ARCHEOMETRIA E RESTAURO

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1 ARCHEOMETRIA E RESTAURO 1 LE ANALISI ARCHEOBOTANICHE Elisabetta Castiglioni, Michela Cottini, Mauro Rottoli 1 Gli scavi sotto l ex scuola d infanzia di Isera hanno portato al rinvenimento di una villa di età romana, la cui distruzione, in seguito ad un incendio, è fatta risalire alla seconda metà del I sec. d.c. Lo studio dei materiali archeobotanici dall edificio di Isera riveste una particolare importanza essendo limitati i confronti per la stessa epoca storica nella Valle dell Adige. I dati archeobotanici ascrivibili ad abitati dell età del Ferro (Sanzeno, fondo Gremes 2 ; Stufles 3 ; Nomi, località Bersaglio 4 ; Fai della Paganella-Doss Castel; Sanzeno, fondo Paternoster 5 ) e a pochi insediamenti di epoca romana (Mezzocorona 6 ; Civezzano, Trento città, Nago 7, Cles località Campi Neri, Riva Monte San Martino 8 ) sono ancora insufficienti per un inquadramento puntuale dell economia agricola e dello sfruttamento delle risorse naturali della valle. Le campionature Le campionature per le analisi archeobotaniche, effettuate nel corso di più campagne di scavo, sono state operate tramite una selezione a vista, con prelievo di modesti quantitativi di frustoli di carboni o con la raccolta di sedimenti non trattati (ca. 25 Kg). Sono stati inoltre esaminati resti lignei carbonizzati da un elemento in bronzo (un piede di kline), alcuni resti mineralizzati aderenti a chiodi e altri oggetti metallici, frammenti e calchi di incannucciata con resti d intonaco. Per i campioni prelevati a vista si è proceduto direttamente alle analisi; i campioni di sedimento sono stati lavati su setaccio a maglia fine (0,5 mm) e, una volta asciutti, vagliati al binoculare per l estrazione di tutti i resti organici presenti. I carboni di legna Durante uno scavo è possibile osservare dei resti carbonizzati riconducibili a strutture o arredi, ma non è sempre facile individuare con precisione i vari elementi che compongono una struttura complessa o elementi pertinenti a diversi oggetti o strutture, secondariamente venuti a contatto per l incendio e il crollo. La prassi di laboratorio prevede quindi un controllo del- 1 Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como. 2 Rottoli, Madella Castelletti Castiglioni, Motella, inedito. 5 Castiglioni, inediti. 6 Castiglioni, Rottoli Per quanto riguarda Nago (Rottoli, inedito), cfr. Cavada 1992b. I dati di Civezzano e Cles, località Campi Neri, ancora inediti, sono di Castiglioni, mentre quelli di Trento, anch essi inediti, sono di Rottoli. 8 Parzialmente edito (Castiglioni 2007). I siti del Trentino menzionati sono stati scavati dalla Soprintendenza per Beni Librari, Archivistici e Archeologici della Provincia Autonoma di Trento. 319 parte2b.pmd 319

2 campioni carboni taxon ambienti US analizzati Ab Pc Lx Pc/Lx Pi s/m Jn con Be Al g/i Cp Os Cp/Os Fa Qu R A. 3 US A. 3 US cfr A. 3 US cfr. 3 7 A. 3 US A. 3 US A. 3 US 329? 3 3 A. 6 US 224? 2 2 A. 6 US cfr. A. 6 US A. 6 US 308* A. 6 US A. 7 US A. 7 US cfr A. 8-9 US cfr A. 9 US A. 9 US A. 9 US A. 14 US A. 14 US A. 14 US A. 14 US cfr. 1 US US US US 403? totali * materiale rinvenuto nell olla n. inv I punti di domanda si riferiscono a quei campioni che presentavano indicazioni poco leggibili. Legenda: CONIFERE: Ab, Abies (abete bianco); Pc, Picea (abete rosso); Lx, Larix (larice); Pi s/m, Pinus sylvestris/p. mugo (pino silvestre/p. mugo); Jn, Juniperus (ginepro); con, conifera non determinabile; LATIFOGLIE: Be, Betula (betulla); Al g/i, Alnus glutinosa/a. incana (ontano comune/o. bianco); Cp, Carpinus (carpino bianco); Os, Ostrya (carpinella); Fa, Fagus (faggio); QuR, Quercus sez. ROBUR (quercia caducifoglie); Cs, Castanea (castagno); Ul, Ulmus (olmo); Lb, Laburnum (maggiociondolo); Pm, Pomoideae (melo, pero, biancospino, sorbo); Pr, Prunus (pruno); Pr*Ar, Prunus tipo armeniaca (pesco o mandorlo o albicocco); Ac, Acer (acero); Cn, Cornus (corniolo); Fxe, Fraxinus excelsior (frassino maggiore); Fx, Fraxinus (frassino). l omogeneità delle singole campionature, attraverso la determinazione e l osservazione macroscopica di più frammenti. Quando i campioni risultano eterogenei, o composti da frammenti molto piccoli, si procede all analisi di un numero maggiore di carboni. Nell analisi dei sedimenti si opera di prassi esaminando, quando disponibili, almeno 30 frammenti di carboni per campione. Sono stati in totale esaminati 517 carboni e riconosciuti almeno 18 taxa (Tab. 1): il buono stato di conservazione e le discrete dimensioni dei frammenti hanno consentito di pervenire comunque, con la sola eccezione di 4 carboni, ad una determinazione. Questa talvolta non giunge a livello specifico per la mancanza di elementi differenziali nell anatomia di alcune specie o è incompleta per 320 parte2b.pmd 320

3 Cs/Qu Ul Ul/Lb Pm Pr Pr*ar Ac Cn Fx e Fx n.d cfr cort Tab. 1 - I risultati dell analisi antracologica. i problemi presenti nella diagnosi dei frammenti più piccoli 9. Disponendo di grossi frammenti è possibile apprezzare una eventuale curvatura degli anelli, correlata al diametro del tronco o dei rami da cui provengono i carboni analizzati: nei materiali più grandi di Isera la curvatura è raramente visibile, segno che la maggior parte di questi (di conifera e latifoglia) è stata ricavata da grosse pezzature; le piccole pezzature appartengono per lo più a latifoglie. Nelle conifere è spesso complesso valutare il diametro originale poiché la combustione determina il frequente insorgere di deformazioni. Nel corso delle analisi è stato possibile verificare su molti frammenti, di legno di conifera e di latifoglia, la presenza di attacchi di organismi lignivori, che sembrerebbero indicare l insorgere di un certo degrado delle strutture in opera, avvenuto in un momento della vita dell edificio non meglio precisabile. I segni di lavorazione sono limitati: un oggetto sfaccettato in ontano (Alnus glutinosa/incana) e tre superfici dubbie di taglio (due su frammenti di frassino maggiore, Fraxinus excelsior, una su un frammento di abete bianco, Abies alba). L oggetto in ontano (US 0), conservato per una lunghezza (nella direzione delle fibre) di 5 cm, presenta una sezione quadrangolare: sono evidenti due piani adiacenti fra loro ad angolo retto conservati per una larghezza di 2,5 cm; tali superfici di taglio non sono coincidenti con i limiti di anello. Non è possibile risalire alla funzione originale dei manufatti. Considerazioni sull utilizzo del legname La presenza di strati di crollo e le discontinuità dovute agli interventi edilizi recenti, che hanno danneggiato l area di scavo, non hanno consentito una chiara lettura dei resti combusti. La funzione degli elementi può essere in parte ricostruita sulla base delle attitudini delle diverse specie impiegate, della frequenza e della dimensioni dei frammenti e delle poche indicazioni tecnologiche osservate. Nell Ambiente 3 (si cfr. Tab. 1), il tipo di materiali e la loro concentrazione sembrano indicare la presenza di soffittature o pavimenti lignei del piano superiore, crollati durante l incendio, in larice (Larix decidua, e forse in abete rosso Picea/Larix) e in abete bianco. L assenza di superfici di taglio in frammenti di discrete dimensioni non consente di interpretarli con certezza come tavole o travetti: l ipotesi più plausibile è che questi materiali siano stati impiegati nella fabbricazione del soffitto. Tale ipotesi si basa sulle qualità tecnologiche del larice e dell abete bianco, oltre che su una consuetudine di impiego del larice in 9 Si ripropone anche in questo caso la difficoltà di distinzione tra i generi Picea e Larix, abete rosso e larice, Carpinus e Ostrya, carpino e carpinella, Quercus e Castanea, quercia e castagno, Ulmus e Laburnum, olmo e maggiociondolo e la difficoltà nella distinzione tra le diverse specie di Fraxinus, frassino, Pomoideae, pero, melo, biancospino e sorbo, e Prunus, pruno. 321 parte2b.pmd 321

4 analoghe strutture in area trentina e più in generale in area alpina e dell abete bianco anche nel resto della penisola. L abbondanza di abete bianco e la sua diffusione nella maggior parte degli ambienti campionati, ne indicano un uso esteso a tutta la villa, mentre sembrerebbe più localizzato, o ridotto, l impiego del larice (o dell abete rosso). La diffusione del faggio (Fagus sylvatica) sia nell Ambiente 3 che negli altri vani è verosimilmente collegata agli arredi della villa, pur non potendo escludere il suo impiego per il tavolame di pavimenti e soffitti. La discontinuità di rinvenimento delle altre specie fa pensare ad impieghi specifici e vari, per arredi, manufatti e legna da focolare. La quercia e l olmo presentano un ampio spettro d uso che varia dall impiego in carpenteria all utilizzo per la fabbricazione di diversi manufatti. Il frassino viene in genere impiegato, ma non solo, per la costruzione di manici d attrezzi; l acero (Acer sp.) e la betulla (Betula sp.) hanno come uso elettivo la fabbricazione di contenitori; il corniolo (o sanguinello, Cornus sp.) e i carpini (Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia) sono legnami robusti, adatti alla fabbricazione di parti di oggetti sottoposti a sforzo e usura; il ginepro (Juniperus communis) può essere stato impiegato per legature flessibili; il pino (Pinus sylvestris/montana) ha molteplici impieghi, il suo ritrovamento nella cucina (Ambiente 6), insieme a rametti di corniolo/sanguinello, suggerisce la presenza di contenitori con parti intrecciate. Già si è detto della presenza di legno di ontano con superfici lavorate: è un legno tenero che non si scheggia, adatto anche a manici non soggetti a particolare usura. Le varie specie di pomoidee (pero, melo, biancospino e sorbo, Pomoideae) e pruni (Prunus sp.) forniscono legname lavorabile per diverse funzioni, il loro ritrovamento nell US 249 (Ambiente 7, anche sotto forma di rametti), insieme a molte altre specie (compresi rametti di olmo e carpino), può essere ricondotto a diverse attività (raccolta di fronde, potature, intrecci, etc.). Il tipo di campionatura e i contesti indagati poco si prestano ad approfondimenti sulla vegetazione forestale della zona. La ricchezza di specie, che riflette una molteplicità di ambienti ecologici, è strettamente legata alle caratteristiche geografiche dell area interessata, la Vallagarina, che presenta un articolata morfologia e una grande varietà di paesaggi. All interno delle specie individuate sono preponderanti quelle che caratterizzano la vegetazione naturale, presenti nelle diverse fasce vegetazionali che si succedono dal fondovalle verso le quote più elevate, mentre sono assenti (ad es. vite e nocciolo) o rare (pomoidee, pruni e cornioli) quelle specie chiaramente coltivate o che, già presenti nell ambiente naturale, hanno una diffusione intenzionalmente potenziata dall uomo. Né sono stati osservati elementi che siano chiaramente riconducibili a particolari forme di gestione dei boschi. In realtà, considerando l epoca a cui l edificio si riferisce, è impensabile un semplice sfruttamento delle risorse naturali, dal momento che le fonti, e altri dati archeologici, indicano invece un massiccio intervento di riorganizzazione fondiaria, che può aver determinato una modificazione nella gestione del patrimonio forestale. Anche se tale aspetto è molto complesso da valutare sulla base dei dati archeobotanici, certo è che la presenza di specie che abitano ambienti dislocati a diverse quote, come già osservato nel sito di Mezzocorona, potrebbe essere interpretata come un miglioramento delle vie d accesso alle valli laterali e ai rilievi, che consente di procurarsi i materiali migliori senza preoccuparsi troppo della loro dislocazione. L unico indizio certo di una coltivazione è la presenza di due carboni di una specie di pruno il cui legno presenta porosità anulare (Prunus tipo armeniaca). Questa caratteristica anatomica consente di circoscrivere la determinazione a sole tre specie: il pesco (Prunus persica), il mandorlo (Prunus dulcis) e l albicocco (Prunus armeniaca). Si tratta di specie coltivate di diversa origine e con una diversa storia. I ritrovamenti dei frutti in Italia settentrionale indicano che solo a partire dall età romana si diffondono in questo areale geografico il pesco (numerose attestazioni) e il mandorlo (con ritrovamenti sporadici). Incerta è la data di comparsa dell albicocco, e non solo in Italia settentrionale: per 322 parte2b.pmd 322

5 quanto ci è noto non esistono segnalazione certe per l età romana. Il piede di kline in bronzo Nella cavità interna di un elemento in bronzo pertinente un piede di kline, ovvero il letto su cui l alta società romana soleva consumare i pasti alla moda greca 10, sono stati rinvenuti frammenti lignei combusti: l anima originaria su cui erano impostati i vari elementi bronzei. Oltre a numerosi piccoli frustoli era conservato un frammento di maggiori dimensioni, di forma cilindrica, con diametro di ca. 2 cm, valore corrispondente a quello dell estremità più stretta dell elemento in bronzo. L osservazione della superficie trasversale consente di affermare che l anima in legno è stata ottenuta da una porzione di tronco, tornendola fino ad ottenere la forma voluta 11. La determinazione del legno riconduce a una quercia sempreverde: quasi certamente il leccio (Quercus ilex), poiché la quercia spinosa (Quercus coccifera), in realtà non distinguibile sulla base delle caratteristiche anatomiche del legno, può essere esclusa per le piccole dimensioni del tronco. L impiego di una quercia sempreverde per la fabbricazione del letto merita un approfondimento. Il leccio è attualmente segnalato nella zona di Arco, nell alto Garda, non molto distante dal sito di Isera 12 ; la sua presenza è dovuta alla combinazione di un clima, reso mite dalla prossimità di un grande lago, con l elevata plasticità e adattabilità della pianta. Se la specie sia da considerarsi autoctona o introdotta in tempi più o meno recenti, non è stato ancora definitivamente chiarito. Le analisi polliniche confermerebbero una sua diffusione, anche più ampia, fin dall Atlantico (VI-III millennio a.c. circa) in base ai dati del deposito lacustre di Loppio 13 e di Castellaro (stazione a sud del Lago di Garda) 14. Anche analisi più recenti 15 in area benacense (località Garda nel Veronese), datate col radiocarbonio, ribadiscono una diffusione del leccio e di altre piante termofile già nel tardoglaciale. La presenza del leccio è stata rilevata nei records antracologici di pochi siti del Trentino e dell area gardesana. Mentre le analisi effettuate su resti raccolti a Nago, proprio presso il lago di Loppio (età tardoantica-altomedievale 16 ), non ne hanno riscontrato la presenza. Altre segnalazioni di leccio nel nord Italia, oltre ovviamente a quelle della zona ligure (che presenta però caratteristiche più decisamente mediterranee), sono relative a piccoli elementi strutturali dello scafo di Comacchio 17, ad un legno, presumibilmente fluitato dal versante, rinvenuto a Palù di Livenza 18 (PN), ad un carbone, per altro incerto, da Heraclia-Cittanova (Venezia) 19 e ad alcuni carboni dalla necropoli di Verdello-loc. Colabiolo (BG) 20. Escludendo il dato di Palù, che sembra un inquinamento moderno, i dati di Heraclia e Comacchio, anche se la localizzazione del cantiere navale della nave non è precisamente nota, danno adito a minori perplessità, in quanto sembrerebbe provata una diffusione naturale del leccio sulla costa adriatica 21. Per i carboni di Verdello è stato ipotizzato l impiego del leccio per la fabbricazione del letto funebre o di un oggetto del corredo, trattandosi in questo caso di una specie del tutto estranea alla vegetazione della zona. 10 Cfr. supra, pp La forma complessiva dell elemento ligneo non è ricostruibile sulla base della porzione conservata e quindi non è possibile stabilire se si tratti semplicemente di un asta cilindrica a diametro costante o piuttosto di una gamba modellata, di forma corrispondente a quella del rivestimento bronzeo. 12 Tisi Lona et al Bertoldi Paganelli, Miola Cavada 1992b. 17 Castelletti et al Corti et al Motella, Rottoli inedito. 20 Castiglioni et al Federici, Mangialardi parte2b.pmd 323

6 taxon (nome volgare) tipo di resto A. 3 A. 7 A. 9 US 329 US 249 US 323 CEREALI Hordeum vulgare (orzo) cariosside 14+1fr+2fr cfr. Triticum cfr. spelta (spelta?) cariosside 1 Triticum aestivum/durum (frumento volgare/fr. duro) cariosside 1 Triticum durum/dicoccum (frumento duro/farro) cariosside 1 Triticum sp. (frumento n.d.) cariosside 1 Cerealia (graminacea coltivata) cariosside 6fr FRUTTA Juglans regia (noce) guscio 4 ALTRE PIANTE Galium sp. (caglio) frutto 1 Leguminosae tipo piccolo frutto 7+1m 1 Leguminosae tipo piccolo seme 1fr resti non determinabili 9 Se, quindi, la presenza del leccio in Trentino, nel periodo considerato, non può essere esclusa, sia come frutto di un introduzione in età romana che come relitto di un antica diffusione, l utilizzo per il solo letto, cioè un mobile di particolare fattura, suggerisce una diversa ipotesi: il manufatto sarebbe stato fabbricato nell Italia centrale e quindi portato a Isera 22. Per contro, nonostante che per stile e per tecniche costruttive 23 l edificio si debba considerare di stampo prevalentemente romano, i tipi di legname utilizzati nelle strutture sono di origine autoctona, in accordo con una consolidata tradizione locale che vede il rigoroso impiego delle conifere, e del larice in particolare, per la carpenteria. I resti carpologici L analisi dei sedimenti prelevati negli Ambienti 3, 7 e 9, appartenenti alla parte rustica della villa, ha restituito pochi resti carpologici carbonizzati di cereali, frutti e infestanti (Tab. 2). Fra i cereali, il più rappresentato è l orzo (Hordeum vulgare), mentre il frumento nudo (Triticum aestivum/durum) e lo spelta (Triticum cfr. spelta) sono attestati solo da un resto per tipo; le rimanenti determinazioni sono incomplete: una cariosside di frumento non meglio definibile (Triticum sp.), una cariosside appartenente a un frumento tetraploide (farro, Triticum dicoccum, o grano duro, Triticum durum) e sei resti frammentari di cereali non meglio determinabili. L esiguità dei numeri non consente certo di ricostruire un quadro, sia pure approssimativo, della cerealicoltura a Isera, ma suggerisce una disponibilità nella villa di diverse specie di granaglie, presumibilmente di produzione locale. Alle specie tradizionali (orzo, grano tenero o duro e forse farro) si affiancherebbe lo spelta, un frumento meno conosciuto, la cui coltivazione è oggi quasi completamente abbandonata. Una ricostruzione puntuale delle vicende relative alla sua diffusione e alla sua importanza si scontra con la difficoltà di determinare con sicurezza le cariossidi, in assenza di parti della spighetta, ma è comunque significativo il fatto che le maggiori segnalazioni provengano proprio dalla valle dell Adige. Le attestazioni sono concentrate durante l età del Bronzo, mentre nei periodi successivi sono sporadiche e incerte. Il ritrovamento a Isera potrebbe indicare il perdurare di una tradizione locale consolidata, a ulteriore riprova di una Tab. 2 - I risultati dell analisi carpologica. 22 Lo studio stilistico del rivestimento in bronzo concorderebbe con questa ipotesi (cfr. Maurina in questo stesso volume). 23 de Vos in questo stesso volume. 324 parte2b.pmd 324

7 coltivazione il cui baricentro sembra collocarsi nel centro Europa 24, con irradiazioni nelle aree montane meridionali. La coltivazione di piante da frutto, oltre alla documentazione antracologica di cui si è detto, è attestata nei resti carpologici dal solo ritrovamento di pochi frammenti di gusci di noci (Juglans regia, Ambiente 7, US 249). Il ritrovamento del frutto non dimostra necessariamente una produzione locale 25, ma sulla scorta delle attuali conoscenze è ormai assodato che con la romanizzazione dell Italia settentrionale, la specie viene ampiamente coltivata 26, con effetti di gran lunga più contenuti rispetto alla diffusione del castagno, sia per la minore competitività del noce negli ambienti naturali, sia per un uso meno generalizzato del legname. Completano il quadro delle specie alimentari alcune leguminose non meglio determinabili, rinvenute nell Ambiente 6, adibito a cucina. Si tratta di un grumo mineralizzato, determinatosi per contatto con un elemento metallico non meglio precisabile, che presenta sulla superficie almeno 35 cavità lasciate da semi di leguminose: in alcuni casi le cavità contenevano ancora resti carbonizzati di semi che sono stati riconosciuti come appartenenti alla veccia (Vicia sp.), ma non si può escludere la presenza di lenticchie (Lens culinaris) o piselli (Pisum sativum). Nonostante l incertezza sulla specie, il contesto di rinvenimento induce a ritenere che si tratti di una leguminosa coltivata, conservata in un mobile adibito a dispensa. In età romana anche la veccia (Vicia sativa s.l.) veniva coltivata per l alimentazione dell uomo. Nella parte rustica compaiono anche scarsi residui di altre specie: baccelli e semi subsferici di piccole dimensioni di una leguminosa non meglio determinabile e un frutto di caglio (Galium sp.). Resti con queste caratteristiche possono essere riferibili a specie infestanti, eliminate durante le diverse lavorazioni che seguono il raccolto dei cereali, o a specie utilizzate come foraggio (le leguminose) o per la lavorazione del latte (il caglio). I legni mineralizzati Nell Ambiente 6 (US 318, US 254) sono stati rinvenuti alcuni chiodi con tracce di resti vegetali mineralizzati e due frammenti di legno mineralizzato staccatisi dai supporti metallici. Com è noto la mineralizzazione in presenza di ossidi e sali di ferro può permettere la conservazione di materiali vegetali funzionalmente connessi con l elemento metallico che arrugginisce; il processo può coinvolgere anche materiali venuti accidentalmente a contatto in un secondo tempo con il metallo. Non sempre, come avviene anche nei campioni di Isera, è possibile discriminare tra le due situazioni. Nei campioni US 318A e US 318F 27 è possibile affermare con sufficiente certezza che i chiodi fossero originariamente conficcati in legno di carpino e carpino/carpinella, negli altri campioni (US 318C, US 318D) vi è invece maggiore incertezza. Dalle analisi (Tab. 3) è stato possibile riconoscere 6 diverse essenze legnose: carpino, forse carpinella, betulla, quercia caducifoglie, pruno e forse salice (cfr. Salix sp.). La mineralizzazione avvenuta dopo il crollo, ha coinvolto oggetti non completamente bruciati durante l incendio. Questo fatto è reso ancor più evidente dalla contemporanea presenza, oltre a frammenti di legno, di altri resti botanici: l agglomerato di semi di leguminosa (cfr. supra), frammenti di cannuccia di palude (Phragmites australis) e culmi e lamine fogliari non meglio determinabili (US 318D, US 318E, US318F). Relativamente alle specie rinvenute, la presenza del carpino, strettamente connesso a chiodi di dimensioni contenute (lunghezza cm 7), fa pensare ad un uso per strutture accessorie o arredi, visto che questa specie, non 24 Karg L areale originario del noce comprende l Asia centro-occidentale e i Balcani (Zohary, Hopf 2000). 26 Gobet et al Le lettere aggiunte all unità stratigrafica sono un riferimento di Laboratorio. 325 parte2b.pmd 325

8 A. 6 A. 6 taxon (nome volgare) tipo di resto US 254 US 318 [A] [B] [C] [D] [E] [F] [G] Phragmites australis (cannuccia di palude) legno x x Carpinus betulus (carpino bianco) legno x Betula sp. (betulla) legno x Carpinus/Ostrya (carpino bianco/carpinella) legno x Quercus sez. ROBUR (quercia caducifoglie) legno x cfr. Salix sp. (salice?) legno x Prunus sp. (pruno) legno x Latifoliae (latifoglia n.d.) legno x Vicia/Pisum/Lens (veccia, pisello, lenticchia) semi x Latifoliae (latifoglia n.d.) foglie? x adatta per travature, compare solo sporadicamente nelle campionature antracologiche 28. Le altre specie sembrano riferirsi ancora ad arredi o più presumibilmente a manufatti di piccole dimensioni; il salice non compare nel record antracologico 29. La presenza di cannucce anche se disposte in modo caotico e in rapporto non chiaro con i chiodi (US 318E e US318F) può suggerire l utilizzo di chiodi per fissare al soffitto i cannicci da intonacare. I frammenti di intonaco e incannucciata Un piccolo gruppo di materiali in terra cruda e due calchi sono stati analizzati con lo scopo di chiarire alcuni particolari aspetti della tecnica costruttiva di tramezzi e soffittature 30. Le murature I frammenti dell US 206 sono riconducibili a pareti in terra cruda, ottenuta dalla miscela di fango e paglia, con un intelaiatura di legno e canne (parte I, fig. 90). Questo tipo di tecnica è stato applicato per costruire tramezzi all interno dei vani. L impasto presenta buona compattezza, una porosità ridotta, con pori generalmente medio-grandi, riconducibili a culmi di paglia o fieno, e un abbondanza di ciottolini arrotondati di discrete dimensioni 31. Il frammento più piccolo conserva un impronta di listello ligneo 32. Il più grande 33 presenta una faccia piana di appoggio, presumibilmente a materiale diverso dal legno, e due facce, fra loro parallele, perpendicolari alla faccia piana con impronte di canne; nella faccia dove le impronte sono meglio conservate ne sono presenti tre, parallele, fra loro distanti 1,5 cm e 3 cm, di diametro compreso tra 1 e 2 cm circa. Sulla faccia opposta ne sono malamente visibili 2 (in questo caso non si esclude che siano impronte lignee), quasi parallele. I frammenti più piccoli provenienti da altre unità stratigrafiche non conservano impronte di canne o legno, ma solo abbondantissime impronte di culmi, variamente diretti, di notevoli dimensioni. In un caso è conservata una faccia Tab. 3 - I resti mineralizzati. 28 Un frammento carbonizzato di carpino/carpinella è presente nello stesso vano (Ambiente 6) nell US La determinazione è comunque incerta. 30 Si tratta di 2 frammenti di incannucciata di maggiori dimensioni (US 206), due frammenti di incannucciata o mattone crudo di piccole dimensioni (uno dall US 0 settore 4, uno dall US 425 scavi 94), un frammento di intonaco con tracce di pittura (US 310, n. inv. 8465), un piccolo frammento forse di intonaco (Isera 93, ) e i calchi n. inv e I pori presentano diametro massimo di 0,325 cm; i ciottolini hanno diametro massimo di 2 cm circa. 32 La lunghezza conservata, secondo la direzione delle fibre, è di 6 cm; la larghezza di 1,8 cm; lo spessore conservato di 2-3 mm. 33 Le dimensioni sono di 11x10,5x6,3 cm. 326 parte2b.pmd 326

9 Fig Ricostruzione del sistema di legatura dei fascetti di cannucce. piana (lo spessore del frammento è di 3 cm rispetto alla faccia piana). Sulla base di questi pochi dati non è possibile formulare ipotesi sulle modalità di costruzione. Non sono conservati nei campioni esaminati impronte combinate di canne e legno, per definire meglio le dimensioni degli elementi di sostegno e il sistema di edificazione dell intelaiatura vegetale. Le dimensioni delle impronte riconducono all uso, in questi frammenti, della canna comune (Arundo donax). I soffitti Le osservazioni sono state effettuate direttamente su materiale archeologico e su due calchi. Il materiale archeologico presenta impronte in negativo, mentre dai calchi è possibile osservare la forma reale degli elementi vegetali impiegati. Nell impasto di calce/malta non sono presenti impronte chiaramente riconducibili a culmi di paglia o fieno. Per la costruzione risultano impiegate cannucce più sottili (da 5 a 8 mm di diametro, presumibilmente cannucce di palude, Phragmites australis), unite in fascetti legati, dal diametro variabile di 3-5 cm, costituiti da circa una ventina di cannucce 34. I fasci sono tra loro paralleli e a contatto e presentano tracce di legature oblique con angolo di circa 60. Le legature presenti sullo stesso fascio si ripetono circa ogni 11 cm 35 e sono inclinate nella stessa direzione. Per le legature sono state impiegate fibre o fasci di fibre vegetali non ritorte né intrecciate, di cui non è possibile stabilire la specie. L aspetto caratteristico delle legature, sia per quanto riguarda l angolo che la posizione relativa, permette di ipotizzare una procedura di fabbricazione, estremamente pratica da effettuare, che è analoga a quella delle stuoie e anche dei cesti, se viene operata in cerchio (fig. 217). A lavoro finito il risultato è appunto una sorta di stuoia, resistente ma allo stesso tempo anche molto elastica, poiché i fascetti si possono allontanare e sfalsare senza che la struttura perda di integrità. La tecnica ha il vantaggio di impiegare un unico filo che contemporaneamente unisce le cannucce a formare i fasci e lega i fasci fra loro; si procede assemblando ogni nuovo fascetto alla stuoia già intrecciata tramite il filo, che viene assicurato, con l aiuto di un ago, alla legatura adiacente. Una volta cucito tutto il fascio, se ne affianca un altro e così via procedendo alternativamente nelle due direzioni, senza dover ta- 34 Il numero di impronte di cannucce (7-8 per fascio) è relativo ad una parte della circonferenza del fascio stesso, e quindi il numero complessivo può essere solo stimato indicativamente, ritenendo del tutto plausibile una forma cilindrica. 35 Il dato è puramente indicativo in quanto rilevato su un unico fascio. 327 parte2b.pmd 327

10 gliare il filo, ma solo giuntandolo quando questo è terminato. In uno dei calchi di intonaco di soffitto (n. inv. 8431), nei due fasci esterni le legature presentano una inclinazione opposta rispetto ai due fasci centrali (fig. 206). Questa anomalia si può spiegare in diversi modi: si tratterebbe di punti in cui i fili di legatura terminano, situazione frequente perché fili troppo lunghi sono di impaccio durante la lavorazione; può trattarsi invece di legature per fissare la stuoia al soffitto, effettuate in direzione opposta per conferire una maggiore solidità al canniccio. Oppure, e sempre per lo stesso motivo, la stuoia sarebbe fabbricata alternando regolarmente le direzioni di legatura. 328 parte2b.pmd 328

C1 2 C2 C3 S2 1 5 CPT1 9 S1 3 C4 8 CPT2 6 4 7 PIANTA DI RIFERIMENTO INDAGINI 1) Basilica 2) Edificio del Palladio 3) Edificio di A. Selva 4) Edificio di epoche diverse 5) Edificio di epoche diverse 6)

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