S celte finanziarie, competenze e comportamenti degli investitori: un analisi della provincia di Parma

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1 S celte finanziarie, competenze e comportamenti degli investitori: un analisi della provincia di Parma Una ricerca su oltre risparmiatori mostra che l investitore parmigiano non si rivela essere significativamente diverso dal risparmiatore medio italiano. Non è complessivamente soddisfatto dei risultati dei propri investimenti, non approfondisce le proprie conoscenze sulle pubblicazioni o riviste specializzate, ha un rapporto insoddisfacente con gli intermediari finanziari, nelle decisioni di investimento tende a operare in maniera autonoma pur non disponendo dei mezzi idonei per garantirsi scelte corrette. Gino Gandolfi, Luciano Munari Università di Parma 1 Premessa struttura demografica della popolazione, l età media del pensionamento, la durata media della vita. Il presente articolo si pone l obiettivo di Le motivazioni e i comportamenti che determinano le scelte di carattere finanziario degli individui rappresentano un tema che, da sempre, riscuote notevole interesse dal punto di vista accademico anche per le rilevanti conseguenze di natura operativa. Si tratta, ad evidenza, di un tema di ampia portata che ben si presta ad essere oggetto di analisi da differenti punti di vista; molte verifiche empiriche realizzate nel corso degli anni, ad esempio, si sono poste l obiettivo di comprendere il rapporto tra risparmio e investimento (e ovviamente ricchezza) analizzando le motivazioni che spingono gli individui a effettuare le proprie scelte, mentre altre hanno indagato lo stesso tema da un punto di vista più generale, ricercando i possibili effetti generati dalle scelte di politica economica sul comportamento delle persone. Le decisioni di investimento rappresentano un fenomeno articolato, forse uno dei più complessi in economia, in cui elementi e variabili individuali si sovrappongono a fattori generali, creando situazioni e contesti non sempre semplici da analizzare e da definire in modo preciso. In effetti, sul fenomeno investimento, si riverberano numerosi fattori: il risparmio, di conseguenza, è il risultato dell aggregazione di comportamenti individuali sul quale incidono anche elementi esogeni come, ad esempio, la analizzare come gli investitori residenti nella provincia di Parma instaurino i propri rapporti con gli intermediari finanziari e come definiscano le proprie decisioni di asset allocation. In particolare, è analizzato il livello di comprensione del fenomeno rischio e l atteggiamento complessivo verso tale elemento, così come è riservata un attenzione specifica al processo utilizzato dai risparmiatori per raccogliere, elaborare e impiegare le informazioni disponibili. Tutte le analisi effettuate sono complessivamente volte a definire le caratteristiche del processo di quantificazione del proprio livello di soddisfazione. Occorre rimarcare sin dall inizio che, per semplicità, il concetto di rischio finanziario è stato approssimato dal concetto di «perdita parziale/totale del capitale investito». Tale definizione, seppur non completamente corretta da un punto di vista strettamente formale, è decisamente rappresentativa del fenomeno presso gli investitori individuali; è in grado cioè di mostrare come il fenomeno rischio venga tradotto e utilizzato nei processi di investimento. L analisi proposta nelle pagine seguenti non affronta la questione dell asset allocation o dell avversione/propensione al ri- Gli autori intendono esprimere la loro gratitudine allo Studio Borettini di Parma per aver finanziato la ricerca e al Comune di Parma, alla Provincia di Parma e all Unione Parmense degli Industriali per aver patrocinato l iniziativa. 85

2 schio da un punto di vista strettamente quantitativo (ad esempio, cercando di quantificare il rapporto tra livello di soddisfazione generata da un guadagno e di dolore causato da una perdita), ma, piuttosto, ricerca gli elementi strutturali che determinano comportamenti più o meno razionali e le conseguenze di questi ultimi sul livello di soddisfazione fornito dalle operazioni intraprese. 2 Le indicazioni provenienti dalla letteratura Come analizzare il comportamento finanziario degli investitori? Da diversi anni la psicologia si occupa anche dei fenomeni economici e, in particolare, la sua attenzione si concentra su: comportamento dei consumatori, definizione dei processi decisionali e atteggiamento degli investitori nei mercati finanziari 1. Visti gli obiettivi della trattazione, quest ultimo aspetto risulta essere di maggiore interesse rispetto ai primi due, anche se occorre sottolineare che tutti i filoni di ricerca offrono interessanti spunti di riflessione per comprendere meglio le effettive ipotesi e le modalità di valutazione dei risultati che le persone implementano nelle decisioni quotidiane. I modelli dell economia classica, ovvero quella fondata sulla pura razionalità economica e che vedono nei lavori iniziali di Von Neumann e Morngenstern (1947) e Fama (1965; 1970) le principali applicazioni nel campo degli investimenti individuali, mantengono come ipotesi di base il comportamento razionale e iper-intelligente del soggetto economico. Tale approccio, alla luce dell effettivo atteggiamento degli investitori, risulta essere in molte situazioni palesemente inadeguato, dimostrando che i risparmiatori, nelle decisioni riguardanti il proprio portafoglio non seguono le indicazioni che sono sviluppate all interno dei modelli tradizionali, ma si comportano seguendo percorsi non ottimali e considerando meno informazioni di quante dovrebbero. L evoluzione e lo sviluppo degli studi relativi al comportamento dell investitore ha portato nel 2002 all assegnazione del premio Nobel per l economia a uno psicologo, Daniel Kahneman. Le ricerche sperimentali hanno dimostrato che gli individui, nelle loro scelte finanziarie, non sono guidati da principi economici razionali, ma dal contesto, dalla storia persona- le, da come viene proposta l operazione e dalla quantità e dalla forma con cui le informazioni sono esposte (Kahneman e Tversky, 2000). La spiegazione proposta per l evidente mancanza di razionalità del comportamento degli investitori consiste nel fatto che le scelte degli esseri umani sono regolate più che da calcoli sull utilità attesa, da valutazioni squisitamente personali e affettive (Kahneman, Ritov e Schkade, 1999). La teoria tradizionale, nella sua versione più semplice, presuppone che il livello di utilità attesa, ovvero il livello di soddisfazione complessivo, sia definito in maniera uniforme da tutti gli operatori e che sia seguito un principio di razionalità sia nell analisi delle alternative esistenti, sia nel processo di ottimizzazione delle scelte. In particolare, si ipotizza che le persone che concludono operazioni di investimento selezionandole tra un numero più o meno elevato di opzioni disponibili, tutte caratterizzate da esiti incerti, siano in grado di associare un valore monetario a ogni alternativa e facciano sempre la scelta più coerente, ovvero preferiscano sempre avere un rendimento maggiore a uno minore. Per rendere effettivamente applicabile tale teoria, è necessario che tutti gli agenti del mercato presentino un sistema efficiente, stabile e ordinato di preferenze e, soprattutto, che siano perfettamente informati. La finanza comportamentale, proprio attraverso i primi esperimenti di Kahneman e Tversky (1979; 1984; 2000), ha dimostrato che la metodologia di quantificazione del livello di soddisfazione sviluppato dalla teoria tradizionale non è del tutto corretta, proprio perché i principi di funzionamento possono essere messi in discussione. In effetti, le persone quotidianamente non compiono scelte ottimali, neanche quando tutte le informazioni sono disponibili, e, di conseguenza, non presentano un sistema di preferenze coerente. Nel campo degli investimenti finanziari, in particolare, gli individui tendono a dare un valore quasi doppio a perdite di modesta entità rispetto ad analoghi guadagni 2, mentre secondo la teoria tradizionale guadagni e perdite sono le due facce di una stessa medaglia, ovvero devono essere considerate allo stesso modo 3. Partendo dalla formulazione originaria di Kahneman e Tversky, Thaler (1999) sviluppa la cosiddetta teoria del «mental accounting», con la quale si propone di fornire, in chiave psicologica ed economica, l interpretazione delle principali 1 Bloomfield (2006). 2 Hwang e Satchell (2005) dimostrano che la sensibilità alle perdite e ai guadagni non è costante e, anch essa, dipende da fattori ambientali, come, ad esempio, l andamento nel mercato nel suo complesso, o la nazionalità degli operatori. 3 L incongruenza nel trattamento di guadagni e perdite è stata analizzata anche da Thaler (1980) che giunge alla conclusione che un soggetto che acquisisce la proprietà di un bene tende ad attribuirgli un valore maggiore rispetto a quello che gli attribuiva in precedenza, solo ed esclusivamente per il semplice fatto di possederlo. Kahneman, Slovic e Tversky (1982), allo stesso modo, dimostrano che gli individui tendono a effettuare le proprie scelte utilizzando regole euristiche che conducono a errori sistematici, dimostrandosi così incapaci di applicare i diversi principi statistici richiesti dalla teoria tradizionale. 86 BANCARIA n. 2/2009

3 deviazioni sistematiche dalla teoria della scelta razionale. La chiave di lettura che l autore propone parte dal presupposto che le persone abbiano un vero e proprio sistema di conti mentali, a comparti piuttosto chiusi e piuttosto impermeabili, attraverso cui registrano e codificano ogni scelta economica sia dal punto di vista delle informazioni da utilizzare, sia con riferimento ai risultati e alla loro modalità di valutazione. Con questo schema, e in maniera piuttosto convincente, possono essere individuate le soluzioni a una serie di dilemmi e di stranezze cui la teoria standard non sempre fornisce spiegazioni convincenti. Dal punto di vista delle operazioni di investimento finanziario, i risultati proposti da Thaler sono importanti per comprendere come mai le persone non riconoscano il valore e l importanza dei costi opportunità, oppure come mai etichettino il denaro e le proprie risorse finanziarie in base alla fonte o all impiego, e di conseguenza ritengano diverso il concetto di risparmio da quello di investimento, o, ancora, come mai abbiano difficoltà a intraprendere operazioni di smobilizzo del proprio portafoglio pur in presenza di inopinabili ragioni per agire in tale direzione. Il portafoglio e la competenza degli investitori italiani. Poiché la teoria classica relativa alla selezione e valutazione degli investimenti, in più frangenti, è messa in discussione dai comportamenti individuali dei risparmiatori, è lecito ritenere che i portafogli detenuti dagli italiani possano essere lontani da quello che dovrebbe essere l ottimo, ovvero la soluzione migliore prevista dall applicazione dei dettami tradizionali. Le analisi più importanti sullo stato dei portafogli degli italiani e/o delle famiglie italiane sono effettuate da Bnl e Centro Einaudi, attraverso il Rapporto sul risparmio e sui risparmiatori in Italia, e da Banca d Italia, attraverso le indagini statistiche su I bilanci delle famiglie italiane. Nell ultima versione della ricerca condotta da Bnl e Centro Einaudi, pubblicata nel dicembre 2007, si mette in evidenza come, nonostante negli ultimi 25 anni l ambiente esterno sia profondamente cambiato, alcuni tratti salienti nell identikit del risparmiatore italiano siano rimasti costanti: la ricerca della sicurezza e l educazione finanziaria non sufficiente. In effetti, i risultati mostrano che il 52% degli italiani assegna alla ricerca di sicurezza il primo posto tra le variabili utilizzate nel processo di scelta degli investimenti. Tale dato, peraltro, è confermato anche dal 44% del campione che, apertamente, si dichiara avverso a qualsiasi forma di rischio negli impieghi finanziari. Sul fronte delle scelte di asset allocation, solo il 5% sceglie una gestione azionaria, e, di conseguenza, la logica di lungo periodo. Da notare anche un evidente squilibrio tra determinate scelte di asset allocation e aspettative di rendimento: a fronte di profili di rischio prudenziali, le aspettative di rendimento non sono per nulla coerenti. Ad esempio, chi seleziona una gestione monetaria si aspetta un rendimento che invece potrebbe essere plausibile solo scegliendo un investimento con un profilo di rischio più elevato: più precisamente, il 46% del campione si aspetta un rendimento fra il 5 e il 10% o superiore al 10%, mentre ben il 41% «non sa» quanto sia lecito attendersi da un operazione finanziaria di quel genere. Dal punto di vista delle modalità di raccolta, di verifica e di utilizzo delle informazioni, il 40% afferma di non dedicare tempo a tali attività, perché convinto che una maggiore informazione non aiuterebbe nelle scelte finanziarie (26%) o perché giudica le fonti disponibili troppo complesse (24%), ovvero perché, pur ritenendo il tema interessante, ritiene che le fonti siano poco affidabili a causa di vari conflitti di interesse (13%). La banca resta comunque per il 53% la prima fonte di informazione. Le rilevazioni della Banca d Italia non offrono risultati significativamente differenti e confermano alcune caratteristiche tipiche dell approccio degli italiani agli investimenti di carattere finanziario: la preferenza per i titoli obbligazionari o per la liquidità e l avversione al rischio (molto probabilmente inteso come perdita di capitale, considerato il successo dei cosiddetti prodotti a capitale garantito). Dalle indagini, difatti, emerge che la percentuale di famiglie che detiene fondi comuni italiani è diminuita tra il 2000 e il 2006 dal 12 all 8% e che una dinamica simile ha interessato le gestioni patrimoniali. Nello stesso periodo sono aumentati sia la percentuale di famiglie con depositi bancari e postali (dall 80% nel 2000 all 84 nel 2006), sia il peso di questi strumenti sul totale delle attività finanziarie. La riallocazione verso i depositi ha riguardato soprattutto i risparmiatori con un reddito inferiore 87

4 alla mediana, rivelando un accresciuta avversione al rischio. Tale andamento, in modo implicito, può essere notato anche tra le famiglie con reddito e ricchezza superiori alla mediana, dove è ben evidente l aumento degli acquisti di obbligazioni. Le indagini della Banca d Italia dimostrano anche che esistono differenze nella composizione del portafoglio tra Nord e Sud. In particolare, negli investimenti delle famiglie meridionali la quota di circolante e depositi è superiore rispetto a quella del Nord: nel Sud i depositi rappresentano il 19% della ricchezza detenuta in attività finanziarie, contro il 13% del Nord. Al contrario, il portafoglio delle famiglie del Nord è più ricco di titoli e di azioni, obbligazioni e fondi comuni di investimento. In generale, si può affermare che la composizione del portafoglio delle famiglie del Mezzogiorno è meno orientata verso titoli rischiosi. Per ciò che concerne la «competenza finanziaria», la Banca d Italia rileva che circa la metà delle famiglie italiane non dispone delle nozioni indispensabili per effettuare con cognizione le operazioni finanziarie più diffuse. Ad esempio, la metà del campione non è in grado di individuare il saldo in un estratto conto di un deposito in conto corrente, il 60% ha difficoltà con il concetto di interesse composto e ben il 70% non è in grado di interpretare un grafico che illustra il rendimento di due attività finanziarie su un orizzonte pluriennale. In ogni caso, è altrettanto evidente che il grado di competenza finanziaria è, a parità di altre condizioni, correlato positivamente con l istruzione, aumenta con l età, ma non in modo lineare, fino a raggiungere un massimo attorno ai 45 anni ed è più elevato per gli uomini e nelle regioni settentrionali. I dati mostrano anche una forte correlazione tra le risposte corrette e l utilizzo effettivo di strumenti finanziari, anche se non è possibile individuare con precisione la direzione del nesso causale. Quali fattori influenzano le scelte di portafoglio? Le principali evidenze empiriche sulla composizione dei portafogli degli investitori italiani mettono in luce due elementi cardine: una forte avversione al rischio e una scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano le operazioni finanziarie. Tuttavia, sempre gli stessi studi, attestano l esistenza di una differenza non marginale tra Nord e Sud, nonché di un evoluzione temporale dell asset allocation. Evidentemente, i due elementi cardine, da soli, non sono in grado di spiegare completamente il processo di definizione del portafoglio e, al fine di individuare il percorso seguito dagli investitori nelle proprie decisioni di investimento, è necessario considerare anche altri elementi esterni aventi natura non finanziaria, ma ugualmente legati al mondo delle operazioni finanziarie. Guiso e Jappelli (2000), utilizzando le rilevazioni della Banca d Italia, dimostrano che gli investitori italiani tendono a utilizzare un particolare procedimento per ciò che concerne gli investimenti in titoli azionari: dapprima decidono se detenerne o non detenerne, e poi quantificano l ammontare ottimo. La decisione di investimento dipende, principalmente da alcuni fattori come, età, stock di ricchezza detenuta al momento della decisione, livello di reddito, educazione e competenze finanziarie. Una volta che la decisione è presa, la quota di azioni detenute si dimostra essere sufficientemente costante nel corso del tempo e subisce variazioni significative solamente al momento del pensionamento. Ciò significa che, per gli investitori italiani il problema non è stabilire la quota da destinare agli investimenti più rischiosi, bensì stabilire se inserirli o meno nel proprio portafoglio di attività finanziarie. Gentile, Linciano e Siciliano (2006) arricchiscono i risultati esistenti e dimostrano che, oltre al reddito e alla ricchezza, il grado di sviluppo socio-economico dell area di residenza ha un forte impatto sulla probabilità che una famiglia detenga attività finanziarie rischiose (azioni quotate, obbligazioni, titoli esteri o prodotti del risparmio gestito). Inoltre, gli autori notano che la probabilità di delegare a gestori professionali le scelte di investimento risulta essere correlata positivamente con la dimensione del patrimonio da gestire e con l avversione al rischio, mentre l educazione finanziaria non incide su tale scelta. Jappelli e Padula (2006) analizzano il comportamento degli investitori italiani sia dal punto di vista macroeconomico che microeconomico e notano che i dati aggregati mostrano una debole correlazione tra risparmio e livello del reddito, mentre i dati microeconomici suggeriscono, invece, che le famiglie più ricche sono quelle che hanno maggiori tassi di risparmio e di investimento. Alla luce di tali evidenze, sosten- 88 BANCARIA n. 2/2009

5 gono che le scelte in campo finanziario, di fatto, dipendono anche dal livello dei consumi e, pertanto, le decisioni di portafoglio non possono essere analizzate senza prendere in considerazione anche gli ulteriori elementi che compongono la ricchezza degli operatori. De Leo, Volpini e Landi (2005) approfondiscono il filone della ricerca sulle variabili utilizzate nel processo di selezione e valutazione degli investimenti finanziari, attraverso l analisi qualitativa delle rappresentazioni e delle credenze sul mondo del risparmio e dell investimento e concludono che le persone interpretano in maniera differente i concetti di risparmio e investimento, non fanno ricorso a vere e proprie strategie di pianificazione a medio e lungo termine, non vogliono affidare a terzi la gestione del proprio patrimonio per principio. Inoltre, per ciò che riguarda le informazioni, emerge che le fonti informative più affidabili (ad esempio, consulenza esperta di un professionista, stampa specializzata e note informative dei prodotti) non corrispondono a quelle che i consumatori ritengono corrette e a cui abitualmente si rivolgono: gli italiani, anche se ritengono il consulente o l operatore del proprio intermediario finanziario di fiducia una fonte affidabile, ricorrono massicciamente al «fai da te» o ai consigli dei propri conoscenti e reperiscono le informazioni finanziarie attraverso la pubblicità, la stampa non specialistica e la televisione, mentre leggono molto poco la stampa economica e sembrano non utilizzare affatto i prospetti illustrativi dei prodotti. Sull importanza e sulla tipologia di fattori da considerare per comprendere i processi decisionali degli investitori si sono espressi molti altri autori. Ad esempio, Grable e Lytton (1999) che, distinguendo caratteristiche demografiche, sociologiche e attitudinali, scoprono che una superiore tolleranza al rischio è associata principalmente a un superiore livello di istruzione e a una superiore conoscenza dei principi di finanza personale. Al contrario, caratteristiche quali sesso, aspettative sul futuro, età, stato civile non risultano essere determinanti. Clark, D Ambrosio, McDermed e Sawant (2003) e Lusardi (2003), al contrario, testano l impatto della conoscenza analizzando come i soggetti modificano le proprie scelte di portafoglio dopo aver partecipato a seminari e lezioni di finanza e scoprono che gli elementi maggiormente messi in discussione sono l orizzonte temporale e le aspettative di rendimento. Ciò conferma che le scelte di investimento sono più corrette e più coerenti in presenza di una conoscenza finanziaria superiore. Tali conclusioni sono in linea con i risultati di Solomon (1975) che, a parità di altre condizioni, dimostra l esistenza di una relazione positiva tra risparmio e livello di scolarizzazione. Campbell (2006) e Fischer e Gerhardt (2007), analizzando i numerosi studi sul comportamento degli investitori, notano come la variabile della consulenza finanziaria non sia quasi mai considerata e, per questo, molti dei risultati ottenuti possano essere contestati, in quanto le scelte di portafoglio non possono essere ricondotte esclusivamente ai risparmiatori. Quindi, gli autori propongono un modello per interpretare l apporto dei cosiddetti consulenti, e, di riflesso, individuare come gli investitori modificano le proprie scelte in funzione del rapporto che hanno con questi soggetti. Bluethgen, Gintschel, Hackethal, Muller (2008), riprendendo l invito degli autori precedenti, testano il ruolo della consulenza finanziaria sul mercato tedesco e scoprono che le indicazioni dei consulenti finanziari sono seguite da una clientela più anziana, più ricca e maggiormente avversa al rischio della media. Le conseguenze sul portafoglio sono evidenti: maggiore turnover, miglior processo di selezione, maggiore diversificazione internazionale. Cavezzali e Rigoni (2008) propongono un analisi simile per il contesto italiano prendendo come riferimento le risposte fornite dai consulenti del Sole 24 Ore alle domande dei lettori in merito alle operazioni di investimento tra il 1998 e il In particolare, gli autori soffermano la propria attenzione su come i consulenti traducano in scelte di asset allocation le caratteristiche e le variabili fornite dai lettori. I risultati ottenuti non sono propriamente lusinghieri, in quanto emergono alcuni elementi pregiudizievoli e potenzialmente pericolosi per il risparmiatore: la tendenza a preferire strumenti finanziari nazionali (azioni e obbligazioni) e l omissione delle conseguenze dovute alla presenza di debiti. Tuttavia, allo stesso tempo, il tentativo di applicare i principi di finanza comportamentale assieme a quelli della finanza tradizionale fanno presumere la precisa volontà dei consulenti di fornire consigli disinteressati alla propria clientela. 89

6 3 Obiettivi, modalità di rilevazione dei dati e Dopodiché si è definito il vincolo relativo all età: essendo metodologia di analisi il tema relativo alle operazioni finanziarie, sono stati individuati sia un limite inferiore, pari a 20 anni, perché si presume che prima di tale età i soggetti non agiscano autonomamente, sia un limite superiore, pari a 75 anni, perché si ritiene che Obiettivi della ricerca. Partendo dalle considerazioni delle precedenti verifiche empiriche che sempre più confermano le indicazioni provenienti dalla finanza comportamentale, ossia che il livello di soddisfazione degli investimenti è legato alla composizione del portafoglio e che quest ultimo dipende sia dall avversione al rischio, sia dal livello di conoscenze finanziarie del risparmiatore, sia da elementi esterni come, ad esempio, la presenza di consulenti finanziari, il livello di consumi o il luogo di residenza, nell ambito della presente ricerca ci siamo posti i seguenti obiettivi: 1 indagare l atteggiamento degli investitori parmigiani nei confronti del rischio; 2 indagare le principali motivazioni di tale comportamento. In particolare, abbiamo individuato quattro aree di interesse che possono essere interpretate come le principali variabili esplicative dell approccio tenuto con riferimento alle decisioni in merito agli investimenti finanziari. Più specificamente, le aree individuate sono: il grado di soddisfazione degli investimenti; l atteggiamento nei confronti dell informazione; l atteggiamento nei confronti del rischio; la tipologia di rapporto con gli intermediari. All interno di ogni area sono poi stati considerati alcuni tratti distintivi al fine di accostare le quattro aree generali tra loro e individuare così un modello esplicativo generale. Criteri utilizzati. Posto che l obiettivo della ricerca consiste nell analisi del comportamento di alcuni individui, si sono considerate innanzitutto le caratteristiche «demografiche» degli stessi. Nel campione rientrano solamente individui aventi nazionalità italiana dalla nascita e residenti da almeno 10 anni nella provincia di Parma. Il primo vincolo è stato inserito perché l obiettivo della ricerca è di analizzare il comportamento finanziario della popolazione italiana, mentre il secondo perché si ritiene che 10 anni siano un lasso di tempo più che congruo per acquisire gli usi e costumi, e tra questi anche quelli di approccio al mondo degli investimenti, tipici di particolari realtà locali. dopo tale età le scelte in merito agli investimenti possano essere influenzate da fattori esterni come, ad esempio, la volontà di ridurre l impatto fiscale della successione. Di fatto, queste sono le uniche restrizioni inserite, visto che nulla è stato definito in merito al sesso, al titolo di studio, alla professione e ad altri elementi distintivi della popolazione. La creazione del questionario ha richiesto una certa attenzione, così come la successiva somministrazione ha comportato un certo impegno. Complessivamente sono state predisposti 25 quesiti a risposta multipla che, nella maggior parte dei casi, hanno richiesto all intervistato di esprimere la propria opinione in merito a particolari situazioni effettivamente realizzabili come, ad esempio, il conflitto di interesse degli intermediari finanziari, la possibilità di condividere le informazioni con i soggetti, il genere di informazione preso in esame nelle decisioni di investimento, ecc. L intervista che, per una serie di ragioni, è stata condotta telefonicamente, ha richiesto mediamente 30 minuti. È stata oggetto di particolari cure la formulazione della singola domanda, in modo tale da non indurre alcuna risposta predefinita all intervistato, eliminando così il problema relativo alla forma dei quesiti che, come sottolineato dalla finanza comportamentale, può incidere in modo significativo sui risultati ottenibili. Al fine di rendere ancora più impersonale la fase di raccolta delle informazioni, le singole risposte sono state trattate in modo anonimo e utilizzate solamente in forma aggregata. L analisi delle risposte si è focalizzata, dapprima, sulle singole aree di interesse che possono essere interpretate come le principali variabili esplicative dell approccio tenuto nelle decisioni in merito agli investimenti da mettere in atto, mettendo in risalto le caratteristiche tipiche dei parmigiani e, ove evidenti, le differenze con il contesto nazionale. Successivamente, al fine di verificare se le risposte al questionario potessero consentire l individuazione di gruppi di individui tra loro omogenei dal punto di vista dell atteggiamento 90 BANCARIA n. 2/2009

7 nei confronti degli investimenti in attività finanziarie si è condotta una cluster analysis. Per eliminare fenomeni di multicollinearità, prima della cluster analysis, si è condotta un analisi fattoriale con il metodo delle componenti principali. Da tale analisi è emerso che 4 fattori spiegano il 50,64% della variabilità dei fenomeni indagati. Un primo fattore raggruppa la percezione dei conflitti di interesse in tutte le forme in cui può manifestarsi; un secondo fattore riguarda l orientamento assunto nel momento di investire, l interesse a usare un consulente finanziario e la propensione al rischio; un terzo fattore raggruppa i giudizi sui rendimenti ottenuti, la percezione dell utilità di occuparsi degli investimenti e la disponibilità a confrontare alternative; infine, un quarto fattore raggruppa la disponibilità a fornire informazioni, a studiare il problema dell investimento e a fornire consigli ad altri. Ovviamente, la cluster analysis è avvenuta in funzione dei 4 fattori così individuati. La struttura del campione Gli individui che hanno accettato di rispondere all intero questionario sono stati Dal punto di vista strutturale, il campione è per il 48,7% costituito da persone di età compresa tra i 40 e i 65 anni, per il 36,07% tra i 20 e i 39 anni e solo per il 13,82% da persone di età compresa tra i 66 e i 75 anni. La percentuale più elevata di queste persone è in possesso di diploma di licenza media superiore (39,37%), seguite dai laureati (35,86%) e dai titolari di diploma di licenza media inferiore (21,26%): una percentuale di individui limitata (2,11%) ha seguito corsi post laurea. Per il 71,44% si tratta di persone ancora in attività lavorativa (i pensionati rappresentano il 20,42% del totale), con una prevalenza di liberi professionisti (18,18%), seguiti da impiegati (14,53%) e da persone che non hanno fornito informazioni in materia (12,42%). Gli altri si distribuiscono tra insegnanti (7,02%), operai (5,61%), commercianti (3,93%), artigiani (3,44%), dirigenti (3,44%) e imprenditori (2,88%). Ben il 43,01% del totale intrattiene rapporti con 2 o più banche, il 27,37% utilizza i servizi di internet banking e il 30,11% legge abitualmente o occasionalmente quotidiani o riviste a contenuto finanziario specialistico. Si può quindi affermare che il campione effettivamente a disposizione, pur non essendo rappresentativo della popolazione complessiva della provincia di Parma, ne incorpora la componente più interessante dal punto di vista dell investimento in attività finanziarie. 4 I principali risultati ottenuti La soddisfazione per gli investimenti effettuati. Date le finalità dell indagine, la prima domanda posta agli intervistati ha riguardato la loro soddisfazione in materia di rendimen- to ottenuto dagli investimenti effettuati. Su una scala di valori da 1 a 10 il voto medio è stato 5,12, con moda e mediana pari a 5. Il risultato non è quindi particolarmente brillante, non raggiungendo nemmeno la sufficienza. Tuttavia, la distribuzione dei voti assomiglia abbastanza da vicino a una gaussiana, con una forte concentrazione delle frequenze attorno alla media e una coda più consistente sui voti bassi che sui voti alti: il 45,47% del totale si colloca su una valutazione tra il 5 e il 6 e il 70,88% tra il 4 e il 7. Essendo moda e mediana inferiori alla media, la distribuzione presenta un asimmetria a sinistra e, nel caso in esame, segnala che il numero di soggetti insoddisfatti è superiore al numero di quelli soddisfatti. Ciò è in linea con i principali insegnamenti che provengono dalla finanza comportamentale, dai quali emerge come gli elementi negativi (ad esempio, le perdite subite a causa di un investimento) tendono ad assumere, nella mente di un investitore, un maggior peso rispetto a eventuali fattori positivi. Per capire se il giudizio espresso sui rendimenti fosse influenzato dalle caratteristiche del campione e potesse trovare una correlazione con altre risposte dell indagine si sono isolati due sottocampioni. Il primo è stato costruito prendendo in considerazione coloro che avevano fornito un giudizio inferiore a 6 (che per comodità indicheremo da qui in avanti come i meno soddisfatti), il secondo considerando coloro che avevano fornito un giudizio da 6 in su (che per comodità indicheremo da qui in avanti come i più soddisfatti). I più soddisfatti dei rendimenti ottenuti dai loro investimenti sono mediamente più giovani dei meno soddisfatti (il voto medio passa da 5,36 per gli individui da 20 a 39 anni, a 5,06 per quelli con età compresa tra i 40 e i 65 anni, a 4,75 per gli ultrasessantacinquenni), utilizzano in media più banche degli altri (anche in questo caso, il voto medio conferma l affermazione: gli utilizzatori di una sola banca danno un voto medio di 4,82, mentre gli utenti di più banche danno un voto medio di 5,49), sfruttano maggiormente l internet banking (anche qui il rilievo è confermato dal voto medio: chi utilizza l internet banking dà un voto medio di 5,60 che è anche il voto medio più elevato di tutta l indagine mentre chi non usa l internet banking dà un voto medio di 4,94), sono più orientati 91

8 a informarsi sugli investimenti (il voto medio di chi legge abitualmente o occasionalmente stampa specializzata è pari a 5,35, mentre quello di chi la legge raramente o mai è 5,03, così il voto medio di chi ritiene utile occuparsi di persona dei propri investimenti finanziari è 5,37 contro un 4,48 di chi lo ritiene inutile), hanno un livello di istruzione mediamente più elevato, sono più propensi al rischio, a valutare le alternative di investimento, a puntare sui rendimenti piuttosto che sulla conservazione del capitale, a confrontarsi con una maggiore quantità di interlocutori, a diversificare gli investimenti, ad essere più attenti nella stipulazione dei contratti, a fornire agli intermediari informazioni sulla propria situazione finanziaria, a fornire consigli di investimento ad altri e a rivolgersi a un consulente indipendente. In sostanza, come ci si poteva attendere, i più soddisfatti dei rendimenti dei propri investimenti sono mediamente più giovani e più predisposti e attivi nell effettuare scelte di portafoglio più consapevoli. Queste conclusioni vengono sostanzialmente confermate dagli incroci effettuati tra le risposte alla prima domanda del questionario e ad alcune altre domande. Tali incroci, tuttavia, ci permettono di approfondire l analisi, presentando una distribuzione più articolata delle correlazioni tra i fenomeni indagati. Dall incrocio tra il giudizio sul rendimento degli investimenti e il titolo di studio ci si accorge che se è vero che, nella media, all aumentare del secondo parametro migliora anche il primo, la percentuale di individui che assegna ai propri investimenti un voto piuttosto alto cresce passando da chi possiede solo la licenza media inferiore a chi possiede la licenza media superiore e poi diminuisce all aumentare del grado di istruzione. Tale evidenza è ben visibile anche nei risultati della Banca d Italia e, pertanto, può essere considerata tipica del contesto italiano. Il fenomeno va valutato con particolare cautela, anche perché al diminuire del numero delle osservazioni si riduce la significatività dei valori riscontrati, tuttavia se ne potrebbe dedurre che, se le valutazioni non sono eccessivamente influenzate dalla diversità delle tipologie di investimenti effettuati, all aumentare del grado di istruzione aumenta la consapevolezza delle scelte di investimento, ma anche la capacità critica di una loro valutazione ex post. Ad analoghe considerazioni conduce l analisi dell incrocio del giudizio sui rendimenti ottenuti dagli investimenti e della frequenza di letture specialistiche: anche in questo caso pare che la lettura abituale della stampa specializzata, oltre a migliorare le capacità di scelta ex ante, consenta anche un miglioramento della capacità di valutazione ex post. Anche l abitudine a confrontare le alternative in materia di rischio aiuta a effettuare investimenti di cui si è mediamente più soddisfatti, tuttavia, anche in questo caso, le votazioni più elevate non sembrano coerenti con questa affermazione. È possibile che i voti più alti, peraltro di numerosità scarsa, siano stati dati da persone fortemente influenzate più da aspetti soggettivi e irrazionali dell investimento (fiducia nel distributore-consulente, fiducia in se stessi senza bisogno di verifica) che da aspetti oggettivi e razionali. In generale, poi, la soddisfazione per i rendimenti ottenuti cresce al diminuire dell avversione al rischio. Ciò potrebbe dimostrare che, nella maggior parte degli individui intervistati, pur essendoci una generica percezione di una relazione diretta tra rischio e rendimento negli investimenti, non c è abbastanza consapevolezza dei termini di scambio tra i due parametri: quando il rischio non si manifesta si è portati, ex post, a porre maggiore attenzione al rendimento nella valutazione degli investimenti effettuati. L atteggiamento nei confronti dell informazione. Il giudizio sugli investimenti effettuati dipende molto dalla disponibilità del risparmiatore a informarsi: senza un adeguato sforzo d informazione sia la valutazione nella fase di scelta che quella in fase di analisi consuntiva non può essere considerata razionale e oggettiva, ma risulta inevitabilmente condizionata da fattori emotivi e da influenze di origine esterna. In altre parole, si corre il rischio che un investimento ottimale per le caratteristiche dell investitore venga considerato insoddisfacente perché l opinione pubblica, condizionata dai media, è genericamente critica nei confronti dell industria del risparmio o viceversa. Da questo punto di vista emerge che il 50,88% degli intervistati non legge mai quotidiani o riviste a contenuto finanziario specialistico, degli altri, il 17,68% li legge raramente, mentre rispettivamente il 18,46 e l 11,65% del campione lo fa occasionalmente o abitualmente 4. Solo queste due ultime categorie di risparmiatori (il 30,11%) possono essere quindi 4 Tali evidenze, peraltro, confermano la situazione tipicamente italiana messa in evidenza sia dalle rilevazioni della Banca d Italia, sia da De Leo, Volpini, Landi (2005). 92 BANCARIA n. 2/2009

9 classificate nella categoria dei risparmiatori consapevoli e solo il giudizio di questi ultimi può essere considerato affidabile per valutare l efficienza e l efficacia dei servizi di investimento (anche se, a dire il vero, per formarsi un opinione affidabile non basta leggere la stampa specializzata solo nel momento in cui si deve fare un investimento). Le valutazioni fatte dal restante 69,89% di risparmiatori possono invece essere utili per indagare l impatto esercitato dai media o dai movimenti d opinione che, sebbene molto utili per evidenziare i problemi generali dell investimento finanziario, hanno poco a che fare con le valutazioni dell investimento del singolo risparmiatore. Se non sorprende constatare che la percentuale più elevata di non lettori si registra tra le categorie professionali meno qualificate e tra i pensionati, sorprende constatare che tra le classi di età sono i più giovani a detenere il primato di non lettori assoluti, così come appare eccessivamente elevata la percentuale del 62,05% di non lettori tra gli utenti dell internet banking, che dovrebbero rappresentare il gruppo di risparmiatori più evoluti. Se è vero che tra gli intervistati vi sono anche risparmiatori con patrimoni modesti, che non giustificano gli sforzi per raggiungere un adeguata competenza in materia finanziaria, una situazione del genere appare un terreno fin troppo fertile per il prosperare di comportamenti opportunistici da parte dei distributori di servizi finanziari, disincentiva pesantemente il diffondersi di servizi di consulenza seria e responsabile, è un forte ostacolo allo sviluppo di una concorrenza salutare nel settore dell industria dei servizi finanziari. Fortunatamente, il 72,49% degli intervistati ritiene utile occuparsi dei propri investimenti finanziari. Il rilievo può apparire ovvio, ma non è così se il 26,25% è convinto che sia inutile occuparsene. Può essere interessante capire le motivazioni di fondo di quest ultimo atteggiamento, apparentemente incomprensibile dal punto di vista razionale. Dall indagine emerge che solo l 8,8% di questi risparmiatori non si occupa dei propri investimenti per svogliatezza, le ragioni più importanti sono la consapevolezza di non avere le conoscenze adeguate per farlo (36,34%) e una sostanziale sfiducia nell industria dei servizi finanziari (29,41%), evidentemente sviluppata non per esperienza diretta. Questi risultati sottolineano come, alla base dei problemi dell industria dei servizi finanziari in Italia, ci sia una sostanziale carenza informativa e formativa dei risparmiatori. Peraltro, la disponibilità a farsi guidare nell apprendimento dei temi della finanza non è molto diffusa: il 45,68% del campione, infatti, non è disponibile a dedicare un ora al mese per ricevere dagli intermediari informazioni sui rischi relativi ai propri investimenti. Le percentuali più elevate di persone disponibili a dedicare tempo all analisi guidata del problema sono gli utenti dell internet banking e i lettori abituali della stampa specializzata. La cosa è solo apparentemente sorprendente: chi capisce qualcosa di finanza sa quanto sia importante il confronto con gli esperti e quindi è disponibile a dedicare parte del suo tempo a questa attività, gli altri sono molto probabilmente condizionati dalla bassa reputazione generalmente attribuita agli intermediari finanziari. Tali dati, in maniera più o meno evidente, confermano che la situazione nella provincia di Parma non si discosta in maniera significativa da quanto rilevato da Bnl/Centro Einaudi o dalla Banca d Italia per tutto il Paese, dove, di fatto, gli investitori tendono a prestare scarsa attenzione alla natura e alla qualità delle fonti informative. L atteggiamento nei confronti del rischio. Il giudizio sui rendimenti degli investimenti effettuati va peraltro interpretato alla luce dell atteggiamento verso il rischio 5, sia in termini di consapevolezza del problema, sia in termini di grado di avversione ad esso. Da questo secondo punto di vista emerge dall indagine la decisa avversione al rischio da parte della maggior parte del campione esaminato. Si registra infatti una distribuzione delle risposte fortemente crescente dal livello di maggiore propensione al rischio (2,25%) al livello di massima avversione (42,46%), passando per i livelli intermedi rappresentati da un orientamento a preferire investimenti con buoni rendimenti e rischio discreto (13,89%) e da un orientamento a guadagni discreti in presenza di un rischio modesto (37,75%) 6. Sotto la media in termini di avversione al rischio si collocano i clienti di più banche, i possessori di servizi di internet banking, i gruppi professionali rappresentati da impiegati, insegnanti e dirigenti, dai liberi professionisti e imprenditori e 5 È opportuno precisare che nella ricerca il rischio è stato identificato prevalentemente col rischio di perdita di capitale. Se ciò non è corretto dal punto di vista finanziario, la scelta è stata fatta per semplificare il concetto nei confronti degli intervistati. 6 Tali dati, confrontati con le rilevazioni di Bnl/Centro Einaudi o Banca d Italia, permettono di affermare che gli investitori parmigiani, al pari degli italiani nel loro complesso, sono decisamente avversi al rischio. 93

10 dai non classificati (altro), i più assidui lettori di stampa specializzata, chi ritiene utile occuparsi dei propri investimenti e gli intervistati più giovani (l avversione al rischio cresce con l età). Naturalmente, poiché gli unici impieghi del risparmio che in Italia assicurano sempre il rimborso del capitale sono i conti correnti e, d altra parte, il correlato quantitativo di guadagni limitati è soggettivo, è comprensibile come il giudizio sulla soddisfazione dei rendimenti ottenuti sia inversamente correlato all avversione al rischio: chi è meno avverso è più soddisfatto. Abbastanza 7 coerenti, anche se non facilmente realizzabili, sono le prime preoccupazioni della maggior parte di chi decide di effettuare un investimento: la percentuale più elevata di intervistati (38,74%) dichiara di pensare a non perdere il capitale, mentre il 25,47% è addirittura convinto di poter ottenere un rendimento certo: in pratica, il 64,21% del campione non troverà mai l investimento in grado di soddisfarlo pienamente. Relativamente pochi sono invece coloro che, dovendo effettuare un investimento sono aperti a esaminare con attenzione le alternative esistenti (18,81%) o a cercare di capire bene ciò che viene proposto (15,16%): questa mancanza di disponibilità all ascolto è la peggiore barriera alla realizzazione di una gestione del risparmio consapevole e alla creazione di un efficiente mercato dell offerta di servizi finanziari. Non sorprende che, data la situazione tracciata, solo il 6,11% del campione dichiari che non esiste una forma di investimento in assoluto più sicura delle altre e che solo il 22,95% confessi di non sapere rispondere alla domanda di quale sia l investimento più sicuro in assoluto. Il 49,05% del campione è concorde nell affermare che l investimento più sicuro in assoluto sono i titoli di Stato, seguiti a notevole distanza dall investimento in abitazioni (7,72%). L affermazione è certamente il risultato della sfiducia che i risparmiatori hanno maturato nei confronti del sistema finanziario in questi anni, tuttavia dimostra che, anche nel caso dell investimento più tradizionale, non sono chiari i rischi che si corrono nell effettuarlo. Fortunatamente, la maggior parte degli intervistati (66,11%) non si azzarda a dare consigli di investimento ad altri: quelli che lo fanno qualche volta (26,32%) o spesso (5,47%), si sbilanciano più con gli amici e i parenti che con i familiari più stretti (forse anche perché gli investimenti vengono fatti coinvolgendo già tutta la famiglia). Chi è più propenso a dare consigli agli altri è anche chi è meglio in grado di darne: si tratta degli stessi segmenti che in precedenza sono stati indicati come gli investitori più consapevoli del campione. I rapporti con gli intermediari. Sulla valutazione degli investimenti effettuati incide anche il comportamento degli intermediari: la soddisfazione dipende dalle aspettative che si formano ex ante. Una prima domanda del questionario per indagare questo aspetto riguardava le modalità di presentazione del rischio. Il risultato ottenuto dimostra che la modalità più diffusa di presentazione dei rischi degli investimenti (nel 63,23% dei casi) è rappresentata dalla classificazione in livello di rischio basso, medio e alto. Si tratta di un approccio classico ed evidentemente non errato, tuttavia, si possono nutrire dei dubbi che si tratti di un metodo adatto a far comprendere a un interlocutore inesperto (come si è dimostrato essere nella maggior parte dei casi l investitore privato di massa) la vera entità dei rischi da fronteggiare. Solo nel 14,67% dei casi vengono utilizzati approcci più espliciti come il livello massimo di perdita del capitale investito: in realtà, se non si quantifica l entità del rischio è difficile che un interlocutore inesperto riesca a dare il giusto peso al rischio corso e la valutazione ex ante «rischia» di essere effettuata solo sulla base del rendimento atteso (il cui significato non è conosciuto al vasto pubblico). Un aggravante di questa situazione è il fatto che nel 74,74% dei casi non vengono mai richieste informazioni scritte sulla valutazione del rischio: è difficile ricordarsi a consuntivo delle informazioni ottenute al momento della scelta dell investimento, soprattutto quando queste sono generiche e lasciate a una interpretazione soggettiva. Ulteriore nota negativa è rappresentata dal fatto che il 52,21% degli intervistati non esamina il prospetto informativo o lo fa solo sommariamente (mentre effettua l operazione) prima di firmare il contratto: solo il 45,61% porta a casa il prospetto informativo per esaminarlo con attenzione. Il motivo principale per cui si firma il contratto senza esaminare il prospetto è il timore di dare l idea di non fidarsi del proprio interlocutore (49,7% dei casi). Questa barriera psicologica appare 7 Nel testo si dice «abbastanza coerenti» dal momento che solo il 50,98% di chi desidera un rendimento certo e il 58% di chi non vuole perdere il capitale si dichiara poi assolutamente avverso la rischio. 94 BANCARIA n. 2/2009

11 molto potente e dovrebbe essere tenuta presente dalle autorità di vigilanza nella definizione della normativa in materia. In questo quadro abbastanza sconfortante appare interessante notare che solo il 32,14% degli intervistati non effettua mai confronti con alternative di investimento (nella maggior parte dei casi perché non ci si è mai posti il problema o perché non ci si ritiene in grado di valutare le alternative e si ha piena fiducia nella propria banca). Ben il 65,58% degli intervistati confrontano, qualche volta o sempre, alternative di investimento differenti, privilegiando le banche come interlocutori per effettuare tali confronti. E questo risultato appare stabile nel tempo, dal momento che il 68,98% degli intervistati è disposto in prospettiva a mettere a confronto l offerta di più interlocutori. Naturalmente, per trarre giovamento da questa disponibilità è necessario disporre delle conoscenze necessarie per valutare le alternative. Ma gli investimenti finanziari oltre a un rischio oggettivo, presentano anche un rischio soggettivo, dipendente cioè dal portafoglio in cui sono inseriti (un attività molto rischiosa può anche ridurre il rischio complessivo di un portafoglio finanziario, se scelta opportunamente) e dalle caratteristiche dell investitore. Per tenere conto di questi aspetti nella definizione della strategia di investimento è però opportuno che l intermediario finanziario raccolga informazioni sul risparmiatore (naturalmente l intermediario deve saperle e volerle utilizzare). Purtroppo, anche in questo caso, i risultati dell indagine non sono confortanti: l 84,91% degli intervistati non si ricorda di avere firmato un prospetto nel quale si chiede di illustrare la propria situazione finanziaria e il 9,19% che si ricorda di averlo fatto, ha firmato la liberatoria per la banca. Del resto, la disponibilità a fornire informazioni sulla propria situazione finanziaria non è diffusa come ci si dovrebbe aspettare: il 41,82% degli intervistati non è disponibile a fornire informazioni più dettagliate, nella maggior parte dei casi, per mancanza di fiducia nel proprio interlocutore. Il fenomeno sottolinea quanto sia ancora elevato il livello di soggezione del risparmiatore medio nei confronti degli intermediari finanziari: non si vogliono fornire informazioni perché non ci si fida, ma non si leggono i prospetti informativi perché non si vuole dare l impressione di non fidarsi dell interlocutore. In realtà, il fenomeno può avere una spiegazione molto ragionevole e comprensibile: il risparmiatore medio ripone fiducia nell interlocutore bancario cui si rivolge per fare le sue scelte di investimento, ma non nell istituzione che rappresenta (e che, sembra di capire, potrebbe utilizzare in modo distorto le informazioni raccolte). Forse sarebbe opportuno informare il risparmiatore medio che nella maggior parte dei casi i termini della sua valutazione dovrebbero essere invertiti. Uno dei motivi per cui la clientela può ragionevolmente perdere la fiducia negli intermediari finanziari è rappresentato dalle occasioni di conflitto di interessi. Nell indagine si è cercato di indagare se la clientela investitrice percepisce alcune di queste occasioni e a quali attribuisce maggiore importanza. Su una scala da 1 a 10, il conflitto maggiormente percepito è quello derivante dall interesse della banca a vendere i prodotti che possono assicurarle i maggiori margini di profitto (voto medio 8,27), seguito da quello generato dai vincoli di budget agli addetti alle vendite delle banche (voto medio 7,38), da quello generato dal fatto che la banca ha erogato finanziamenti ai clienti di cui vende i titoli di debito (voto medio 7,13) e da quello generato dal fatto che la banca vende i titoli che detiene in portafoglio (voto medio 6,96). In generale, quindi, si può affermare che i risparmiatori percepiscono con notevole intensità le possibilità di conflitti di interesse cui sono esposti gli intermediari finanziari, con evidenti effetti negativi sulla fiducia in essi riposta. E questo nonostante che nel 74,67% dei casi non sia mai stata firmata alcuna clausola relativa al conflitto di interessi. Questi risultati sono molto stimolanti, in quanto confermano che, al pari degli italiani nel loro complesso, anche gli investitori parmigiani sono sensibili al tema del conflitto di interesse con riferimento ai rapporti con gli intermediari finanziari. Date queste premesse sorprende allora che il 38,46% degli intervistati dichiari che non si rivolgerebbe mai a un consulente indipendente e che il 27,09% manifesti incertezza nel suo utilizzo, soprattutto perché la mancanza di fiducia è la motivazione citata nel 98,97% dei casi. Evidentemente non si ritiene che il consulente sia veramente indipendente o che presenti alcuni dei problemi di conflitti di interesse tipici degli 95

12 altri intermediari finanziari, come quello di consigliare i prodotti da cui riceve le commissioni più elevate dal produttore. Per evitare questa percezione occorrerebbe che i consulenti indipendenti non percepissero commissioni di vendita dai produttori di servizi finanziari, come accade per i broker assicurativi, ma venissero pagati dai loro clienti: si tratta di una prassi cui i risparmiatori italiani non sono abituati e ci si domanda se sarebbero disposti a pagare per il servizio di consulenza finanziaria ottenuto, in alternativa non potranno lamentarsi della bontà di tale servizio. Sostanzialmente, anche per questo aspetto, gli investitori parmigiani si confermano in linea con il resto degli italiani e permettono di sottolineare che, per principio, non vogliono affidare a terzi la gestione del proprio patrimonio, predicando (bene) la necessità di autonomia nelle decisioni e la mancanza sostanziale di indipendenza dei propri interlocutori, salvo poi razzolare (male) nell individuazione delle corrette fonti informative e nel processo di definizione delle scelte di investimento. Analisi per clusters. Il processo di analisi per cluster ha portato all identificazione di 4 differenti tipologie di risparmiatori/investitori all interno della provincia di Parma. Un primo cluster, il più consistente poiché comprende 653 individui, pari al 45,82% del totale, si caratterizza per essere il più avverso al rischio e il più sensibile ai conflitti di interesse degli intermediari. Abbastanza soddisfatto del rendimento degli investimenti effettuati, questo cluster è leggermente più propenso degli altri a confrontare più alternative di investimento dal punto di vista del rischio e presenta una disponibilità medio-bassa a fornire informazioni e ad applicarsi allo studio delle scelte di investimento. Potremmo sinteticamente definire questo cluster come quello degli investitori prudenti dubbiosi. Il secondo cluster, che comprende 84 individui (5,89% del totale) può invece essere denominato il cluster degli investitori sfiduciati, poiché si caratterizza per la presenza di valori negativi su tutti i fattori (peraltro è quello che è meno sensibile ai problemi di conflitti di interesse). In particolare, in tale segmento sono compresi i soggetti che si distinguono per la più bassa disponibilità a informarsi autonomamente. Il terzo cluster, composto da 377 individui (26,46% del totale) si caratterizza per un bassissimo valore del grado di soddisfazione. Potremmo quindi definirlo come il cluster degli investitori insoddisfatti. Gli investitori insoddisfatti sono, mediamente, più monobancarizzati di tutti gli altri. Il quarto cluster, infine, costituito da 311 individui (21,82% del totale) è il più orientato ad accettare i rischi degli investimenti, compensando la sua propensione al rischio con una buona disponibilità a cercare di capire ciò che sta per fare e ad affidarsi alla competenza di un consulente indipendente. Si tratta peraltro di un segmento meno disponibile di altri a dedicare tempo allo studio delle scelte di investimento, a fornire informazioni e dare consigli. Tutto sommato, in sintesi, potremmo attribuire a questo segmento la denominazione di investitori consapevoli. Come era già emerso sulla base delle riflessioni precedenti, gli investitori consapevoli si distinguono dagli altri segmenti per una maggiore multibancarizzazione, un età mediamente più giovane, un grado di istruzione leggermente superiore, un maggior uso dell internet banking, una maggiore disponibilità a informarsi autonomamente (forse per questo sono meno disponibili a studiare e fornire informazioni) e appartengono a classi professionali mediamente più ricche. 5 Conclusioni La presente verifica empirica è volta a identificare i tratti distintivi del comportamento finanziario della popolazione residente nella provincia di Parma, con particolare riferimento all atteggiamento nei confronti del rischio e alle motivazioni che spiegano tale modo di agire. Al fine di comprendere correttamente il quadro di analisi, particolare rilevanza hanno assunto quattro aspetti: il grado di soddisfazione degli investimenti, l atteggiamento nei confronti dell informazione, il livello di avversione o tolleranza al rischio, il modello di relazione con gli intermediari finanziari. Le risposte fornite permettono di tracciare un identikit generale dell investitore parmigiano che, di fatto, non si rivela essere significativamente differente da quello segnalato dalla Banca d Italia o da Bnl/Centro Einaudi nelle loro rilevazioni aven- 96 BANCARIA n. 2/2009

13 IDEESOLUZIONIRISULTATI I laboratori per l innovazione tecnologica Semantic Lab Enterprise Tecnologie innovative per l integrazione, l analisi ela qualità di tutte le informazioni enterprise Integrazione Qualità Analisi

14 ti come riferimento il «risparmiatore medio italiano». In particolare, le affinità più evidenti riguardano, da una parte, la forte avversione al rischio e, dall altra, l approccio alla raccolta, elaborazione e utilizzo delle informazioni, ovvero alla volontà di migliorare il proprio livello di conoscenze finanziarie che, secondo quanto emerso, appare piuttosto basso e lacunoso. Più specificamente, l investitore parmigiano non è complessivamente soddisfatto dei risultati dei propri investimenti, non approfondisce le proprie conoscenze attraverso la lettura di pubblicazioni e riviste specializzate, non ha un rapporto fiduciario con gli intermediari finanziari o, più in particolare, non ha stima del sistema nel suo complesso a causa degli evidenti conflitti di interesse. Per ciò che riguarda questo singolo aspetto si può addirittura affermare che gli investitori parmigiani sono più sensibili rispetto alla media nazionale. Nelle decisioni di investimento, inoltre, come accade a livello nazionale, l investitore parmigiano tende a operare in maniera autonoma pur non disponendo dei mezzi idonei per garantirsi scelte corrette: tuttavia, indipendentemente dalla consapevolezza del proprio stato, una percentuale molto bassa sarebbe disponibile a effettuare percorsi di apprendimento e/o affidarsi a esperti esterni (ad esempio, consulenti operanti in regime di libera professione). All interno della provincia di Parma possono essere scomposte quattro tipologie di investitori: gli insoddisfatti, gli sfiduciati, i prudenti dubbiosi e gli investitori consapevoli che si differenziano per il livello di percezione dei conflitti di interesse, per l orientamento alla consulenza finanziaria, per il grado di soddisfazione sui rendimenti ottenuti, per l approccio alla formazione e agli approfondimenti tecnico-pratici. Tuttavia, pur nelle evidenti differenze, nessuno dei profili individuati si discosta significativamente dal profilo del risparmiatore medio. Un ultimo aspetto da segnalare riguarda il rapporto tra tolleranza al rischio ed education finanziaria: anche nella provincia di Parma la prima aumenta quando aumenta la seconda, mentre la volontà di affidare a terzi la gestione del patrimonio, ossia la volontà di affidarsi a un consulente finanziario, risulta essere molto bassa indipendentemente da qualsiasi altra variabile presa in esame. BIBLIOGRAFIA Banca d Italia (2007). La ricchezza delle famiglie italiane Supplementi al Bollettino Statistico, Anno XVII, n. 75. (2008), I bilanci delle famiglie italiane nell anno Supplementi al Bollettino Statistico, Anno XVIII, n. 7. (2008), «La condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese». in Banca d Italia (2008). Relazione Annuale. Bloomfield R. (2006). Behavioral Finance. The New Palgrave Dictionary of Economics. 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