C era una volta, Cadriano

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1 Città di Granarolo dell Emilia Provincia di Bologna I Quaderni della Biblioteca. II a cura di Associazione Campus Adriani C era una volta, Cadriano Memorie di un paese: i DIARI dei nostri novantenni e le testimonianze degli over 7 nati a Granarolo e residenti a Cadriano 3

2 L Associazione Campus Adriani ringrazia per il loro prezioso contributo: Ricerca Storica: Chiara Gaddi e Andrea Rosignoli. Con la collaborazione di Valentina Rizzoli e del Comune di Granarolo Interviste: Michela Ferrentino, Lorena Lambertini, Sonia Lanzi Piano editoriale e cura dei testi: Alessandro Alvisi Foto: Comune di Granarolo; intervistati e famiglie; Andrea Coltelli, Oriano Fabbri e Amedeo Landuzzi per il tiro alla fune; la famiglia Lambertini per le immagini della consegna del latte; Gianni Montanari; Elisa Cesari per le ricette della nonna Un ringraziamento speciale a tutti i protagonisti di questo Quaderno per la disponibilità e per le immagini fornite, a Don Vittorio Serra (Parrocchia di Sant Andrea di Cadriano) e alla Biblioteca del Comune di Granarolo Si ringraziano anche tutti coloro che, pur interpellati, hanno declinato l invito ad essere intervistati Ci scusiamo se, del tutto involontariamente, qualcuno dei nostri splendidi nonni non compare Una particolare citazione per Nicoletta Tartari, consigliera delegata al Progetto conoscere: cultura e memoria 4

3 Il valore della memoria di Loretta Lambertini * Le pubblicazioni di valore suscitano emozioni, coinvolgono, spingono a riflettere. Le parole si imprimono in noi e ci cambiano, magari impercettibilmente. La lettura di questi Diari e delle testimonianze dei nonni di tutti noi, come mi sento affettuosamente di chiamare i settantenni e i novantenni di Granarolo e Cadriano, non può che indurci al rispetto, all ossequioso e pudico riconoscimento di una forza, all interno di ciascun racconto, inusuale. Bambini che si alzano di notte per lavorare nei campi prima di andare a scuola, a piedi, con qualsiasi tempo; che al ritorno lavano i panni, accudiscono i fratelli più piccoli e non di rado cucinano. Ragazzi che scappano dai tedeschi e dagli orrendi rumori dei mitra e delle bombe, che hanno la compagnia degli amici come principale e spesso unica fonte di divertimento. Magari hanno passato tutta la vita senza essere mai stati nel centro di Bologna o per vedere il mare si sono fatti tutto il viaggio in bicicletta. Adulti che sanno qual è il sapore del sale, come si dice dalle nostre parti, che non possiamo non ammirare, leggendo i loro racconti, per come hanno cresciuto famiglie di venti e più persone, per come si sono adattati ad un mondo cambiato così in fretta. C era una volta, Cadriano è il secondo de I Quaderni della Biblioteca, dopo i racconti delle donne e degli uomini di pianura nella lotta di Liberazione, un ulteriore passo di quel viaggio a cui, nel programma di mandato, abbiamo invitato tutti a partecipare, affinché insieme possiamo delineare un futuro costruito sulla storia e sulla memoria. Oggi, spesso, sentiamo tra noi e il passato non più una continuità, ma una frattura: il passato è esotico, prezioso e distante. La memoria stessa è diventata oggetto della storia. Ma non si tratta semplicemente di ricordare, di accumulare memoria, bensì di rendere le esperienze del passato produttrici di senso e di intelleggibilità. E un progetto in movimento, al cui centro si colloca anche la nostra comunità nel suo snodarsi di storie e vicende umane passate e presenti, testimonianze che vivono in vecchi manoscritti, ma anche nel racconto appassionato e nostalgico di uomini e donne dalla cui esperienza i giovani possono riconoscere segni e contorni di valori, passaggio indispensabile per guardare con più serenità il futuro di una tradizione civile ed antica. Appuntamenti, incontri collettivi, la realizzazione dei Quaderni come documento di narrazioni, interviste e semplici parole da portare con noi a futura memoria: queste le attività principali che come amministrazione comunale stiamo realizzando per accrescere il legame di ciascuno con il territorio, con la comunità, per un affettuoso e partecipato senso di appartenenza e cittadinanza. * Sindaco di Granarolo 5

4 Mappa settecentesca del territorio di Cadriano, integrata nel documento Campione di tutte le Pubbliche strade, stradelli e sentieri che sono nel comunio di Cadriano, con le annotazioni dei ponti e chiaviche che in esso vi esistono, e a chi spetta la manutenzione dei medesimi. Il documento fra l altro riporta la larghezza delle strade in piedi ; ad esempio Via Cadriano al confine con Calamosco è larga 23 piedi, Via Nova è larga 18 piedi - archivio parrocchiale di Cadriano 6

5 Noi di Campus Adriani di Massimo Rizzoli * La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere/siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere/e poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)/quando si tratta di scegliere e di andare/te la ritrovi tutta con gli occhi aperti/che sanno benissimo cosa fare.... Ci sono iniziative, quando si fa parte di un associazione, e qui a Granarolo sono davvero numerose, che premiano con la soddisfazione che si prova nel coinvolgere un gran numero di persone, perché ti accorgi che la comunità le fa proprie, perché ti arricchiscono dentro. Noi di Campus Adriani viaggiamo lungo i solchi profondi della memoria, del senso di identità e di appartenenza al nostro territorio cercando di sviluppare sensibilità, interessi e partecipazione. Dalla Fiera al Presepe Vivente; dal carnevale alle visite culturali a musei, sotterranei e vie d acqua; da Verdevolo a Granarolo in Festa; dai corsi di tiro alla fune a scuola agli incontri sui delicati temi legati all essere genitori di adolescenti: noi ci siamo e operiamo da ormai tre anni, e abbiamo un agenda assai fitta per i prossimi mesi. Ma tra mille iniziative che si possono offrire, questi Diari ci toccano particolarmente. Abbiamo ascoltato e trascritto i ricordi di persone che con le loro memorie trasmettono un senso speciale di umanità perché hanno vissuto esperienze e sensazioni irripetibili. Frammenti della nostra storia recente, dietro l angolo, che a volte sembra quasi impossibile immaginare che siano potuti accadere proprio qui. C era una volta, Cadriano. Memorie di un paese: i DIARI dei nostri novantenni e le testimonianze degli over 7 nati a Granarolo e residenti a Cadriano ci trasporta in un mondo che sa dell aspra fatica dei campi, del doversi sentire e comportare da adulti anche quando si era bambini, di privazioni, paura e fame. Ma, nel contempo, ci troviamo in un universo fatto di antichi valori, idee nuove di libertà e giustizia, di legami familiari e forti amicizie, di gioie strappate ad un ambiente spesso ostile ballando nelle aie o tirando calci ad una palla di stracci. Vi invitiamo, dunque, alla lettura di questo Quaderno della Biblioteca - ai novantenni abbiamo consegnato anche un Diario personalizzato - quale vivido e sentito contributo per costruire un ponte tra vecchie e nuove generazioni, augurandoci che anche gli adulti di oggi trovino talvolta il tempo per riguardare al passato come a un insegnamento importante. Perché, lo dice sempre in maniera straordinaria Francesco De Gregori: La storia siamo noi, siamo noi padri e figli/siamo noi, bella ciao, che partiamo/la storia non ha nascondigli/la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano. * Presidente Associazione Campus Adriani 7

6 In bicicletta a Granarolo 8

7 I Diari dei nostri Novantenni 9

8 Teresa Garuti (Tina) Il mio primo vestito pieno di buchi Quando nacqui io, era il 198, nella nostra casa, a San Giorgio di Piano, si stava già stretti. Ero la nona figlia, la Tina per tutti; saremmo diventati undici fratelli, sette maschi e quattro femmine. Ricordo il mio primo vestitino vero, avevo quattro anni, un regalo di mamma e papà: era mucchi di sassetti ai lati delle strade. Mica c era l asfalto allora, i monti di ghiaia appoggiati ai bordi delle vie servivano per la manutenzione. E per il nostro divertimento. Mi piaceva andare a scuola, ma la terza elementare, purtroppo, è stata l ultima classe che mi è riuscito di frequentare. E un dispiacere che non passerà mai quello di non aver potuto studiare davvero. Ho quasi cent anni, un secolo di vita, ci pensate? Io sì, spesso, mi fa quasi impressione. I ricordi? Tanti, belli e brutti, segni indelebili di una vita che, comunque vada, è stata ricca. E non parlo certamente di denaro. Mi viene il cuore in gola, ancora oggi, quando mi tornano alla mente le immagini della guerra: fotografie di dolore, morte, distruzione. Di miseria e di povertà, di follia del pensiero e del cuore. Le ricordo bene entrambe, le Guerre Mondiali. Dio voglia che non si ripetano. Avevo 7 anni e tutta l incoscienza dei bambini quando scoppiò la prima. Avevamo tre fratelli al fronte: ci pensavo ogni giorno, in continuazione, e provavo violente fitte di dolore. Ero piccola, ma cominciavo già a conoscere la sofferenza. Quando tornavano in licenza mi scendevano le lacrime di gioia. Che diventavano lacrime amare quando, al mattino presto, venivano a darmi un bacio prima di ripartire. Come se non bastasse, in quei tempi arrivò l influenza maledetta, la spagnola, che fece migliaia di morti. Come una guerra, più di una guerra. Nella mia famiglia nessuno morì, fortunatamente, anch io riuscii a non ammalarmi. Quando il medico ci visitava scappavo, avevo paura che mi dicesse che l avevo presa anch io! Anni 4 - Tina alla raccolta dell uva giallo, chiaro, o forse stinto, c erano tanti di quei buchi che facevano la fila. In quell anno andammo ad abitare a Castel Maggiore. Bada a non farti male e a non rovinare la roba che indossi, si raccomandavano i genitori e i miei fratelli più grandi, ma adoravo passare le giornate correndo su e giù dai Dieci anni, venne il tempo di lavorare. Era giusto, necessario se si voleva mangiare. Tutti faticavano, dovevo fare la mia parte. Nei campi mietere il grano era uno dei tanti lavori, poi mi spettava badare le mucche. Che responsabilità per me, così giovane, ne ero orgogliosa. Si sudava e si sorrideva, aspettando di pronunciare la tanto sospirata parola d ordine: Ora a Cà gridavo; era il momento di rientrare e le mucche riprendevano la via del ritorno. In casa facevo la sfoglia, ma non ero abbastanza alta: per arrivare al tagliere salivo su un panchetto. La spesa era un altro dei miei compiti; 15 o 16 lire di carne, circa 3 kg per tutta la famiglia. 1

9 L amore arrivò e mi sposai nel 1929, l anno della grande depressione. Tanto per cambiare, si tirava la cinghia. Abitavo con la famiglia di mio marito, i suoceri e tre cognati. Il primo figlio nacque subito, un anno dopo. Mio suocero, che era uomo di ampie vedute, appena ebbe un po di soldi si comprò casa e terra a Cadriano. Arrivammo qui nel Erano giorni difficili, anche perché inaspettatamente in quell anno mia suocera ci aveva lasciati, un attacco di cuore. Rimasi così l unica donna in una famiglia di sei uomini: figlio, suocero, marito e tre suoi fratelli; uno rimasto vedovo causa spagnola (con due bambini), gli altri due non sposati, zitelli come venivano chiamati allora. Avevo 24 anni. Ero una signora ormai, una mamma e una moglie, naturalmente la donna di casa: peccato che non avevamo l acqua e neppure la lavatrice. Gli uomini, in casa, non facevano nulla, non andavano neppure a prendere l acqua col secchio. Toccava a me, così come poi dovevo scaldarla sul fuoco mentre magari preparavo la cena, lavavo camicie e rammendavo pantaloni. Di giorno, lavoravo la canapa. Ricordo con piacere un attenzione di mio cognato: quando rimasi incinta del secondo figlio, comprò una stufa a legna così in inverno non dovetti più andare nella stalla per stare al caldo. Nel 194 mio marito e i fratelli si divisero i beni: casa, stalla, casolare e terra. Ogni famiglia, allora, godeva della propria abitazione, separata dalle altre. Cominciai a stare meglio; avevo da accudire solo mio marito e due figli, il secondo nato nel Che cosa c era allora a Cadriano? Famiglie di contadini in case sparse, poi il centro del paese. Mi piaceva Cadriano, ci dava tante occasioni di incontro. La Fiera, una volta all anno, era la giornata che tutti aspettavamo con impazienza. Le famiglie si mettevano il vestito buono, nessuna esclusa. Rammento le mucche nel campo lì vicino, la giostra e il bottegaio che uccideva due maiali e, davanti a noi, preparava le salsicce. Veniva gente anche da fuori, in bicicletta, e si mangiava assieme. Nel mese di maggio, tutte le domeniche, di sera, si ballava. Talvolta c erano i burattini, e anche qualche commedia. Era bella Cadriano: si andava tutti d accordo, non c erano bisticci tra famiglie; anzi, eravamo come un unica grande famiglia. A ballare andavo con mio figlio più grande, l altro era ancora troppo piccino per uscire la sera. Io, lui e le mie amiche: spesso stavo in disparte, ballavo prima di sposarmi, poi non c era più stata occasione. Ma mi sentivo felice, in compagnia, ad ammirare le ballerine e la loro bravura. Che emozione la prima televisione, quella che comprò il bottegaio del paese. Era gentile, permetteva ai bambini e a tutti noi di guardarla: un altra occasione d incontro per i cadrianesi. C era anche l elezione di Miss Cadriano. Un anno vinse l Elda, un altro la Luisa erano amiche mie. I bambini andavano a scuola in bicicletta. Alle elementari a Cadriano, ma anche quando il più grande cominciò a frequentare il corso di avviamento al lavoro, alle Aldini, sempre in bici ci si spostava. Non potevamo permetterci altro mezzo. Poi scoppiò, di nuovo, la maledetta guerra e così li tenevo rintanati in casa; niente più scuola, da quando un loro amico rimase ucciso dallo scoppio di una bomba mentre camminava in un prato. Il 1943 fu un anno terribile: la casa dei miei genitori, a Castel Maggiore fu completamente bruciata dai tedeschi. Pagavano la Manifestazione per la pace a Cadriano Vecchio, con le bandiere fatte a casa di Tina 11

10 terribile colpa di aver ospitato dei partigiani. Sembrava una tragedia senza fine: la moglie di mio fratello più piccolo chiese ad un tedesco il permesso di salvare dal fuoco i vestiti delle sue bambine. Fu arrestata e fucilata assieme ad altre 35 persone. Fortunatamente il resto della mia famiglia si salvò, anche i miei genitoricheavevano7anni.ancoraoggiparlodiqueigiorniconmiofratello, nato nel 191; viene a trovarmi ogni due settimane, la domenica, con la seconda moglie che ha 98 anni. Tornando alla guerra, avevamo due mucche che ci furono portate via subito. I tedeschi, 15 o 2, occuparono casa nostra esattamente il 6 novembre 1943: rimasero sei mesi. Io e i bambini stavamo nella stalla; mio marito, in ostaggio, doveva occuparsi di loro. Tutte le notti sentivamo il rombo di pippo, il famoso aereo, sulle nostre teste, poi i bengala e le bombe che venivano giù. Finì la guerra, che si portò via, assieme alla nostra spensieratezza e a tante vite, il ballo, i burattini e la commedia. Anche la Fiera non era più la stessa. Nonostante ciò, a Cadriano si stava bene: la bottega, il macellaio, il fornaio erano i negozi di tutti i giorni. In inverno si restava nella stalla insieme agli amici: le donne filavano, gli uomini giocavano a carte. Da maggio a metà giugno si curavano i bachi da seta: era un attività che ci aiutava a guadagnare qualcosa. Mi piaceva molto fare la foglia, cioè con una scala raccogliere le foglie dalle piante di gelso per poi portarle ai bachi che le mangiavano. A metà giugno i bozzoli erano pronti: si prendevano dalla stanza della casa in cui erano conservati, su piani di arelle, e si preparavano per la vendita al mercato di Bologna. In luglio si tagliava la canapa: usavamo una falce a manico lungo, era faticoso ma si stava all ombra delle piante, che ci coprivano. Era peggio la battitura, che facevamo alle due del pomeriggio per togliere le foglie. Eravamo in pieno sole, ma era un caldo sano, non come oggi che a quell ora è impossibile stare fuori. Perché il sole, oggi, è malato Consentitemi di fermarmi qui. Spero che le pagine del mio Diario possano dare ai giovani, che sono il nostro futuro, un immagine di come si stava, di come ci si sentiva quando avevamo la loro età. Come si cresceva e si cercava di vivere, giorno dopo giorno. Agli adulti e a quelli della mia età, purtroppo pochi, mi auguro di avere aperto una pagina di storia, di aver riportato ai loro occhi frammenti di memoria e di identità comune a tutti coloro che hanno vissuto a Cadriano. Dove si vive bene, oggi come allora. Anni 7 - Tina, in basso a sinistra, con i suoi nove fratelli 12

11 Amedeo Landuzzi Ragazze, mandolino e tiro alla fune Fui un bambino fortunato. E anche da ragazzo non me la passai male. Ero il più piccolo di una famiglia lunga quasi come una squadra di calcio, quindi esentato dallo sgobbare nei campi. Compiuti 16 anni, mi prese la passione per le ragazze: i miei sentimenti e gli entusiasmi erano spesso ricambiati e tutto mi sembrava filasse per il meglio. l ottobre del A quei tempi i traslochi si facevano proprio in quel periodo, tra ottobre e i primi di novembre, per San Michele. Avevo spalle larghe e buone, mi introdussero subito nel giro. Fu allora che, spostandomi spesso per il paese e dintorni, conobbi numerose ragazze Ho frequentato le scuole a Corticella, fino alla quarta elementare. Si poteva arrivare fino alla sesta, ma quasi nessun giovane ce la faceva. Il richiamo del lavoro nei campi non lasciava scampo. Confesso, la scuola non mi ha mai appassionato. Mi applicavo poco ed anche se non c erano vere necessità di lavoro in campagna per me, smisi di studiare. Errore gravissimo, per molti motivi. Il mio cruccio di allora Amedeo Landuzzi, primo della fila, in una gara di tiro alla fune durante il servizio militare Quando arrivarono gli anni duri, quelli della guerra e della fame, del lavoro che non c era e di un futuro oscuro, sembrava che il mondo mi cadesse addosso. Poi, fortunatamente, tutto passò. Sinceramente, posso dire che il mio angelo custode, almeno sinora, ha fatto davvero un buon lavoro. Sono nato a Corticella il 28 luglio La mia famiglia era composta da papà, mamma e 1 figli, più altri due che però morirono piccolissimi. Otto maschi e due femmine, io ero l ultimo nato. Da piccolo stavo bene, la terra la lavoravano i miei fratelli più grandi, le faccende di casa spettavano alle femmine. Per mezza giornata avevo il permesso di andare dai vicini di casa, la famiglia di Luciano Cristiani, a giocare. Mi spostavo sempre io, i suoi figli avevano più impegni. Venuto ad abitare a Cadriano, il tempo dell ozio finì. Era era di non essere abbastanza allenato nella scrittura. Così, quando dovevo scrivere una lettera a una morosa, mi trovavo in difficoltà ed ero costretto ad arrangiarmi. I miei sentimenti su carta, non di rado, mi facevano un po vergognare. Per imparare a fare di conto, in seguito, mi sono fatto aiutare da una maestra di Bologna che conoscevo perché da bambina veniva in campagna. I conti di casa li teneva il quarto figlio, mio fratello Francesco, ma quando nel 1938 si sposò e se ne andò, divenni io il contabile. Le necessità erano di un aritmetica elementare: si doveva misurare la móccia d aldâm (il mucchio di letame), una botte, ecc. 13

12 In famiglia si viveva bene, siamo sempre andati abbastanza d accordo. Non c erano svariati ceppi come nella maggioranza delle altre famiglie dove vivevano più fratelli, con relativi figli, nella stessa casa. Essere in tanti era importante per il lavoro in campagna. Allora i mezzi scarseggiavano, per cui ogni lavoro richiedeva tanto tempo e non meno sofferenza. Purtroppo i risultati, in termini di prodotti e di denaro, a quei tempi non corrispondevano all impegno, alla fatica, ed anche la buona volontà raramente veniva premiata. Funzionava soprattutto la mezzadria, secondo i desideri del padrone per cui tu semini e poi raccogli, e dai a me la metà. Noi siamo stati prima in affitto, dal 1913 al 1921; rinnovammo l accordo per gli anni seguenti, ma il padrone vendette il terreno ad un altro proprietario che ci fece un contratto di mezzadria. Anche quando ci trasferimmo a Cadriano eravamo a mezzadria e lo siamo stati finché non fu abolita, nel 1964, e trasformata in affitto. Pure da mezzadri fummo fortunati perché la padrona delle nostre terre, Annamaria Rambaldi, ci permise autonomia. Iniziando la produzione di ortaggi le facemmo notare che l impegno sarebbe stato molto oneroso e lei ci rispose: Se hai iniziativa puoi usarla per te, non voglio dividere la vostra fatica. Acquistammo la terra che lavoravamo all incirca nel 199. I lavori in campagna rappresentano uno dei miei ricordi più nitidi. Nel 1925, eravamo ancora a Corticella, si faceva la mietitura a mano; sovente faceva freddo e si andava nel campo con una giacchetta. Una volta a Cadriano, abbiamo cominciato ad usare attrezzi fabbricati dagli artigiani di Sabbiuno: in particolare, una falciatrice che serviva sia per il grano che per la canapa. Si seminava anche l erba medica che raccoglievamo a mano nel primo taglio e poi con la falciatrice che veniva tirata dalle mucche. Le mucche, quando erano poche, era necessario che fossero guidate. Era un lavoro che normalmente si faceva fare alle bambine, o comunque ai più piccoli. Noi avevamo la fortuna di avere numerosi animali: per arare, ad esempio, si usavano 8 vacche davanti con 4 buoi dietro, così non serviva il badante. Altri, invece, aravano con solo 6 vacche: c era così bisogno di una persona davanti e due ai lati con la frusta per incitare gli animali. La figlia dei miei vicini, la giovane Innocenti, guidava le mucche e siccome studiava teneva sempre il libro in mano per leggere mentre era al lavoro. Mi sono fidanzato più volte. Prima con la sorella più grande dei Marchesini, poi con una ragazza di Bonora e successivamente con una di Scaramagli, che purtroppo morì di broncopolmonite. La sua morte mi colpì al punto da non cercare altre ragazze per un certo periodo. Ma la mia idea restava quella di sposarmi e farmi una famiglia tutta mia. In quel periodo fui chiamato nei militari. Ancora una volta la fortuna, o come la vogliamo chiamare, fece la sua parte. Mussolini stabilì, per favorire le famiglie numerose (almeno cinque figli) che dopo due figli maschi che avevano fatto il militare, gli altri passavano. In questo modo, sono riuscito ad evitare la Guerra d Africa. Ma nel 1935 furono richiamati tutti i terzi gradi, che erano i figli successivi al secondo di 5 fratelli o orfani di guerra, quindi toccava anche a me. Dal settembre 1935 alla fine del gennaio 1936 facemmo quattro mesi di istruzione, poi entrammo in ruolo. Ero nella Divisione Pistoia e facevo parte del reparto munizioni e viveri: con i cavalli portavamo i rifornimenti ed il cambio dei soldati che purtroppo morivano al fronte Amedeo Landuzzi in occasione della Cresima di Franco Barilli Allora ero in Piemonte, poi sono stato spostato a Porretta, Budrio e a Bologna. Nel 1941, infine, ci trasferirono in Calabria. La nostra Divisione fu comunque protetta dalla sorte perché avevamo un generale che era contrario alla guerra, quindi la sua Divisione non era mai pronta. Quando ci fu realmente bisogno sostituirono il generale (1942) e ci imbarcammo in mille sulla nave Italia destinazione Libia; non arrivammo mai, perché non si riusciva ad attraversare. Sembra una favola, ma è la realtà. Dopo si 14

13 sarebbe dovuti partire in aereo ma siccome là era stato fornito del carburante zuccherato, gli aerei, anziché trasportare noi soldati, dovettero viaggiare pieni di barili di carburante. Mi sono sposato il 1 aprile Conobbi la mia fidanzata, che era a servire presso i nostri vicini, venendo a casa in licenza. Forse è brutto a dirsi, ma sono consapevole che in quel periodo le ragazze prendevano il primo che capitava. Poi aspettammo che andassero via tedeschi e polacchi per avere dei figli. Si erano già sposati quattro miei fratelli che erano usciti di casa ed un quinto era in procinto di farlo. Che cosa si faceva la sera dopo il lavoro? Io suonavo il mandolino. No, non ho mai studiato le note. Andavo da un amico, Amleto Maranesi (cugino di Elda Maranesi), che scriveva la musica. Loro, la domenica a mezzogiorno, andavano a suonare alla radio: c era un contrabbasso, Carati, che aveva la macelleria a Cadriano ed era il nonno di Gino Atti, quello che negli anni 6 e 7 suonava la fisarmonica a moltissime delle feste che si organizzavano in zona. Aveva un gruppo che si chiamava Trio Atti. Noi pure eravamo in tre: due mandolini e una chitarra per le serenate, a cui talvolta si aggiungevano due organini quando suonavamo nelle feste in casa. Le serenate, in quegli anni, erano infallibili quando si trattava di corteggiare le ragazze. Si andava in gruppo, la sera, a casa della fanciulla prescelta, e si suonava. Quando poi occorreva attaccare discorso non mi tiravo certo indietro e prendevo l iniziativa. Non conoscevo la timidezza. Le feste in casa si facevano nel periodo invernale. Per l ultimo dell anno, naturalmente, ma anche in altre giornate. Ogni occasione poteva fornire uno spunto. Si utilizzava la loggia. Tutte le case coloniche avevano una loggia molto spaziosa; normalmente era lunga quanto la casa, larga almeno la metà, e ubicata nella parte centrale. Sulla loggia si affacciavano le varie stanze del piano terra: la cucina col camino, la cantina che normalmente scendeva di due o tre gradini e non era pavimentata, e altre stanze che fungevano da magazzino. Come palco si attrezzava un carro. Si invitavano le famiglie di amici di Cadriano e si faceva a turno ad organizzare la festa nella propria casa. Le feste erano regolari, c era persino il permesso SIAE per la musica. Ricordo che una volta ce lo dimenticammo e prendemmo la multa. Nella bella stagione si andava a ballare in piazza a Cadriano. Erano feste in piedi: chi ballava e chi stava ai lati a guardare, ma nessuno poteva stare seduto, perché non c erano sedie Trofeo dell Aratro d oro a Roma. Amedeo Landuzzi è il primo della squadra 15

14 Il musicista Gino Atti (a sinistra) in compagnia di un amico 16

15 Rammento con piacere le finestre addobbate : si iniziò dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dal 1946 al 196 circa. C erano le bandiere della pace nelle strade e tutte le finestre di Cadriano Vecchio e via Gandolfi erano addobbate con fiori e carta crespa sistemata in vari modi. Capitava in occasione della Festa de l Unità; la finestra, però, l addobbavano tutti, indipendentemente dall idea politica. Abbiamo coltivato la canapa fino al Il nostro padrone non la conosceva e si stupì quando vide mettere gli stecchi nel fienile ( cius ) con la forca; gli stecchi di canapa servivano per fare il fuoco. Nel primo dopoguerra tenevamo anche i bachi da seta. Serviva un oncia di animaletti per un quintale di seta. Negli anni migliori si prendevano circa lire al chilogrammo. Poi il prezzo iniziò a scendere, quindi si smise. Dopo continuammo a coltivare bachi solo per uso familiare. La seta veniva trattata dalle nostre donne col filarino, come la canapa, ma era molto meglio Un gruppo di ragazzi di Cadriano alla vendita del fieno C era poi il concorso del bimbo bello ; anche mio figlio Francesco, un anno, vinse. Altri vincitori furono Negrini (che aveva il negozio di merceria), la sorella di Gino Atti, Passarini il lattaio, quello che raccoglieva il latte dalle stalle per portarlo al Consorzio. La Fiera era un avvenimento importante, soprattutto prima della guerra, con davvero tanta gente che veniva anche da fuori. La vigilia di Natale si cenava in famiglia e, prima di mangiare, si recitava il rosario. Da noi era la mamma a recitarlo, lei che sapeva leggere, scrivere e conosceva il rosario tutto a memoria. Mi piaceva lo sport, in gioventù ho fatto parte della squadra leggeri di tiro alla fune del dopolavoro Filippo Corridoni di San Sisto; ero molto magro e mi mettevano come primo della fila. La passione per il tiro alla fune era di famiglia; mio fratello Giovanni, nei primi anni 3, faceva già parte della squadra dei medi insieme a Carlo Bernardi (fidanzato dell Elda) ed altri amici di Cadriano (Passerini, Santi, Barilli, Marchesini). Essendo noi in tanti fratelli, la sera dopo il lavoro o nelle pause quotidiane, un po per divertimento e un po per allenamento, prendevamo la corda e tiravamo. Soddisfazioni e successi non mancarono. Componente ufficiale della squadra leggeri dal 1935, nel 1936 con i compagni vincemmo i campionati nazionali a Latina e fummo secondi a Verona nel Questa passione mi permise anche tante licenze dal servizio militare: la sera per gli allenamenti e le giornate dei vari tornei provinciali, regionali e nazionali. Ci penso sempre e lo dico ai miei nipoti: perché non prendete la corda e vi allenate a tirare? Mi piacerebbe che a Cadriano si riscoprisse questo sport. Se 8 minuti di gara sono troppo impegnativi, perchè non organizzare tornei di 5 minuti? Così, magari solo per divertimento! 17

16 Elda Maranesi Tra la stôppia e i bigâtt Passeggiare è la mia passione, salutare i volti noti, conoscere quelli nuovi, scoprire come cambia, ogni giorno, la mia città. In questo mio girovagare per luoghi e pensieri, spesso mi capita di passare davanti alla mia vecchia casa, in quello che allora era il centro del paese, Cadriano Vecchio. Presa dalla Il lavoro era duro, non rammento alcun momento della mia vita senza i calli alle mani Appena conclusi gli impegni casalinghi e la scuola, il campo m aspettava, impaziente. A giugno si mieteva il grano e lo facevamo a mano. Quante giornate in mezzo alla stôppia - la parte del fusto del grano che rimane attaccata alla radice dopo il taglio - che graffiava le caviglie ed i piedi. Polvere e sangue, fatica e la schiena a pezzi, la sera, quando si rincasava stremati. Si mangiava quel che c era e che si poteva, poco per ciascuno, spesso quasi niente. La scuola, qui a Cadriano, arrivava fino alla quarta elementare. In paese la quinta non c era, bisognava spostarsi a Granarolo o a Viadagola. Femmine e maschi, tutti nella stessa scuola ma in classi separate. Due sole le maestre: una per la prima e la seconda classe, l altra per le successive. Si camminava, e tanto, per arrivare a scuola in orario. E non sempre ci si riusciva. Che divertimento quando veniva la neve. Nevicava più spesso di oggi, quanto ce la siamo spassata, da bambini, con mille giochi e scherzi. Quando ne veniva giù troppa, la scuola chiudeva. Le strade si riempivano, diventava impossibile spostarsi, e allora tutti con il badile sotto braccio e via a spalare. Foto su cartolina postale inviata dai genitori al fratello di Elda, Astorre, in guerra nostalgia, un giorno ho chiesto alla proprietaria di poter vedere l interno. Gli ambienti sono stati tutti ristrutturati, ma la mia antica camera l ho riconosciuta ugualmente. Quanti ricordi! Sono nata a Cadriano nel La vita era quella tipica dei contadini. Abitavamo in borgata ma isolati, sempre presi come eravamo dalla vita scandita dal ritmo del lavoro nei campi. Dietro le case stava la terra, oltre la canaletta scoperta; orientativamente lì da via Massarenti, davanti al Centro Civico. I nostri campi confinavano con i Barilli ad ovest e i Coltelli a sud. Non eravamo proprietari, sia ben chiaro, e a differenza della maggioranza degli altri contadini, neppure mezzadri. Pagavamo l affitto e ai miei genitori questo non dispiaceva, perché potevano godere di una certa autonomia nei lavori di campagna. Da sposata, andai a vivere con la famiglia di mio marito. Sempre in campagna, ma da mezzadri. Ricordo bene le tante arrabbiature: non potevamo fare nulla senza l ordine del padrone; di frequente c erano problemi ma eravamo sempre costretti a seguire le indicazioni del fattore, benché spesso fossero sbagliate. Forse si sentiva sminuito ad ascoltarci, eppure noi stavamo tutto il giorno nel campo. Ne conoscevamo umori e bisogni, respiri e segreti. Però nessuna famiglia osava contraddire il padrone, per nessun motivo. A Cadriano Vecchio, dove vivevo, c erano dei bambini fortunati. Dopo la scuola potevano uscire a giocare nei cortili e lungo le strade della borgata. Io no, non potevo unirmi a loro: dovevo correre nei campi, badare alle mucche, portare da bere a chi già lavorava. Acqua e vino, più volte al giorno, perché quando il sole batteva e la fatica si faceva sentire era davvero dura. Uomini, donne, ragazzi e bambini: la vera vita in famiglia, a pensarci bene, si svolgeva proprio là, in mezzo al campo, per quasi tutto il giorno, per la maggior parte dei giorni dell anno. Ero sempre impegnata anche perché i miei genitori avevano davvero bisogno di sostegno. In casa aiutavo la nonna. Fino al 1921 ho abitato con lei, il nonno, mamma e papà, uno zio con la sua famiglia e un altro zio zitello. Nel 1937 mi sono sposata e sono uscita di casa. Ma la tragedia era dietro l angolo. Nel 194, fu un episodio famoso, la Polveriera di Marano, spulvrîra ed Maran, la Baschieri e Pellagri, esplose. Tra le vittime mio marito. La disgrazia accadde il 29 agosto: il lavoro era finito, si iniziava la pulizia delle macchine in attesa dell orario di chiusura. Se ne salvò uno solo, ironia della sorte si era assentato per qualche minuto perché aveva urgenza di andare in bagno. Vedova, con una figlia di due anni, presi le mie poche cose e tornai dalla famiglia d origine. Rimasta sola, per mangiare avevo la necessità di lavorare. Andai così in fabbrica, da Gazzoni. Ma durò poco. La guerra fece chiudere i battenti all azienda. Quando nacque la cooperativa di consumo, che aprì dove ora c è il macello del bestiame, essendo vedova con una figlia, fui subito presa. Lavoravo anche nei negozi di Granarolo e Viadagola, facevo le sostituzioni del personale in ferie. Negli anni successivi fui assunta al Centro Latte, dove rimasi sino alla pensione. Prima a Granarolo poi nella sede di Cadriano. Il ricordo più vivo e felice della mia infanzia è la Fiera. Un intera giornata in un mondo di meraviglie, a settembre. Si teneva nel primo campo dietro la casa dove c era la macelleria, nell attuale zona della scuola materna. Noi bambini 18

17 dovevano fare il bozzolo. Ad un certo punto decidemmo di smettere la coltivazione. Per chiudere questo mio breve Diario, vorrei parlare del tiro alla fune. Era una grande passione, personale e del mio fidanzato, che poi diventò mio marito. Faceva parte di una delle prima squadre di tiratori di Cadriano, il dopolavoro Corridoni di San Sisto. La sua posizione, nella squadra, era in fondo alla fila. Prima di sposarmi ho partecipato a tutti gli incontri e a molti allenamenti. Assieme ad una mia cugina andavo in ogni città dove erano in programma le gare di campionato, fossero competizioni nazionali, regionali o provinciali. La squadra Corridoni di Cadriano era assai conosciuta e temuta da tutti La famiglia Maranesi avevamo un compito davvero importante: custodire le biciclette dei visitatori che venivano dagli altri paesi e dalla campagna. Come adesso per le feste si predispongono i parcheggi per le auto, allora lo si faceva per le biciclette. Casa mia stava vicino alla Fiera, il mio cortile si trasformava, per un giorno, in parcheggio. Noi bambini eravamo entusiasti di questo lavoro; quasi tutti, pur non essendoci una tariffa, ci lasciavano qualche spicciolo di mancia. I miei genitori mi permettevano di tenere quei soldi. L incasso di parcheggiatrice di biciclette per la Fiera è stato il primo guadagno della mia vita. Capitava che molte squadre avversarie non si iscrivessero perché, quando sapevano che era presente anche la Corridoni, erano consapevoli di non avere possibilità di vincere. Ecco, quindi, il compito di noi ragazze. La nostra squadra se ne stava nascosta, al bar o comunque in disparte, e noi rimanevamo di vedetta presso il tavolo di gara. Aspettavamo che si iscrivessero tutti gli altri, poi una di noi correva a chiamare i nostri compagni proprio all ultimo minuto utile. Fu così che la Corridoni diventò famosa, oltre che per le vittorie, perché quasi sempre si iscriveva per ultima alle gare. Ripensando agli anni Venti e Trenta, mi torna in mente la coltivazione del baco da seta. Li compravamo quando erano piccolissimi, della dimensione delle formiche, e li custodivamo gelosamente in una stanza della casa. Man mano che crescevano, li spostavamo in zone più grandi. Venivano messi su un letto di arelle, posto su un telaio di legno, che era spesso disinfettato per combattere le malattie. I bachi mangiavano le foglie di gelso che toccava a noi raccogliere e sfogliare, ossia liberare dai gambi. La nonna mi chiamava la mattina presto, prima che la mamma e la zia rientrassero in casa dalla mungitura per la colazione. Che sonno avevo! Mi infilavo la sottoveste - era maggio - ed andavo a dar da mangiare ai bigâtt. A quei tempi avevo sempre sonno, ma di stare un po di più a letto nemmeno a pensarci. Adesso, che avrei tutto il tempo per poltrire, non ci riesco, mi sveglio sempre prestissimo. La coltivazione del baco da seta era un lavoro faticoso, ma importante per l economia della famiglia. Gli uomini, il papà e lo zio, andavamo poi in centro a Bologna, sotto il portico del Pavaglione a vendere, e l incasso gratificava l impegno. Purtroppo i bachi erano animali molto delicati; tanti si ammalavano, in gran numero morivano proprio nel momento in cui Elda Maranesi, davanti a sinistra con le colleghe del Consorzio Bolognese Produttori Latte, nello stabilimento di Via Cadriano Naturalmente avevamo anche un segreto per vincere : la nostra forza in più stava nelle scarpe col saprattacco ribassato nella parte posteriore, così da consentire una maggiore aderenza al terreno in fase difensiva. Questo obbligava gli avversari a una maggior fatica, e numerose volte la nostra squadra non indietreggiava mai, neppure di mezzo metro. Il circolo Corridoni di San Sisto, dopo la morte di mio marito, cambio nome in Bernardi, in suo onore. 19

18 Amedea Negrini al mare con i figli 2

19 Amedea Negrini Per cena, un uovo da dividere in due Sono nata ad Argelato il 13 giugno 196. Eravamo 1 fratelli: 6 maschi e 4 femmine, più la mamma e il babbo. Abbiamo fatto diversi spostamenti, prima a San Marino di Bentivoglio, poi a Viadagola e a Corticella. Infine Cadriano, in via del Passo, nel 1937, quando mi sposai. Siccome al mattino (erano le cinque) e la sera (dopo le 1) faceva buio pesto, per il viaggio avevamo una candela che riparavamo con un pezzo di carta perché non si spegnesse. Una sera di novembre, erano passate le dieci, c era una nebbia che si tagliava col coltello. Venivamo da via Marconi per andare a Viadagola, sempre col nostro lumino. Io ero davanti, ad un certo punto in via Roma non sentii più la bicicletta di mia sorella che era dietro. Mi fermai e cominciai a gridare per chiamarla: era caduta nel fosso; poverina, si bagnò tutta. Dopo questa disavventura i miei genitori decisero di andare ad abitare a Corticella perché fossimo più vicini ai luoghi di lavoro. Tutti noi fratelli avevamo l impiego in città. Uno faceva il tranviere, un altro il commesso da Melloni sotto il portico del Pavaglione, uno era costruttore edile e il più piccolo, che andando a scuola serale si diplomò ragioniere, divenne capo operai alla cooperativa Fornaciai di Croce Coperta. Conobbi mio marito quando abitavo ancora a Viadagola. Era di famiglia contadina, ma anche quando mi sono sposata e sono andata ad abitare con i suoi parenti io ho continuato a lavorare a Bologna. Amedea Negrini con le colleghe di lavoro. Amedea, al centro, sulla bicicletta da uomo di un fratello In origine i miei genitori erano contadini - due fratelli avevano sposato due sorelle - ed abitavamo tutti assieme. In casa, complessivamente, eravamo 17 bambini tutti di età inferiore ai 17 anni. Per cena mangiavamo un uovo in due. Io ero in coppia con mio cugino Ernesto (il papà della Maria Lisa, lui e la moglie divennero poi i merciai di Cadriano) e volevo mangiare il tuorlo intero, così facevamo a metà: una volta uno mangiava l albume e l altro il tuorlo, e viceversa. Noi bambini si cenava prima, da soli, quando si sedevano a tavola gli adulti noi eravamo già a letto. A quell epoca, se non si andava in chiesa il proprietario del fondo poteva mandarti via in qualunque momento. Fu così che mio padre, dopo essere mancato una o due domeniche per un motivo che non conosco, fu buttato fuori di casa. Nel giro di tre giorni ci siamo trovati tutti, il babbo, la mamma e noi 1 fratelli, per strada con un carretto e quel po di roba che possedevamo. Un contadino ci accolse in un camäron dove rimanemmo per circa un mese. Era molto difficile trovare un altro padrone che ci fornisse la casa e la terra, dopo essere stati cacciati. Mio padre trovò poi un alloggio a Viadagola, vicino alla chiesa, ed andò a lavorare fuori paese. Nella casa di Viadagola, in dodici, avevamo una camera, la cucina ed un sottoscala. Così io non ho mai fatto i lavori in campagna o la casalinga. Ero magliaia. Ho avuto soddisfazione sul lavoro: mi occupavo dei campioni. Andavo a lavorare in centro a Bologna in bicicletta, assieme ad una mia sorella, prima presso la ditta Dall Ara, quindi alla Comi. Si lavorava a cottimo e a turni. Il mio Arturo è stato un birichino ; da fidanzati ci lasciammo per ben 4 anni. Dopo un lungo periodo di fidanzamento, improvvisamente, lui non si fece più vedere. Solo quando c era qualche filarino che si faceva avanti lui appariva di nuovo. Ma ad un certo punto mi stancai: Adesso basta, dissi. Tu mi hai mollata, allora è chiaro che non ti deve interessare più niente di me. Ma lui continuava sempre così. Per me non era facile, c erano già stati rapporti intimi fra noi; allora era uno scandalo. Quando ritornò alla carica non parlò subito con me, ma andò dal babbo e gli chiese se non aveva nulla in contrario se ci fossimo fidanzati nuovamente. E il babbo gli rispose: Se hai intenzioni serie va bene, altrimenti è meglio non riaccendere un fuoco che sembra spento. Quanto mi arrabbiai per il fatto che Arturo non ne avesse parlato prima con me... Comunque tornammo assieme e ci sposammo. La prima notte di nozze, quando finalmente mi potei ritirare in camera con mio marito, gli chiesi: Arturo, quanti soldi hai?. E lui rispose: Io non ne ho, il babbo non mi ha ancora dato la paghetta. Oh, sono proprio contenta, commentai io. I Querzola che sembravano chissà chi pareva che dovessi sposare un ricco. Invece non hai neanche un soldo perché tuo padre non ti ha dato la paghetta? Io ho 15 lire per la nostra famiglia, qui sull unghia. Il lavoro, infatti, mi permetteva di guadagnare bene. L ultimo dell anno ci si incontrava tutti noi fratelli con mariti e figli assieme ai nostri genitori; eravamo molto uniti. In tempo di guerra, quando i miei figli erano piccoli, ci trasferimmo in città, dentro al Teatro Rossini. Una volta la settimana con il carriolino tornavo a casa a Cadriano a prendere quello che ci serviva per mangiare. A piedi, perché i tedeschi la bicicletta me l avrebbero portata via. Mi è sempre piaciuto rendermi utile; così, siccome a Cadriano non c era il medico, io che avevo imparato a fare 21

20 Una coppia di sposi 22

21 le iniezioni andavo da chi aveva bisogno di un infermiera. Mi chiamavano ed io con la bicicletta partivo. Anche di notte, se c era necessità, e lo facevo con passione. Assistevo i malati e mi occupavo anche di vestire le salme. Allora la gente moriva a casa e non tutti avevano il coraggio di vestire un defunto. Per conto mio, non avevo problemi. Quando sono andata in pensione, poi, con più tempo a disposizione, potevo persino rimanere giornate intere presso i malati. Così, quando i familiari dovevano andare via, mi trasferivo volentieri per il tempo necessario. Anche solo a badare la casa dei miei vicini, ad esempio i Neri, nelle occasioni in cui dovevano assentarsi. L ho sempre considerata la mia casa. Anche quando nei primi anni Settanta - i figli sposati ed io rimasta vedova - sono venuta ad abitare in paese a Cadriano, ogni giorno andavo presso la mia vecchia casa e raccontavo i fatti nuovi al mio Arturo. E l ho fatto finché la vista mi ha assistito. Avevo già oltre novant anni, i figli mi sgridavano ma io, a piedi, andavo là tutti i giorni: la mia casa, il salice il mio Arturo. La cecità è professionale: è stata la luce dei neon riflessa sulle macchine da cucire che ha causato danni agli occhi... Così, invecchiando, ho perso pian piano la capacità di vedere. Una curiosità: io e mia cognata siamo state le prime due donne iscritte al Partito Comunista di Granarolo. Non ho mai avuto paura, rimanere in casa da sola non mi spaventava. Se sentivo dei rumori andavo fuori a controllare. Una volta trovai un intruso nella stalla; scappò e io lo rincorsi. A Cadriano, in via del Passo, ho vissuto la maggior parte degli anni in famiglia col marito e poi con i due figli che abbiamo avuto. Amedea Negrini (abito bianco) con i genitori e i fratelli 23

22 Elio Testi Il lavoro, una grande fortuna Non ho mai avuto la gioia di conoscere mia mamma. Morì di parto, era il Avevo 8-1 anni quando anch io mi ammalai gravemente: tutti pensavamo che non ce la facessi, invece guarii. Abitavo ad Argelato, dove sono nato, all interno delle scuole. Avevamo dei locali in affitto perché le donne mio soccorso quando decisero di trasferirmi a Lecce per ricoprire il ruolo di istruttore. Dopo l armistizio tornai a casa, a Malacappa. Da Lecce feci la strada a piedi e di traverso, ovvero attraverso i campi percorrendo strade secondarie, perché la paura non mi lasciava mai solo. Quando giunsi all incrocio tra via Cadriano e via Roma incontrai un carissimo amico che viveva lì e che mi prestò una bicicletta. Così raggiunsi casa più velocemente. Prima di andare in guerra ho lavorato nella fabbrica della mia famiglia e contemporaneamente a San Giorgio di Piano, alle dipendenze del Signor Cuscini. Vendevo e compravo al posto suo, eravamo amici e si fidava molto di me. Mi sono sposato durante la guerra. La famiglia di mia moglie possedeva una trattoria a Malacappa, dove mi sono trasferito dopo sposato e, tornato dalla guerra, cominciai a gestirla da solo. Facevo il cuoco e mi occupavo, durante la notte, di acquistare le provviste. Si mangiava davvero bene e si guadagnava altrettanto dignitosamente. Ci trasferimmo in seguito a Bologna, ma siccome non trovavo lavoro, chiesi aiuto ad un amico, Bonora, che abitava con me a Malacappa e mi offrì un posto nella sua fabbrica. Così giunsi a Cadriano, nel Mia moglie e le due figlie non vollero venire con me perché qui non c era niente, solo la fabbrica e la campagna, mentre loro erano gente di città. Non è stato facile lasciare la famiglia: volevo molto bene a mia moglie ed alle ragazze, ma non si poteva stare senza lavorare. Delle mie figlie, soprattutto, la mancanza si è fatta sentire moltissimo. Elio Testi a 2 anni della mia famiglia prestavano servizio come bidelle. Si stava tutti insieme: fratelli, sorelle, mio padre, gli zii e i nonni. Non eravamo contadini: avevamo una piccola industria e commerciavamo il legname; lo si andava a prendere nei campi, quando si scioglievano i filari di vite, e lo vendevamo. Si guadagnava bene, all epoca con il legno si facevano molte cose. Non abbiamo mai avuto problemi di denaro. Da sedicenne ero appassionato dal ballo, o meglio dalle ragazze, numerose e belle, che vi giravano attorno. Quante conquiste allora A 21 anni tiravo alla fune nella squadra del dopolavoro di Corticella; eravamo molto forti, tiravo con quelli grossi ed ero il primo della fila. Si gareggiava un po ovunque, tra Funo ed Argelato, e ci allenavamo la sera a Castel Maggiore. Sono stato anche a Roma ai campionati nazionali. Quando cominciò la guerra fui arruolato. Ero un sottoufficiale dei Granatieri, sergente-maggiore. Dovevo andare a combattere a Lubiana. Quanta paura, quanti pericoli corsi. Mi salvai, spesso anche in situazioni disperate. La morte di tanti amici è un dolore che non passerà mai. La sorte venne in Stavo a Cadriano, nel palazzo che Bonora aveva appositamente costruito di fianco alla fabbrica per dare alloggio ai suoi dipendenti; la casa dove abito tuttora. Sono rimasto da solo per molto tempo, fino a quando conobbi una donna a Bologna che cercava lavoro e la convinsi a trasferirsi qui e a lavorare nella fabbrica. Questa donna aveva una sorella che è diventata la mia compagna, con la quale sono stato e sto molto bene. Abbiamo avuto una figlia che ora risiede nell appartamento sopra al mio con la famiglia. Non ho mai partecipato alla vita di paese; conoscevo i Coltelli perché tiravano alla fune e spesso Filippo mi chiamava agli allenamenti o per qualche gara. La sera non uscivo mai. Non c era nulla che si potesse fare. Si stava allora con la gente della palazzina a chiacchierare. Un abitudine che non ho perso, quella di stare in compagnia dei condómini. Qualche anno più tardi cominciarono a costruire le fabbriche e le prime case di quello che oggi è il centro. Si trasferì la bottega e il bar che erano nella zona vecchia e nacquero anche nuovi negozi. Il paese cominciò a popolarsi. A Cadriano sono sempre stato bene: faticare non mi pesava, mi piaceva il mio lavoro; in più il padrone era un amico. Lo stipendio ero buono, talvolta arrivavano pure dei supplementi di paga. Sono stato davvero molto fortunato. 24

23 Gerardo Zecchi Di giorno nei campi, la sera a lavare tegami A chi me lo chiede, dico che sono cadrianese d adozione. Qui, infatti, sono arrivato alla fine degli anni Cinquanta, ma il paese l ho subito e sempre considerato il mio. Ci siamo integrati bene, con tutta la famiglia, mi piacciono le dimensioni e i ritmi di Cadriano, un luogo che fa sentire importante anche chi è anziano. A Cadriano arrivai nell ottobre del 1959, nella borgata del Pratello. Per tre anni ho sfruttato la mia esperienza in campagna: c erano il frumento e il granoturco, e la potatura degli alberi cui prestare attenzione. Per un paio d anni si fecero i salumi uccidendo il maiale. Ho prestato opera in diverse aziende agricole, finché ho trovato un posto fisso sotto la famiglia Serra, a Cadriano lungo la via Roma, dove sono rimasto per 44 anni, fino e oltre la pensione. Ho smesso di lavorare qualche anno fa: mi mancano quei giorni, la vitalità e gli entusiasmi della gioventù, non ci si annoiava mai. E stata una fortuna vivere a Cadriano. E un paese che respira la quiete e la serenità della campagna, mi piace scoprirlo un po di più ogni giorno con la mia fidata bicicletta. Integravo le fatiche della campagna con altre occupazioni serali: ad esempio, per 13 anni sono andato presso il ristorante Pippo, in San Donato, a lavare i tegami. Mi introdusse il Signor Serra, il mio datore di lavoro in campagna, che era anche il padrone del ristorante Diana Gerardo Zecchi e il gruppo della raccolta delle mele nel podere del Principe Pio in Veneto Sono nato a Bondeno di Ferrara il 5 luglio del Orfano di guerra, ho vissuto un infanzia di molta miseria e ancor più lavoro, soprattutto in campagna. Ho anche fatto la guerra. Avevo circa ventuno anni quando mi trasferii a Marrana, sempre nel ferrarese, dove mi arrivò la cartolina per andare militare. In seguito ci spostammo nel Veneto, a lavorare nella tenuta del Principe Pio, dove rimanemmo 14 anni. Ero quello che veniva chiamato un obbligato fisso e dovevo essere sempre disponibile: in cambio, avevamo parecchie agevolazioni: la casa, il frumento, l uva, il latte, ecc. Tra i miei compiti c era il coordinamento del lavoro degli altri operai e delle operaie che, a differenza di me, lavoravano solamente tre mesi all anno, a rotazione. Cadriano è legato anche a cari ricordi per tutti i miei familiari. La mia vita è sempre stata di lavoro, c era poco tempo per pensare a svaghi o divertimenti. Diverso è stato per i figli. Mia figlia maggiore, Nelly, che era già ragazza quando ci trasferimmo, si mise in compagnia con un gruppo di giovani che si incontrava a casa di Rubini (dove attualmente c è il palazzo della farmacia). In quegli anni si facevano anche parecchie feste a casa Stagni, presso le scuole del paese. E mi tornano spesso in mente le Feste de l Unità e dell Avanti di fianco al bar del paese. Sulla pista del bar si ballava e di fianco, nel campo di Rubini, c era lo stand col ristorante. Le arelle facevano da parete divisoria. Mio figlio più piccolo, Luciano, ha frequentato le scuole a Cadriano; per un certo periodo andò a lezione presso la villa di Nanni Costa perché l edificio di via Cadriano era in restauro. Io e mia moglie Lucia ci conosciamo fin da piccoli. Abbiamo passato insieme tutta la vita. Lei ha tre anni meno di me, ma praticamente siamo nati insieme. Lucia ha avuto un infanzia dura, anche perché suo padre era capo della Lega socialista; lui ed un mio zio furono persino costretti dai fascisti a bere l olio di ricino. Le donne erano in maggioranza, ricordo che erano quasi tutte vedove. Il podere conteneva molti frutteti, la raccolta delle mele era la nostra occupazione principale. Usavamo lunghe scale di legno per arrivare in cima agli alberi e portavamo le casse e i panieri col carro trainato dai cavalli. A quei tempi, in campagna, le macchine non si conoscevano. Mi piace ripensare ai momenti della cena, quando ci si ritrovava tutti. Come ho detto, sono stato fortunato: non si soffriva la fame e allora si mangiavano i veri prodotti della terra Gerardo Zecchi e il gruppo della raccolta delle mele nel podere del Principe Pio in Veneto 25

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