Dip. di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale Università Federico II di Napoli. Corso di Laurea in Ingegneria Edile

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1 Dip. di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale Università Federico II di Napoli Corso di Laurea in Ingegneria Edile Corso di Tecnologia dei Materiali e Chimica Applicata (Prof. Fabio Iucolano) Prove meccaniche

2 Introduzione Per valutare il comportamento meccanico di un materiale si ricorre a prove sperimentali effettuate in condizioni standardizzate su provini di geometria semplici e soggetti a condizioni di carico prefissate. Il risultato di tali prove è spesso fortemente influenzato dal modo in cui è effettuata la prova stessa, che pertanto deve essere eseguita secondo delle procedure standardizzate : Norme. Ente Italiano: UNI Ente Europeo: CEN Norme UNI Norme EN Norme UNI EN = norma EN recepita in Italia Altri organismi Internazionali: ISO, ASTM A tali sigle segue un numero identificativo e l anno di emanazione.

3 Classificazione Prove Meccaniche Prove statiche: viene applicato un carico costante o lentamente crescente nel tempo. Prove cicliche: il carico varia tra un valore minimo e un valore massimo per un numero di volte elevato. Prove ad urto: il carico è applicato molto rapidamente allo scopo di verificare la capacità del materiale di assorbire l energia dell impatto.

4 Prova di trazione E una prova statica, distruttiva, molto versatile, in quanto in grado di fornire indicazioni su diverse tipologie di materiali. Un provino, in genere di forma cilindrica, viene sottoposto a trazione, e di conseguenza si deforma fino a giungere a rottura. L andamento di tale prova viene mostrato mediante la cosiddetta curva «sforzo-deformazione» Sforzo nominale σ = F/A 0 [MPa] Deformazione nominale ε = (l-l 0 )/l 0 = Δl/l 0

5 Apparecchiatura per prova di trazione Cella di carico Traversa mobile Morsetti per il fissaggio Provino

6 Curva sforzo-deformazione Sforzo (σ) ELASTICITA LINEARE σ = E ε (Legge di Hooke) E =Modulo di Young = tg a Deformazione (ε)

7 Moduli elastici di alcuni materiali

8 Snervamento - Inizio della deformazione plastica - σ s = carico (unitario) oltre il quale si passa dal comportamento elastico a quello plastico

9 Snervamento convenzionale Quando lo snervamento non è immediatamente visibile dall andamento della curva, si definisce uno snervamento «convenzionale», pari a quel valore del carico per il quale, dopo la sua rimozione, resta una deformazione residua dello 0.2% σ σ S, 0.2% Carico (unitario) di snervamento convenzionale 0.2% ε f ε 100

10 F Carico di rottura e strizione F Carico (unitario) di rottura σ R FRATTURA σ R è il massimo carico che il provino è in grado di sopportare prima di giungere a rottura. In corrispondenza di tale carico si verifica la strizione: assottigliamento localizzato della sezione del provino ε

11 σ Tenacità Tenacità: graficamente è espressa dall area sottesa dalla curva, e rappresenta l energia che un unità di volume del materiale è in grado di assorbire prima di giungere a rottura. ε f K = σdε 0 ε f ε

12 Proprietà meccaniche che si ricavano dalla prova di trazione E: Modulo di Elasticità o Modulo di Young,[GPa] σ s : Carico (unitario) di snervamento, [MPa] σ r : Carico (unitario) di rottura, [MPa] A% = ε f 100: Allungamento percentuale a rottura Tenacità: [J/m 3 ]

13 Cenni sul comportamento viscoso Nei materiali a comportamento viscoso la deformazione dipende non solo dal valore del carico ma anche dalla variabile tempo. Sforzo costante applicato a t 1 e rimosso a t 2 Deformazione elastica: istantanea Deformazione viscoelastica: variabile nel tempo

14 Cenni sul comportamento viscoso Nei materiali a comportamento viscoso, aumentando la velocità di deformazione (dε/dt), il comportamento del materiale diventa via via più rigido (vedi figura). I materiali polimerici ed i tessuti biologici hanno comportamento viscoso già a T ambiente, mentre per metallici e ceramici la componente viscosa a T ambiente è spesso trascurabile.

15 Creep e rilassamento Si definisce creep (o scorrimento viscoso) una deformazione crescente che si verifica sotto l effetto di un carico tenuto costante per un lungo periodo di tempo. Si parla invece di rilassamento quando il materiale è sottoposto ad una deformazione costante e lo sforzo che si oppone a tale deformazione tende a diminuire nel tempo. N.B. Il creep è particolarmente evidente (e pericoloso) già a T amb nei calcestruzzi e nel legno, mentre per i metalli diventa rilevante solo a T relativamente elevate.

16 Esempio di creep Materiali metallici σ costante ε σ T > 0.5 T f σ ε T ambiente ε ε

17 Altre proprietà meccaniche: Durezza Durezza: la resistenza che la superficie del materiale oppone alla deformazione plastica (e quindi alla scalfittura, alla penetrazione, all abrasione etc...) Può essere valutata in maniera qualitativa ( scala di Mohs ) oppure in maniera quantitativa (prove di durezza) Nella scala di Mohs, molto usata dai mineralogisti, il posto assegnato ad un materiale dipende dalla capacità che esso ha di scalfire o deformare un altro che occupa un posto più in basso. N.B. Stretta correlazione tra durezzaelegameatomico.

18 Prove statiche di durezza: durometri Tale prova consiste nel misurare l impronta lasciata sulla superficie del materiale da un penetratore sul quale agisce un determinato carico per un certo tempo.

19 Prove statiche di durezza: durometri A seconda delle modalità con cui si effettua la prova (tipo di penetratore, entità del carico, tempo di applicazione, ecc), si parlerà di durezza Brinell (HB), Vickers (HV), Rockwell (HR), Knoop (HK, microdurezza). Esempio: HB 10/3000/15 = 300 Durezza Brinell, d=10mm, P=3000 Kg, t=15 s

20 Curve di correlazione durezza-resistenza Tali prove sono molto utilizzate per i materiali metallici. In particolare, per gli acciai esiste una correlazione indicativa tra carico di rottura a trazione e durezza. N.B. possibilità di stimare σ R mediante una prova non distruttiva!!

21 Prove dinamiche di durezza: sclerometri La stima della durezza del materiale viene valutata in funzione dell entità del rimbalzo di una massa metallica che scorre in un cilindro cavo e percuote la superficie da testare. E una prova molto utilizzata per gli elementi in calcestruzzo, in muratura, e per i materiali lapidei in generale. E molto semplice da effettuare, è utile per fare prove in situ, ma non è affidabile quanto le prove statiche.

22 Altre proprietà meccaniche: Resilienza Premessa: La maggior parte dei materiali metallici presenta a T ambiente un comportamento duttile e tenace. Anche per tali materiali, però, possono esserci dei fattori che tendono a facilitare la rottura di tipo fragile. Uno di tali fattori è la velocita di applicazione del carico: un materialepotrebberesisterebene(assorbire energia) in seguito ad un carico statico ma comportarsi diversamente in seguito ad un urto. Un altro fattore, ancor più determinante, è la temperatura acuisi trova il materiale: a T molto basse (decisamente sotto lo zero) i metalli tendono ad assumere un comportamento fragile.

23 Altre proprietà meccaniche: Resilienza Resilienza: L energia assorbita da un provino standardizzato, che presenta un intaglio, quando viene colpito da un maglio. Può essere considerata come indice della suscettibilità ad una rottura duttile (elevata resilienza) o fragile (bassa resilienza). Prova del pendolo di Charpy m= massa del pendolo h= altezza iniziale h = altezza finale Resilienza: K v =mg(h-h )

24 Intervallo di transizione duttile-fragile La prova di resilienza è spesso utilizzata per studiare la transizione duttile-fragile di un materiale metallico al diminuire della temperatura. Effettuando diverse prove a T decrescenti si traccia l andamento della resilienza (K) in funzione della T. T amb In questo modo si determina l eventuale intervallo di temperatura in corrispondenza del quale il materiale subisce una diminuzione dell energia assorbita, passando quindi da comportamento duttile a fragile.

25 Altre proprietà meccaniche: Fatica Fatica: fenomeno che porta a rottura un materiale sottoposto ciclicamente (sollecitazioni ripetute molte volte nel tempo) ad un carico massimo inferiore al suo carico di snervamento. Esempio: Un materiale metallico sollecitato con uno sforzo costante minore di Rs (carico di snervamento) può resistere per un tempo indefinito. Se invece la sollecitazione è ciclica, allora il materiale nel tempo può giungere a rottura per fatica. La rottura per fatica è frequente soprattutto per componenti meccaniche in movimento (settore automobilistico, aeronautico), ma anche per strutture civili (onde del mare, vento, traffico...). N.B. In tutti questi casi, dunque, la progettazione si fa sulla fatica.

26 Prove di fatica Il meccanismo di rottura per fatica è abbastanza complesso. Schematizzando, si può dire che la rottura avviene per innesco e propagazione di una cricca, che porta poi ad una rottura di schianto (temibile proprio perché avviene senza alcun segno premonitore). N.B. Il comportamento a fatica di una struttura reale è di difficile previsione, a causa della difficile riproducibilità di tutte le variabili che intervengono in periodi di tempo così lunghi. Per avere comunque delle indicazioni di massima, si impone un carico sinusoidale, variando il σ max ma tenendo costante R, e misurando il numero di cicli necessari alla rottura: R= σ min /σ max = cost R= σ min /σ max = cost (a) Acciaio (b) Lega di alluminio (a) (b)

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