VII. DELLA FILOSOFIA SECONDO GLI STOICI. LA LOGICA

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1 VII. DELLA FILOSOFIA SECONDO GLI STOICI. LA LOGICA 1. Oggetto della Filosofia e sue parti - 2. La Logica: il criterio della verità - 3. Concetti ontologici degli Stoici La Filosofia è la ricerca e l'esercizio della sapienza, studium sapientiae, la quale sapienza s' identifica con la virtù, quindi si può definire anche a6x7rng?cpa-c-71q, studium virtutis. Ossia dunque gli Stoici, come gli Epicurei, dànno alla filosofia un fine pratico : essa è educazione della mente e dell' animo alla virtù : il sapere non vale per se stesso, ma in quanto conduce alla vita virtuosa eh' è la sola vita felice. Salvo che questo fine non può essere raggiunto se non mediante la scienza : la vera moralità suppone la vera conoscenza siccome essa consiste nel conformarsi alla natura e all' ordine dell' universo, non è possibile senza questa conoscenza : quindi la sapienza (hoc oc) è detta anche la scienza delle cose umane e divine, intendendo per cose divine ciò ch' è l'opera propria degli Dei, tutto quello che esiste naturalmente, senza l' intervento dell' arte umana.

2 90 STOICISMO Con questa posizione gli Stoici si distinguono così da quelli che stimano il sapere per il sapere stesso e pongono la perfezione o la più alta forma dell'attività umana nella vita contemplativa, come dai Cinici che disprezzano la scienza e fanno consistere la filosofia unicamente nella forza d' animo e nell' esercizio pratico della virtù. E pare che 1' una e 1' altra di queste opinioni estreme trovasse rappresentanti tra i primi uditori di Zenone. Erillo di. Cartagine, che poi fondò una scuola sua, diceva che il fine supremo dell'uomo è la scienza, pure ammettendo dei fini secondari per i non saggi. Invece Aristone di Chio, anch' egli per qualche tempo scolaro di Zenone e che fondò una setta propria, estinta presto, e insegnava nel Cinosarge, disprezzava le ricerche fisiche e dialettiche, dicendo che quelle sono al disopra dell'intendimento umano, 157-cìp íi p.54;, e queste non ci riguardano, oúaàv npb,; kt5cg, non servono a nulla; le disprezzava come il fango della via che il viandante calpesta senza nessun riguardo. Gli Stoici stanno di mezzo tra queste vedute estreme. La virtù nel suo senso più generale comprende queste tre cose: la rettitudine del pensiero che mira alla verità e sa guardarsi dall'errore ; la conoscenza esatta di ciò che è, della natura delle cose; e la rettitudine pratica e morale., k" Abbiamo dunque una 3:parii logica, fisica ed etica. Quindi le tre parti della Filosofia: Logica o Dialettica, Fisica ed Etica, che s'erano già cominciate a distinguere nella scuola accademica. La parte più importante rimane naturalmente l'etica; ma gli Stoici più antichi, concependo le parti della filosofia come un tutto, si aprono la via alle ricerche teoretiche, che coltivano con non minor diligenza dei peripatetici.

3 LA LOGICA 91 E per mostrare questa connessione si servono di più paragoni : rassomigliano la filosofia a un uovo, di cui la logica sarebbe la scorza, 1' etica il bianco, la fisica la parte più interna; oppure a un animale, di cui la logica sarebbero le ossa e i tendini, l' etica le parti carnose, la fisica l' anima; o a un campo fecondo, ch'è forse il paragone meglio riuscito: la logica sarebbe la siepe che lo protegge, l'etica i frutti, la terra e gli alberi la fisica. Il senso di tutti questi paragoni è quello che abbiamo detto : rettitudine del pensiero che protegge il savio dagli errori, conoscenza della natura come base e radice della virtù, e infine la vita morale eh' è il frutto e la perfezione di ogni sapienza, anzi la sapienza stessa nel suo significato più concreto La Logica. Gli Stoici sono stati probabilmente i primi a servirsi di questa parola per designare la scienza del pensiero (le quistioni trattate nei libri analitici di Aristotile). La intendevano però in un senso molto largo. La logica è ia scienza del X6yo;, eh' è insieme pensiero e discorso, o com' essi dicevano, X6yog gv&;.cieto; (interno, concepito dalla mente) e Xyog npo:popx6g (proferito, pronunziato). Quindi vi comprendevano anche la grammatica e la retorica (la grammatica come parte della dialettica, la retorica come 1' arte del discorso continuato). Quanto alla grammatica, ci contenteremo di dire che gran parte della terminologia grammaticale ancora in uso per ciò che riguarda le parti del discorso, le flessioni, i casi, i tempi, i modi, è opera degli Stoici. E quanto alla retorica, ricorderemo la facezia di Cicerone, il quale nel libro IV, 7 De Fin. dice: «Scripsit artem rhetorieam

4 92 STOICISMO Cleanthes, Chrysippus etiam, sed sic ut si quis obmutescere concupierit, nihil aliud legere debeat». Cicerone, abituato alla retorica copiosa e faconda delle scuole accademica e peripatetica dalle quali uscivano dei veri oratori, non poteva sopportare le distinzioni sottili e l'aridità dello stile didattico degli Stoici. Nello studio delle forme del pensiero gli Stoici furono t sottilizzatori famosi e più che continuare l'opera di Aristotile o compierla, contribuirono a dare alla logica quel carattere scolastico, ispido, ripugnante che conserverà per tutto il Medio Evo. Dividevano i giudizi in semplici e composti, e si divertivano a enumerare tutte le combinazioni possibili di giudizi semplici in giudizi composti. Nella teoria del sillogismo studiarono specialmente i sillogismi ipotetici e disgiuntivi; considerano il sillogismo ipotetico come la forma fondamentale del ragionamento; ne determinano cinque modi semplici e poi da questi le innumerabiles conclusiones che ne nascono. Crisippo, che fu il grande loico della scuola, scrisse anche più libri intorno ai sofismi. Ma la parte veramente importante della Logica degli Stoici è quella che riguarda la teoria della conoscenza e più specialmente la quistione del criterio della verità. La conoscenza umana comincia con la sensazione. Originariamente, dicono gli Stoici, quando l'uomo è nato, l'anima è come una tabula rasa, e i primi caratteri che vi s'imprimono sono quelli che vengono dalle sensazioni. Così nasce in noi la rappresentazione degli oggetti epocv-coca(oc, Cicerone traduce visum), eh' è un'affezione prodotta in noi dall' oggetto, dall' oggetto rappresentabile (cpavtocatv). Quest' impronta degli oggetti sullo spirito i primi Stoici, e già pare Zenone, la chiamano una vyncoacg àv (Poxj :

5 TEORIA DELLA CONOSCENZA 93 Cleante la paragona a quella del suggello sulla cera. Crisippo tempera 1' espressione parlando di alterazioni o modificazioni dell' anima, paragonando la capacità di questa ad essere modificata (anche da più oggetti nello stesso tempo) a quella dell'aria quando molti insieme parlano e gridano. Da queste prime impressioni si formano le immagini che costituiscono la la ritentiva, e dalla moltitudine delle immagini simili, 1' esperienza, come già aveva insegnato Aristotile. Dalle percezioni e dalle immagini noi ci formiamo le idee generali, i concetti, gvvocac, delle quali alcune si formano naturalmente e spontaneamente : sono quelle che Cicerone chiama le communes notitiae rerum, xocvoct gvywocc o anche npoxiúec; (una parola che abbiamo già trovata in Epicuro) e che gli Stoici dicono anche cpoacxcd o gp.cputoc, non nel senso che siano innate, ma formazioni naturali da esperienze comuni e per una disposizione ch' è comune a tutti gli uomini. Altri concetti invece sono il risultato di una riflessione deliberata e metodica: e su di essi si fonda la scienza che coi suoi giudizi e ragionamenti connessi fra di loro produce una convinzione sicura e incrollabile. La facoltà che permette all' uomo di elevarsi dalle sensazioni alle nozioni generali e alla scienza è la ragione, il X6yog, a cui si attribuisce una certa attività combinatrice dei materiali forniti dall' esperienza, mediante la comparazione, la composizione o l'analogia, e quella disposizione naturale che abbiamo detto, comune a tutti gli uomini, di giungere a certi concetti. Gli Stoici nella teorica della conoscenza si possono dire o appariscono come sensisti, in quanto considerano l'anima

6 94 STOICISMO come una tavola rasa; ma finiscono col riconoscere e col dare la più grande importanza alla ragione nella costituzione della scienza : il che prova solamente che bisogna essere molto cauti nell'applicare queste denominazioni posteriori di sensismo e razionalismo, con le associazioni eh' esse svegliano, a questi sistemi antichi. Così pure gli Stoici sono stati detti nominalisti o meglio concettualisti, perchè ci è riferito che consideravano le idee come gvvolitiona, puri pensieri della mente. Ma vedremo, anche qui, che il loro razionalismo li conduce ad ammettere in certo modo la realtà delle idee, immanenti alle cose stesse. La questione più importante della logica degli Stoici.// è quella intorno al criterio della verità. Più ancora degli Epicurei, fondando la loro dottrina morale sopra un sistema di dogmi, essi sentono il bisogno di dimostrare e di difendere contro i dubbi scettici e le incertezze dell' opinione volgare, la possibilità e la verità della conoscenza umana. t, si puk_dire, un postulato della loro Etica che la conoscenza umana sia certa, e che ci sia un / criterio per distinguere ciò eh' è vero da ciò eh' è falso. Qual' è questo criterio? Nelle fonti ci è detto che alcuni degli Stoici più antichi consideravano come criterio la retta ragione (Tbv bp0b X6yov), e la cosa s' intende facilmente. L' uso della retta ragione, così nella formazione dei concetti come nel derivare una proposizione da un'altra, è certamente una delle condizioni per raggiungere la verità e riconoscerla. E di Crisippo ci è detto che considerava pure come criterio le 7L p o ),.1;4) 19 o e ommunes n otitiae rerum, che sono il fondamento del cosiddetto consensus gentium, come l'idea del bene e del male e quella della divinità. Date que-

7 IL CRITERIO DELLA VERITÀ 95 ste nozioni come le intendevano gli Stoici, non c' è niente di strano ch'essi se ne siano serviti come criterio, come pietra di paragone per saggiare ]e opinioni umane, per distinguere quelle vere e conformi alla natura da quelle, false o arbitrarie. Ma con ciò il problema è spostato, none risoluto. Tanto la retta ragione quanto le 7zpo)o'Ancg sono essere criteri derivati e secondari, non il criterio primario e fondamentale della conoscenza umana, la quale si fonda in ultima analisi sulle rappresentazioni sensibili. o pootadocc, sulle percezioni prodotte in noi dall' impressione degli oggetti. Il problema del criterio diventa dunque il problema della validità obbiettiva delle nostre conoscenze, cominciando appunto dalle conoscenze sensibili che sono il punto di partenza e la base di tutte le altre. Gli Stoici sanno che delle nostre rappresentazioni alcune sono vere, altre false: e alcune si possono dire in un certo senso vere e in un altro false (come quando Oreste vede la sorella Elettra e la crede una furia): si tratta dunque di sapere se c'è un criterio per distinguere le rappresentazioni vere dalle immagini false o fantasmi. Gli Scettici negavano che questo criterio ci fosse gli Stoici lo ammettevano e lo riponevano nella cosiddetta rappresentazione catalettica (cponcacra xataxvng) (cfr. specialmente Sesto Empirico, Ad v. Math. VII, ). Ci sono delle rappresentazioni che si manifestano a noi con una forza e una chiarezza particolare, che i Greci chiamano gvcí.pyecq, e che noi potremmo dire evidenza, perspicuità. Una rappresentazione cosiffatta si direbbe impressa e suggellata in noi da un oggetto, ed è così determinata che riproduce tutte le proprietà particolari dell'oggetto, ed è tale che nessun altro oggetto potrebbe produrla, si di-

8 96 STOICISMO stingile da tutte le altre: come diceva Zenone, di cui Cicerone traduce esattissimamente le parole: «visum igitur impressum effictumque ex eo unde esset, quale esse non posset unde non esset». Naturalmente bisogna sapere osservare, evitare o togliere le cause possibili di errore, guardare la cosa da più parti, mutare la distanza e così via. Quando una rappresentazione è cosiffatta, essa a dir così ci s'impone, provoca il nostro assenso (Guyxcraeacz;), è accompagnata dalla credenza che per mezzo di essa noi apprendiamo qualche cosa di reale. Può darsi il caso che noi diamo 1' assenso anche a cose non vere, perchè l'assenso è un atto della nostra volontà e può essere anche precipitato, ma nel caso della rappresentazione di cui parliamo 1' assenso non è arbitrario : la rappresentazione ha tali caratteri che ci costringe all'assenso, quasi ci tira per i capelli, come dice Sesto Empirico; o con un altro paragone : a quel modo che i pesi messi sul piatto di una bilancia la fanno abbassare, così 1' animo nostro deve cedere, dare il suo assenso all'evidenza, perspicuis cedere. Il risultato è la xcercking (da xcerocxolt(36cm), la conoscenza, 1' apprendimento, la comprensione, il prendere possesso degli oggetti, della realtà. Sesto Empirico, nel corso della sua esposizione, adopera un'espressione affine: dcvtd,y.pc c TGo 67-coxeclibcov, la nostra mente va a dir così incontro agli oggetti e ne prende possesso. E la x.cc-cc),n rin; è definita espressamente come l'assenso dato a una cpavtocdoc che ha quei caratteri che abbiamo detto e che si chiama perciò 7.2T2XVC-C FM. La parola xx-c2xnrctcx6; ha significato attivo, ed esprime la relazione che c' è tra la rappresentazione e

9 CONCETTI ONTOLOGICI 97 1' oggetto reale (brcoxactievov), o possiamo anche dire tra il nostro spirito e la realtà mediante la rappresentazione. Questa è l'interpretazione che noi crediamo giusta e che ci pare quella richiesta dalle esigenze stesse del problema. Il criterio della verità (o della realtà obbiettiva delle nostre rappresentazioni) sta, secondo gli Stoici, l' evidenza intuitiva dell'apprensione di un oggetto che provoca in noi l' assenso e ci fa credere alla realtà di q uell' oggetto. Sesto Empirico c' informa pure che mentre i vecchi Stoici riponevano il criterio nella fantasia catalettica, i più recenti vi aggiungevano : purché non vi sia nulla in' contrario, spiegando come talvolta vi possono essere delle rappresentazioni di tutta evidenza che si potrebbero dire catalettiche e che pure per altre circostanze non sono degne di fede: sono in contrasto con altre rappresentazioni indubitabili e con ragionamenti fondati sopra di esse. È chiaro che quest' aggiunta e questa limitazione dev' essere nata dalle controversie a cui dava luogo inevitabilmente la dottrina della fantasia catalettica. Gli Stoici, come già gli Epicurei, erano sulla via di riconoscere che il criterio della realtà non sta nella rappresentazione singola, ma nella coerenza di tutti i dati dell' esperienza Come transizione dalla Logica alla Fisica aggiungiamo due parole su alcuni concetti ontologici degli Stoici. Essi tentano una semplificazione della tavola delle categorie, subordinandole 1' una all' altra. Le chiamano i concetti più generali, e ne distinguono quattro : 1. Tb (yrcoxec[tavov, 2. ib ITT6v, 3. zb mi); gxov (al iqu o modo se ha- 7

10 98 STOICISMO bens), 4. tb rcp6g TI ZetYg gxov (aliquo modo ad aliquid r elat u m) : cioè a dire il substrato o sostanza, la qualità o attributo caratteristico di una cosa, la modificazione determinata ed infine la modificazione relativa a qualche altra cosa. Per esempio : l'uomo, l'uomo saggio, l'uomo saggio eh' è sano o malato, infine eh' è parente o amico d' un altro. Nella gerarchia dei concetti c' è un termine infimo ch' è l'individuo e un genere sommo eh' è l'essere, Tb Gv, al disopra del quale non v' è un concetto più generale. Più tardi gli Stoici credettero meglio chiamare questo genere sommo Tb TI, il qualche cosa, per comprendervi anche le cose incorporee (che non sono propriamente h-m, cioè per loro csdap.xtoc), e considerano come cose incorporee il vuoto, il tempo, lo spazio e il XExT6v (effatum, dictvm), cioè il significato mentale delle parole che noi pronunciamo, quello che la parola significa in quanto noi la intendiamo. Quando noi pensiamo e parliamo, bisogna distinguere tre cose 1a la parola come voce, 2a la cosa reale che esprimiamo, 3a quello che la parola significa in quanto noi ne intendiamo il significato. Per esempio, quello citato da Seneca: Catone che passeggia (Catone passeggiante), questa è una realtà al di fuori del pensiero; quando io dico : Catone passeggia, questo è un duplicato immateriale della realtà. Oppure 1' altro esempio di mi greco e di un barbaro che sentono la parola e pensano la cosa significata (anche il barbaro, per una combinazione qualsiasi), salvo che 1' uno intende il senso e 1' altro no della parola. 11 Xext6v è come un mezzo termine interpolato dagli Stoici tra il pensiero come fatto psichico e la parola esterna, il punto in cui essi s'incontrano e si uniscono, il pensiero per essere espresso e la parola per essere intesa. Il?,awc6v si distin-

11 CONCETTI ONTOLOGICI 99 gue dalla cosa esterna, si distingue dalla parola, si distingue anche dal pensiero come azione dell'anima (cose tutte reali e materiali): esso è di natura immateriale, l'ef- Min, ciò ch' è esprimibile, il significato della parola in quanto intesa '). 1 ) Cfr. OGEREAU, Essai sur le système philosophique des Stoiciens (Paris, Alcan, 1885).

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