Peppinino, perché aveva il maledetto vizio di non sapere dir di no. - Già! voi non sapete dir di no, quando vi conviene, sghignazzava Piedipapera. Voi siete come le e disse come. Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo cena, mentre si chiacchierava coi gomiti sulla tovaglia, rimase a bocca aperta; come se quella grossa somma di quarant onze se la sentisse sullo stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron Ntoni dovette spiegarle che se il negozio andava bene c era del pane per l inverno, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della Locca. Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla. Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della Provvidenza che era la più vecchia delle barche del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sentiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l orciolino coll olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaffetta. Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con quell usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva venduto la gatta nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch è di patto non è d inganno»; che l anima lui non doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli d accordo, 7

22 giurando e spergiurando che un caso simile non gli era capitato da che era vivo; e cacciava le mani nel mucchio dei lupini e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testimoni. Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una proposta disperata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso rimminchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: - Là! pagateli a Natale, invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavolone? - E cominciò ad insaccare: - In nome di Dio, e uno! La Provvidenza partì il sabato verso sera, e doveva esser suonata l avemaria, sebbene la campana non si fosse udita, perché mastro Cirino il sagrestano era andato a portare un paio di stivaletti nuovi a don Silvestro il segretario; in quell ora le ragazze facevano come uno stormo di passere attorno alla fontana, e la stella della sera era già bella e lucente, che pareva una lanterna appesa all antenna della Provvidenza. Maruzza colla bambina in collo se ne stava sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito sbrogliava la vela, e la Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai fariglioni come un anitroccola. - «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare senza paura», diceva padron Ntoni dalla riva, guardando verso la montagna tutta nera di nubi. Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. - Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca, perché suo fratello è senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e questa fu l ultima sua parola che si udì. 8

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