Presentazione della Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2003

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1 Presentazione della Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici Anno 2003 Roma, Camera dei Deputati, 22 Luglio 2004

2 La legge di riforma del servizio idrico, legge n.36 del 5 gennaio 1994, ha assegnato al Comitato per la vigilanza sull uso delle risorse idriche, i cui componenti sono designati in parte dal Governo e in parte dalle Regioni con mandato quinquennale non rinnovabile, il compito di vigilare sull attuazione della riforma e sulla successiva gestione del servizio al fine di garantire l osservanza dei princìpi di efficienza, efficacia ed economicità, la regolare determinazione e il regolare adeguamento delle tariffe nonché la tutela dell interesse degli utenti. Ai sensi dell art.22 della citata legge, il Comitato deve anche presentare annualmente al Parlamento una relazione sullo stato dei servizi idrici. Come nelle precedenti edizioni, in questo documento, relativo al 2003 e al primo semestre del 2004, il Comitato, oltre ad illustrare lo stato dei servizi idrici e il processo di avanzamento della riforma, rende conto della propria attività e mette a disposizione del legislatore e degli operatori alcune riflessioni sui problemi del settore. In estrema sintesi si può dire che gli eventi dell ultimo anno presentano luci ed ombre ma con un saldo tutto sommato positivo: più tranquillizzante il contesto fisico; più sensibile l avanzamento della riforma; probabilmente sanati i contrasti istituzionali maggiori, anche se rimane un percorso in salita in tema di investimenti e di rincari tariffari e anche se non mancano residui timori di controversie interpretative sulla recente legislazione. Il contesto fisico Cominciamo l analisi dal contesto fisico. Per la prima volta nell ultimo triennio esso è privo di paure. Nell estate del 2002 l Italia doveva registrare una stagione drammatica di carenza d acqua in quattro regioni del Sud, in paradossale contrasto con le esondazioni fluviali che poco prima avevano colpito il nord del Paese e l Europa centrale, infliggendo gravissimi danni a Praga e Dresda. Nel 2003, dopo che un inverno piovoso aveva rialzato il volume invasato e aveva così fugato le forti preoccupazioni dell anno prima nei riguardi del rifornimento idrico al Sud, il Paese doveva affrontare una straordinaria siccità primaverile ed estiva che colpiva duramente l agricoltura irrigua, soprattutto nella Valle Padana, e creava difficoltà anche agli acquedotti dell Emilia Romagna e dell Italia centrale alimentati da acque superficiali. Tabella 1 Volumi di acqua accumulati negli invasi di alcune regioni meridionali (in milioni di metri cubi) Serbatoi idrici artificiali Monitoraggio al 31 maggio Rapporto Regione Capacità 2004 / n d invaso 2002 Basilicata ,592 Puglia ,151 Sicilia ,289 Sardegna * ,915 Totale ,597 % su totale della capacità di invaso 24,7 66,8 88,9 *Si riferisce alla capacità d invaso autorizzata a maggio 2004 Fonte: INEA estratto dal Rapporto di analisi sulla stagione irrigua. Giugno 2004 (in corso di stampa) 1

3 Quest anno le prospettive sono tranquillizzanti, grazie ad un secondo inverno particolarmente piovoso. In base ai dati dell Istituto Nazionale di Economia Agraria, rispetto alla carente disponibilità idrica nei principali invasi nella primavera 2002, il volume invasato al 31 maggio 2004 nelle quattro regioni meridionali più esposte - Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna risulta più che raddoppiato in Sicilia e circa quadruplicato nelle altre aree (Tabella 1), saturando all 89% la capacità d invaso. Questa è una buona premessa, anche se non sufficiente, per un servizio idrico di qualità che annulli il noto paradosso nazionale dell ottima dotazione di infrastrutture e risorsa e delle diffuse lamentele sui disservizi degli acquedotti. Sotto il primo profilo abbiamo due fonti di dati, già estesamente commentate l anno scorso e qui richiamate in estrema sintesi: l indagine censuaria dell ISTAT sulla distribuzione dell acqua potabile in Italia nel 1999, e il rapporto del Comitato su Lo stato dei servizi idrici, anno 2002, il quale analizza le ricognizioni effettuate in 52 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) che coprono il 60% della popolazione nazionale. Vi sono tra le due fonti numerose differenze su cui riflettere, ma il quadro nazionale è analogo ed è molto confortante: in Italia l uso potabile, che secondo una valutazione dell Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) del CNR interessa il 19% del complessivo prelievo idrico del Paese, può contare su una copertura della rete quasi esaustiva, dato che gli acquedotti servono il 96% della popolazione nazionale, e su una dotazione di acqua erogata pro capite di 267 litri/giorno secondo l ISTAT e di 297 litri/giorno secondo le Ricognizioni. Anche togliendo gli usi non domestici e anche tenendo conto della significativa variabilità tra Ambiti, i dati rimangono ovunque rassicuranti. E si tratta di buona acqua, proveniente per l 85% da pozzi e sorgenti e solo per il 15% ricavata da corsi superficiali e da invasi (però con una percentuale molto più elevata in Polesine, Emilia Romagna, parte della Toscana e delle Marche e vaste aree al Sud). Simili dati tolgono drammaticità allo stesso fenomeno delle perdite, nonostante esso sia rilevante già nei dati ISTAT, che valutano le perdite pari al 29% dell acqua immessa in rete, e ancor più rilevante nelle Ricognizioni, probabilmente più attendibili sotto tale profilo perché frutto di indagini tecniche sul campo, che le valutano pari al 42%. Beninteso, il fenomeno rimane molto preoccupante, anche perché si accentua andando da Nord a Sud e quindi assume particolare peso dove la dotazione idrica è minore. E tuttavia non impedisce una disponibilità media adeguata, come si è detto. Inoltre è bene ricordare che esso è il risultato di un mix sconosciuto di perdite fisiche involontarie (le perdite effettive, nella percezione comune), di perdite fisiche volontarie che possono essere giustificate in presenza di abbondanza d acqua, e di perdite meramente economiche per allacciamenti abusivi e usi non contabilizzati. Si ribadisce quindi il giudizio già espresso al riguardo nelle scorse Relazioni: non conviene lanciare una generica campagna contro le perdite, fatta di premi e penalità che non si saprebbe come regolare; conviene accelerare la riforma in modo che ogni ATO possa svolgere i necessari approfondimenti e possa adottare il programma di azione più confacente alle peculiarità locali del fenomeno. Tornando alla buona dotazione idrica media, il vero problema è che la media si dimostra a volte ingannevole. Un sondaggio dell ISTAT rileva, infatti, che nel 2002 il 13,5% delle famiglie in Italia 2

4 lamentava irregolarità nell erogazione; e il dato nazionale risultava dal mix di un quasi fisiologico 6,6% al Nord e di un preoccupante 27,7% al Sud, con punte molto più elevate in Sicilia (38,1) e Calabria (36,0). E segno che la variabilità temporale della dotazione è elevata e che vi sono momenti frequenti di erogazione insufficiente a saturare la domanda. In ogni caso, quale che sia il giudizio sulla situazione in assoluto del rifornimento potabile, è certo che la sua situazione è relativamente migliore di quella dello smaltimento e della depurazione delle acque reflue. E infatti questa seconda parte del ciclo dell acqua, che non si giova dell evidenza drammatica e della capacità di mobilitazione della carenza idrica, ad avere accumulato i ritardi maggiori. La rete fognaria copre l 84% della popolazione, il che è da considerarsi un dato insoddisfacente; e la depurazione ne copre solo il 73%, il che appare un dato assolutamente insoddisfacente: tanto più che al vuoto di depurazione interessante più di un quarto della popolazione occorre aggiungere l allarme sulla dubbia adeguatezza di molti tra i piccoli impianti di depurazione esistenti a far fronte con efficienza e soprattutto con efficacia agli standard imposti dalla legislazione europea. I dati economici del settore A fronte della situazione descritta e delle necessità di intervento che emergono, come si presenta il settore sul piano economico? Spese correnti ed occupazione La ricerca svolta dall IRS di Milano per il Comitato indica che nel 2001 i costi del servizio per l intero ciclo dell acqua hanno sfiorato i 4 miliardi di euro, con una crescita annua nell ultimo triennio del 4,7%. Tali costi sono stati sostenuti per due terzi per la fornitura dei servizi di acquedotto e solo per un terzo per i servizi di fognatura e depurazione. Quasi nelle stesse proporzioni si divide l occupazione del settore che ammonta a oltre addetti ed è crescente, soprattutto nel comparto degli acquedotti: si è nell ordine di grandezza di due importanti settori di specializzazione della manifattura italiana, quali il tessile ( addetti) e la maglieria (61.000), e ben sopra all occupazione del settore della pubblicità (52.300). Investimenti Contrasta con tali indicazioni, che mostrano un settore in crescita, l analisi degli investimenti. L andamento degli investimenti pubblici, nel periodo compreso tra il 1993 ed il 2001, prosegue infatti lungo il trend decrescente iniziato già a metà degli anni ottanta. Il livello di 637 milioni del 2001 è poco più di un quarto del livello di milioni di euro raggiunto nel Ciò che è più grave, nel periodo si nota una ripresa dell investimento complessivo in opere pubbliche cui non riesce ad agganciarsi il nostro settore, che di conseguenza vede diminuire la propria incidenza sul totale delle opere pubbliche dal 10% del 1993 al 6% del Per quanto riguarda la destinazione settoriale delle risorse investite, il comparto che ne assorbe la quota maggiore è la fognatura (45%), seguita dall adduzione e distribuzione (37%) e dalla depurazione (18 %). 3

5 La concentrazione geografica degli investimenti, infine, continua a favorire il Nord, dove l investimento medio per abitante nel periodo è quasi il doppio di quello verificatosi nelle regioni meridionali della penisola (Tabella 2). In conclusione: investimenti bassi e decrescenti, con concentrazione territoriale che continua a penalizzare la parte del Paese che ne avrebbe maggior bisogno. Le ragioni della crisi degli investimenti E una diagnosi severa, che merita spiegazioni. Le ragioni dell andamento appena descritto sono molteplici. La caduta dell investimento nel settore idrico dopo la fase di grande impegno della prima metà degli anni Ottanta è da considerarsi fisiologica: sistemato un settore, si pensa agli altri. E fisiologica nella crisi generale è anche la disattenzione di cui il settore ha sofferto negli anni Novanta, quando il duro processo di risanamento della finanza pubblica ha comportato la compressione degli investimenti non impellenti. E un processo ancora in corso, che però non basta a dar ragione del permanere della disattenzione negli anni recenti. Qui occorre introdurre anche profili normativi ed istituzionali: da un lato, il ritardo nel recepimento, avvenuto con la legge 152/99, delle direttive europee del 91 concernenti il trattamento delle acque reflue urbane e la protezione delle acque dai nitrati provenienti dall agricoltura, con conseguente ritardo nel flusso di investimenti che ne discende (oltre che con l esposizione del Paese alla procedura d infrazione comunitaria, cui ci aveva portato il caso della mancata depurazione nell area milanese); dall altro lato, l attesa della riforma introdotta dalla legge 36/94 che, seppure considerata abortita per alcuni anni prima del concreto avvio dell attuazione nell ultimo triennio, restava pur sempre in campo a prospettare un mutamento radicale dell assetto organizzativo che non stimolava certo i soggetti operativi esistenti a impegnarsi in opere da passare a nuovi gestori. E il ben noto effetto paralizzante di riforme lente e contrastate, che è motivo aggiuntivo per chiedere chiarezza e determinazione nell applicazione della legge. Tabella 2 Investimenti effettuati nel settore idrico - periodo Investimento Ripartizione Livello complessivo medio per abitante Milioni di euro % Euro Nord-Ovest 1.813,6 26,5 121,4 Nord-Est 1.790,4 26,1 168,4 Centro 1.174,6 17,1 107,7 Sud 1.135,9 16,6 81,6 Isole 936,5 13,7 141,9 Totale 6.851,1 100,0 120,2 Fonte:Indagine trimestrale sulle opere pubbliche ISTAT,

6 Figura 1 - Gli investimenti nell'industria dei servizi idrici (1993=100) Adduzione-distribuzione Fognature Impianti di depurazione Totale Adduzione-Fognature Impianti di Totale , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , Fonte: elaborazione IRS su Archivio ISTAT Opere Pubbliche e di Pubblica Utilità, 2004 Figura 2 - Gli investimenti complessivi e nell'industria dei servizi idrici (1993=100) Servizi idrici Opere pubbliche Servizi idricopere pubbliche , , , , , , , , , , , , , , , , Fonte: elaborazione IRS su Archivio ISTAT Opere Pubbliche e di Pubblica Utilità,

7 Lo stato di attuazione della riforma A che punto è dunque la riforma? Per capire meglio dove siamo, conviene ricordare in via preliminare il punto di partenza, le ragioni e le fasi della riforma. Il punto di partenza è dato dall estesa frammentazione del settore (con l eccezione del gigantesco Acquedotto Pugliese e di pochi altri grandi gestori). All epoca dell introduzione della legge 36/94, si stimavano in oltre gli operatori, comprensivi di quelli che si occupavano dell intero ciclo dell acqua e di quelli che si occupavano di una sola fase, al limite gestendo un unico impianto di trattamento. Ancora nel 1999, nonostante la spontanea tendenza alla concentrazione, l ISTAT ne ha censiti 7.822, tra cui risultavano dominanti (82,6%) i comuni che gestivano in economia in servizio e che spesso affidavano in appalto a privati la manutenzione e la conduzione tecnica degli impianti, mentre risultava pari a solo il 6,7% l'incidenza delle gestioni consortili. La frammentazione si spiega facilmente con la storia dei servizi idrici. Essa affonda le radici in quella responsabilità municipale del servizio decretata dalla legge Giolitti di un secolo fa: una soluzione che ha prodotto molti effetti sociali positivi, specialmente nella prima metà del Novecento, ma che è apparsa sempre più inadeguata mano a mano che crescevano le esigenze di un approccio industriale. E proprio per superare la frammentazione, in modo da sfruttare le economie di scopo e di scala, che la legge 36/94 ha imposto l integrazione funzionale di tutto il ciclo dell acqua - distribuzione, raccolta e depurazione delle acque reflue e l azione integrata su area vasta, il cosiddetto Ambito Territoriale Ottimale. Le fasi della riforma sono note: configurazione degli ATO da parte delle regioni, insediamento delle rispettive autorità nominate dalle assemblee delle province e dei comuni interessati riuniti in convenzione o consorzio, svolgimento delle ricognizioni sullo stato dei servizi, approvazione di un piano di ambito con l indicazione degli interventi e del modello gestionale, scelta della modalità di affidamento della gestione, scelta del gestore. Ed ecco i risultati. Ad oggi gli ATO insediati sono 87 sui 91 previsti e rappresentano circa il 97% della popolazione. Gli ATO che hanno realizzato la ricognizione dello stato delle reti e degli impianti sono 81, pari all 87% della popolazione. L attività di pianificazione, con 61 ATO (72% della popolazione) che hanno approvato il Piano d Ambito, ha subito una forte accelerazione. Gli affidamenti sono 38 e rappresentano il 51% della popolazione. Un quadro insoddisfacente in assoluto a dieci anni dalla promulgazione della legge, ma positivo se si considera l evoluzione dei fatti e si ricorda che nel 2000 erano solo 2 gli ATO con il gestore unico. Tabella 3- Stato di attuazione della L.36/94: evoluzione Insediamento, ricognizioni, piani di Ambito e affidamenti (per ATO) 2000 % 2001 % 2002 % 2003 % ATO insediati 48 53% 74 81% 84 92% 87 96% Ricognizioni completate 25 27% 54 59% 66 73% 81 89% Piani approvati 7 8% 18 20% 47 52% 61 67% Affidamenti effettuati 2 2% 10 11% 25 27% 38 42% 6

8 Tabella 4 - Quadro di sintesi dello stato di avanzamento per Regione ATO Ricognizione Piano Forma di gestione prescelta Regione Previsti Insediati Non avviata In corso Terminata Redatto Approvato Concessione Affidamento diretto Non definita Affidamenti effettuati Piemonte Valle d Aosta Lombardia Trentino Alto Adige NL Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna * Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia ** *** Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Italia Nord Centro Sud NL: Non Legiferato * La legge regionale dell Emilia Romagna consente un affidamento transitorio (come quello effettuato dall ATO Rimini) diverso da quello previsto dalla L.36/94 per il servizio idrico integrato ** Nella Regione Puglia, che l anno scorso risultava aver completato tale fase (svolta, a suo tempo, da Sogesid), l attività di ricognizione è stata nuovamente intrapresa dall ATO dopo il suo insediamento. *** Nella Regione Puglia il D. Lgs 11 maggio 1999, n.141, ha trasformato l Ente Autonomo Acquedotto Pugliese in società per azioni (A.Q.P. S.p.A.) e gli ha affidato la gestione del servizio idrico integrato. 7

9 Questa accelerazione si è manifestata in coincidenza con l approvazione da parte del Parlamento della Legge Finanziaria 2002, avvenuta nel dicembre del L avanzamento è poi proseguito nel tempo in modo abbastanza continuo, dilatandosi dal Centro, che è stata la circoscrizione più sollecita nell applicazione della legge, al Sud e anche al Nord dove, grazie ad uno stato meno problematico del servizio idrico e alla presenza di numerose ed efficienti imprese pubbliche, era diffusa una scarsa sensibilità se non addirittura un ostilità alla riforma. Per quanto riguarda il Sud, gli 11 affidamenti danno un immagine troppo ottimistica della situazione, considerando che il solo Abruzzo conta per 6. E vero tuttavia che ovunque, con l eccezione di un ATO, il piano d ambito è approvato e quindi si è pronti all affidamento. E un forte progresso che ha tre ragioni esplicative: l emergenza idrica del 2002, che ha convinto tutti dell insostenibilità dell assetto organizzativo esistente; le regole del Quadro comunitario di sostegno per le regioni italiane dell obiettivo 1, , che condizionava l erogazione degli ingenti fondi milioni di euro, impegnati per il 46,8 % a fine 2003 al recepimento della legge 36/94, all individuazione degli ATO e all approvazione dei Piani di Ambito; l aiuto fornito dalla Sogesid, società del Ministero dell economia e delle Finanze, che ha effettuato le ricognizioni e predisposto i Piani. In conclusione, alla luce dei dati esposti è possibile affermare che siamo ormai in una fase irreversibile nell applicazione della legge e che già si incominciano ad intravedere nel Paese il disegno della riforma e i suoi primi effetti sull organizzazione dei servizi. C è anche la consolazione che finora il costo dell Autorità di ambito non appare elevato: circa 0,67 euro per abitante l anno, come media ponderata tra casi di ATO retti dalla meno costosa convenzione tra province e comuni e casi di ATO retti dalla più costosa, in quanto più strutturata, forma consortile. Investimenti e tariffe nei Piani di ambito Cosa ci riserva allora il futuro nell ambito della riforma? L ovvia risposta, pensando all obiettivo del legislatore, è che ci dovrebbe riservare un servizio idrico di qualità, efficiente e rispettoso dell ambiente. Ma è anche ovvio che tale risultato sarà raggiunto solo se saremo capaci di sostenerne il costo non lieve. Tale costo è ormai con buona approssimazione deducibile dai piani di ambito esaminati a livello statistico dal Comitato: sono 41 e coprono il 45% della popolazione nazionale. La durata media dei piani è di circa 26 anni e il costo complessivo pro capite è di 891,18. L investimento pro capite annuo ammonta quindi a 34,85, di cui 15,70 per acquedotto, 11,75 per fognatura, 6,88 per depurazione, 0,52 per altri investimenti. L espansione di tali valori a livello nazionale porta ad una previsione di spesa nell arco di 26 anni di oltre 51,06 miliardi di euro, pari a 1,96 miliardi su base annua, di cui circa il 45% per acquedotti e circa il 55% per fognature e depuratori. E possibile risparmiare? Si può confidare che l estrapolazione abbia qualche errore per eccesso, perché la parte mancante dei Piani concerne soprattutto il Nord, dove la migliore situazione di partenza fa sperare in un minor fabbisogno di investimenti. E si può confidare in qualche effetto 8

10 positivo della concorrenza: quella che si crea tra candidati gestori per la gara (ma è forma che non avrà tante applicazioni, come si dirà in seguito); e quella, più generalizzata, che si crea per l obbligatorio appalto dei lavori più rilevanti nell ambito degli affidamenti diretti della gestione. Ma non ci si può illudere. Il forte arretrato di investimenti accumulato nell ultimo ventennio, gli obiettivi di qualità del servizio giustamente perseguiti, i sempre più stringenti obblighi di tutela delle acque e dell ambiente imposti dalle direttive comunitarie, tutto fa pensare che bisogna abituarsi all idea che per un intera generazione il Paese dovrà tornare al livello di spesa degli anni ottanta e quindi investire quasi 2 miliardi di euro l anno: poco meno del triplo del livello corrente. E chiaro che una prospettiva del genere sarebbe irrealistica se si dovesse contare solo sulla finanza pubblica. Ma si sa che la riforma, senza escludere interventi pubblici in particolare nelle regioni finanziate dal QCS, conta sulla tariffa come mezzo di finanziamento degli investimenti, oltre che della spesa corrente. Il problema diventa quindi l impatto dei piani d investimento sulla tariffa. Nella media dei piani studiati la tariffa preesistente ammonta a 0,92 /mc e cresce fino al quindicesimo anno, raggiungendo un valore pari a 1,36 /mc, in corrispondenza del quale si stabilizza. Si tratta di una crescita di circa il 50% in termini reali ed è spiegata proprio dalla necessità di far fronte ad un ammontare di investimenti particolarmente impegnativo, mentre è prevista la sostanziale stabilità dei valori riguardanti i costi operativi. Si aggiunga che i piani contengono previsioni di crescita dei volumi erogati che da alcune parti si giudicano fortemente ottimistiche: se non si realizzassero e se gli investimenti previsti non si adeguassero, la tariffa unitaria risulterebbe ancora più elevata. E quindi importante interrogarsi sulla sostenibilità delle tariffe previste. Per fortuna si parte da valori bassi. L incidenza della spesa per il servizio idrico sul reddito familiare risulta perciò agevolmente sopportabile, pur nella crescita tariffaria anzidetta, anche in confronto con i dati disponibili in sede OCSE. E tuttavia fondata la preoccupazione che l incidenza possa essere troppo pesante per le famiglie in situazione di povertà (una preoccupazione condivisa dall OCSE che nel 2002 ha pubblicato la ricerca Social Issues in the Provision and Pricing of Water Services). Nel nostro caso, ipotizzando una crescita reale dei redditi dell 1% annuo, risulta che l anzidetta tariffa massima prevista attorno al quindicesimo anno comporterebbe un rapporto tra spesa per servizi idrici e spesa complessiva della famiglia pari in media a circa il 3% nel caso di povertà relativa e al 4,35% in caso di povertà assoluta. Sono livelli di incidenza che fanno temere reazioni di limitazione anche dei consumi essenziali o casi di difficoltà di pagamento e di conseguenti fenomeni di indebitamento o di distacco per morosità. La situazione peggiora, poi, se si immagina la combinazione di tariffe crescenti a scaglioni di consumo e di famiglie povere numerose: tali famiglie, infatti, sarebbero spinte dai consumi inevitabilmente più elevati di quelli dell utenza media verso tariffe superiori alla tariffa base. Da ciò deriva una triplice conclusione: - in generale la tariffa appare sostenibile e quindi i piani di investimento previsti appaiono fattibili sotto il profilo finanziario; 9

11 - è necessario applicare le agevolazioni tariffarie previste dalla legge 36/94 (art. 13, comma 5) per i consumi di base nonché per i consumi di determinate categorie secondo prefissati scaglioni di reddito ; - è opportuno che l articolazione tariffaria tenga conto anche della composizione della famiglia (come del resto già in uso per il servizio di asporto dei rifiuti solidi urbani). Il Metodo tariffario Il ruolo cruciale della tariffa nel consentire la fattibilità finanziaria dei Piani di ambito e al contempo nell assicurarne la sostenibilità sociale impone la massima attenzione ai metodi di calcolo e di articolazione della tariffa stessa, se non altro per l ovvio motivo che si è di fronte ad un monopolio naturale e che pertanto non è possibile affidarsi a meccanismi spontanei di mercato. La legge 36/94 ha quindi previsto una rigorosa regolazione pubblica della tariffa, imponendo l elaborazione a livello centrale di un dettagliato metodo tariffario (il cosiddetto Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato ) che serva da guida alla determinazione della tariffa effettiva da parte di ciascuna Autorità di ambito. Il Metodo è stato emanato con D.M e ne è previsto l aggiornamento almeno quinquennale su proposta di questo Comitato. La revisione del Metodo In forza di tale normativa, il Comitato, dopo un ampia consultazione dei soggetti interessati e dopo prolungate analisi interne, ha inviato già nel maggio 2002 al Ministro competente la proposta di una profonda revisione del Metodo. La revisione proposta risponde ad esigenze che si sono manifestate durante l applicazione del metodo in numerosi Piani di Ambito. Essa consentirebbe una più facile ed efficace applicazione del metodo, dando maggiore certezza sia agli ATO che ai gestori, nonché a tutti quei soggetti che dovranno partecipare alle gare per l affidamento della gestione o per la scelta del socio privato. Sul piano sostanziale, quasi tutti gli aggiustamenti proposti si risolverebbero in una maggiore attenzione per evitare di trasferire oneri impropri sull utente. Nel complesso, la revisione assicurerebbe un sistema più efficace di finanziamento degli investimenti e nel contempo meccanismi di tutela delle utenze più deboli. Metodo e gestioni salvaguardate Una seconda proposta avanzata dal Comitato riguarda le cosiddette gestioni salvaguardate, ossia le gestioni preesistenti che vengono mantenute in vita perché rispondono a criteri di efficienza, di efficacia e di economicità (art. 9, comma 4, della legge 36/94). In tema di tariffe, esse sono ora assoggettate alla disciplina transitoria dettata dal CIPE. Ma essendo una delle forme in cui può attuarsi la riforma, è legittimo ed opportuno che anche ad esse si applichi il Metodo normalizzato sulla base di una convenzione e di un piano ex art.11 della L.36/94, che precisi gli obblighi del gestore nell arco temporale della salvaguardia. La segreteria del NARS ha riconosciuto la validità della proposta. La nuova impostazione, se accolta dal CIPE, promette un significativo avanzamento della riforma introdotta dalla legge 36/94, a tutela del consumatore e a fini di efficienza 10

12 L affidamento e il controllo della gestione Dopo questi cenni agli investimenti e alla tariffe nei Piani di ambito, occorre ora approfondire la questione dell affidamento e della gestione. I 38 casi di affidamento ormai avvenuti, mentre non tolgono attualità agli sforzi di promozione della riforma, impongono infatti di prestare una crescente attenzione ai rapporti tra Autorità di ambito e gestore. Innanzitutto, come si configurano gli affidamenti? In ben 25 casi su 38 è stata scelta la formula del partenariato pubblico-privato, affidando il servizio a una S.p.A. mista. Dei 13 ATO restanti, 12 hanno optato per un affidamento a S.p.A. pubblica e 1 solo, che ha proceduto all affidamento da anni, quello di Frosinone, ha aggiudicato il servizio sulla base di una gara. Il sistema di governance nelle società miste Alle società miste occorre dunque guardare come al fenomeno emergente, nei cui confronti cercare i criteri più opportuni di regolazione. In quest ottica si sta anche muovendo la Commissione delle Comunità Europee che ha avviato una procedura di consultazione sulla base della pubblicazione del Libro Verde (COM, 2004/327) relativo al partenariato pubblico-privato e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni. Nella Relazione dell anno scorso abbiamo riferito i risultati dell analisi su alcuni bandi di gara per la scelta del socio privato. E emersa sostanzialmente una netta discrepanza rispetto ai criteri formulati nel D.M. 22 novembre 2001 che regolamenta la gara per l affidamento del servizio: in quest ultimo caso si configura sostanzialmente una gara a vantaggio del consumatore, nel senso che il criterio più importante per l aggiudicazione è la bassa tariffa pretesa dal concorrente per gestire il servizio; nei bandi per il socio privato, invece, prevale il criterio della massima entrata patrimoniale per l ente pubblico concedente. In questa Relazione riferiamo di un analisi su nove società miste in tema di regole di governance adottate dagli azionisti per il governo e la gestione della società. E difficile a questo stadio enucleare un corpo comune di criteri, a dimostrazione che il tema è complesso e aperto a soluzioni anche molto differenziate. Si può tuttavia annotare come sia generale la limitazione del potere dell azionista di maggioranza. E evidente che questi, volendo mantenere la maggioranza assoluta del capitale e nel frattempo coinvolgere i privati nella gestione e nel capitale di rischio, ha pensato che una limitazione del proprio potere avrebbe incentivato sufficientemente i soci privati ad investire nella società. Le stesse regole per l indicazione dell Amministratore delegato, che lo assegnano prevalentemente al socio privato di minoranza, confermano questa intenzione. Tuttavia il centro delle decisioni rimane, in quasi tutti i casi, il Consiglio d Amministrazione. L analisi suggerisce l opportunità di elaborare proposte che affrontino al meglio il punto nodale della società mista, ossia il duplice ruolo dei comuni che in queste società costituiscono la quota del capitale pubblico ma sono anche i soggetti preposti alla regolazione della tariffa e della qualità dei servizi. Una nuova governance delle società miste potrebbe, in questo contesto, facilitare l assolvimento da parte dei comuni di questo duplice ruolo, delimitando l azione del socio pubblico dentro la società mista verso un ruolo più legato al controllo delle obbligazioni contrattuali che a quello gestionale. 11

13 Il sistema di regolazione: contratto di servizio e convenzioni tipo Qualunque sia la modalità di affidamento adottata, occorre affinare gli strumenti di regolazione al duplice scopo di configurare correttamente a priori i diritti e gli obblighi delle parti e di individuare un efficiente sistema di controlli-incentivi-penalità. Il primo strumento che viene in rilievo è il contratto di servizio, strumento tradizionale nel rapporto tra ente locale e soggetto terzo cui sia stato affidato un servizio pubblico. Nella fattispecie del servizio idrico integrato esso è rappresentato dalla convenzione di gestione stipulata tra l Autorità di ambito e il gestore. È ovvia la centralità di tale strumento nel rapporto con un gestore privato o una società mista. Ma essa va sottolineata anche nel caso di affidamento in house perché la corretta dialettica istituzionale e la possibilità concreta di controllo dell efficienza di gestione e di tutela del consumatore sta proprio nel definire a priori le condizioni economiche e tariffarie e dei livelli di servizio da rispettare nella gestione. Per meglio raggiungere il risultato di un chiaro ed esaustivo contratto di servizio, nella fattispecie della convenzione di gestione, occorre tra l altro che sia chiara la convenzione tipo redatta dalla Regione e costituente il binario su cui si deve poi muovere l A.A.T.O. È una tematica già esplorata diffusamente dal Comitato, anche nella Relazione dello scorso anno. Essa viene ripresa nella presente Relazione sotto il profilo più critico che è quello del sistema di controllo e di sanzioni. Le Convenzioni tipo, per altro adottate solo da una parte delle Regioni, presentavano insufficiente attenzione ai temi della regolazione e del controllo sulla gestione del servizio, anche perché definite e adottate in assenza di concrete esperienze di affidamento del servizio. Da qui la proposta del Comitato alle Regioni di un possibile aggiornamento dei testi delle convenzioni tipo, in particolare per quanto riguarda le attività di verifica e controllo sul gestore. A tal fine il Comitato ha attivato, in accordo con le Regioni, un apposito Gruppo di lavoro. La carta dei servizi Un ulteriore indagine del Comitato sugli strumenti di gestione ha riguardato la Carta dei servizi, ossia il documento pubblico in cui il gestore dichiara i livelli di servizio che si obbliga a mantenere, i conseguenti diritti degli utenti e i correlati impegni che egli assume nei loro confronti. Dall analisi svolta su 42 aziende, 11 delle quali rappresentate da gestori di servizio idrico integrato, risulta che le Carte dei Servizi, nella maggior parte dei casi, non favoriscono ancora la partecipazione dei cittadini, l accesso alle informazioni e il rispetto degli standard previsti con una loro successiva verifica, revisione e miglioramento. Spesso la Carta viene considerata dai gestori più in un ottica di promozione dell immagine aziendale che non come un efficace e puntuale strumento dei diritti dell utenza. Affinché l adozione della Carta, da obbligo formale passi a obbligo sostanziale, sembra necessario prevedere che essa faccia parte integrante del contratto di servizio fra l ente pubblico concedente e il soggetto che assume la gestione del servizio. 12

14 Riflessioni sull evoluzione normativa Alcune riflessioni, infine, sull evoluzione della normativa e sui problemi che a tale proposito il Comitato ritiene opportuno sottoporre all attenzione del legislatore. La precedente Relazione, facendo il punto sulla normativa a fine giugno 2003, metteva l accento sui problemi applicativi dell art.35 della legge finanziaria 2002, sulle controversie in atto con la Commissione delle Comunità Europee e tra Stato e Regioni, nonché sul progetto di legge delega in materia ambientale in discussione al Parlamento. Il D. Lgs. 269/2003 e la L. 350/2003 hanno introdotto significative novità: a) contemplando tre modalità di affidamento: gara per il servizio, società mista con socio privato scelto attraverso gara, affidamento a società pubblica con prevalente attività locale e soggetta a controllo analogo a quello esercitato su uffici interni (cosiddetto affidamento in house); b) sanando gli affidamenti diretti in capo a società quotate in borsa e quelli riconducibili alle nuove fattispecie di società mista e di affidamento in house; c) riducendo al 31/12/2006 la proroga concessa agli altri affidamenti diretti. Le reazioni alla nuova disciplina La nuova disciplina ha suscitato contrastanti commenti. Chi ha lodato l abbandono della linea rigida della gara, che dimostrava di non essere recepita dalla maggioranza degli enti locali, e chi ha lamentato la resa nella battaglia per la modernizzazione del settore dei servizi pubblici, visto come ultimo e costoso residuo dello Stato produttore contro la dominante teoria dello Stato regolatore e controllore. Il Comitato ha in più occasioni ricordato il teorema economico della concorrenza per il mercato vista come il miglior surrogato, per la tutela del consumatore, della concorrenza nel mercato, impossibilitata a manifestarsi nel settore monopolistico dei servizi idrici. Al contempo ha avuto modo di avvertire più volte, da ultimo nella Relazione al Parlamento dell anno scorso, sulla diffusa paura della cattura del controllore da parte del controllato, come usano dire gli economisti: una cattura realizzata anche solo attraverso la maggiore competenza tecnica e le maggiori informazioni del gestore rispetto all Autorità di ambito, senza bisogno di pensare alla corruzione; ma non per questo meno gravida di conseguenze. Perciò, continuando nell autocitazione, la precedente Relazione raccomandava tre linee di azione per il successo della riforma, impostata allora sulla gara come unica modalità di concessione del servizio: dialogare con le comunità locali; approntare strumenti di pianificazione e controllo efficienti e convincenti; individuare persone eticamente e culturalmente adeguate al compito di regolatori. Le novità legislative dimostrano che l avvertimento non era infondato. Chi mantiene fede nell efficacia della gara per selezionare il gestore più efficiente potrà consolarsi osservando che rimane comunque uno spazio non irrilevante di concorrenza, per due motivi: perché nella società mista il socio privato è pur sempre scelto mediante gara; e perché una delle nuove 13

15 disposizioni obbliga i gestori che non abbiano avuto l affidamento attraverso gara ad affidare a terzi, selezionati secondo le regole dell appalto pubblico, tutti i lavori di qualche rilievo. Ma la consolazione maggiore, che vale per tutti, è che forse sono così sanati i forti contrasti istituzionali che avevano caratterizzato il periodo tra novembre 2001 e settembre 2003 e che facevano temere che la riforma, che pure aveva fatto un buon cammino lungo le fasi preparatorie, non riuscisse a superare lo scoglio dei conflitti in tema di modalità di affidamento. I dubbi interpretativi Ciò detto, è doveroso avvertire il Parlamento sul timore di altre controversie, a causa dei contrasti e dei dubbi interpretativi sollevati dalla nuove norme, in particolare sui seguenti punti: i criteri di aggiudicazione nella gara per il servizio; la tipologia dei controlli nell affidamento in house (su cui il Consiglio di Stato ha posto quesito alla Corte di Giustizia Europea); la configurazione della gara nella società mista; la proroga delle concessioni esistenti. Rinviando al testo della Relazione per un approfondimento dei temi anzidetti, basterà qui accennare alle questioni relative all affidamento in house e alla società mista. Il caso dell affidamento in house Nel caso di affidamento in house, in ossequio alle richieste comunitarie, la norma prevede che, in aggiunta alla piena titolarità pubblica del capitale sociale, la società sia pienamente controllata dagli enti locali (oltre che essere caratterizzata da attività prevalentemente locale). Si tratterebbe, in buona sostanza, di tornare ad una specie di azienda municipalizzata in versione societaria e al servizio di una pluralità di enti locali. Lo dice lo stesso Consiglio di Stato che sull argomento ha addirittura deciso di porre quesito alla Corte di Giustizia Europea. Ma è difficile che tali enti e le società accettino una simile impostazione, o meglio, simile involuzione, che equivarrebbe ad annullare tutto il lungo cammino sin qui percorso per dare più efficienza alla gestione dei servizi pubblici locali. Sono quindi prevedibili forti pressioni affinché il Governo nazionale accetti e faccia accettare alla Commissione delle Comunità Europee l idea che la proprietà pubblica del capitale sociale, accanto al carattere prevalentemente locale dell attività, basti a configurare l affidamento in house. Il caso della società mista Per quanto riguarda la società mista, che dimostra di essere la nuova forma preferita di affidamento, il timore è che si possa riproporre il contenzioso con la Comunità europea, nonostante sia stato dichiarato ufficiosamente che tale soluzione è stata concordata con la Commissione. È da temere infatti che la concordia nasconda delle ambiguità: perché, sempre in via ufficiosa, pare che la Commissione consideri tale soluzione mista come una variante della gara (si fa la gara per il gestore, il quale ha poi l obbligo di associare soci pubblici anche in maggioranza), mentre è certo che gran parte degli Ambiti vede e pretenderà che anche il Governo veda tale formula come la nuova versione del classico affidamento diretto a società mista, in cui il socio deve sì avere le caratteristiche del socio industriale, portatore di capacità gestionali e detentore di un pacchetto 14

16 azionario non irrilevante, ma restando pur sempre socio in un affidamento diretto alla società pubblica e non già affidatario sostanziale. C è quindi forte attesa delle linee di indirizzo che le autorità competenti devono emanare in materia secondo l esplicita previsione di legge. Un auspicio finale A parte tali linee prescritte, si avverte un forte bisogno di chiarimento su numerosi punti dubbi della legge, come dimostrano, tra l altro, i quesiti emersi in un apposito seminario organizzato dal Comitato con un gruppo di ricerca universitario. Piace pertanto chiudere questa analisi sullo stato e sui problemi dei servizi idrici proprio con l auspicio che il recente e rapido avanzamento della riforma non sia bloccato da controversie interpretative e che trovi anzi ulteriore impulso in un azione sollecita ed esaustiva di chiarimento da parte del Governo. L attività del Comitato Un breve resoconto, come sempre, sull attività del Comitato. Un resoconto che quest anno deve mettere l accento sui programmi non realizzati non meno che sulle azioni svolte sui temi relativi alla vigilanza, alla consulenza per gli operatori del settore, alla tutela del consumatore ed alla divulgazione di dati ed esperienze. L attività di vigilanza si è incentrata soprattutto sul controllo delle modalità di affidamento del servizio idrico integrato e ha individuato alcuni casi di violazione delle norme relative all affidamento e di mancato rispetto della successione degli atti previsti dalla legge 36/94. In questi casi il Comitato ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. L attività di consulenza si è concretizzata in un accresciuto rapporto con le Autorità di ambito che hanno proposto quesiti relativi all organizzazione del servizio idrico integrato ed alla corretta applicazione del Metodo normalizzato. Al fine di una migliore conoscenza delle novità legislative in tema di erogazione dei servizi pubblici, è stato organizzato, in collaborazione con un gruppo di ricerca dell Università LUISS di Roma, un seminario finalizzato all analisi del nuovo art. 113, D. Lgs. 267/2000, al quale hanno partecipato numerosi rappresentanti delle Autorità di ambito e altri operatori, insieme a studiosi. Ai numerosi utenti del servizio idrico che hanno chiesto assistenza nei rapporti con i gestori il Comitato ha risposto esprimendo pareri e, nei casi di sua specifica competenza, intervenendo direttamente sui gestori stessi. L attività di divulgazione ha dato vita ad un Rapporto sullo stato di attuazione della legge 36/94 che verrà inserito nel sito web del Comitato; il 26 maggio 2004, nel corso del convegno su investimenti e tariffe nel servizio idrico integrato è stato presentato il Secondo rapporto sui Piani di Ambito ed infine è tuttora operativo un gruppo di lavoro tra Comitato e rappresentanti delle Regioni incaricato di individuare elementi migliorativi delle convenzioni tipo. Sul fronte delle cose non fatte, va detto che non si è potuto realizzare l impegnativo programma di lavoro preannunciato nella Relazione dell anno scorso, diretto a fornire agli operatori una serie di strumenti bando di gara, piano triennale, schema di controllo di gestione, schema di raccolta delle 15

17 informazioni, ecc. atti a facilitare l applicazione della riforma; né è servita la buona volontà di collaborare della Sogesid con cui il programma era stato elaborato. Ancora più grave è il forte arretrato accumulato nell analisi dei Piani di ambito. Si tratta di verificare non solo la coerenza e la fattibilità dei Piani, ma soprattutto la correttezza nell applicazione del metodo tariffario. E quindi l atto più pregnante del Comitato a difesa dei consumatori che deve registrare questo grave ritardo. Tale situazione, di cui il Comitato ritiene doveroso informare il Parlamento, si spiega con le carenze dei due uffici di supporto previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 36/94 e di cui un successivo DPCM ha stabilito dettagliatamente la composizione, per un totale di 43 addetti: l Osservatorio dei servizi idrici non è ancora funzionante e la Segreteria tecnica, ricostituita con pochi ma validi elementi dopo il passaggio dal Ministero dei LLPP a quello dell Ambiente e della Tutela del Territorio, è stata del tutto azzerata per alcuni mesi e funziona ora con un organico pressoché simbolico, ben lontano da quello previsto dal pertinente DPCM. Il Comitato confida che il Parlamento voglia approfondire la questione e pretendere una rigorosa applicazione della legge. Per il futuro, pensando a chi prenderà il nostro posto nell aprile del prossimo anno, si propone all attenzione del legislatore l opportunità di svincolare il Comitato dalla dipendenza da strutture ministeriali per garantire ad esso, secondo lo spirito della legge, le necessarie condizioni di funzionalità ed autonomia. Nonostante i gravi problemi organizzativi, il Comitato spera di essere riuscito a fornire con la Relazione qui presentata un utile strumento di conoscenza ed è grato a quanti hanno contribuito a realizzarla. In particolare ringrazia gli enti e uffici che hanno fornito preziose informazioni: il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell Economia e delle Finanze, l INEA, l ISTAT, la Smat S.p.A. e la Sogesid S.p.A. 16

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