Capitolo 3. Le correlazioni fra i rendimenti dei prestiti e la diversificazione di portafoglio.

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1 Capitolo 3. Le correlazioni fra i rendimenti dei prestiti e la diversificazione di portafoglio. 3.1 Introduzione. Il terzo tassello fondamentale per poter applicare la teoria di portafoglio è la stima delle correlazioni fra i rendimenti dei prestiti. Tale misura è necessaria per poter calcolare il rischio di un portafoglio prestiti e più precisamente la variabilità del rendimento del portafoglio prestiti. Questa infatti a differenza del rendimento atteso, non può essere calcolata semplicemente come media aritmetica ponderata delle varianza delle singole attività che compongono il portafoglio, ma deve considerare il grado di concordanza delle variazioni inattese dei rendimenti che compongono il portafoglio. L importanza di questa fase è legata sia a una corretta misurazione del rischio di una singola esposizione, la quale dovrebbe identificarsi con il contributo al rischio complessivo del portafoglio della banca, sia ad aspetti quali l identificazione del rischio di concentrazione e in generale la costruzione di portafogli che consentano di minimizzare il rischio o meglio ottimizzare la combinazione rischio rendimento del portafoglio. La misure statistiche usate per stimare la correlazione fra due variabili casuali sono la covarianza e il coefficiente di correlazione. Si chiamino X e Y due variabili casuali di cui vogliamo calcolare la correlazione. La covarianza è così definita: Cov (X, Y) = σ xy = E [ ( X - m x )( Y - m y )] = p xy ( X - m x )( Y - m y ) dove m x e m y rappresentano rispettivamente le medie delle variabili casuali X e Y e P xy sono le probabilità composte associate alle determinazioni delle due variabili casuali. La covarianza sarà positiva se vi è qualche probabilità che X e Y siano contemporaneamente o superiori o inferiori rispetto ai loro valori attesi; sarà negativa se vi è qualche probabilità che X assuma un valore maggiore al suo valore atteso

2 quando Y assume un valore inferiore, o viceversa; sarà nulla quando X e Y sono indipendenti 1. Il coefficiente di correlazione si ottiene invece dividendo la covarianza fra due variabili casuali per il prodotto delle deviazioni standard di ciascuna variabile casuale. Esso è così definito: ρ xy = Cov (X, Y)/σ x σ y Il coefficiente di correlazione è una variabile con le stesse proprietà della covarianza con la particolarità che può assumere solo valori compresi fra -1 e 1. Esso sarà pari a +1 quando le due variabili sono perfettamente correlate positivamente, assumerà valore 1 quando sono perfettamente correlate negativamente e sarà pari a 0 quando non esiste correlazione. E ovvio che il coefficiente di correlazione è nullo, positivo, negativo, a seconda che le due variabili X e Y siano rispettivamente non correlate, correlate positivamente o correlate negativamente. La correlazione dovrebbe essere calcolata sulla variabile casuale rendimento. Tuttavia, per i prestiti, per le ragioni considerate nel precedente capitolo, le variabili casuali oggetto di studio per la stima delle suddette correlazioni sono le perdite dei prestiti in portafoglio, che rappresentano senz altro un ottima proxy delle correlazioni fra i rendimenti. Il rischio del portafoglio è dunque dato dalla volatilità complessiva delle perdite dei prestiti in portafoglio. Nell ambito di un percorso che a partire dal rischio dei singoli prestiti porta alla definizione del rischio di portafoglio, la stima delle correlazioni rappresenta indubbiamente la fase metodologicamente più complessa e ancora tecnicamente più imprecisa. Metodologicamente più complessa perché una corretta misurazione del rischio di un portafoglio necessita di identificare i fattori, di natura sistematica, dai quali 1 Per approfondimenti sulla covarianza si veda O. VITALI, 1993, p. 154.

3 dipendono le variazioni congiunte dei tassi di perdita dei singoli impieghi in portafoglio. A differenza di quanto avviene nell ambito dei rischi di mercato, dove i fattori di rischio sono facilmente identificabili nelle variazioni degli stessi fattori di mercato (tassi d interesse, tassi di cambio, prezzi azionari, ecc.) e le singole posizioni di rischio possono dunque essere scomposte e ricondotte, mediante una procedura di mapping a tali fattori, nel caso del rischio di credito i diversi modelli adottano generalmente approcci differenti alla definizione dei fattori di rischio. Così, ad esempio alcuni identificano nell appartenenza degli affidati ai medesimi settori produttivi o alle stesse aree (paese) geografiche i fattori di rischio sistematico di un portafoglio, altri si spingono oltre identificando tali fattori nella comune sensibilità delle esposizioni alle variazioni d alcuni fattori macroeconomici, altri ancora non esplicitano in alcun modo i fattori comuni di rischio e si limitano a rilevare la variabilità del tasso di perdita del portafoglio. Tecnicamente più imprecisa perché, a differenza di quanto avviene per i rischi di mercato, dove si hanno a disposizione dati pubblici ad elevata frequenza e relativi a prolungati periodi campionari storici con i quali stimare la distribuzione di probabilità congiunta delle variazioni dei fattori di mercato e dunque le correlazioni fra queste ultime, nel caso di rischio di credito i dati sono spesso carenti, a bassa frequenza e relativi a periodi campionari storici limitati. Il presente capitolo si sofferma sull analisi dei diversi approcci che, alla luce delle precedenti considerazioni, la misurazione del rischio di portafoglio può seguire facendo riferimento in particolare ai prestiti bancari anche se gli approcci in esame possono trovare teoricamente applicazione ad altre tipologie d esposizioni creditizie. Una volta chiarita la rilevanza connessa all identificazione dei fattori di rischio sistematico di un portafoglio impieghi, l analisi si sofferma sulle caratteristiche tecniche, i vantaggi e gli svantaggi connessi ai principali criteri per il mapping dei singoli impieghi e per la successiva misurazione del rischio del portafoglio.

4 3.2 Gli approcci classici per la misurazione del rischio di un portafoglio. Una prima modalità per stimare il rischio di un portafoglio composto da N impieghi creditizi è quella che si basa sulla stima delle correlazioni fra le perdite inattese dei singoli impieghi in portafoglio. Analiticamente: σ p = n n σ iσjρ i= 1 j= 1 i, j dove σ i rappresenta la volatilità del tasso di perdita connesso all impiego i e ρ ij rappresenta il coefficiente di correlazione fra le variazioni inattese del tasso di perdita degli impieghi i e j. Per quanto corretto dal punto di vista teorico, questo metodo mal si presta alla concreta determinazione del contributo che il singolo impiego arreca, in termini di rischio, al portafoglio complessivo di una banca. Sarebbe, infatti, necessario costruire una matrice di dimensioni N*N, dove N indica il numero d impieghi in portafoglio, al cui interno siano periodicamente calcolati gli N*(N-1)/2 coefficienti di correlazione fra i diversi impieghi in portafoglio. E dunque necessario ricorrere ad una soluzione alternativa che consenta da un lato di non trascurare i benefici connessi alla costruzione di un portafoglio sufficientemente diversificato per settori produttivi e aree geografiche delle imprese affidate, dall altro di tradurre operativamente tali benefici in un sistema d incentivi in grado di superare gli ostacoli connessi alla pura formulazione teorica. Una possibile soluzione alternativa, analoga a quella che, nell ambito di un portafoglio mobiliare, prevede il passaggio da un modello alla Markowitz ad un modello a indice singolo, è quella che prevede di stimare la correlazione fra le perdite del singolo impiego non nei confronti di quelle degli altri (N-1) impieghi in portafoglio ma nei confronti di quelle del portafoglio. Analiticamente: σ p = n σ i = 1 iρi, p dove σ i rappresenta la volatilità del tasso di perdita connesso all impiego i, e ρ i,p rappresenta la correlazione fra le variazioni inattese delle perdite relative all impiego i e quelle del portafoglio complessivo della banca.

5 Questa seconda soluzione, seppure capace di superare la complessità connessa alla numerosità dei coefficienti di correlazione da stimare della precedente soluzione, soffre anch essa di due principali problemi. Il primo problema è connesso al fatto che la stima del tasso di perdita e delle relative variazioni, essendo l evento perdita derivante dall insolvenza un evento raro e peraltro unico se il riferimento è a un singolo soggetto, non può essere compiuta al livello del singolo affidamento ma necessita di ricorrere, come detto nel primo paragrafo, a una qualche forma di raggruppamento degli affidati. Il tipo di raggruppamento più sovente utilizzato è quello che si basa su una classificazione in classi di merito creditizio. Questo tipo di raggruppamento è particolarmente efficace quando l obiettivo è di stimare il tasso di insolvenza di un singolo affidato o il rischio di un singolo impiego, risulta tuttavia poco utile quando l obiettivo è di stimare le correlazioni fra le variazioni dei tassi di insolvenza degli affidati in portafoglio. Mentre infatti la variabilità del tasso di perdita di un impiego, e dunque il rischio di quest ultimo, è direttamente proporzionale al grado di merito creditizio dell affidato, il suo contributo al rischio del portafoglio, ossia il suo rischio marginale, non dipende tanto dal fatto che il singolo impiego appartenga ad una determinata classe di merito creditizio, quanto piuttosto dal fatto che l impiego sia concesso a un impresa operante in un certo settore produttivo o in una certa area geografica. E infatti da quest appartenenza che deriva una diversa sensibilità dell impresa alle variazioni dei fattori di natura sistematica che incidono sul rischio del portafoglio. Ne segue che la classificazione in classi di merito creditizio andrebbe affiancata da una classificazione per settori produttivi e per aree geografiche. Un secondo problema è rappresentato dal fatto che, nell analizzare il rischio del portafoglio, e in particolare nello stimare le correlazioni fra le variazioni inattese dei tassi di perdita degli impieghi in portafoglio i due metodi non si sforzano di esplicitare i fattori causali che stanno alla base delle correlazioni stesse. In altri termini, il fatto che due impieghi siano caratterizzati da una certa correlazione dei rispettivi tassi di perdita inattesi dipende dalla comune dipendenza di questi ultimi da

6 fattori di rischio sistematico che non sono in questo caso in nessun modo esplicitati. Le conseguenze della mancata esplicitazione dei fattori di rischio sistematico sono due. Anzitutto, in mancanza di una corretta comprensione dei fattori causali che determinano la correlazione e il conseguente rischio di concentrazione di un portafoglio, risulta anche difficile, se non impossibile, andare al di là di una semplice rilevazione del rischio del portafoglio e in particolare modificare opportunamente la composizione dello stesso in modo da ridurne il grado di rischio. In secondo luogo, se l esistenza di determinate correlazioni viene semplicemente rilevata senza essere spiegata, si rischia di ottenere delle stime di tali coefficienti che risultano temporalmente instabili. Il superamento dei problemi menzionati richiede dunque da un lato che le esposizioni del portafoglio impieghi della banca vengano ricondotte, mediante un appropriata procedura di mapping, ai relativi fattori di rischio di natura sistematica, in modo da poter successivamente rilevare il rischio del portafoglio sulla base delle correlazioni fra tali fattori di rischio, dall altro che la stima delle correlazioni non si limiti alle variazioni dei tassi di insolvenza, e dunque dei tassi di perdita, ma consideri anche le correlazioni fra le variazioni dei tassi di recupero e le variazioni dei tassi di migrazione.

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