Studio delle prestazioni del rivelatore centrale di tracciamento dell esperimento CMS

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1 Universitá degli Studi di Torino Scuola di Dottorato. TESI DI DOTTORATO Studio delle prestazioni del rivelatore centrale di tracciamento dell esperimento CMS Coordinatore: Prof. Ezio Menichetti Relatore : Prof.ssa Cristiana Peroni Co-relatore : Dott. Natale Demaria Candidato : Gianni Favro XV Ciclo,

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3 Prefazione L attivitá svolta durante i tre anni di dottorato si é concentrata sullo studio e sull analisi dei rivelatori a microstrip di silicio del sistema di tracciamento centrale dell esperimento CMS. L esperimento CMS é uno degli apparati sperimentali previsti per analizzare e studiare gli eventi prodotti dalle collisioni protoni/protoni (oppure ioni/ioni) del collider LHC. L obiettivo principale dell esperimento é l osservazione dei bosoni di Higgs, la cui esistenza é prevista nel Modello Standard ed in molti Modelli Supersimmetrici. Data l estrema raritá dell evento cercato, la luminositá di LHC deve essere molto grande (10 34 cm 2 s 1 ) con conseguente elevata intensitá delle tracce. Per ottenere una buona risoluzione delle tracce, anche in alta densitá, occorre utilizzare rivelatori ad alta risoluzione spaziale. I rivelatori a microstrip di silicio sono in grado di fornire una precisione nella misura della posizione di alcune decine di micron e pertanto soddifano tale requisito. Il rivelatore centrale di tracciamento dell esperimento CMS é interamente composto da rivelatori in silicio. Nella zona piu vicina al punto di interazione (da 6 a 20 cm) si hanno rivelatori in pixel, mentre nella regione esterna (da 20 a 120 cm) si hanno rivelatori a microstrip (Silicon Strip Tracker, SST), sul quale si focalizza l attivitá svolta dalla sezione di Torino dell INFN. Attualmente il progetto del tracciatore é completo e sta per cominciare la fase di costruzione, in cui il gruppo di Torino avrá il compito di eseguire il bonding ed i test (veloci e di lungo termine) di una parte dei moduli della regione interna del tracker. Un modulo é la minima unitá funzionale del tracker ed é costituito da un telaio in fibra di carbonio, avente la funzione di supporto meccanico e dissipatore termico, su cui sono posizionati i sensori in silicio e l ibrido di lettura (read-out). Allo scopo di garantire una buona affidabilitá del tracciatore é di fondamentale importanza effettuare una serie di misure di collaudo sui moduli appena prodotti. Le misure vanno eseguite sia immediatamente dopo la 3

4 4 costruzione, allo scopo di verificare la funzionalitá del modulo, sia in uno scenario a lungo termine, in cui il modulo sia sottoposto a cicli termici di stress, allo scopo di controllare la stabilitá e l affidabilitá delle parti elettriche e meccaniche. In tale ottica si inquadra il lavoro di tesi, concentrato sullo studio delle prestazioni dei moduli, in modo da poter definire in modo appropriato le sequenze di misure da eseguire per valutare in modo soddisfacente il loro funzionamento.

5 Struttura del lavoro di tesi La tesi é composta da due parti. La prima (Fondamenti teorici e descrizione dell esperimento CMS, primi tre capitoli) ha un carattere prevalentemente introduttivo e descrittivo. Il suo scopo é di inquadrare l attivitá, descritta nella presente tesi, nel contesto dell intero esperimento. La seconda (Misure, studi e analisi) riporta i risultati e le conclusioni del mio lavoro e costituisce, in un certo senso, la tesi vera e propria. Il contenuto dei vari capitoli é il seguente: Capitolo 1 Si esaminano i fondamenti teorici che hanno motivato la costruzione di LHC e dell esperimento CMS. Vengono passati in rassegna i principali meccanismi di produzione del bosone di Higgs e i canali di decadimento scelti per la sua osservazione sperimentale. Si accenna, inoltre, ad altri fenomeni fisici in cui il potenziale di scoperta e di indagine di CMS é elevato. Capitolo 2 Viene descritto l intero esperimento CMS, fatta eccezione per il tracciatore, cui é dedicato il capitolo successivo. Capitolo 3 Si descrive la struttura del tracciatore di CMS, con particolare attenzione alle componenti direttamente correlate con il lavoro di tesi. Capitolo 4 Vengono descritti gli allestimenti sperimentali sviluppati e utilizzati nello studio dei moduli rivelatori. Capitolo 5 Si riportano le misure eseguite e l analisi, evidenziando il contributo che queste hanno fornito alla comprensione del funzionamento e delle prestazioni dei moduli. Capitolo 6 Si descrivono le procedure di test dei moduli, da eseguirsi durante la loro produzione. Viene messo in evidenza il contributo dato alla definizione di tali procedure dagli studi descritti nella presente tesi. Appendici 1 e 2 Si riportano alcuni argomenti di fisica dei semiconduttori e di elettronica, relativi ai sensori ed ai circuiti di lettura per rivelatori. 5

6 6 Il contributo originale é incluso nei capitoli 4, 5 e, in parte, nelle appendici.

7 Indice Prefazione 3 Struttura del lavoro di tesi 5 I Fondamenti teorici e descrizione dell esperimento CMS 11 1 Cenni teorici Il Bosone di Higgs Limiti sulla massa del bosone di Higgs Produzione e decadimento dell Higgs a LHC Altra fisica ad LHC L esperimento CMS Introduzione Ricerca del bosone di Higgs Ricerca di nuove particelle Descrizione generale Il magnete Calorimetro elettromagnetico Calorimetro adronico Camere a muoni Il sistema di trigger Software Il rivelatore centrale di tracciamento Introduzione Caratteristiche del tracciatore Prestazioni Rivelatori a pixel

8 8 INDICE 3.4 Rivelatori a microstrip di silicio Moduli Sensori Elettronica di lettura Il sistema di acquisizione II Misure, studi e analisi 57 4 Setup sperimentale Sistema VME, architettura generale Software Scheda Laser (Laser Board) Introduzione Considerazioni progettuali Caratteristiche Descrizione del funzionamento Prestazioni Sistema CMS-LIKE Vienna Cold Box Software Sistema ARC Studi sul modulo Introduzione Studio sui sensori: corrente di buio Analisi del rumore Rumore nella pipeline Funzionamento in modo deconvoluzione Risposta all impulso di calibrazione Risposta al segnale Comportamento per alti segnali Geometrie del rivelatore Mancata risposta al segnale Risposta all impulso di backplane Procedure di qualifica e di test Produzione dei moduli Definizione dei test Qualifica del modulo Esempio di qualifica

9 INDICE 9 A Fisica dei semiconduttori 141 A.1 Produzione coppie mediante fotoni A.2 Dipendenza di I Leak dalla radiazione B Circuiti di lettura per rivelatori. 147 B.1 Amplificatore di carica B.2 Algoritmo di deconvoluzione B.2.1 Campionamento e segnale non ideale Conclusioni. 163

10 10 INDICE

11 Parte I Fondamenti teorici e descrizione dell esperimento CMS 11

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13 Capitolo 1 Cenni teorici Nel presente capitolo si prenderanno in considerazione i principali fenomeni correlati con il bosone di Higgs. La sua osservazione diretta non é stata a tutt oggi effettuata, a causa, principalmente, della scarsa luminositá e della limitata energia nel centro di massa degli acceleratori attualmente in funzione. Per questo motivo, il CERN ha intrapreso la costruzione di un nuovo acceleratore di particelle (protone-protone), il Large Hadron Collider (LHC). L esperimento CMS, al quale questa tesi é dedicata, é uno degli apparati sperimentali previsti per raccogliere ed analizzare i dati provenienti dalle collisioni generate da LHC. Lo scopo principale di tale esperimento é proprio la ricerca di bosoni di Higgs. 1.1 Il Bosone di Higgs Una delle principali sfide della fisica delle alte energie é la comprensione della rottura di simmetria elettrodebole e l origine della massa delle particelle [1]. Nel Modello Standard (Standard Model, SM)[2], l interazione elettrodebole é descritta mediante una teoria di campo basata sul gruppo di simmetria SU(2) L U(1) Y e, in esso, le masse dei fermioni e dei bosoni vettori, W ± e Z 0, possono essere introdotte mediante il meccanismo di rottura spontanea di simmetria, talvolta detto meccanismo di Higgs[3]. Nella sua forma piú semplice, implementata nel SM, i campi scalari di Higgs interagiscono tra loro in modo da ottenere valori di aspettazione del vuoto non nulli, e la simmetria SU(2) L U(1) Y é spontaneamenta rotta nella simmetria elettromagnetica U(1) EM. I bosoni di gauge ed i fermioni ottengono le loro masse interagendo con i campi di Higgs del vuoto. In tale descrizione é prevista l esistenza di una particella scalare massiva, 13

14 14 CAPITOLO 1. CENNI TEORICI il bosone di Higgs. Il Modello Standard minimale richiede un doppietto di campi di Higgs e predice un solo bosone di Higgs, H 0. La mancata osservazione sperimentale di tale particella é l unico elemento mancante nella verifica sperimentale dello SM, le cui previsioni sono state verificate con grande accuratezza dagli esperimenti condotti negli ultimi anni. A parte il bosone di Higgs, il Modello Standard non prevede l esistenza di particelle attualmente sconosciute. Va peró notato che le previsioni effettuate con tale modello forniscono risultati privi di senso fisico per energie dell ordine di 1 T ev o maggiori. Inoltre, esso non permette di includere la gravitazione in una teoria di campo quantistica. Le estensioni supersimmetriche (SUSY) [4] al Modello Standard devono il loro interesse al fatto che forniscono una struttura consistente priva degli inconvenienti prima citati, permettendo cosí l unificazione di tutte e tre le interazioni, per alte energie, λ GUT GeV, eliminando nel contempo i problemi di natura matematica (vedi 1.4 a pagina 20). Inoltre, le previsioni ricavate con i modelli supersimmetrici sono compatibili con i dati esistenti. Tra tutte le estensioni supersimmetiche, il Modello Standard Supersimmetrico Minimale (MSSM) [5] é l estensione SUSY del SM con il minimo contenuto di nuove particelle. Esso introduce due doppietti di Higgs, che é la minima struttura richiesta per tenere la teoria libera da anomalie, e per fornire massa a tutti i fermioni carichi. Nel MSSM l insieme di bosoni di Higgs previsti consiste di due bosoni scalari neutri a CP pari, h 0 e H 0, un bosone scalare neutro a CP dispari, A 0, e una coppia di bosoni carichi, H ±. 1.2 Limiti sulla massa del bosone di Higgs Nel Modello Standard, la massa del bosone di Higgs, m H 0 = 2λv, é proporzionale al valore di aspettazione del vuoto v tramite la costante di accoppiamento λ, il cui valore non é noto, ma sulla quale si possono porre dei limiti superiori ed inferiori imponendo che il Modello Standard sia autoconsistente [6]. Tali limiti dipendono dall energia massima a cui si impone la validitá del Modello Standard. Come di vede dalla figura 1.1, se il Modello Standard é autoconsistente fino ad energie λ GUT GeV, rimane solo una piccola banda, tra 130 e 190 GeV, circa, per la massa dell Higgs. L eventuale scoperta di un bosone di Higgs al di fuori di questa regione, ad esempio di massa inferiore a 130 GeV, suggerirebbe pertanto l esistenza di nuova fisica ad energie inferiori a λ GUT. In particolare i modelli SU- SY prevedono che, per ogni particella prevista nel Modello Standard, esista

15 1.2. LIMITI SULLA MASSA DEL BOSONE DI HIGGS 15 Figura 1.1: Limiti della massa del bosone di Higgs, dedotti da richieste di auto-consistenza del Modello Standard [6]. una corrispondente superparticella, con uguali numeri quantici, ma con spin differente di mezza unitá. La ricerca diretta del bosone di Higgs, mediante gli esperimenti recentemente eseguiti a LEP, impone che il bosone di Higgs previsto dal modello Standard abbia una massa m H > 114.1GeV con un livello di confidenza del 95%. [7]. Inoltre, le misure attualmente disponibili possono essere utilizzate per predire il valore di massa dell Higgs maggiormente in accordo con tutti i dati sperimentali utilizzati nei fit elettrodeboli. Ció suggerisce che la massa dell Higgs sia m H < 196GeV, con un livello di confidenza del 95%. Per quanto riguarda i bosoni di Higgs previsti dai modelli SUSY, la situazione é piú complessa. Nel seguito si fa riferimento al modello MSSM, che, come giá detto, prevede l esistenza di cinque bosoni di Higgs (h, A, H 0, H +, H ). In tale modello il settore dell Higgs é definito da due parametri, ad esem-

16 16 CAPITOLO 1. CENNI TEORICI 300 m SUSY = 1TeV A t / m SUSY = 2 µ=300gev 200 tanβ=20 Higgs mass (GeV) 100 m H + m H tanβ=5 tanβ=3 tanβ=20 tanβ=5 tanβ=3 m h CP-odd Higgs mass (GeV) Figura 1.2: Le masse di h, H 0 e H ± al variare di m A, per diversi valori di tanβ [8]. pio la massa del bosone a paritá dispari m A e tanβ, il rapporto tra i valori di aspettazione del vuoto dei due doppietti di Higgs. Questi due parametri definiscono le masse di tutti gli Higgs come mostrato in figura 1.2. Gli esperimenti di LEP hanno escluso un Higgs leggero h al di sotto di 91 GeV, un Higgs neutro A, H al di sotto di 91.9 GeV ed un Higgs carico H ± al di sotto di 78.6 GeV [9] 1.3 Produzione e decadimento dell Higgs a LHC Uno degli scopo principali di LHC é confermare, oppure smentire, l esistenza di uno o piú bosoni di Higgs. Per gli Higgs previsti dal Modello Standard, gli esperimenti di LHC saranno in grado di esplorare tutta la regione di masse m H possibili dai limiti imposti da LEP, fino a masse di circa 1 TeV. Facendo riferimento al Modello Standard, il canale di produzione piú importante dell Higgs ad LHC é la fusione gluone-gluone, in cui il bosone di Higgs si forma per accoppiamento con i quark top. In figura 1.3.A é riportato il relativo diagramma di Feynman. I calcoli eseguiti indicano, per la sezione d urto relativa a tale processo, valori compresi tra 100pb 1 e 1pb 1,

17 1.3. PRODUZIONE E DECADIMENTO DELL HIGGS A LHC 17 Figura 1.3: Diagrammi di Feynman dei principali meccanismi di produzione del bosone di Higgs. Figura 1.4: Sezione d urto di produzione dell Higgs.

18 18 CAPITOLO 1. CENNI TEORICI Figura 1.5: I rapporti di decadimento del bosone di Higgs previsto nel SM, in funzione della massa m H. a seconda della massa m H del bosone (vedi figura 1.4). Un altro importante processo di produzione é l interazione t t Ht t (vedi figura 1.3.B). Altri due processi, indicati in 1.3.C e 1.3.D sono t t H W e g g H t t, le cui sezioni d urto, anch esse riportate in 1.4, sono peró minori, rispetto alla fusione gluone-gluone. La figura 1.5 riporta i rapporti di decadimento dell Higgs in funzione della massa m H. Il canale b b é il canale dominate per energie inferiori alla soglia di produzione dei bosoni vettore, alla quale divengono dominante questi ultimi. La figura 1.6 mostra la sezione d urto dei principali canali di decadimento dell Higgs nel loro stato finale. Le linee continue mostrano i canali di decadimento in cui tutti i prodotti finali sono osservabili, mentre le linee tratteggiate mostrano i canali in cui é presente qualche neutrino nello stato finale. Il canale piú abbondante é il decadimento 2ν2l delle coppie W W. Tuttavia tale canale é di difficile ricostruzione a causa della coppia di neutrini presenti. Il canale γγ pur avendo un tasso di produzione abbastanza piccolo, risulta interessante, in particolare per masse dell Higgs inferiori a 150 GeV, in quanto fornisce una segnatura molto chiara. Al di sopra di 150 GeV, il miglior canale é invece il decadimento ZZ in 4 leptoni carichi, che possiede delle sezioni d urto elevate per un ampio intervallo di massa dell Higgs e fornisce una segnatura molto pulita. Recentemente sono stati compiuti studi in cui si é esaminata la possibilitá

19 1.3. PRODUZIONE E DECADIMENTO DELL HIGGS A LHC 19 Figura 1.6: Il tasso di produzione dell higgs in vari canali di decadimento finali, al variare di m H [11]. di identificare un Higgs dal decadimento adronico H b b.ció é possibile se si selezionano gli Higgs prodotti non per fusione gluone-gluone ma mediante l interazione t t Ht t. Imponendo che i due t quarks abbiano un decadimento uno di tipo leptonico e l altro adronico si ha uno stato finale Ht t lνq qb bb b. Questo canale offre interessanti possibilitá di scoperta, specie nella regione di masse inferiori a 130 GeV[12]. Per quanto riguarda i bosoni previsti dal MSSM, i tassi di produzione dei cinque bosoni dipendono dai due parametri definenti il settore dell Higgs (M A e tanβ). Si puó dire che, oltre al meccanismo di fusione gluone-gluone, nel MSSM un canale importante é la produzione di Higgs associata a coppie b b. Anche i canali di decadimento sono funzione dei due parametri (M A e tanβ). Dei numerosi decadimenti previsti dal MSSM i canali di maggiore importanza, dal punto di vista sperimentale, sono i seguenti: per il bosone leggero h γγ e h b b, per gli altri bosoni neutri H/A ττ, per i bosoni carichi H ± τν.

20 20 CAPITOLO 1. CENNI TEORICI Il canale di decadimento Z 0 Z 0, privilegiato nella ricerca dell Higgs del Modello Standard é invece soppresso ed risulta significativo solo in una piccola regione del piano (M A, tanβ). 1.4 Altra fisica ad LHC B-Factory Una delle questioni fondamentali aperte nel campo della fisica é l asimmetria materia-antimateria presente nell universo. LHC e gli esperimenti ivi installati saranno in grado di compiere accurati studi di violazione di CP, in particolare negli adroni contenenti il quark bottom. Questi potranno fornire utili elementi alla comprensione di tale asimmetria. Le interazioni pp ad LHC produrranno in abbondanza adroni contenenti il quark b. Questo tipo di analisi sarà importante soprattutto nei primi periodi di presa dati con l acceleratore LHC in cui la luminosità sarà più bassa di quella nominale. In particolare, le misure dei decadimenti Bd 0 ψ Ks 0 µ µ Ks 0 oppure Bd 0 ψψ µ + µ K + K saranno utili per lo studio della violazione di CP. Superparticelle. La supersimmetria é un concetto per il quale, al momento, non vi sono evidenze sperimentali. Come giá accennato, essa offre l unico meccanismo attualmente noto per incorporare la gravitá in una teoria quantistica di interazione tra particelle e fornisce, inoltre, un elegante meccanismo di cancellazione delle divergenze che affliggono il Modello Standard. Nello stesso tempo, mantiene tutte le previsioni introdotte del Modello Standard permettendo una unificazione, a grandi energie, delle tre costanti di accoppiamento delle interazioni di gauge. I modelli supersimmetrici postulano l esistenza di superpartners per tutte le particelle attualmente conosciute. I superpartners di particelle fermioniche sono bosoni (squarks e sleptoni), mentre i superpartners dei bosoni sono fermioni (gluini e gaugini). Inoltre, come giá accennato, sono previsti piú bosoni di Higgs: h, H, A e H ±. É pertanto previsto un gran numero di particelle, attualmente non ancora osservate, le cui masse, accoppiamenti e canali di decadimento sono calcolabili a livello teorico, qualora siano noti alcuni parametri del modello.

21 1.4. ALTRA FISICA AD LHC 21 Questi parametri non sono noti, ma é possibile prevedere che le masse stiano nella regione 100 GeV 1 T ev, un intervallo in cui gli esperimenti installati su LHC sono in grado di scoprire eventuali nuove particelle. Un altro interessante problema cosmologico é l origine della materia oscura. Anche in questo caso, le potenziali scoperte di superparticelle potrebbero contribuire sensibilmente alla soluzione di tale problema. Massa del quark top Un altro obiettivo che si propone di raggiungere LHC è quello di determinare con maggior precisione la massa del quark top, attualmente stimata pari a m top = ± 5.1 GeV [14], [1]. Ad LHC si presume che verranno prodotti 10 quark top al secondo che saranno identificati soprattutto attraverso il decadimento t W µ. In un collider adronico il principale meccanismo di produzione del quark top è la produzione accoppiata: oppure la fusione W-g: q q, gḡ t t (1.1) W g t b, tb (1.2) Le sezioni d urto corrispondenti a queste reazioni per un quark top sono dell ordine di σ 1 nb per la produzione t t e σ 0.2 nb per la fusione W- g. Si pensa che quest ultimo processo, sebbene non sia quello dominante, possa condurre ad una risoluzione migliore della massa del quark top a causa della semplice topologia dell evento. Questo processo, infatti, contiene un solo neutrino nello stato finale e solo un leptone e due jets, se si richiede che il quark abbia un decadimento semi-leptonico.

22 22 CAPITOLO 1. CENNI TEORICI

23 Capitolo 2 L esperimento CMS 2.1 Introduzione Nel precedente capitolo si sono illustrati i principali fenomeni fisici su cui si vuole indagare con i dati provenienti dall esperimento CMS. Ora vediamo, caso per caso, quali sono le analisi proposte per compiere questi studi e quali conseguenze comportano sulle scelte progettuali dell apparato sperimentale. Come giá visto nel precedente capitolo, la scelta, fatta dalla collaborazione CMS, é stata quella di ottimizzare l apparato sperimentale per la misura e l identificazione di eventi in cui siano presenti leptoni. Tale scelta é motivata dal fatto che le topologie dei decadimenti di questo tipo sono, normalmente, di struttura piú chiara rispetto ai decadimenti in cui sono presenti uno o piú adroni, in quanto meno nascosti dal fondo di interazione protone-protone generato dai fasci dell acceleratore Ricerca del bosone di Higgs Decadimento in 2 fotoni Questo canale é interessante per esplorare l esistenza di higgs con massa m H fino a 150 GeV. Ci si aspetta di poter osservare il bosone, con significanza 5 σ, in tutto lo spettro di masse, con una luminositá integrata di 30 fb 1. Questo processo di decadimento pone dei requisiti, in particolare, sul calorimetro elettromagnetico (paragrafo 2.4). La formula da cui si ricava la risoluzione della massa possiede termini che dipendono dalla risoluzione dell energia e dall angolo tra i due fotoni uscenti 1 : 1 la 2.2 si ricava da: M H = 2E 1 E 2 (1 cosθ) (2.1) 23

24 24 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS σ M M = 1 2 [ σe1 E 1 σ E 2 E 2 ] σ θ tan(θ/2) (2.2) dove significa somma in quadratura. La larghezza dell Higgs prevista dal Modello Standard in questa regione di masse é assai piccola, dell ordine di pochi MeV. In base alla 2.2, questo implica che un incremento nella risoluzione energetica del calorimetro comporta un evidente miglioramento nella precisione della misura della massa m H. Un ulteriore miglioramento nella misura di m H deriva da una accurata stima dell angolo θ, ovvero l adozione di un sistema calorimetrico ad elevata granularitá. Decadimento in 4 leptoni carichi (4 muoni) Mediante questo canale si pensa di poter osservare l Higgs nell intervallo di massa da 135 GeV a 525 GeV. La luminositá integrata prevista per l osservazione 2 a 5 σ é di 30 fb 1. Questo canale introduce vincoli severi sul sistema di camere esterne per la rivelazione dei muoni (vedi 2.6). Inoltre, in una analisi di questo tipo, grandi contributi vengono dal sistema di tracciamento, grazie alla precisione nella misura della traiettoria e dell impulso delle tracce, permettendo inoltre una accurata ricostruzione del vertice di interazione. Ricerca di bosoni di Higgs Supersimmetrici Uno dei canali di decadimento interessanti per questa ricerca é il decadimento in due fotoni (vedi paragrafo 1.3 a pag. 19). Per esso valgono considerazioni analoghe a quanto detto nel paragrafo Un altro canale candidato per la scoperta di higgs supersimmetrici é il decadimento τ ± τ, il cui stato finale puó essere cercato come leptone + adrone oppure come e + µ. Nel caso si cerchi lo stato l + h [13] si pongono vincoli sia sull impulso del leptone, il che interessa il tracciatore e, specie se il leptone é un µ, le camere a muoni, sia sul getto generato dall adrone (si richiede un getto adronico contenente un solo adrone carico), il che interessa il calorimetro adronico ed il tracciatore Ricerca di nuove particelle Un suggerimento circa la possibile esistenza di particelle non ancora scoperte viene, ad esempio, dalla supersimmetria (paragrafo 1.4, pag. 20). 2 con questa luminositá é previsto un piccolo gap per le massa dell Higgs intorno a 2M W.

25 2.2. DESCRIZIONE GENERALE 25 In una ricerca di questo tipo risulta fondamentale il calorimetro adronico in quanto, grazie alla sua elevata ermeticitá, é in grado di quantificare la frazione di energia mancante, dovuta a particelle senza carica elettrica e di colore. 2.2 Descrizione generale Le principali innovazioni e difficoltá presenti nel progetto dell esperimento derivano dalle caratteristiche di LHC. Infatti, la richiesta di poter esplorare regioni di energia finora inaccessibili, ha comportato la necessitá di avere un collider con energia nel centro di massa di alcuni T ev e quindi la scelta é stata di utilizzare fasci di protoni con energia E = 7 T ev, ovvero E CM = 14 T ev. Ció comporta un incremento di luminositá proporzionale a E 2. Infatti la lunghezza d onda di De Broglie associata ad una particella decresce come 1/E e quindi la sezione d urto della particella decresce come 1/E 2. Figura 2.1: Vista tridimensionale del rivelatore CMS. Una valutazione grossolana della luminositá istantanea necessaria per la scoperta, in tempi ragionevoli (ad esempio 1 o 2 anni) del bosone di Higgs, puó essere ricavata a partire dai dati contenuti nella figura 1.6 a pag. 19. Da tale figura, infatti, risulta evidente che le sezioni d urto complessive, relative

26 26 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS ai principali canali scelti per l osservazione sono dell ordine di 10 fb, e pertanto un valore ragionevole di luminositá integrata é dell ordine dei 100 fb 1. Supponendo 1 anno di attesa (ovvero s) la luminositá istantanea necessaria risulta essere pertanto dell ordine di I 10 5 fb 1 s 1 ovvero cm 2 s 1. Il Large Hadron Collider é stato progettato per fornire una luminositá istantanea di I = cm 2 s 1 all inizio della sua attivitá salendo progressivamente fino a I = cm 2 s 1 dopo alcuni anni di funzionamento. Per ottenere un valore cosí elevato di luminositá é stato fissato l intervallo di bunch crossing pari a T BCO = 25 ns, e si é aumentata l intensitá dei fasci incidenti. Con un tale T BCO non é possibile prendere una decisione di trigger tra un bunch crossing e quello successivo. Ne consegue che tutti gli apparati rivelatori devono essere dotati di memorie di buffer in cui impilare i dati (pile-up), in attesa del trigger. Questo comporta una notevole complicazione nel progetto dell elettronica di lettura dei rivelatori. Inoltre, per poter identificare a quale bunch crossing appartenga una traccia, é necessario che il segnale ottenuto al passaggio di quest ultima sia di breve durata (inferiore al T BCO ). Questo comporta la necessitá di lavorare con segnali estremamente veloci, un ulteriore sfida tecnologica. Infine la elevata intensitá dei fasci di protoni incidenti, circa protoni per bunch, implica che in un urto tra due bunch si generino fino a 20 collisioni. La necessita di identificare e distinguere 20 vertici di interazione impone delle specifiche molto severe, sia durante l analisi dati, sia agli apparati rivelatori, in particolare al sistema di tracciamento. Inoltre il gran numero di particelle generate durante l attivitá dell acceleratore costringe i rivelatori ad possedere una elevata tolleranza alle radiazioni, in particolare per il tracciatore in quanto posto nelle immediate vicinanze del vertice di interazione. La costruzione dell apparato sperimentale coinvolge oltre 1800 ricercatori ed ingegneri provenienti da 151 istituti di 31 paesi. La costruzione é iniziata per tutti i sub-componenti. Le pianificazioni finora condotte portano CMS ad essere pronto per la prima collisione di LHC, attualmente prevista nel Il disegno dell apparato CMS segue lo schema classico dei rivelatori impiegati in fisica delle alte energie. Esso si sviluppa intorno al punto di interazione dei fasci secondo una simmetria di tipo cilindrico. Il diametro esterno di tale cilindro é 14.6 m 3 nel calcolare i secondi di attivitá si é tenuto conto dei periodi di spegnimento della macchina introducendo un fattore di riduzione pari a 0.5.

27 2.3. IL MAGNETE 27 mentre la sua lunghezza é pari a 21.6 m, per un peso complessivi di tonnellate. Il sistema di coordinate cartesiane utilizzato ha l asse z lungo la direzione dei fasci, l asse x che punta verso il centro dell anello di accumulazione mentre l asse y verso l alto. Muovendosi da punto di interazione verso l esterno si incontrano, nell ordine: - un rivelatore di tracciamento centrale (normalmente indicato col termine tracker) - un sistema di calorimetri elettromagnetici e adronici - un solenoide superconduttore avvolgente i sistemi di tracciamento e calorimetrici, fornente un campo magnetico di elevata intensitá diretto lungo l asse z - un insieme di camere utilizzate per la rivelazione dei muoni (camere a muoni ) La figura 2.1 mostra una sezione tridimensionale della struttura di CMS in cui sono visibili le componenti testé indicate. Nei prossimi paragrafi si descriveranno brevemente le componenti sopra citate, ad eccezione del sistema centrale di tracciamento, a cui é dedicato il prossimo capitolo. 2.3 Il magnete La scelta della collaborazione CMS é stata di utilizzare un campo magnetico, per la misura dell impulso delle tracce cariche mediante deflessione, il piú alto possibile, compatibilmente con i limiti imposti dalle attuali tecnologie. È stato scelto un solenoide superconduttore in grado di fornire al suo interno un campo magnetico uniforme di B = 4 T, di lunghezza pari a 13 m e diametro interno di 5.9 m. Un campo magnetico cosí alto comporta una elevata curvatura delle tracce cariche, con un conseguente addensamento delle tracce nelle regioni piú vicine al punto di interazione. Ció permette un disegno compatto degli apparati di rivelazione 4, da cui deriva l aggettivo Compact nel nome dell esperimento. 4 ad esempio, ATLAS, un altro esperimento previsto per LHC, ha un magnete in grado di generare un campo magnetico B AT LAS = 2 T, contro B CMS = 4 T. Le sue dimensioni (radiali e longitudinali) sono R AT LAS = 11 m e Z AT LAS = 42 m contro R CMS = 7.3 m e Z CMS = 21 m di CMS.

28 28 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS Figura 2.2: Vista del giogo di CMS aperto e della bobina di CMS fissata all anello centrale. Il flusso del campo magnetico si chiude attraverso un giogo di ferro di 1.8 m di spessore che contiene e sostiene il sistema centrale delle camere a muoni. Il diametro interno è abbastanza grande da permettere l inserimento del sistema dei calorimetri e di quello di tracciamento. Essendo inoltre il magnete l elemento più rigido dell intero apparato sperimentale esso viene anche usato come elemento strutturale di supporto per tutti gli altri componenti del rivelatore. Il giogo di ritorno del campo magnetico è approssimativamente una struttura dodecagonale in cui sono montate le camere per la rivelazione dei muoni. Nella figura 2.2, invece, è evidenziato come il magnete, e, di conseguenza, tutto l apparato sperimentale, si può scomporre in cinque anelli, ognuno dei quali è lungo circa 2.6 m e può scorrere lungo delle rotaie parallele alla direzione del fascio, al fine di permettere la manutenzione dei rivelatori. L anello centrale è posizionato nel punto di interazione e sostiene la bobina superconduttrice del magnete e gli elementi che servono al suo funzionamento, cioè il sistema criogenico, l alimentazione, la protezione contro repentine variazioni di temperatura che provocano una transizione dal funzionamento a superconduttore a quello normale (quench protection), la pompa del vuoto ed il sistema di controllo. In tabella 2.1 sono riassunte le caratteristiche magnetiche ed i principali parametri della bobina di CMS.

29 2.4. CALORIMETRO ELETTROMAGNETICO 29 Induzione magnetica nel punto di interazione T 4.0 Lunghezza m Energia prodotta GJ 2.52 Forza compressiva assiale nel piano mediano MN 122 Corrente ka 20 Induttanza H 12.6 Numero totale di avvolgimenti 2112 Lunghezza totale del conduttore km 43 Tabella 2.1: Caratteristiche magnetiche e parametri costruttivi della bobina di CMS 2.4 Calorimetro elettromagnetico Il calorimetro elettromagnetico é, insieme alle camere a muoni, il componente che partecipa alla decisione di primo livello di trigger. Come giá detto, il processo fisico che impone i requisiti più restrittivi per il calorimetro elettromagnetico è il decadimento in due fotoni del bosone di Higgs. Per ottenere una misura precisa della massa dell higgs é fondamentale una buona risoluzione spaziale ed energetica (cfr. 2.2, pag. 24). La risoluzione energetica é parametrizzata secondo la : [ σ E a E = b σ ] N E E (2.3) dove a è un termine stocastico, b è una costante e σ N è l energia corrispondente al rumore. La risoluzione spaziale é legata alla precisione con cui si misura l angolo tra i due fotoni e quindi dipende dalla granularitá del calorimetro. Allo scopo di massimizzare le prestazioni, il calorimetro elettromagnetico non prevede l utilizzo di strati di materiale assorbitore, da intervallarsi al materiale scintillante, ovvero si utilizza un calorimetro omogeneo e non a campionamento. In questo modo lo sciame elettromagnetico generato é completamente assorbito dagli scintillatori, riducendo cosí l incertezza nelle misure. Nella tabella 2.2 sono riportati i valori dei parametri della 2.3 scelti in fase di progetto. Si riporta inoltre la dimensione dei cristalli, sia per la regione di end-cap, sia per la regione di barrel. Va osservato che, nonstante la elevata granularitá del calorimetro, certi

30 30 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS Barrel 0 η 1.56 Endcap 1.56 η 2.61 Termine stocastico a 2% 5% Termine costante b 0.5% 0.5% Termine di rumore σ N 150MeV 250MeV Dim. cella mm 2 da mm 2..a mm 2 Lungh. cristalli 23 cm 23 cm in lungh. di rad. 25.8X X 0 Tabella 2.2: Principali caratteristiche del calorimetro elettromagnetico di CMS tipi di background sono irriducibili, specie operando in condizioni di alta luminositá. Ad esempio, due fotoni possono essere prodotti da un decadimento π 0, in tal caso, se l energia del π 0 é molto alta, i due fotoni saranno molto vicini tra loro e la granularitá del calorimetro non permette di discriminare un evento di questo tipo da uno sciame generato da un singolo fotone. Per questa ragione, davanti al sistema calorimetrico é posto un sistema di rivelatori, denominato preshower, il cui scopo é di aumentare la risoluzione spaziale nella misura dello sciame. Va osservato che la regione maggiormente interessata da questo fenomeno é la regione di end-cap, per questo motivo il preshower é presente solo in questa regione. Esso é composto da due strati di piombo,intervallati da due piani in silicio. Il primo strato di piombo ha uno spessore di 2X 0, il secondo strato ha uno spessore di 1X 0. Il passo interstrip dei piani in silicio é di 2 mm, ovvero un valore in grado di aumentare la precisione nella misura di un ordine di grandezza, circa. Il materiale utilizzato per la realizzazione dell ECAL è il tungstato di piombo (P bw O 4 ). Tale scelta è stata effettuata per i seguenti motivi: una lunghezza di radiazione limitata ed un piccolo raggio di Molière 5 ; ció conduce a sciami compatti nel piano ortogonale alla direzione di incidenza della particella; una breve costante di tempo di decadimento per scintillazione, ovve- 5 Il raggio di Moliere é una grandezza caratteristica del materiale correlata con le sue proprietá di interazione elettromagnetica. La dimensione trasversa di uno sciame elettromagnetico é, con buona approssimazione, direttamente proporzionale al raggio di Moliere.

31 2.5. CALORIMETRO ADRONICO 31 ro segnali di breve durata e quindi appropriati per l identificazione di bunch crossing; una buona resistenza alla radiazione. La regione barrel dell ECAL copre l intervallo di rapidità η 1.56 mentre gli endcap coprono l intervallo 1.65 η Lo spazio vuoto che c è tra le due regioni serve per far passare i cavi che trasportano le informazioni provenienti dal sistema di tracciamento all esterno dell apparato sperimentale. 2.5 Calorimetro adronico Il sistema calorimetrico CMS misura le direzioni e le energie di quarks, gluoni e neutrini, mediante la misura dell energia e della direzione delle particelle costituenti i getti adronici e la misura del flusso di energia trasversa mancante. Quest ultima, in particolare, risulta cruciale per la scoperta di nuove particelle e fenomeni, come, ad esempio, i partners supersimmetrici di quarks e gluoni. In combinazione con il calorimetro elettromagnetico e con le camere a muoni, il calorimetro adronico puó fornire un aiuto nella identificazione di elettroni, fotoni e muoni. La parte barrel e quella di endcap del calorimetro coprono la regione di pseudorapiditá η < 3. Sia la regione barrel, sia la regione di endcap sono immerse nel campo magnetico a 4 T generato dal magnete superconduttore e pertanto non possono essere impiegati materiali ferromagnetici per la loro costruzione. La profonditá del calorimetro, nella regione barrel é di circa 79 cm, equivalente a circa 5.15 lunghezze di interazione nucleare, per tracce a rapiditá nulla. Tale distanza non é adeguata al contenimento completo degli sciami adronici e pertanto é prevista l inserzione, tra il magnete e le camere a muoni di un estensione del calorimetro adronico, denominato calorimetro adronico esterno (Outer Hadronic Calorimeter, HO). Il calorimetro adronico é un calorimetro a campionamento, composto da strati di materiale attivo intervallati da strati assorbitori in rame. Lo spessore degli assorbitori é di 5 cm nelle regioni barrel e di 8 cm nelle regioni di endcap. Gli elementi attivi, sia nel barrel, sia nell endcap, sono costituiti da scintillatori plastici di 4 mm di spessore. L intervallo di tempo tra due urti successivi (25 ns) fissa il limite di risoluzione temporale del calorimetro. Alla luminosità nominale di LHC sono

32 32 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS Figura 2.3: Vista tridimensionale del sistema di camere a muoni. previste circa venti interazioni ogni volta che i due fasci di protoni si incrociano; quindi il calorimetro deve essere in grado di distinguere gli eventi rari da questo fondo e deve avere la granularità sufficiente per evitare la sovrapposizione dei diversi vertici primari. Infine, durante lo svolgimento dell esperimento la risposta del calorimetro potrà cambiare a causa dei danni provocati dalle radiazioni. Sarà quindi necessario un controllo della qualità durante la costruzione dell apparato ed un sofisticato sistema di monitoraggio che permetta di controllare il funzionamento di ciascuno dei suoi componenti. 2.6 Camere a muoni Il rivelatore di muoni viene utilizzato per ricostruire le tracce dei muoni nello stato finale e misurarne l impulso. Esso inoltre partecipa al primo livello di trigger e permette di determinare con un efficienza superiore al 99% il numero di bunch crossing (BX Identification) dell evento; la risoluzione in impulso trasverso deve raggiungere il valore p T /p T 15% per p T 1 T ev. Sono utilizzate tre tecnologie differenti per ottenere un sistema con queste caratteristiche: camere a deriva (DT) nella regione barrel, camere a strip

33 2.6. CAMERE A MUONI 33 catodiche (CSC) nella regione di endcap e camere RPC sia nella regione barrel sia in quella di endcap. I valori di pseudorapidità η coperti dall apparato sono compresi tra 0 e 2.4. La scelta di utilizzare camere a deriva nella regione barrel è suggerita dalla bassa frequenza di eventi prevista e dal campo magnetico locale relativamente basso. Il sistema di rivelazione dei muoni nella regione barrel è composto da quattro stazioni di DT disposte all interno del giogo di sostegno. Ogni camera è divisa in dodici strati di tubi raggruppati a loro volta in tre superlayers (SL); all interno di ogni SL, gli strati sono traslati di mezza cella l uno rispetto a quello successivo, rendendo così possibile correlare i tempi di deriva dei diversi strati per calcolare le coordinate delle tracce ed il loro angolo. Rivelatore DT CSC RPC η Risoluzione per filo 250 µm RΦ 75 µm Dimensione spaziale rφ 100 µm (CSC esterne) 150 µm della (σ) Z 150 µm R (15 50)/ 72 µm cella Risoluzione 5 ns 6 ns 3 ns temporale Tabella 2.3: Caratteristche tecniche degli elementi del rivelatore La regione di endcap è composta da quattro stazioni di CSC che hanno una sezione trapezoidale e sono disposte su anelli concentrici centrati sulla linea del fascio. Ogni CSC è composta da sei strati di fili alternati a pannelli catodici e fornisce quindi sei misure delle coordinate ϕ (strips) e sei di quelle r (fili); dal segnale proveniente dai fili si ottiene anche un informazione molto precisa sul bunch crossing. Nella regione endcap si utilizzano CSC perché sono in grado di fornire informazioni di spazio e di tempo molto precise anche in presenza di un campo magnetico molto elevato e in condizioni di alta frequenza di passaggio di particelle. Sia nella regione barrel che in quella di endcap si aggiungono camere RPC per fornire un ulteriore segnale di trigger: esse, infatti, hanno una risposta in tempo molto veloce comparabile a quella degli scintillatori e questo, ad esempio, permette di ottenere informazioni sul BXID. Possono inoltre essere segmentati in modo tale da misurare l impulso trasversale dei muoni nello stesso istante in cui forniscono il segnale di trigger. Mentre i DT e le CSC si proteggono dal rumore di fondo cercando una correlazione tra i segmenti di traccia individuati da ciascun elemento, le RPC

34 34 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS per l eliminazione del fondo sfruttano la loro rapida risposta temporale e la accentuata segmentazione. Una camera RPC è costruita con due piani paralleli fatti di una resina ad alta resistività (bakelite), con superfici molto liscie. La separazione tra i diversi piani è tipicamente dell ordine di pochi millimetri. In totale ci sono sei strati di RPC nella regione barrel intervallate con i DT, mentre ce ne sono quattro nella regione endcap associate ad ogni stazione di CSC. In tab.2.3 sono riportate le principali caratteristiche dei diversi tipi di rivelatori utilizzati nel sistema di rivelazione dei muoni. 2.7 Il sistema di trigger Il tempo di incrocio dei fasci (BCO time) di LHC produce 40 milioni di eventi al secondo 6. I limiti tecnici dei sistemi di memorizzazione permanente su memorie magnetiche degli eventi limitano il tasso di scrittura a circa 100 eventi al secondo. Allo scopo di ottenere il tasso di reiezione di richiesto, il sistema di trigger dell esperimento CMS utilizza una architettura a due livelli. Il primo livello di trigger (L1A) é progettato in modo da produrre al massimo 10 5 eventi al secondo (100 KHz di tasso di uscita). La elevata frequenza di bunch crossing, rende impossibile prendere una decisione tra un bunch-crossing e quello successivo. Per questo motivo, i sensori devono essere in grado di memorizzare temporaneamente i dati in una pila (pipeline) in attesa delle decisioni provenienti da L1A. Il tempo di attesa prende il nome di latenza e il suo valore massimo é stato fissato in 3.2 µs, pari a 120 bunch-crossing. La elaborazione dei dati operata da L1A é completamente hardware, ovvero gli algoritmi impiegati per la riduzione del flusso di dati sono realizzati mediante reti logiche integrate sui componenti del sistema. Il trigger di alto livello (HLT) riduce il tasso di 100 KHz di eventi generato da L1A al tasso finale di 100 Hz. Il sistema di lettura (read-out) puó memorizzare gli eventi in uscita dal L1A, mentre l HLT decide se tenere o rigettare gli eventi. Una caratteristica dell esperimento CMS é la realizzazione del trigger di alto livello senza reti logiche dedicate allo scopo, ovvero esclusivamente tramite calcolatori programmati con opportuno software. Gli algoritmi impiegati 6 in realtá per ogni collisione tra due bunch di protoni si hanno circa 20 urti, ma il sistema di trigger non é in grado di identificarli e separarli. Pertanto, ai fini della scrittura dei dati su disco, le 20 interazioni sono viste come un unico evento.

35 2.7. IL SISTEMA DI TRIGGER 35 da HLT per ottenere questa drastica reiezione devono essere in grado di processare gli eventi in un tempo dell ordine di 10 2 s, e saranno installati in una farm di calcolatori con migliaia di nodi. Per fornire la connettivitá tra il sistema di read-out e i processori della farm, é utilizzata una rete a commutazione. Tale rete deve essere un grado di sostenere un flusso di dati di circa 1 T b/s. L insieme del sistema di read-out e dei sistemi di calcolo forma un grande ambiente di calcolo distribuito, rappresentante una sfida per le odierne tecnologie di calcolo. Le principali componenti del sistema di trigger sono le seguenti [15]: Front End Driver (FED), (talvolta indicato come DDU, Detector Dependent Unit) é il componente piú vicino al rivelatore. Le informazioni provenienti da quest ultimo sono formattate all interno del FED mediante l aggiunta ai dati di un header, in cui sono contenute le informazioni necessarie per la ricostruzione dell evento. Trasporto dati in superficie (LINK). Le porzioni di evento raccolte da ciascun FED devono essere trasportate in superficie nella counting room. Tale collegamento ha una lunghezza dell ordine di 100 m e deve sopportare un flusso di dati ad una velocitá media di 200 MB/s, con picchi che possono arrivare sino a 400 MB/s. Al momento, un prototipo di LINK, progettato in seno alla collaborazione CMS, é stato costruito e testato, tuttavia la linea di sviluppo attuale é orientata verso una soluzione completamente commerciale. Ad esempio, un possibile candidato é il link ottico proposto da Myricom. Esso ha una larghezza di banda di 2 Gb/s ed include un semplice protocollo con controllo del flusso per evitare la perdita di pacchetti di dati. Unitá di read-out (Read-out Unit, RU), é composta da tre blocchi: la Readout Unit Input (RUI), la Readout Unit Memory (RUM) e la Readout Unit Output (RUO). La RUI riceve le parti di evento dal LINK e le memorizza temporaneamente in un buffer, a disposizione della RUM. Quest ultima legge le parti di evento provenienti dalla RUI e le memorizza, assieme al numero d identificazione del fascio (bunch-crossing ID). Alla richiesta, da parte dell event builder (v. sotto), di una lettura dati, le parti di evento interessate sono inviate alla RUO. Event Builder, é composto da due parti: la Builder Unit (BU) e la Filter Unit (FU). La BU assembla le porzioni di evento provenienti dalla RU e memorizza l evento completo in un buffer, mentre la FU é l elemento dove avviene l HLT. Un Event Manager (EVM) controlla il flusso dell evento lungo il sistema di lettura e di selezione, gestendo in modo centrale le risorse di read-out e ricostruzione.

36 36 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS Al momento sono in esame due soluzioni per la realizzazione della rete di calcolatori componente l event builder. La prima si basa su una soluzione standard, prevedente l utilizzo della rete Ethernet, mentre la seconda impiega una rete Myrinet, sviluppata dalla Myricom per applicazioni ad alta velocitá ed alto flusso di dati. 2.8 Software L elaborazione dei dati proveniente dai rivelatori di CMS puó essere raggruppata in cinque categorie. Processo on-line: selezione eventi al livello 3 del trigger e classificazione preliminare degli eventi. I programmi utilizzati per tali scopi sono scritti in linguaggi ad alto livello, ad esempio C++. La richiesta totale di potenza di calcolo del sistema on-line é stata valutata in MIP S. Processo off-line: ricostruzione degli eventi e iniziale creazione degli oggetti. Il processo di ricostruzione deve essere svolto in modo essenzialmente automatico, nelle 24 ore successive alla memorizzazione. Il sistema deve essere in grado di leggere dati ad una velocitá di 100 MB/s ma la velocitá di scrittura é solo di 10MB/s, in quanto la dimensione di ogni evento é stimata in 100 kb circa e gli eventi sono circa 100 al secondo. Calibrazione, monitoraggio dati e studi sui rivelatori. Anche queste analisi possono essere incluse nei processi off-line. Il loro scopo é di controllare le prestazioni dei rivelatori, eventualmente configurandoli secondo le esigenze del momento, e di sviluppare algoritmi per il calcolo delle grandezze fisiche partendo dai dati grezzi o ricostruiti. Produzione eventi Monte Carlo. Lo scopo di tali simulazioni é di prevedere con la maggiore accuratezza possibile il comportamento dell apparato sperimentale, in modo da poterlo ottimizzare. Si tratta di una attivitá da eseguire in massima parte molto prima della presa dati, in modo da fornire utili informazioni durante la fase di progetto e di costruzione dell esperimento. Analisi fisica. Ovviamente ogni analisi richiede l accesso sia ai dati sia agli eventi Monte Carlo simulati. Inoltre é ragionevole supporre che una analisi richieda l accesso ad altre informazioni, quali ad esempio

37 2.8. SOFTWARE 37 prestazioni dei rivelatori, dati di calibrazione ed allineamento dei sensori, lista dei canali cattivi, etc.... Inoltre una grossa mole di dati non direttamente legata all esperimento deve essere disponibile: grandezze fisiche misurate da altri esperimenti (esempio, sezioni d urto, masse, vite medie... ), costanti fondamentali e risultati teorici. Questi dati dovrebbero essere disponibili per l intera comunitá di ricercatori e aggiornati con una certa rapiditá.

38 38 CAPITOLO 2. L ESPERIMENTO CMS

39 Capitolo 3 Il rivelatore centrale di tracciamento Nel precedente capitolo si sono descritti i principali componenti dell esperimento CMS, correlando le loro caratteristiche e le loro prestazioni con i requisiti imposti dagli studi di fisica previsti. In tale descrizione é stato omesso il sistema di tracciamento centrale (tracker), cui questa tesi é dedicata, in quanto trattato con maggiore dettaglio nel presente capitolo. 3.1 Introduzione Gli obiettivi della ricerca a CMS sono tali da imporre un ottima misura dell impulso delle particelle prodotte dalle collisioni protone-protone in LHC, come pure un alta efficienza di ricostruzione dei vertici primari e secondari di interazione e quindi delle tracce delle singole particelle. Per poter raggiungere questi obiettivi, è fondamentale l uso di un rivelatore di traccia ad altissime prestazioni immerso in un forte campo magnetico. 3.2 Caratteristiche del tracciatore Le principali specifiche di progetto dell intero tracciatore sono di seguito riportate [16]. Il tracker deve permettere una ricostruzione per tracce isolate ad alto impulso trasverso, p t > 10 GeV/c, con una efficienza 1 del 95 % o piú, 1 si fa riferimento all efficienza algoritmica, ovvero all efficienza valutata nell ipotesi che la particella non subisca interazioni ad alto q 2 all interno del tracciatore. 39

40 40 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Figura 3.1: Vista in sezione del rivelatore di tracciamento (solo un quarto di layout). e del 90 % per tracce con fondo di getti adronici, su tutto l intervallo di pseudorapiditá η < 2.5. In particolare, l efficienza di ricostruzione delle tracce di muoni é stata specificata pari al 98 % per muoni con p t > 1 GeV, per tutti i valori di η coperti. L efficienza di riconoscimento dei getti adronici di quark b deve passare da valori superiori al 50 % per la zona centrale a circa il 40 % per le regioni con η 2.5. La risoluzione in impulso per leptoni carichi isolati con impulso trasverso p t > 100 GeV/c nella regione centrale del barrel deve essere di p t /p t (15 p t 0.5)% ( con p t misurato in T ev/c ), andando gradualmente fino a p t /p t (60 p t 0.5)% per η 2.5. Questo dovrebbe permettere la misura di muoni fino al valore di p t 2 T ev/c. Questa risoluzione potrá ancora aumentare se collegata con le informazioni provenienti dalle camere a muoni. La risoluzione per il parametro d impatto nel piano perpendicolare ai fasci deve essere migliore di 35 µm e lungo la direzione dei fasci migliore di 75 µm per particelle con p t superiore a 10 GeV/c.

41 3.2. CARATTERISTICHE DEL TRACCIATORE 41 Per rispondere alle richieste indicate e per ottenere un buon tracciamento anche ad alti livelli di luminositá occorre utilizzare rivelatori con alta risoluzione spaziale. Il valore dell occupazione (occupancy 2 ) deve rimanere inferiore all 1 %,mantenendo un elevato rapporto segnale su rumore. La scelta fatta dalla collaborazione CMS é stata quella di un tracker instrumentato completamente con rivelatori in silicio, rispettivamente con la tecnologia dei rivelatori a pixel per le zone piú interne del tracker, e dei rivelatori a microstrip per le zone piú esterne. La scelta di utilizzare rivelatori a pixel nella regione vicina al punto di interazione é dovuta al fatto che, grazie alla doppia segmentazione in z e φ, essi risultano praticamente esenti da fenomeni di ghost, ovvero si definiscono elementi di tracce tridimensionali non ambigui e sono quindi fondamentali per una strategia di tracciamento robusta. Il numero di canali di lettura previsti é dell ordine di Con riferimento alla figura 3.1, il tracker é un cilindro formato da piú strati di rivelatori al silicio coassiali con la direzione dei fasci di particelle di LHC. Esso avrá una regione attiva di raggio 115 cm e lunghezza 270 cm da entrambi i lati del punto di interazione e sará completamente immerso dentro il campo magnetico da 4 Tesla fornito dal solenoide superconduttore. La regione piú interna sará a soli 4.3 cm di distanza dal punto di interazione dei fasci. 2 l occupancy é definita come la frazione di canali di un rivelatore in cui, al segnale di trigger, é presente un segnale dell evento fisico.

42 42 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Figura 3.2: Efficienze di ricostruzione per tracce isolate di muoni (a destra) e pioni (a sinistra) a p t = 1, 10, 100 GeV Prestazioni Allo scopo di ottenere le caratteristiche testé specificate, sono state condotte numerose simulazioni. I risultati ottenuti mostrano che il progetto del tracciatore é tale da soddisfare i requisiti richiesti. In figura 3.2, in alto, sono riportate le efficienze nella ricostruzione di tracce relative a muoni isolati, per tre valori di impulso trasverso (p t = 1, 10, 100 GeV ), mentre in basso é riportata l efficienza relativa alla ricostruzione di pioni isolati. Si noti che l efficienza riportata nelle due figure, a differenza dell efficienza riportata come specifica di progetto, tiene conto delle possibili interazioni della particella con il materiale del tracciatore e della copertura geometrica del rivelatore (efficienza globale) ed é pertanto inferiore all efficienza cui si fa riferimento all inizio del paragrafo 3.2. Come si vede, la ricostruzione dei muoni, particolarmente importante per la ricerca del bosone di Higgs, é eccellente su tutto l intervallo di pseudorapiditá. L efficienza nella ricostruzione dei pioni, sebbene buona, é invece inferiore, rispetto ai muoni. Ció é essenzialmente dovuto alla maggiore probabilitá dei pioni, in quanto sensibili all interazione forte, di interagire con le parti componenti il tracciatore. In figura 3.3 é riportata l efficienza globale per getti adronici, per varie energie E t. Si noti che, al contrario di quanto accade per una traccia isolata,

43 3.2. CARATTERISTICHE DEL TRACCIATORE 43 Figura 3.3: Efficienze di ricostruzione e probabilitá di ricostruzione di un evento fantasma per getti adronici generati da quark b. in questo caso, con il diminuire dell energia del getto, non peggiora l efficienza di ricostruzione. Questo é conseguenza della riduzione del numero di tracce componenti il getto. La grandezza qui riportata non va confusa peró con l efficienza di riconoscimento dichiarata nel paragrafo 3.2. La figura 3.3 riporta inoltre la probabilitá di ricostruire tracce inesistenti all interno di un getto adronico. Questa probabilitá dipende fortemente dal numero di tracce cariche presenti nel getto e dal suo confinamento spaziale. Per questi motivi la probabilitá aumenta di quasi un ordine di grandezza passando da getti di 50 GeV a getti di 200 GeV. La precisione nella misura dell impulso al variare della pseudorapiditá é riportata in figura 3.4. In particolare, si osservi come i punti relativi alle tracce a p t = 100 GeV, marcati con un triangolo, stanno nei vincoli imposti dalle specifiche (vedi paragrafo 3.2). La risoluzione del parametro d impatto é riportata nella figura 3.5. Anche in questo caso, le specifiche imposte sono verificate. La figura 3.6 riporta la precisione nella misura della massa del bosone di Higgs, nell ipotesi che abbia una massa di 130 GeV. Nella simulazione cui la figura si riferisce si é scelto di identificare il bosone dal decadimento H Z Z µ + µ µ + µ che, possedendo quattro leptoni carichi nello stato finale permette un ottima identificazione con il tracciatore. Il fit gaussiano eseguito sul picco di ricostruzione della massa fornisce una σ = 1 GeV. Questo valore puó essere ulteriormente migliorato combinando le misure fornite dal tracciatore con

44 44 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Figura 3.4: Risoluzione δp t /p t, espressa in percentuale, al variare di η, per tracce a tre diversi impulsi, p t = 1, 10, 100 GeV. Figura 3.5: Risoluzione del parametro d impatto trasverso d 0.

45 3.3. RIVELATORI A PIXEL 45 Figura 3.6: Ricostruzione di un Higgs di m H = 130 GeV, attraverso il canale H ZZ 4µ. quelle provenienti dal sistema di camere a muoni. 3.3 Rivelatori a pixel Il rivelatore a pixel é composto da circa 45 milioni di pixel. Si tratta del componente piú vicino al punto di interazione di tutto l esperimento CMS. É progettato per fornire una alta risoluzione tridimensionale delle tracce, in modo da agevolare la ricostruzione di vertice [18]. Al suo interno si distinguono due regioni principali, una di barrel e l altra di end-cap. La regione di barrel si estende per ±26 cm da entrambe le parti del punto di collisione dei fasci; é composto da tre cilindri concentrici, di raggio 4.3 cm, 7.2 cm e 11.0 cm. Ogni cilindro é diviso in colonne (ladders) di 8 moduli ciascuna, per un totale di 800 moduli nei 3 cilindri. Ogni modulo contiene 2 8 chip di lettura ed ha una superficie attiva di 6.45 cm (asse z) per 1.60 cm (direzione rφ). L elettronica di lettura é incollata su una base di silicio successivamente avvitata su un supporto in fibra di carbonio. Il sensore viene poi posato sull elettronica di lettura e quindi saldato (bump bond). L uso di una base in silicio per i chip di lettura ha lo scopo di minimizzare gli stress termici tra pixel e chip. Un circuito ibrido in kapton, con relativa elettronica supplementare é infine posto al bordo del modulo.

46 46 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO La due regioni di end-cap sono istrumentate da due dischi ciascuna, posti in z = 33.7 cm e z = 46.5 cm. La regione attiva di tali dischi va da r = 6.0 cm a r = 15.0 cm. I dischi sono suddivisi in 24 settori. Questi settori sono ruotati di 20 a mó di turbina, in modo da aumentare la risoluzione sfruttando la distribuzione di carica dovuta alla deflessione di Lorentz. La regione attiva dei settori é organizzata in placchette sovrapposte. Le placchette sono di varie dimensioni, e sono montate su entrambe le facce del settore, tre da un lato e quattro dall altro. Figura 3.7: Vista in sezione del sensore a pixel I pixels del sensore sono costituiti da un impianto n + su substrato n (vedi figura 3.7). Questo permette al sensore di operare anche dopo l inversione di tipo del substrato, causato dalle alte dosi di radiazione presenti nel tracker. Per i sensori maggiormente irradiati la tensione di polarizzazione é stata fissata a 300 V. Sul backplane sono presenti un impianto p +, necessario per la formazione di una giunzione p n prima dell inversione di tipo, e un insieme di anelli di guardia, aventi lo scopo di limitare effetti di breakdown. Una coppia di anelli di guardia p + é inoltre presente sul perimetro di ogni pixel. Recentemente é stato osservato [19] che l utilizzo di un solo anello di guardia al posto di due migliora la prestazioni del sensore, limitando l aumento di corrente di buio in seguito ad irraggiamento. La dimensione di ciascun pixel é di µm. Il sistema di lettura (read-out) é costituito da chips, attualmente in tecnologia DMILL, in grado di eseguire una lettura analogica su una matrice di pixels, ciascuno. É prevista la migrazione verso la tecnologia 0.25 µm CM OS, in grado di fornire componenti con una maggiore tolleranza alle radiazioni. La tecnologia 0.25 µm CM OS permetterá inoltre una diminuzione delle dimensioni del chip, con una conseguente riduzione dell area del pixel

47 3.4. RIVELATORI A MICROSTRIP DI SILICIO 47 Le simulazioni condotte valutano la risoluzione del rivelatore a pixel pari a σ(rφ) < 10 µm per rapiditá η < 2.2 e σ(z) < 20 µm per rapiditá 0.4 < η < 2.2, assumendo una dimensione del pixel di µm e trascurando gli errori dovuti all allineamento, stimati in 10 µm. 3.4 Rivelatori a microstrip di silicio, Silicon Strip Tracker Il layout del rivelatore a microstrip di silicio (Silicon Strip Tracker, SST [17]) é riportato in figura 3.1. É riportato un quarto del rivelatore, gli altri sono simmetrici. Il SST istrumenta l area da 20 cm a 120 cm in r e da 0 cm a 280 cm in z, coprendo cosí la regione con pseudoarpiditá superiore a η < 2.5. Esso é diviso in quattro sotto-sezioni: Tracker Inner Barrel (TIB), Tracker Inner Disks (TID), Tracker Outer Barrel (TOB) e Tracker End Caps (TEC). Il TIB é costituito da quattro strati (layers) cilindrici; a ciascuno dei bordi del TIB si trovano tre dischi del TID. I sei strati cilindrici del TOB avvolgono il TID. Infine, diciotto (nove per parte) dischi del TEC completano la struttura. I dischi del TID e del TEC sono divisi in tre e sette anelli, rispettivamente. Alcuni di essi ed alcuni strati del TIB e del TOB sono istrumentati con moduli a doppia faccia, precisamente i primi due strati interni del TIB e del TOB, i primi due anelli del TID e gli anelli 1, 2 e 5 del TEC. I moduli doppia faccia sono ricavati da moduli a singola faccia montati in modo da avere i backplanes affacciati, (montaggio back to back ) con uno dei due moduli montato in modo da avere una lieve rotazione delle strip. Il ricavare moduli doppia faccia a partire da moduli a singola faccia ha il vantaggio di utilizzare moduli a singola faccia per tutto il tracker e lo stesso tipo di sensore puó essere utilizzato per entrambi i tipi di moduli. I moduli a doppia faccia, grazie alla rotazione delle strip di uno dei due piani, permettono una misura di tutte e tre le coordinate spaziali. Per mantenere gli effetti di ghost a livelli accettabili la rotazione relative tra le strip dei due piani non puó essere troppo elevata. Infatti se una delle strip ruotate interseca piú di una strip colpita da una traccia si genera una ambiguitá (vedi figura 3.8). Per questo motivo é stato scelto un angolo di rotazione di 100 mrad; in tal modo, trascurando gli errori sistematici dovuti al disallineamento, la precisione della misura della posizione nella direzione parallela alla strip é di circa σ z 10σ p, dove σ p é la risoluzione spaziale del rivelatore nella direzione ortogonale alle strip del sensore. Globalmente il tracker sará formato da oltre sensori al silicio per un totale di oltre 10 milioni di canali di lettura e con una superficie totale ricoperta di oltre 300 m 2. La elevata radiazione cui

48 48 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Le due particelle e le due particelle producono lo stesso segnale sulle strip ->Ambiguita' di traccia. Riducendo l'angolo di rotazione, le dure coppie non danno piu' ambiguita'. Figura 3.8: Ambiguitá di traccia nei moduli a doppia faccia. il tracciatore é sottoposto ha, tra i principali effetti, l aumento della corrente di buio dei rivelatori (vedi appendice A.2 a pagina 144). É noto che la corrente di buio ha una marcata dipendenza dalla temperatura. Pertanto, allo scopo di mantenere bassa la corrente di buio dei sensori, anche in presenza di forti danni da irraggiamento, l intera regione del tracker sará mantenuta ad una temperatura di 10 C. Per evitare fenomeni di condensazione di umiditá sulle superfici dei rivelatori, il tracciatore sará immerso in atmosfera controllata (azoto con punto di rugiada inferiore a 27 C) Moduli Il modulo é la minima unitá funzionale del tracker. É composto da un supporto in fibra di carbonio, uno (o due) sensori a microstrip di silicio e da un ibrido supportante l elettronica di lettura. I moduli della regione interna (TIB, TID e i primi quattro anelli del TEC) ospitano un solo sensore, mentre i moduli della regione esterna (i quattro anelli esterni del TEC e il TOB) utilizzano due sensori collegati in cascata. Il supporto in fibra di carbonio é ricavato a partire da lastre di spessore nominale di 625 µm (di seguito indicato come CF-A) e di spessore nominale di 500 µm (di seguito indicato come CF-B). Allo scopo di coprire completamente tutte le varie regioni del tracker, sono previste venti geometrie diverse per i moduli; nella tabella sono

49 3.4. RIVELATORI A MICROSTRIP DI SILICIO 49 num. moduli num. geometrie materiale TIB CF-B TID CF-B TOB CF-A TEC CF-A+B Tabella 3.1: Geometrie e quantitá di moduli necessari per l intero tracker. riassunte le principali informazioni relative ai moduli ed alla loro geometria, mentre in figura 3.9 é mostrato un modulo della regione barrel interna (TIB) Sensori Per la realizzazione dei sensori del tracker CMS si utilizza un substrato di silicio di tipo n, drogato con fosforo, float-zone e con orientazione cristallina di tipo < 100 >. La resistivitá del substrato é di 1 3 KΩ cm per i sensori a bassa resistivitá e di 4 8 KΩ cm per i rivelatori ad alta resistivitá [20]. La scelta di substrati con due resistivitá diverse é legata alla diversa dose di radiazione presente nelle varie parti del tracker. Infatti, nella regione interna la dose di radiazioni é molto elevata, si stima una fluenza di neq cm 2, in 10 anni di LHC ad alta luminositá. Per mantenere bassa la tensione di svuotamento anche a tale fluenza é necessario un substrato con un drogaggio iniziale non troppo basso (la concentrazione del drogante deve essere superiore a cm 3. Questo forza l utilizzo di sensori con substrato a bassa resistivitá (1 3 KΩ cm, come giá detto). Al contrario, la fluenza nelle regioni esterne del tracker (tipicamente neq cm 2 ) permette l adozione di substrati ad alta resistivitá per i sensori da collocare in tali zone. A paritá di geometria, i sensori ad alta resistivitá hanno una tensione di svuotamento minore, rispetto ai sensori a bassa resistivitá. Questo permette un aumento dello spessore del substrato senza rischiare fenomeni di breakdown. Per questa ragione, lo spessore dei sensori equipaggianti le regioni interne del tracker (ρ = 1 3 KΩ cm) é di 320 µm 3, mentre lo spessore dei sensori posti nelle regioni esterne (ρ = 4 8 KΩ cm) é di 500 µm. Il maggiore spessore dei sensori esterni comporta un aumento della ca- 3 lo spessore di 300 µm é una scelta standard nell industria dei semiconduttori

50 50 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Figura 3.9: Prototipo di modulo barrel interno (TIB) rica raccolta al passaggio di una particella ionizzante, con un conseguente incremento del segnale. L utilizzo di substrati con orientazione cristallina < 100 >, in sostituzione dei substrati di tipo < 111 >, normalmente impiegati in questi tipo di applicazioni implica un miglioramento della tolleranza alle radiazioni [21], [22]. Un ulteriore vantaggio deriva dal fatto che l industria elettronica utilizza normalmente silicio con tale orientazione cristallina. Questo permette una produzione piú efficiente di sensori, ad esempio si possono ricavare sensori di grandi dimensioni da wafer con diametro di 6 pollici, al posto dei wafer da 4 pollici normalmente utilizzati per i sensori in fisica nucleare. L impianto delle strip é di tipo p +. Il passo interstrip va da 80 µm a 180 µm, con un rapporto width su pitch costante e pari a Esse sono polarizzate mediante resistori in polisilicio il cui valore nominale é stato fissato in 1.5 ± 0.5 MΩ. La lettura delle strip é mediante un accoppiamento AC; ai fini di aumentare la tensione di breakdown del sensore [23] la strip metallica posta sopra all impianto p + ha un overhang 4 di 4 8 µm, a seconda del passo interstrip del sensore. In figura 3.10 é riportata la vista di un angolo di un sensore utilizzato per i moduli TOB. Oltre alle strip ed ai resistori in polisilicio, giá menzionati, é 4 l overhang é la differenza tra la larghezza della strip metallica posta sull ossido e la larghezza dell impianto p +.

51 3.4. RIVELATORI A MICROSTRIP DI SILICIO 51 Figura 3.10: Vista di un angolo di un sensore TOB visibile l anello di polarizzazione, a cui sono collegati i resistori in polisilicio. Intorno all anello di polarizzazione é presente un anello di guardia, avente lo scopo di ridurre l iniezione di cariche nel sensore da parte dei bordi, ricchi di difetti cristallini a causa del taglio Elettronica di lettura Le cariche raccolte sulle strip del sensore vengono inviate ai chip di lettura (read-out). Un circuito ibrido é posto in prossimitá del sensore. Esso ha il triplice scopo di supporto meccanico e di dissipatore per l elettronica e di trasporto dei segnali e delle alimentazioni per i vari chip. Tra il sensore ed il circuito ibrido é posto un adattatore di passo (pitch adapter) avente lo scopo di raccordare le strip poste sul sensore (passo variabile da 80 µm a 180 µm) ai contatti di ingresso dei chip di read-out posti sul circuito ibrido (passo di 44 µm). Il chip di read-out (APV), descritto in dettaglio nel seguente paragrafo, amplifica, memorizza temporaneamente e sequenzia temporalmente le letture di 128 canali. Le uscite degli APV sono poi mandate, a due a due, in un multiplexer 2X1 (APV-MUX) che rappresenta anche lo stadio di uscita dell elettronica di lettura.

52 52 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Figura 3.11: Il chip di read-out APV25-S1 Chip di read-out, APV Negli ultimi anni, é stata sviluppata una serie di chip in tecnologia CMOS, indicati con l acronimo APV (Analogue Pipeline Voltage), allo scopo di leggere i segnali provenienti dai sensori. Essi vennero inizialmente con un processo CMOS a 1.2 µm, radiation hard culminanti nel chip APV6 [24]. I recenti sviluppi nelle tecnologie nanometriche hanno reso possibile la costruzione di circuiti resistenti alle radiazioni a partire da progetti con uno schema circuitale non radiation hard ma che divengono tali grazie ad un appropriato processo di fabbricazione (tecnologia CMOS 0.25 µm). Un nuovo prototipo, APV25-S0, é stato realizzato con l obiettivo di verificare la possibilitá di utilizzare tali tecnologie nell ambito del progetto. Esso é stato prodotto e testato con pieno successo soddisfacendo i requisiti imposti dall operare all interno del tracker CMS. Una successiva versione, APV25-S1 (vedi figura 3.11), é stata sviluppata e rappresenta una ulteriore miglioria del progetto. IL chip APV25-S1 é una memoria pipeline analogica a 128 canali di lettura e 192 colonne di immagazzinamento. Le cariche provenienti dalle strip del sensore sono amplificate in un circuito integratore con costante di tempo τ = 50 ns; quest ultimo fornisce in uscita un segnale di 100 mv per una

53 3.4. RIVELATORI A MICROSTRIP DI SILICIO 53 carica in ingresso di elettroni. Il segnale uscente viene campionato ad una frequenza di 40 MHz (pari al tempo di incrocio dei fasci di LHC) e memorizzato nella pipeline in attesa di essere letto in corrispondenza di una richiesta di trigger da parte del L1A (vedi pag. 34). A tale proposito si ricorda che il sistema di tracciamento di CMS, a causa dell elevato numero di canali di read-out complessivamente presenti, non partecipa alla decisione di L1A. Al momento della lettura, il dato nella pipeline viene processato mediante un filtro numerico (FIR). Il chip ha tre modi operativi e due velocitá di read-out. Il primo modo operativo, deconvoluzione, é utilizzato in condizioni standard, quando il tasso di dati é abbastanza alto da rendere importante il problema del pile-up 5. In tal modo il filtro FIR rimuove l effetto del pile up, confinando la larghezza dell impulso di uscita entro 25 ns. Il secondo modo, picco, é utilizzato quando il pile-up non é significativo e presenta il vantaggio di possedere, rispetto al modo deconvoluzione, un migliore rapporto segnale/rumore. Il terzo modo, multi, puó essere usato in fase di calibrazione del chip; in modo multi é possibile leggere in successione temporale tre colonne adiacenti della pipeline, senza alcun filtraggio numerico. All uscita della pipeline é presente un multiplexer. Lo scopo di quest ultimo é di leggere i dati provenienti dai 128 canali e di serializzarli (TDM, Time Division Multiplexing). La frequenza di uscita dei segnali puó essere selezionata tra 20 MHz e 40 MHz; un buffer, all uscita del multiplexer produce un segnale differenziale in corrente pronto per essere inviato all elettronica di front-end. Infine, é presente un circuito di calibrazione interno, utile per la messa a punto del chip in quanto permette di iniettare su un insieme scelto di canali una quantitá programmabile di carica. L iniezione di tale quanto di carica avviene in corrispondenza di un apposito segnale (segnale di calibrazione) sulla linea di trigger (vedi sotto). Una serie di generatori, integrati sul chip, forniscono tutte le correnti e le tensioni necessarie alla corretta polarizzazione dei vari stadi di amplificazione dei canali, fissando cosí il punto di funzionamento del chip. Sia il circuito di calibrazione, sia i generatori sono completamente programmabili attraverso un protocollo I2C. Il medesimo protocollo é utilizzato per fissare il modo di funzionamento del componente (modo picco oppure deconvoluzione, lettura a 20 o 40 MHz... ), permettendo cosí il controllo completo sullo stato dell APV. Oltre a fornire le letture in uscita, la linea di 5 Il segnale uscente dal chip APV ha una durata superiore al tempo di incrocio dei fasci (BCO, Bunch Crossing Time). Questo implica che una traccia, generata ad un certo BCO, produca un segnale fantasma rilevabile anche ai BCO successivi. Questo effetto prende il nome di pile-up

54 54 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO Modulo APV Opto-link APV APV APV mux PLL fibra ottica... ad altri moduli CCU Link digitale 100 m... da altri moduli fibra ottica Opto-link... verso altre CCU Link digitale FEC FED COUNTING ROOM Figura 3.12: Il sistema di read-out di CMS trigger L1A permette di attivare il circuito di calibrazione e di eseguire un reset interno del chip. Infatti, un impulso con durata 25 ns viene interpretato dal chip come un segnale di L1A, un impulso di durata 50 ns viene riconosciuto come un segnale di calibrazione; un reset é invece effettuato se la durata dell impulso é di 75 ns o maggiore. In quest ultimo caso la pipeline é svuotata e il suo riempimento riparte dall inizio della memoria. L operazione di reset comporta un tempo morto del chip di circa 300 ns, pari a 12 bunch crossing. 3.5 Il sistema di acquisizione La scelta compiuta dalla collaborazione CMS é di eseguire una lettura analogica di tutti i canale del tracciatore. Tale scelta, sebbene comporti alcune complicazioni dal punto di vista tecnologico e realizzativo, presenta parecchi vantaggi, tali da renderla preferibile alla lettura digitale delle strip. Uno dei vantaggi principali di una lettura di tipo analogico é la possibilitá di sfruttare la distribuzione di carica e, mediante la lettura delle cariche raccolte da piú strip adiacenti, é possibile fornire una misura della posizione con una maggiore precisione, rispetto ai sistemi di lettura digitali, limitati ad una risoluzione pari a σ = p/ 12, in cui p é il passo interstrip.

55 3.5. IL SISTEMA DI ACQUISIZIONE 55 Va osservato che l effetto di distribuzione di carica é amplificato dalla presenza del forte campo magnetico (B = 4 T ) in cui é immerso il tracker. Un ulteriore vantaggio legato alla lettura analogica é di ordine pratico. Il sistema di tracciamento di CMS é piuttosto differente dai tracciatori costruiti sinora, sia per le maggiori dimensioni, sia per la velocitá a cui deve acquisire dati, sia per l ambiente in cui opererá. Ció significa che é ragionevole attendersi un eccesso di rumore, causato, ad esempio, da anelli di massa, da accoppiamenti parassiti (pick-up) o da fenomeni transitori. Nella maggior parte dei casi, questi contributi di rumore proverranno, o saranno iniettati, da linee, sia di alimentazione, che di segnale, comuni a tutti i 128 canali di un chip. Di conseguenza questi disturbi daranno principalmente origine ad un rumore di modo comune. La lettura analogica dei canali permette, con appropriati algoritmi, di stimare e di sottrarre il contributo di modo comune al rumore. In questo modo le prestazioni dell intero tracciatore dovrebbero restare buone anche in presenza di tale problema. In figura 3.12 é riportato lo schema di lettura dati adottato dal tracker di CMS. Si puó brevemente riassumere il funzionamento del sistema come segue. I segnali di sincronizzazione con il bunch-crossing e di richiesta di trigger, provenienti dal Global Trigger and Timing Command (TTC, non mostrato in figura) sono inviati dal Front-End Controller (FEC), posto in counting room, alla Control Unit (CCU), posta in prossimitá del tracker, mediante un collegamento ottico numerico. La CCU distribuisce i segnali a vari moduli, secondo una struttura ad albero. Il protocollo di comunicazione FEC-CCU é tale da consentire un collegamento di piú CCU ad un unico FEC, mediante una topologia ad anello. In questo modo un solo FEC puó controllare fino a 96 moduli. In presenza di un trigger di primo livello (L1A), i dati impilati nell APV sono resi disponibili in uscita, e tramite un convertitore optoelettronico sono istradati lungo una fibra ottica. In counting room é presente l elettronica di digitalizzazione (Front-end Driver, FED) che, previa conversione otticoelettrica, memorizza i dati con una quantizzazione a 9 bit. All interno del FED sono inoltre presenti algoritmi per la soppressione degli zeri, in modo da ridurre fortemente il flusso di dati da inviare al trigger di alto livello, HLT. I componenti della catena di read-out testé citati sono inoltre utilizzati per l allestimento di set-up di misura presso i laboratori dei vari istituti appartenenti alla collaborazione CMS. In particolare, la descrizione dei set-up allestiti dalla sezione INFN e Universitá di Torino e utilizzati per lo studio ed il test dei moduli del tracciatore, costituiscono l oggetto del prossimo capitolo

56 56 CAPITOLO 3. IL RIVELATORE CENTRALE DI TRACCIAMENTO

57 Parte II Misure, studi e analisi 57

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59 Capitolo 4 Setup sperimentale Nel presente capitolo sono descritti i tre apparati sperimentali allestiti presso il laboratorio tecnologico della sezione di Torino dell I.N.F.N. per gli studi e le misure eseguite sui moduli del tracciatore CMS e sulle loro componenti. Per ciascuno di essi vengono riportate le caratteristiche principali ed il funzionamento mentre gli studi per cui esso é stato impiegato sono descritti in dettaglio nel prossimo capitolo. La loro architettura segue, a grandi linee, lo schema di read-out del tracciatore descritto nel precedente capitolo. 4.1 Sistema VME, architettura generale Il sistema di acquisizione basato su crate VME é il primo sistema di acquisizione e test sviluppato a Torino. Lo scopo principale di tale set-up é lo studio delle prestazioni dei moduli, in modo da poter giungere ad una comprensione soddisfacente del loro funzionamento e poter cosí identificare una sequenza di operazioni da eseguire per effettuarne il test durante la produzione. In questo paragrafo si descrivono le caratteristiche fondamentali di questo sistema, mentre le misure con esso raccolte e le relative analisi sono oggetto del prossimo capitolo. In figura 4.1 é visibile uno schema di tale sistema. Il crate VME é gestito da una CPU RIO power PC, su cui é installato il sistema operativo real-time Lynx-OS. Le principali componenti hardware di questo setup possono sono: Front-end Driver (FED), installato su uno dei due connettori PCI Mezzanine Card (PMC) della scheda CPU RIO. Il suo scopo (v. 3.5, pag. 55) é di digitalizzare i dati provenienti dal modulo. Su un FED sono presenti 8 ingressi e ciascun ingresso puó leggere i dati di una uscita 59

60 60 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE TTC vi-vx-rx I2C Laser rio via TCP/IP PC DAQ interface FED fibra ottica... via TCP/IP TRI-card Modulo stage X-Y PC Slow Control LV bias HV bias Figura 4.1: Setup di acquisizione basato su architettura vme dell elettronica di read-out, ovvero una coppia di chip APV (256 canali). Va peró osservato che i moduli avuti a disposizione per gli studi su tale sistema erano prototipi assai preliminari, e su di essi non era ancora integrato il multiplexer APV-MUX (vedi pag. 51). In questo modo su ogni canale del FED si é letto un solo APV (ovvero 128 canali). TTC-vi e TTC-vx. Queste schede, sviluppate dalla collaborazione CMS, sono in grado di generare i segnali di sincronizzazione con il BCO (un segnale periodico di 25 ns, d ora in poi indicato con il termine di clock) e di trigger, simulante una richiesta da parte di L1A e di codificarli su una unica linea ottica. TTC-rx. Questa scheda riceve i segnali di trigger e clock codificati, provenienti dal TTC-vx e li trasforma in una coppia di segnali sincronizzati in formato LVDS [25]. interfaccia VME-I2C. I chip di read-out sono programmabili tramite un protocollo I2C. Questa scheda permette il controllo, dal bus VME, di quattro uscite di questo tipo per poter configurare altrettanti moduli. Scheda Laser Torino. Si tratta di un componente, sviluppato comple-

61 4.1. SISTEMA VME, ARCHITETTURA GENERALE 61 tamente dalla sezione INFN di Torino, a cui ho dato significativi contributi. Una sua descrizione dettagliata é pertanto riportata a pagina 66, paragrafo 4.2. Lo scopo di tale componente é di generare segnali di luce fortemente focalizzati, in modo da simulare, nel sensore, il passaggio di una traccia ionizzante. I segnali di luce prodotti sono successivamente inviati, tramite una fibra ottica, ad una lente collimatrice, posta sopra la regione sensibile del modulo. Oltre alle schede testé descritte e inserite nel crate VME, il set-up é composto dai seguenti componenti: Tracker Readout Interface Card, TRI-Card. Questa scheda, posta nelle immediate vicinanze del modulo ha lo scopo di amplificare i segnali uscenti da quest ultimo, prima di essere inviati al FED. La scheda é dotata di 4 canali, e per ogni canale sono presenti due uscite. Una uscita, di tipo differenziale é sempre attiva ed é progettata per pilotare correttamente l ingresso del FED. L altra uscita, non differenziale, puó essere inserita, oppure esclusa, tramite un ponticello (jumper) posto sulla scheda, in prossimitá dell uscita stessa; la funzione di tale uscita é di fornire una copia del segnale uscente dal modulo, da visualizzarsi, ad esempio, con un oscilloscopio. Ció risulta utile durante l allestimento e la messa a punto del sistema di acquisizione. La TRI-Card ha inoltre la funzione di ricevere i segnali di controllo (provenienti dall interfaccia I2C-VME) e sincronizzazione (trigger e clock provenienti da TTC-rx) e di inviarli al modulo. Alimentatore per alta tensione Keithley KT2410, connesso al backplane del sensore, fornisce la tensione necessaria al suo svuotamento. Lo strumento é completamente controllabile in remoto tramite interfaccia GP-IB Slitte di movimentazione micrometrica mediante stages lineari PI Intellistage e Mercury stage, necessari per il posizionamento della lente collimatrice utilizzata per focalizzare il fascio di luce laser sul sensore. Gli stages permettono un completo movimento nelle tre dimensioni consentendo cosí il posizionamento in un punto arbitrario della regione attiva del sensore e la focalizzazione (defocalizzazione) del fascio luminoso. Tutti i movimenti sono controllabili in remoto tramite connessioni RS-232. La gestione di tutte le componenti finora elencate é eseguita mediante un software distribuito su tre calcolatori, di cui nel seguito si dá una descrizione.

62 62 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE socket TCP/IP Socket...main()... cratevme generalana pipelineana APVctrl ttcclass feddata pcimezzanine Figura 4.2: Software di acquisizione e controllo moduli installato su processore master VME. Diagramma di collaborazione delle classi Software L idea centrale nella stesura del software é di suddividere quest ultimo in tre parti, precisamente: gestione moduli, slow-control e interfaccia utente (graphical user interface, GUI). Si é scelta una struttura distribuita in quanto presenta alcuni vantaggi. In primo luogo, le procedure di acquisizione non sono rallentate da altre operazioni, ad esempio legate alla visualizzazione dei risultati. Inoltre una organizzazione del software di questo tipo aumenta la modularitá, ovvero rende piú agevole l aggiornamento delle varie parti componenti il software. Questa flessibilitá é particolarmente gradita durante le fasi iniziali di sviluppo di un sistema, in quanto piú frequenti sono gli upgrade. Il codice di gestione moduli, ovvero delle schede di acquisizione, di generazione dei segnali di trigger e di clock e di configurazione del modulo é installato direttamente sulla scheda RIO responsabile del controllo del bus VME. Il sistema operativo qui installato é Lynx-OS un sistema real-time, unix-flavour, in grado di garantire una elevata affidabilitá durante la presa dati. Il software é scritto in C++, e disegnato secondo la tecnica di programmazione ad oggetti; in figura 4.2 é riportato il diagramma di collaborazione delle classi del programma. Il suo funzionamento si puó brevemente riassumere come segue: previa una fase di inizializzazione il programma apre una connessione socket

63 4.1. SISTEMA VME, ARCHITETTURA GENERALE 63 su una porta ed entra in uno stato di wait, in attesa di ricevere un messaggio dalla rete TCP/IP (server della connessione). Un programma, residente su un PC remoto, puó, aprendo una connessione di tipo client verso il crate VME, ordinare a quest ultimo le azioni da compiere, mediante una apposita stringa di comando. La sintassi di tale comando non é conforme ad alcun protocollo standard 1 ma segue un protocollo da me specificamente sviluppato per questa particolare applicazione, in cui oltre alla descrizione delle operazioni richieste sono presenti chiavi di accesso, in modo da evitare involontari e indesiderati accessi al sistema di acquisizione. A questo punto, il programma VME server esegue l operazione prescritta e replica con un messaggio di risposta verso il client, tornando infine nello stato di wait, in attesa di un nuovo comando. La parte di Slow-Control si occupa della gestione dell alimentatore di alta tensione (KT2410) del monitoraggio delle condizioni ambientali (temperature e umiditá) e della movimentazione degli stages utilizzati per il posizionamento del gruppo collimatore piú fibra ottica. Il software di gestione é sviluppato con labview e in figura 4.3 é riportato il diagramma del Vi 2 principale. Anche in questo caso la gestione dell intero sistema di slow-control puó essere eseguita in remoto, tramite una porta socket, secondo un meccanismo del tutto analogo a quanto descritto per il sistema su crate VME. Il terzo, e ultimo, programma é una applicazione Java avente lo scopo primario di fornire una interfaccia grafica con l utente. Il pannello principale di tale programma é riportato in figura 4.4, mentre in figura 4.5 é schematizzato il diagramma di collaborazione delle classi costituenti tale programma. Si noti, in particolare, l esistenza di due oggetti di tipo EthernetDialog 3 aventi come obiettivo la creazione delle connessioni client verso i programmi server testé descritti. Il programma, oltre a fungere da GUI, é inoltre responsabile di una parte di analisi, ad esempio é possibile applicare tagli sui dati appena raccolti, oppure é possibile la ricostruzione del cluster di cariche depositate sulle strip a seguito di stimolazione del sensore con una sorgente (nel nostro caso, luce laser). In conclusione, questo sistema di acquisizione dati permette di eseguire acquisizioni di piedistallo, di rumore (vedi paragrafo 5.3 a pagina 88), e di risposta ad un impulso di backplane (paragrafo 5.6 a pag.119) o ad un segnale di luce (paragrafo 5.5 a pag.104). 1 Ad esempio, telnet, ftp, http, datasocket (TM)... 2 Vi: virtual instrument, elemento fondamentale della programmazione in labview. 3 Il nome dovrebbe essere auto-esplicativo.

64 64 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Figura 4.3: Diagramma labview del gestore di slow-control.

65 4.1. SISTEMA VME, ARCHITETTURA GENERALE 65 Figura 4.4: Interfaccia grafica (GUI) di gestione dell intero setup basato su crate VME. MainFrame DisplayAndAna HardwareFrame ApvControlFrame AdvancedTest SlowControlFrame WriteOnDiskFrame OccupancyFrame DoAction EthernetDialog EthernetDialog...verso DAQ TCP/IP Socket TCP/IP Socket...verso Slow-Ctrl Figura 4.5: Diagramma di collaborazione delle classi del software di GUI.

66 66 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Il programma permette inoltre, grazie al controllo simultaneo e coordinato delle due sezioni, di run-control e di slow-control, l esecuzione di misure complesse, in cui le acquisizioni sono sincronizzate con il movimento della sorgente laser. In questo modo sono stati possibili studi approfonditi, che hanno permesso una misurazione precisa della geometria del sensore (paragrafo a pagina 110). Per l esecuzione delle ultime due tipologie di misure é necessaria una sorgente di luce, ottenuta mediante una apposita scheda, descritta nel prossimo paragrafo. 4.2 Scheda Laser (Laser Board) Introduzione La possibilitá di produrre un segnale su di un modulo é di enorme utilitá durante lo studio di quest ultimo. Infatti, dalla risposta del modulo ad un segnale si possono ricavare utili informazioni relative, ad esempio, alla forma d onda del segnale amplificato, alla linearitá della risposta al segnale e al rapporto segnale su rumore. Una possibile soluzione é di utilizzare i raggi cosmici come sorgente. Tuttavia questa soluzione presenta alcuni inconvenienti. In primo luogo, i rivelatori previsti per un acceleratore lavorano in modo sincrono ovvero sono pensati per prendere dati con cadenza regolare (ad esempio, 25 ns in LHC); la cosa ovviamente non si verifica nel caso di raggi cosmici e questo implica un jitter tra il clock e il trigger di acquisizione del cosmico. Un ulteriore problema deriva dal fatto di lavorare con rivelatori di superfici modeste (un paio di dm 2, al massimo). Il tasso di acquisizione di raggi cosmici é troppo ridotto (pochi eventi al secondo, per di piú non perfettamente sincronizzati con l elettronica) e di conseguenza i tempi di attesa per l esecuzione di una misura si allungano eccessivamente. Va peró notato che non é necessario disporre di particelle cariche. Si possono utilizzare, ad esempio, fotoni (a patto che possiedano la giusta lunghezza d onda) e, sfruttando l assorbimento di questi ultimi per effetto fotoelettrico (vedi appendice A.1 a pag. 141 ), generare coppie elettrone-lacuna in grado di simulare la ionizzazione prodotta da una particella carica. Un ulteriore metodo per generare un segnale su di un rivelatore in silicio é l impulso di backplane (vedi figura 4.6). Con questa tecnica il segnale sulle strip del rivelatore si ottiene non mediante la creazione di coppie nella regione svuotata, bensí mediante iniezione di un impulso di cariche elettriche sul backplane del rivelatore. Le cariche cosí iniettate vengono raccolte, per accoppiamento

67 4.2. SCHEDA LASER (LASER BOARD) 67 rivelatore in silicio segnale raccolto impulso di backplane elettronica di lettura Alimentazione ad alta tensione al backplane del rivelatore cariche iniettate mediante impulso dal backplane del rivelatore Figura 4.6: Schema di principio del meccanismo di impulso di backplane. capacitivo, dalle strip, producendo all uscita dell amplificatore di read-out un segnale elettrico. Va osservato che, con tale tecnica, tutte le strip di un rivelatore raccolgono contemporaneamente la carica. Questa situazione, diversa dalla realtá in cui il rivelatore andrá ad operare, puó portare ad un comportamento anomalo della elettronica di read-out. Tuttavia la semplicitá realizzativa di tale tecnica la rende assai attraente, in particolare nell ottica della realizzazione di un sistema di test, in cui si privilegia la semplicitá e la velocitá esecutiva, rispetto alla precisione della misura Considerazioni progettuali La generazione di impulsi di luce, con caratteristiche temporali ed energetiche variabili é un obiettivo facilmente raggiungibile con le attuali tecnologie elettroniche. Ad esempio, un diodo laser é in grado di soddisfare tali requisiti. Con tale obiettivo é stato intrapreso, presso la sezione I.N.F.N. di Torino 4 il progetto di una scheda laser in cui sono utilizzati laser generanti fotoni nello spettro dell infrarosso, precisamente a λ = 850 nm. 4 Il lavoro venne inizialmente impostato dalla sezione INFN di Pisa, in particolare da Domenico Rizzi, a cui va il mio sentito ringraziamento per l attivitá svolta e per lo spirito di collaborazione.

68 68 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Questa scelta non é ottimale in quanto il silicio é un materiale opaco a questa lunghezza d onda e quindi le coppie elettrone-lacuna sono generate quasi completamente nella regione prossima alla superficie del sensore, tuttavia un laser di questo tipo ha il vantaggio di essere molto economico, in quanto la λ = 850 nm é normalmente utilizzata nei dispositivi opto-elettronici di largo consumo (es. lettori CD, sistemi di telecomunicazioni... ). Una simulazione piú accurata del passaggio di una traccia ionizzante nel sensore si puó ottenere da un laser a lunghezza d onda maggiore (appendice A.1, pag. 141) ad esempio λ = 1060 nm. A questa lunghezza d onda, infatti, il silicio é trasparente e le coppie elettrone-lacuna sono generate lungo tutto il volume del sensore, in modo analogo a quanto avviene con il passaggio di una particella carica. Un laser di questo tipo, peró, ha un costo assai elevato, circa 100 volte un laser a 850 nm. Tenendo conto di questi fatti, la scelta compiuta, in sede di progetto, é stata di equipaggiare la scheda con diodi laser a 850 nm. In aggiunta alle uscite ottiche sono state poste delle uscite elettriche, ovvero uscite generanti un impulso elettrico con caratteristiche uguali all impulso ottico generato dai laser. Questo impulso puó essere utilizzato per pilotare un laser supplementare a 1060 nm. In questo modo non si perde completamente l opzione di un laser a 1060 nm, mantenendo il costo della scheda entro limiti accettabili Caratteristiche Allo scopo di aumentare la flessibilitá in ogni scheda sono presenti quattro canali laser identici. Ciascuno di essi possiede 2 uscite ottiche e una uscita elettrica. Inoltre, nella prospettiva di impiegare la scheda durante la fase di test dei moduli, si é provveduto a fornire, oltre ai canali con uscite ottiche, un canale elettrico in grado di generare segnali a gradino con un fronte di salita rapido, adatto all esecuzione di misure con impulsi di backplane. L emissione degli impulsi avviene in corrispondenza di un segnale di trigger, sono presenti due ingressi, selezionabili mediante un commutatore interno alla scheda, uno in formato NIM, l altro in LVDS [25]. Per ogni canale si puó regolare: l ampiezza dell impulso, in una scala da 0 a 255, il ritardo fine dall impulso di trigger, variabile a passi di 0.25 ns la durata dell impulso, variabile tra 9 ns e 30 ns; eventualmente si puó selezionare, al posto di un impulso di durata variabile, un impulso di durata fissa e breve ( 5 ns).

69 4.2. SCHEDA LASER (LASER BOARD) 69 l abilitazione delle due uscite laser, in modo indipendente. Per il canale relativo all impulso di backplane si regola solo ampiezza e ritardo fine del segnale. Al fine di possedere la massima versatilitá, la scheda é programmabile sia da bus VME, sia da RS232. Quest ultima é prevista come opzione, ovvero sulla scheda é previsto un connettore su cui si innesta il modulo di comunicazione RS-232, anch esso progettato dalla sezione INFN di Torino Descrizione del funzionamento In figura 4.7 é riportato lo schema a blocchi della scheda laser. Per semplicitá si riporta solo lo schema di uno dei quattro canali, gli altri sono uguali. Il canale di backplane ha uno schema semplificato, rispetto a questo e non viene riportato. Inoltre non si riporta lo schema con la parte di decodifica dati provenienti dai bus (VME oppure RS232). input d8-d15 d16-d18 d0-d7 porta AND Buffer-traslatore d19 d20 out1 ADC Laser out2 Ritardo d21 Amplif. uscita elettrica impulso variable impulso 5 ns seleziona impulso Figura 4.7: Schema a blocchi della scheda laser (solo un canale). L uscita della parte di decodifica é rappresentata da un registro a 24 bit, in cui 3 bit sono usati per selezionare il canale indirizzo e 21 bit sono per i dati (stato del canale). L assegnazione dei bit é: bit0 - bit7 : ampiezza, bit8 - bit15 : ritardo fine,

70 70 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE bit16 - bit18 : durata variabile dell impulso, bit 19 : on/off laser 1, bit 20 : on/off laser 2, bit 21 : abilita impulso di durata variabile. Il funzionamento puó essere riassunto come segue. Il segnale di trigger, proveniente dall ingresso, viene ritardato dalla linea di ritardo programmabile (3D7408 [28]). Gli ingressi di programmazione di questo componente sono connessi ai bit 8-15 del registro di stato. Il segnale uscente viene inviato ai due circuiti formatori di impulso. Un circuito genera un impulso di breve durata, imposta in sede di progetto uguale a 5 ns [26]. L altro genera un impulso di durata variabile (PPG33F-3 [27]). Un multiplexer seleziona quale tipo di impulso utilizzare (bit 21 del registro di stato) e lo invia ad una serie di otto porte AND, collegate ai bit 0-7 (bit di ampiezza) del registro di stato. In questo modo all uscita delle porte AND sará presente l impulso, ritardato e di durata selezionata, se il bit di ampiezza corrispondente é alto, altrimenti non sará presente alcun impulso. Un convertitore digitale/analogico veloce (TDA8702 [29]) legge gli 8 bit generati e fornisce in uscita un segnale analogico di ampiezza pari al valore impostato nei bit di ampiezza del registro di stato. Un circuito di buffer/traslatore di livello invia il segnale ad una coppia di amplificatori di transconduttanza (integrati in un unico chip, OPA2662, [30]), le cui uscite sono collegate ai due diodi laser a 850 nm. Mediante questi amplificatori nei due diodi, se l amplificatore é abilitato (bit 19 e 20), é iniettata una corrente proporzionale alla tensione uscente dal convertitore digitale/analogico. Siccome la potenza emessa dai laser (ovvero il numero di fotoni per unitá di tempo) é proporzionale alla corrente circolante in essi, si ha cosí l emissione di un flusso di fotoni con una intensitá proporzionale al valore contenuto nei bit 0-7 del registro di stato, e con caratteristiche temporali (durata e ritardo) come specificato negli appositi bit del registro. L uscita del buffer é inviata, oltre che agli amplificatori di transconduttanza, ad un amplificatore con guadagno pari a +2, la cui uscita costituisce l uscita elettrica del canale. Il canale per l impulso di backplane ha una struttura simile, con la differenza che il circuito formatore di impulso non é programmabile ed é unico, quindi manca il multiplexer. Inoltre manca la parte ottica, ovvero diodi laser e amplificatori di transconduttanza.

71 4.2. SCHEDA LASER (LASER BOARD) 71 Graph Graph Uscita elettrica 250 Laser Graph Laser 2 LEGENDA Asse X: ampiezza (bit 0-7) Asse Y : tensione misurata [mv] Nota: uscita elettrica terminata su 50 Ω Figura 4.8: Uscite di un canale della scheda al variare dell ampiezza Prestazioni In figura 4.8 é riportato il comportamento di un canale al variare dell ampiezza impostata sul canale. La misura della tensione sull uscita elettrica é stata eseguita con un oscilloscopio ed adattando la linea a 50 Ω; le misure sui diodi laser sono state effettuate mediante oscilloscopio, previa conversione con un apposito convertitore opto-elettronico. Come si vede, la linearitá della risposta del canale elettrico é soddisfacente per tutti i valori di ampiezza, mentre nel caso delle uscite ottiche si nota un effetto di saturazione per valori elevati di ampiezza, tipicamente per tensioni misurate superiori ai 200 mv. Questo effetto puó essere dovuto ad una non linearitá del diodo laser, ma anche ad un fenomeno di saturazione nel convertitore opto-elettronico utilizzato per eseguire la misura. Attualmente

72 72 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Width abilitato: canale elettrico A 40 Delay segnale elettrico A: width = 1 (abilitato) 85 Width misurato (ns) Delay misurato (ns) Width impostato Delay impostato Figura 4.9: Uscite di un canale della scheda al variare della durata e del ritardo dell impulso. il fenomeno é oggetto di studi. In figura 4.9 é invece riportato il comportamento di un canale al variare del ritardo e della durata dell impulso. Per brevitá é indicato solo il comportamento della uscita elettrica, le uscite ottiche mostrano un comportamento analogo [31]. In questo caso la linearitá é eccellente sia al variare della durata, sia al variare del ritardo. Va osservata peró la presenza di un offset nella durata dell impulso, il cui valore minimo é circa 15 ns, invece dei 9 ns previsti in base alle caratteristiche dei componenti [27]. Questo allargamento dell impulso puó essere dovuto sia a limitazioni dovute alla velocitá dei componenti utilizzati per la costruzione della scheda, sia a limiti del sistema di misura (ad esempio, oscilloscopio con insufficiente banda passante, cavi coassiali con dielettrico di scarsa qualitá... ), una accurata indagine di questi fenomeni esula tuttavia dagli scopi della presente tesi. Le misure sinora riportate fanno riferimento al primo dei quattro canali ottici della scheda. Il comportamento dei restanti canali é comunque in accordo con quanto qui riportato [31]. Inoltre, come giá detto, sulla scheda é presente un canale per l impulso di backplane. Una caratterizzazione completa di tale canale non é ancora fatta. Le misure preliminari indicano che anche questo canale presenta un comportamento, al variare di ampiezza e ritardo, in linea con quanto misurato per i quattro canali ottici.

73 4.3. SISTEMA CMS-LIKE Sistema CMS-LIKE Il gruppo CMS Tracker di Torino ha il compito di eseguire il bonding di una parte dei moduli del tracciatore. Questo implica che l obiettivo principale per cui viene allestito di un set-up sperimentale é l esecuzione di test per verificare la qualitá e l affidabilitá del modulo appena costruito. Una considerazione importante va peró rivolta anche alla catena di readout, nella sua completezza, infatti l affidabilitá del tracciatore é data dal buon funzionamento di tutte le sue componenti. In particolare, la possibiltá di verificare il funzionamento delle varie parti della catena di read-out (FED, FEC, CCU e via dicendo) e come queste si interfaccino con il modulo é di grande interesse. I principali vantaggi sono: Durante il test dei moduli vengono testate estesamente anche le schede di read-out. Se l unione delle varie parti della catena comporta problemi (ad esempio, rumori introdotti da connessioni errate, protocolli di comunicazione poco affidabili... ) la loro scoperta in una fase relativamente iniziale della costruzione del tracciatore permette di trovare una soluzione. Per queste ragioni la collaborazione CMS ha stabilito di costruire un sistema di test dei moduli il piú vicino possibile alla catena di read-out del tracker (vedi 3.5 pagina 55). Va detto che, un sistema di questo tipo, comporta anche alcuni svantaggi. Ad esempio il sistema diventa piú complesso di quanto strettamente necessario 5. Una osservazione importante é che le principali schede della catena di read-out (FED e FEC) sono di tipo PCI. Questo vuol dire che é possibile installarle direttamente sul bus di un Personal Computer ed avere cosí una soluzione compatta, in cui tutte le componenti hardware necessarie risiedono in un unico PC. Le componenti principali di questo sistema sono: TSC, non é una componente della catena di read-out, ma é qui utilizzata per simulare tutto quello che avviene nel TTC (che non esiste in versione PCI) e a monte di esso. 5 E infatti, in una fase preliminare, noi abbiamo usato un sistema piú semplice - ma in fondo anche piú completo e versatile - che ci ha permesso, in modo relativamente veloce di eseguire studi e misure.

74 74 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Sostanzialmente, questa scheda puó generare impulsi di trigger, reset e calibrazione a ritardi programmabili e sincronizzati con un segnale di clock a 25 ns, anch esso disponibile in uscita. FEC-CCU. Il FEC riceve i segnali provenienti dal TSC e li invia alle CCU. Per i dettagli vedi 3.5 a pagina 55 oppure [16]. La CCU invia i segnali di clock e trigger al modulo. configurare i chip (APV) del modulo mediante bus I2C. Inoltre puó FED I dati sono invece letti dal FED. La differenza principale rispetto al sistema finale é che nella schede utilizzate per il test dei moduli sono assenti gli opto-convertitori, sia subito dopo il modulo, sia subito prima del FED. Questo significa che il trasporto dei segnali uscenti dal modulo non puó essere compiuto con una fibra ottica ma é necessario un cavo elettrico, allo scopo si usa un doppino schermato. V-UTRI Gli opto-convertitori hanno anche la funzione di amplificare i segnali uscenti dal modulo. La loro assenza richiede, pertanto, una scheda di amplificazione (V-UTRI), da porre immediatamente a valle del modulo Vienna Cold Box La valutazione della qualitá di un modulo deve comprendere, oltre al test da eseguirsi appena terminata la sua costruzione (test veloce, Fast Test), un test piú esteso, volto a controllare la sua affidabilitá. Infatti, i moduli testé costruiti devono operare, per circa dieci anni, ad una temperatura ambiente di 10 o C, salvo i periodi di spegnimento della macchina, in cui il modulo si troverá a temperatura maggiore. Questo implica uno stress termico notevole, in particolare per le parti meccaniche, sottoposte a contrazioni per effetto della temperatura. Quindi, nel test esteso (test di lungo temine, Long Term Test) le acquisizioni di dati sono intervallate da cicli termici. Se, alla fine del Long Term Test non si riportano segni evidenti di danni o scadimento di prestazioni, il modulo é pronto per l assemblaggio, altrimenti é bene scartarlo. Per far compiere al modulo le escursioni termiche previste, é necessario un contenitore (a tenuta di luce e aria) in cui sia possibile regolare a piacere la temperatura. In esso devono essere alloggiati un certo numero di moduli 6, 6 trattandosi di un test con cicli termici, é prevista una notevole durata dello stesso (circa ore), é pertanto opportuno poter eseguire il test su piú moduli contemporaneamente

75 4.3. SISTEMA CMS-LIKE 75 con una connettivitá tale da poter effettuare acquisizioni dati anche durante l esecuzione dei cicli termici. Allo scopo, l Istituto di Fisica delle Alte Energie di Vienna (HEPHY) ha sviluppato una scatola di test, la Vienna Cold Box [32], di cui é riportata una vista in 4.10 Figura 4.10: Vienna Cold Box. Per regolare la temperatura dentro la scatola si usano due celle Peltier, in quanto questi hanno il vantaggio di cambiare il loro comportamento in base alla polaritá della tensione ad essi applicati. Da elementi refrigeranti diventano riscaldanti e viceversa. Affinché il controllo di temperatura sia efficiente, é peró necessario che la faccia esterna del Peltier sia collegata ad una capacitá termica molto alta, in modo da mantenere l equilibrio termico senza che la temperatura della faccia stessa vari. Per questo motivo il Peltier é predisposto per essere raffreddato a liquido. Uno dei contributi sostanziali dati dal gruppo di Torino alla messa a punto

76 76 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE Figura 4.11: Interfaccia grafica (GUI) di gestione del setup CMS-like. di tale scatola é stato lo sviluppo del circuito di raffreddamento delle celle Peltier, mediante un frigo industriale, in grado di smaltire la potenza termica uscente dalla coppia di celle. Allo scopo di salvaguardare i moduli e la Cold Box, é stato inoltre sviluppato un sistema di interlock, in grado di disattivare il sistema in caso di temperature o umiditá al di fuori di un intervallo prefissato, ed é stato ottimizzato il software di controllo automatico della temperatura della scatola. La corrente elettrica alle celle Peltier é fornita tramite un apposito alimentatore, controllato da una scheda (trhx) avente anche lo scopo si monitorare le condizioni ambientali (temperatura ed umiditá) in cui opererá il modulo Software Il software di gestione del sistema é costituito da un unico programma principale da cui si compiono tutte le operazioni, ovvero acquisizione dati, analisi dati, slow-control, alimentazioni e controllo di temperatura. Nella figura 4.11 é riportato uno dei pannelli principali di questo programma.

77 4.4. SISTEMA ARC 77 La comunicazione con l hardware avviene con una memoria condivisa in cui ad ogni scheda hardware é associato un server che scrive i dati sulla memoria. Il programma principale agisce da client e legge o scrive su questa memoria. Il programma puó eseguire sequenze di operazioni ad orari prestabiliti, secondo quanto specificato in un apposito file (scenario file). Cambiando scenario file si puó utilizzare il sistema sia per test veloci, sia per test a lungo termine 4.4 Sistema ARC Oltre ai test, giá accennati, da compiere dopo la costruzione del modulo, é necessario poter eseguire una serie di misure di controllo durante la costruzione dello stesso. In particolare, per quanto concerne il gruppo di Torino, i moduli giungono con le varie componenti giá assemblate sul supporto in fibra di carbonio del modulo, ma senza le microsaldature (bonding) necessarie per le connessioni elettriche. Prima di compiere il bonding dei moduli, il protocollo specificato dalla collaborazione CMS prevede l esecuzione di un test, in cui, principalmente, si verifica il funzionamento dell elettronica montata sull ibrido. Tale test potrebbe essere effettuato utilizzando il setup CMS-like descritto nel paragrafo precedente, ma, per evitare sovrapposizioni e conflitti temporali tra questo test e i test veloci e di lungo termine, é opportuno disporre di un sistema appositamente dedicato a tale scopo. Il sistema, sviluppato dal dipartimento di fisica del RWTH di Aachen, sfrutta un sistema di acquisizione precedentemente sviluppato per l esperimento Alpha Magnetic Spectrometer (AMS), ció implica che nessuna componente hardware di tale allestimento fa parte della catena di read-out di CMS. Tuttavia tale sistema ha il pregio di essere compatto (una scheda su bus ISA per il controllo da PC e una seconda scheda per l acquisizione e configurazione modulo). Il software di controllo é un programma eseguibile scritto con labview. La descrizione dettagliata di questo set-up esula dagli scopi della tesi, in quanto esso non é stato utilizzato per le misure riportate nei prossimi capitoli. Maggiori dettagli sono reperibili in [33].

78 78 CAPITOLO 4. SETUP SPERIMENTALE

79 Capitolo 5 Studi sul modulo 5.1 Introduzione Nel precedente capitolo sono stati illustrati gli apparati utilizzati nell attività sperimentale del gruppo CMS Tracker di Torino. In questo capitolo sono invece riportati i principali studi eseguiti sui dati raccolti da tali apparati. In particolare il sistema basato su crate VME (vedi paragrafo 4.1 a pagina 59), grazie all integrazione, al proprio interno, di una scheda laser (vedi paragrafo 4.2 a pagina 66) ha permesso l esecuzione di una serie molto estesa e dettagliata di misure, grazie alle quali é stato possibile acquisire una notevole esperienza sui moduli del tracciatore. Tale esperienza si é rivelata utilissima al momento di definire le strategie di test, da eseguire durante la produzione dei moduli per la loro qualifica, argomento, questo, costituente l oggetto del prossimo capitolo. Va infine premesso che nel presente capitolo non vengono dettagliate tutte le misure eseguite sui moduli durante i tre anni di dottorato. In generale, per ogni tipo di studio si é scelto di utilizzare una serie di misure, provenienti da uno o piú moduli, come riferimento per la descrizione del procedimento di analisi, puntando maggiormente l attenzione sul metodo di analisi piuttosto che sul risultato. Tali analisi sono riportate nel seguito del capitolo e vengono qui brevemente descritte. Per ogni misurazione si accenna anche al ruolo che questa occupa nelle procedure di test (vedi capitolo 6). Corrente di buio nei sensori. La misura della corrente di buio é un utile indice della qualitá del substrato del rivelatore. Infatti, in presenza di danni nella struttura cristallina del silicio, in particolare sui bordi del rivelatore, si verifica un aumento di corrente. Per questo motivo, anche 79

80 80 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO durante la fase di costruzione dei moduli, le procedure di test includono questo tipo di misurazione. Le specifiche di progetto dei sensori includono, inoltre, un limite sulla corrente di buio, i componenti fuori da tale limite vanno scartati. Analisi del rumore. Il rumore é definito come la fluttuazione del segnale misurato, in assenza di tracce ionizzanti nel rivelatore. Una variazione eccessiva del rumore su un canale é sintomo di malfunzionamento. In questo paragrafo é descritta in dettaglio la procedura di misura e di analisi necessaria per identificare e sottrarre il contributo di rumore di modo comune. Si descrive inoltre l analisi necessaria per valutare il contributo di rumore introdotto dalla memoria analogica dell APV. Infine, si analizzano e si confrontano i livelli di rumore misurati con il chip di read-out in due modalità di funzionamento: picco e deconvoluzione, comparando i risultati con le previsioni teoriche, riportate in appendice 2. In generale, la valutazione del rumore delle strip di un modulo é una procedura semplice e fornisce molte informazioni su eventuali problemi all interno del modulo stesso. Per questa ragione, questo tipo di misura é sempre presente in ogni procedura di test. Risposta all impulso di calibrazione. Un modo, semplice e veloce, per studiare la risposta al segnale di un modulo, é di utilizzare il generatore di carica integrato nei chip di read-out. In questo modo, é possibile iniettare, all ingresso del preamplificatore, una quantità predeterminata di carica e misurare il segnale in uscita. L istante di iniezione della carica può essere variato, permettendo così la ricostruzione dell intera forma d onda del segnale uscente dal preamplificatore. I profili di risposta ottenuti possono quindi essere confrontati con le previsioni teoriche, riportate in appendice 2. Una misura completa, variando il ritardo di iniezione della carica, richiede molto tempo. Per questo motivo, tale misura non é sempre prevista nelle procedure di test. Risposta al segnale. Come giá detto nel paragrafo 4.2, a pagina 66, la possibilità di eseguire acquisizioni in cui sia presente un fascio di fotoni, consente una analisi avanzata delle prestazioni di un modulo. Va osservato che la maggior parte degli studi riportati in questo paragrafo

81 5.1. INTRODUZIONE 81 non é normalmente previsto nelle procedure di test. Tuttavia tali studi si sono rivelati molto utili per la comprensione del funzionamento del modulo e per l identificazione di alcuni problemi. In particolare, lo studio della risposta in presenza di ampi segnali di luce, distribuiti su piú strip, ha evidenziato un fenomeno di saturazione del chip di lettura, effetto successivamente ritrovato durante il Test Beam compiuto al CERN nel settembre La disponibilità di un fascio fortemente focalizzato ha permesso, grazie ad una movimentazione micrometrica, la stima delle caratteristiche geometriche del rivelatore: passo interstrip e larghezza della strip. Viene infine descritto un procedimento di misura, definito con il termine di test di occupanza, in grado di fornire, con grande affidabilità, l elenco di canali del modulo che non rispondono al segnale. Il test di occupanza richiede una strumentazione piuttosto costosa e per tale motivo non é indicato durante le fasi di test. La sua affidabilità, tuttavia, lo pone come misura di riferimento per la valutazione della qualitá di un modulo e i risultati che esso fornisce possono essere assunti, come riferimento, per valutare e ottimizzare l affidabilitá di altri test, piú economici (ad esempio, test di calibrazione, oppure di backplane, vedi sotto). Risposta all impulso di backplane. Come appena detto, si tratta di una procedura veloce ed economica per valutare la risposta dei canali di un modulo. Una quantitá fissa di carica é depositata sul backplane del rivelatore e, per accoppiamento capacitivo, viene raccolta dalle strip del rivelatore. I canali non collegati o, comunque, difettosi mostreranno una risposta a tale carica sensibilmente diversa dalla media dei canali buoni e potranno pertanto essere agevolmente identificati. Nel presente capitolo si focalizza maggiormente l attenzione sulle metodologie di analisi, lasciando al successivo capitolo, il sesto, il compito di descrivere le strategie di test per i moduli del tracciatore. É comunque importante ribadire che le linee guida per il test dei moduli scaturiscono, in buona parte, dai risultati ottenuti, e qui riportati, nello studio dei moduli.

82 82 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO 5.2 Studio sui sensori: corrente di buio La misura della corrente di buio I leak al variare della tensione applicata al backplane del sensore V b fornisce utili informazioni sulla qualità del sensore. Dalla teoria sui rivelatori a semiconduttore é noto che la corrente in una giunzione p n polarizzata inversamente e, quindi, in un sensore a microstrip, ha il seguente andamento [23]: I leak d per V b < V depl I leak cost per V depl < V b < V break (5.1) I leak per V b > V break dove d é lo spessore della regione svuotata nel sensore e V depl é la tensione di svuotamento e V break é la tensione di breakdown. Tuttavia tale andamento é verificato nella realtà solo in modo approssimativo. Infatti, oltre alla corrente prevista nella 5.1 si ha un contributo di corrente, in prevalenza superficiale, legato alla qualità delle superfici del sensore. Pertanto una curva I leak V b sensibilmente diversa dalla 5.1 é indice di una non perfetta qualità nella fabbricazione del sensore. Inoltre, anche il valore di corrente I leak per tensioni superiori allo svuotamento V depl può dare informazioni sulla bontà del substrato. A parità di condizioni ambientali (temperatura e umidità) una I leak elevata é indice di un substrato di cattiva qualità (eccesso di impurezze, difetti cristallini... ). In figura 5.1 é riportata la corrente misurata su un modulo barrel interno a 512 strip (indicato con la sigla TIB013). Il sensore, prodotto dalla Hamamatsu Photonics, é un silicio float zone (FZ), ad alta resistività con orientazione cristallina di tipo < 100 >, ricavato da un wafer a 6 pollici. Le misure fanno riferimento al sensore in cui non erano stati ancora collegati i canali di read-out. Come si vede, i dati riportati in figura 5.1 sono in buon accordo con quanto previsto dalla 5.1. Si può fare un confronto tra i valori della 5.1 e le misure fatte in precedenza su alcuni mini rivelatori (baby-detectors) realizzati per studi eseguiti in fase di ricerca e sviluppo del tracciatore ( vedi [23], pagina 96). Infatti i mini rivelatori testé citati, furono prodotti dalla Hamamatsu a partire da wafer di 6 pollici, ovvero provengono dalla stessa ditta e la stessa tecnologia che ha prodotto il sensore TIB013 1 Come si vede dalla figura 5.2 in cui si riporta la corrente di buio a 500 V, per tutti i mini rivelatori misurati, si deduce che la densità di corrente per unità di volume svuotato vale: j = 155 na/cm 3 1 A rigore, il nome TIB013 indica il modulo e non il sensore.

83 5.2. STUDIO SUI SENSORI: CORRENTE DI BUIO 83 TIB 013 [ µ A] 0.4 I bias [V] V bias Figura 5.1: Curva corrente - tensione per il modulo TIB 013. Condizioni ambientali: temperatura = 24 o C; umidità relativa = 0.3 %. Dal valore di j, noto il volume si può stimare la I leak prevista. Nel caso in questione, il sensore é di tipo IB2 (equipaggiante il layer 3 del tracker inner barrel) e dai disegni delle maschere fornita si ricava un area utile di 61.5 mm per mm. Lo spessore del sensore é di 320 µm e quindi si ha un volume di 2.3 cm 3, il che porta ad una stima pari a: I leak = 0.36 µa per il rivelatore completamente svuotato in ottimo accordo con le misure riportate. Nella figura 5.3 é invece riportata la I leak per un prototipo di modulo barrel interno, in cui i sensori provengono dal Centre Suisse d Electronique et de Microtechnique, CSEM. Anche in questo caso l andamento della corrente I leak é in buon accordo con la 5.1. Tuttavia il valore di corrente é sensibilmente superiore a quanto riportato in 5.1. Ciò può essere dovuto sia ad una diversa qualità del substrato del sensore, sia al fatto che le misure sono state eseguite dopo aver collegato le strip ai canali di read-out. In quest ultimo caso, infatti, se l ossido che separa le strip metalliche dall impianto p + sul substrato presenta dei difetti (pinholes) la corrente può aumentare sensibilmente. In figura 5.4 si riporta invece la I leak di un prototipo di modulo barrel esterno (TOB011), in cui si hanno due sensori della ST-micron.

84 84 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Figura 5.2: Corrente a V b = 500 V in funzione del volume svuotato. Dati relativi a tutti i mini rivelatori misurati (per gentile concessione di B. Bernardi [23]).

85 5.2. STUDIO SUI SENSORI: CORRENTE DI BUIO 85 TIB Prototipo [ µ A] I bias [V] V bias Figura 5.3: Curva corrente - tensione per il modulo TIB prototipo. Condizioni ambientali: temperatura = 23.3 o C; umidità relativa = 6.6 %. TOB011 [ µ A] I bias [V] V bias Figura 5.4: Curva corrente - tensione per il modulo TOB 011. Condizioni ambientali: temperatura = n.d.; umidità relativa = n.d..

86 86 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO TOB009 pre-tb [ µ A] I bias [V] V bias Figura 5.5: Curva corrente - tensione per il modulo TOB 009. Condizioni ambientali: temperatura = 25 o C; umidità relativa = 23 %. Misure eseguite prima del Test Beam. Dal confronto dei dati relativi ai tre moduli sinora riportati, risulta che Hamamatsu e CSEM hanno una corrente di leakage nettamente migliore degli ST-micron. Come già detto, queste differenze sono dovute essenzialmente alla migliore qualità del substrato. In particolare, é probabile che il drift di corrente al variare di V b mostrato dagli ST-micron sia dovuto ad imperfezioni presenti soprattutto sui bordi del sensore, ovvero alla qualità nella fase di taglio dei wafer. Tuttavia ai fini del funzionamento del modulo nel tracciatore, questo non comporta seri problemi, in quanto, durante il funzionamento, ciò che realmente é importante é che la corrente I leak non superi un certo limite, che fissato, in sede di specifiche, in 20 µa per V bias = 450 V [20], e tutti i sensori stanno ampiamente al di sotto di questi margini. Va inoltre notato che le misure sinora riportate sono relative a rivelatori nuovi, ovvero non irraggiati. Le radiazioni presenti nell ambiente in cui sarà inserito il tracciatore hanno l effetto, tra gli altri, di aumentare enormemente la I leak. Si stima che alla fine dell esperimento i valori di I leak saranno cresciuti di 2 3 ordini di grandezza. A tale proposito si riportano due misure prese sullo stesso modulo, un prototipo di barrel esterno (TOB009). La prima é stata presa sul modulo nuovo ovvero appena bondato. La seconda, invece, sullo stesso modulo,

87 5.2. STUDIO SUI SENSORI: CORRENTE DI BUIO 87 TOB009 dopo TB [ µ A] I bias [V] V bias Figura 5.6: Curva corrente - tensione per il modulo TOB 009. Condizioni ambientali: temperatura = n.d.; umidità relativa = n.d.. Misure eseguite dopo Test Beam. differenza pre-post TB [ µ A] di leak [V] V bias Figura 5.7: Differenza tra I leak successiva e precedente al Test Beam. Modulo TOB 009.

88 88 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO dopo essere stato ad un test beam. Si nota che, al ritorno dal test beam, per effetto delle radiazioni subite, la corrente é aumentata notevolmente (circa 2 3 volte). In figura 5.7 é tracciato il rapporto tra la corrente del modulo irraggiato e la corrente dello stesso modulo, prima dell irraggiamento. La seconda, invece, sullo stesso modulo, dopo essere stato ad un test beam. Si nota che, al ritorno dal test beam, per effetto delle radiazioni subite, la corrente é aumentata di parecchio (circa 2 3 volte). In figura 5.7 é tracciato il rapporto tra la corrente del modulo irraggiato e la corrente dello stesso modulo, prima dell irraggiamento. Da questi dati é possibile stimare la fluenza di particelle a cui il modulo é stato sottoposto durante il Test Beam. Infatti, posto Φ la fluenza, l incremento di corrente per unità di volume svuotato I/V ol vale (vedi appendice A.2 a pagina 144): I leak V ol = αφ α = A/cm (5.2) Alla tensione di 160 V, la I leak vale 3 µa. A tale tensione il rivelatore é completamente svuotato, e quindi il volume della regione di svuotamento, V ol, coincide con il volume del sensore, pari a 93.8 mm. per 91.6 mm con uno spessore del silicio di 500 µm. Noti, pertanto, I leak e V ol, si ricava una fluenza Φ di: Φ = cm 2 A causa della notevole imprecisione con cui si stima I leak tale valore é puramente indicativo. Resta infine un commento relativo all andamento della curva di figura 5.7. In base alle 5.2 e 5.1 la differenza I leak, al variare della tensione V b, é proporzionale al volume svuotato, ed ha dunque una dipendenza del tipo Vb, dalla tensione V b, attestandosi ad un valore costante in corrispondenza della tensione di completo svuotamento. 5.3 Analisi del rumore Nello studio di un modulo rivelatore é di importanza fondamentale l analisi del rumore presente. Infatti, la presenza di un canale con rumore notevolmente diverso dalla media é sicuro indice di una anomalia presente su quel canale. Ad esempio, un valore di rumore eccessivamente basso indica che, probabilmente, il canale di read-out é interrotto in qualche punto della catena

89 5.3. ANALISI DEL RUMORE 89 Figura 5.8: Acquisizione di piedistallo. Dati relativi al chip APV6. (strip metallica, bonding, amplificatore di carica, shaper, buffer analogico, time-multiplexer). Un valore troppo alto di rumore può essere generato da molte cause, ad esempio un cortocircuito tra bonding adiacenti, o un difetto del sensore a silicio nella strip microsaldata al canale dell APV. In ogni caso un elevato rumore comporta un peggioramento del rapporto segnale su rumore e pertanto degrada le prestazioni del canale. Di seguito si riportano alcune misure prese su di un prototipo di modulo equipaggiato con quattro chip APV6, il predecessore dell odierno APV25. Per la presa dati é stato utilizzato il setup basato su crate VME, descritto in 4.1 a pagina 59. In figura 5.8 é riportato il piedistallo relativo ad una acquisizione di 1000 eventi. Si ricorda che la definizione di piedistallo p i relativo alla strip i esima é: p i = 1 n n 1 k=0 s i,k i = 0, (5.3) in cui n é il numero di eventi acquisiti e s i,k é il segnale k esimo della strip i esima, nell ipotesi che non ci sia carica raccolta dalla strip per effetto di ionizzazione. In questa figura sono visibili tre regioni. La prima, indicata con APV DATA é la porzione di segnale uscente dall APV in cui sono contenute le

90 90 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO letture dei 128 canali del chip. I dati relativi a ciascun canale sono accodati con una frequenza di 20 MHz ovvero con una durata di 50 ns, per ogni campione. Trattandosi di 128 letture la durata totale di questo segmento di segnale é di 6.4 µs. Il blocco di dati APV DATA é preceduto da un digital header, fornente alcune informazioni sullo stato del chip. Il segnale associato al digital header é di tipo numerico a due livelli, ed é cadenzato come i dati, ovvero a 50 ns. Complessivamente é composto da 12 campioni (bit) il cui significato é: bit 0, 1, e 3, nessuna informazione associata, sempre a livello logico alto. bit 2, bit di errore; se un errore é riconosciuto dal circuito di controllo interno al chip il livello logico viene posto basso. In questo caso é necessario un reset. bit 4 11 indirizzo della cella di memoria della pipeline da cui sono stati prelevati i dati forniti in uscita. La terza parte del segnale riportato in figura é indicata con il termine baseline ed é la tensione a cui si trova l uscita del chip in assenza di dati. Sulla baseline sono sovrapposti dei segnali (tickmarks) di durata pari a 50 ns e ripetuti periodicamente ogni 1.75 µs. Lo scopo dei tickmarks é di fornire un riferimento periodico per permettere la sincronizzazione, ad esempio, tra segnali provenienti da chip diversi, oppure tra l uscita dell APV ed eventuali segnali di controllo o temporizzazione. L acquisizione di piedistallo permette di valutare il rumore di un canale (strip). Per definizione il rumore di un canale n i é la deviazione standard degli eventi di piedistallo acquisiti, ovvero: n i = 1 n 1 (s i,k p i ) n 1 2 = 1 n 1 k=0 ( n 1 k=0 s 2 i,k n p2 i ) (5.4) dove p i, n e s i,k sono definiti come nella 5.3. Come già detto, il tracciatore di CMS é a lettura analogica, ovvero l informazione relativa ad ogni strip non é di tipo ON/OFF, bensì viene riportato il valore di tensione 2 presente all uscita di ogni canale di read-out. Questa modalità di lettura permette una drastica riduzione del rumore di modo comune con conseguente aumento del rapporto segnale rumore. 2 in realtà l APV fornisce un segnale in corrente, successivamente trasformato in un segnale in tensione all interno del FED, mediante un resistore da 100 Ω, avente l ulteriore compito di adattare la linea di trasmissione che collega l APV al FED stesso.

91 5.3. ANALISI DEL RUMORE 91 Figura 5.9: Esempio di piedistallo, rumore e rumore non coerente per un modulo equipaggiato con chip APV6. In ascissa é riportato il numero di strip, mentre in ordinata é riportato il valore espresso in conteggi ADC del FED.

92 92 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO 350 plot1 Nent = 0 Mean = RMS = Pedestal plot1 Nent = 0 Mean = RMS = Noise plot1 Nent = 0 Mean = RMS = Noise c.m.s Figura 5.10: Esempio di piedistallo, rumore e rumore non coerente per un modulo equipaggiato con chip APV25. Ascissa e ordinata come in figura 5.9.

93 5.3. ANALISI DEL RUMORE 93 Il rumore di modo comune (common mode noise) é quella frazione di rumore che é presente simultaneamente su tutti i canali di lettura del chip. Le possibili sorgenti di rumore di modo comune sono molteplici, ad esempio un disturbo sulla linea di alta tensione connessa al backplane del sensore, una interferenza (cross-talk) sulla connessione APV-FED, un disturbo sull alimentazione a bassa tensione dei chip... Una delle procedure possibili per valutare questo contributo di rumore é di seguito riportata 3 Posto di avere preventivamente eseguito una acquisizione di piedistallo, per ogni evento k esimo acquisito si calcola il residuo r k : r k = (s k,i p i ) k = 0, 1...n (5.5) 128 i=0 questa grandezza esprime lo spostamento degli eventi k esimi s i,k comune a tutte le strip, ovvero fornisce il contributo di rumore comune presente nell evento k esimo. Avendo stimato la frazione di rumore di modo comune presente nel corrente evento, é possibile correggere il segnale s i,k calcolato in precedenza sottraendovi il residuo r i. Per ogni evento si ha così un segnale s i,k = s i.k r k, pari al segnale che si avrebbe se non ci fosse il rumore comune. A questo punto si può calcolare il rumore rimanente, non dovuto a effetti comuni, come la deviazione standard degli eventi corretti attorno al piedistallo, ovvero: n cms i = 1 n 1 (s i,k r k p i ) n 1 2 i = 0, (5.6) k=0 Il rumore così calcolato prende il nome di rumore non coerente oppure rumore con modo comune sottratto (common mode subtracted noise, c.m.s. noise). In figura 5.9 é riportata una acquisizione di piedistallo, rumore e rumore non coerente relative ad un modulo con 512 strip e 4 chip APV. Dal confronto degli ultimi due grafici riportati in figura é evidente il miglioramento legato al calcolo del rumore non coerente. Implementando un algoritmo analogo a quello definito nelle 5.5 e 5.6 durante l acquisizione dati é possibile eliminare il rumore di modo comune durante la presa dati, migliorando così il rapporto segnale su rumore e, di conseguenza, le prestazioni dell intero tracciatore. 3 questa é quella che io ho implementato nel software di acquisizione utilizzato per le misure qui presentate.

94 94 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Come già detto le misure sinora descritte sono relative ad un modulo dotato di chip APV6. Successivamente é stato sviluppato un chip, APV25, realizzato con tecnologia CM OS 0.25 µm, rappresentante l evoluzione del chip APV6. In figura 5.10 sono riportati piedistallo, rumore e rumore non coerente, relativo ad una acquisizione eseguita su un modulo con chip APV25, precisamente il modulo etichettato come T IB013. In particolare si osservi il netto miglioramento del profilo di rumore, in cui sono scomparsi i gruppi di canali rumorosi presenti ogni 128 strip, ovvero nella zona di transizione tra un chip e quello successivo. Anche il piedistallo risulta notevolmente piú uniforme rispetto ai dati relativi all APV Rumore nella pipeline Come visto nel paragrafo a pagina 54, l invio di un impulso di durata 4 pari a 75 ns sulla linea di trigger del chip APV attiva una procedura di reset, indicata con il termine reset 101, in cui, tra le altro, si inizializza la memoria pipeline. Ne consegue che, se sulla linea di trigger si manda un segnale di reset 101 e, dopo un tempo T fissato, il segnale di trigger (ovvero, acquisizione), allora ogni evento letto risulta sempre memorizzato nella stessa cella di pipeline. Se, al contrario, il segnale di trigger non é preceduto da alcun reset 101, come é nel funzionamento normale del chip, i dati letti provengono da tutte le celle della pipeline 5. Ricordando quanto detto nel paragrafo precedente, relativamente al segnale in uscita da un chip, nella sezione di digital header é contenuto l indirizzo della cella di memoria da cui si é prelevato il dato. Sfruttando tale informazione, é dunque possibile compiere una acquisizione di piedistallo in cui gli eventi relativi ad un singolo canale non sono memorizzati in una variabile, bensì in un vettore, collocando l evento acquisito nella posizione specificata dall indirizzo contenuto nell header. In questo modo, invece di un vettore, in cui sono contenute le letture di 128 canali, si ottiene una matrice, la cui dimensione é pari al numero di canali (128 per chip) per il numero di celle della pipeline (160 nell APV6 e 192 nell APV25). 4 anche una coppia di impulsi di 25 ns, purché la durata complessiva sia entro 75 ns, sono riconosciuti come un unico impulso di 75 ns 5 a meno che il periodo di trigger sia esattamente un multiplo intero del numero di celle di pipeline moltiplicato il periodo di clock (ovvero il tempo di bunch-crossing, 25 ns), ma, in generale, questa situazione non si verifica.

95 5.3. ANALISI DEL RUMORE 95 events for cell Pipeline events profile Chi2 / ndf = / 8 Constant = Mean = Sigma = Figura 5.11: Distribuzione nelle celle di pipeline delle misure. In tal modo, i dati provenienti da celle diverse di pipeline non sono sovrapposti e le fluttuazioni del segnale legate alla non uniformità della pipeline non danno alcun contributo al calcolo del rumore. Un confronto tra i dati presi secondo la procedura appena descritta ed i dati presi normalmente, ovvero come descritto nel precedente paragrafo, permette di valutare il contributo di rumore dovuto alla pipeline. Questa analisi é stata condotta su un prototipo di modulo equipaggiato con chip APV6. Nel seguito si riportano i principali risultati ottenuti. Una prima acquisizione di piedistallo, secondo le procedure standard descritte nel paragrafo 5.3, fornisce un rumore medio pari a n 3.6 ADC. Il rumore cui si fa riferimento é quello privo della sottrazione del contributo di modo comune. Successivamente si é eseguita una acquisizione di piedistallo (con eventi) in cui la memorizzazione dei dati é effettuata nel modo descritto nel presente paragrafo, ovvero tenendo separati gli eventi provenienti da celle di pipeline differenti. Nel seguito si farà riferimento a questa acquisizione come acquisizione di piedistallo pipeline, oppure, piú brevemente, acquisizione pipeline. Anche in questo caso il rumore include il contributo di rumore di modo comune. Prima di passare allo studio del rumore é opportuna la verifica relativa alla uniformità nella distribuzione degli eventi sulle celle della pipeline. Se la distribuzione é effettivamente uniforme ci si deve attendere una media di 200 eventi per ognuna delle 160 celle (si ricorda che l acquisizione é stata fatta con eventi), distribuiti secondo una statistica di Poisson (con parametro λ = 200).

96 96 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Figura 5.12: Misure di rumore per ogni canale (strip) al variare della cella di pipeline.

97 5.3. ANALISI DEL RUMORE 97 Nella figura 5.11, a sinistra, é riportato il numero di eventi raccolti per ogni cella di memoria mentre a destra é riportato il relativo istogramma. É evidente una distribuzione intorno al valore atteso di 200 eventi per cella, ma per verificare se la distribuzione dei dati é compatibile con una statistica di Poisson occorre un test (ad esempio χ 2 ) per verificare la compatibilità tra i dati riportati nell istogramma e la funzione: p λ (n) = λn n! e λ λ = 200 (5.7) Per comodità, al posto del test sulla 5.7, si é eseguito un fit gaussiano 6. I valori attesi sono: media µ pari a 200 deviazione standard σ pari alla radice quadrata della media, ovvero 14.1 χ 2 ridotto di circa 1. I risultati ottenuti (vedi figura 5.11) sono µ = 200, σ = e χ 2 = 7.3/8, il che indica chiaramente che gli eventi sono distribuiti in modo uniforme sulle celle di memoria della pipeline. In figura 5.12 sono riportati i dati di rumore relativi all acquisizione di piedistallo pipeline, organizzati in una matrice di 160 celle di memoria per 128 canali. In figura 5.13 é invece tracciato l istogramma dei dati di fig Nella didascalia associata a tale istogramma é riportato il valore medio della distribuzione dei rumori, pari a 3.4ADC, ovvero inferiore al rumore della normale acquisizione di piedistallo (3.6 ADC, vedi sopra). Questa piccola differenza, di 0.2 ADC, é proprio il contributo di rumore dovuto alle difformità nelle celle della memoria pipeline. É possibile esaminare con maggiore dettaglio questo contributo. Ad esempio, in figura 5.14 sono riportati i valori di piedistallo relativi alle 160 celle di memoria per il canale numero 63. In questo caso le fluttuazioni di piedistallo sono elevate, di circa 5 ADC, e sicuramente questo comporta un aumento di rumore nella normale attività del chip. Va comunque osservato che il canale riportato in figura é un caso limite, le fluttuazioni, per gli altri canali, sono notevolmente inferiori. A tale proposito, in figura 5.15, a sinistra, é riportata la media delle misure di rumore per ogni strip, ovvero, indicato con n i,j il rumore della 6 si ricorda che per λ > 20, la statistica di Poisson é quasi uguale alla statistica di Gauss.

98 98 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Pipeline noise profile pipeprofile Nent = Mean = RMS = noise [ADC] Figura 5.13: Profilo delle misure di rumore riportate in fig strip (o canale) i, relativo alla cella di memoria j esima, il valore riportato in figura é calcolato come: n Avg i = n i,j i = 1, (5.8) 160 j=0 Nella parte a destra invece é riportata la deviazione standard dei piedistallo relativi ad ogni strip, ovvero, posto p i,j il piedistallo della strip i esima relativa alla cella j, in figura si riporta la quantità: σi P ed = (p i,j µ i ) 2 dove µ i = j=0 159 j=0 Il contributo di fluttuazione del piedistallo, σi P ed confrontabile con il rumore medio 7 n Avg i. p i,j i = 1, (5.9) é, in generale, di entità Nella parte destra, in basso é infine riportato il rapporto n Avg i cui si vede che il rumore σ P ed i 10 20% del rumore vero n Avg i 63, già riportata in figura /σi P ed, in introdotto dalla pipeline é, in generale, il, con un picco del 60% per la strip numero 7 da questi due termini si può stimare il rumore che si avrebbe nel modo normale di acquisizione. É la somma in quadratura navg i σi P ed dei due contributi.

99 5.3. ANALISI DEL RUMORE Pipeline pedestal strip 63 Nent = 160 Mean = RMS = ADC count pipeline address Figura 5.14: Tipica variazione del piedistallo in funzione della cella di memoria della pipeline. Misura riferita a Prototipo di modulo con APV6. Chip 1, strip 63.

100 100 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Average noise for every strip Pedestal-shift contribution to noise ADC n. chan Ratio ped-shift RMS / average noise n. chan n. chan Figura 5.15: Contributo di rumore indotto dalla pipeline. A sinistra, rumore medio di ogni strip (senza contributo di pipeline). A destra, in alto, contributo di rumore introdotto dalla pipeline. A destra, in basso, rapporto tra i due. Una possibile causa di queste fluttuazioni del piedistallo può derivare da non uniformità delle celle durante il processo di fabbricazione. Infatti, la memorizzazione delle letture nella memoria é, essenzialmente, una iniezione di carica elettrica in un condensatore, e la pipeline può essere vista come una matrice di 128 per 160 condensatori. Un difetto durante la produzione del chip può introdurre delle difformità, ad esempio, nelle dimensioni dei condensatori o nello spessore di ossido costituente il dielettrico. La capacità del condensatore e, quindi, l efficienza nell immagazzinare la carica, risulta così compromessa producendo segnali in uscita variabili al variare della cella di memoria letta. Un altra causa può risiedere nel sistema di multiplexer che seleziona e legge la cella specificata nel registro di latenza. Se gli stadi del multiplexer non sono tutti uguali, é possibile che la carica proveniente da alcune celle sia trasferita all uscita del chip con una diversa efficienza. Va osservato che tale problema é noto ai progettisti dei chip APV e la versione radiation hard a 0.25 µm (APV25) successiva all APV6, su cui la presente analisi é stata condotta, ha ridotto di molto questi problemi. La versione corrente del chip di read-out dei moduli del tracciatore CMS é praticamente esente da questo disturbo.

101 5.3. ANALISI DEL RUMORE 101 Noise at 150 V. PEAK Noise at 150 V. Deconvolution Noise peak / deconv. Noise deconv/peak Mean = Figura 5.16: In alto, rumore in modo picco e deconvoluzione. rapporto tra i due. Rivelatore polarizzato a 150 V. In basso, Funzionamento in modo deconvoluzione Le misure sinora riportate sono state acquisite con i chip del modulo programmati per il funzionamento in modo picco. Come visto nel paragrafo a pagina 52, in questa configurazione il segnale uscente dagli amplificatori di carica non é sottoposto ad alcun filtraggio numerico. Un altro modo di funzionamento del chip APV é il modo di deconvoluzione, grazie al quale, mediante apposito filtraggio numerico, l impulso uscente dall amplificatore di carica viene ristretto in modo tale da non generare ambiguità nella identificazione dell elemento di traccia. Per maggiori dettagli si può fare riferimento all appendice B.2 a pagina 153, oppure [49], [48] Oltre alla riduzione della durata di impulso, un effetto dell operazione di deconvoluzione é la variazione del rumore uscente dall amplificatore.

102 102 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO In particolare, il rumore di tipo serie aumenta, mentre il rumore parallelo diminuisce. Posto σ 2 ps e σ 2 pp il rumore, serie e parallelo rispettivamente, in uscita dall amplificatore di carica con shaper 8, dopo il filtraggio di deconvoluzione il rumore sarà: σ 2 ds = σ 2 ps(e (x 1) /x + 4x e (x+1) /x) (5.10) σ 2 dp = σ 2 pp(e (x 1) /x 4x e (x+1) /x) (5.11) dove x = T C /τ é il rapporto tra il periodo di campionamento del segnale e la costante di tempo dello shaper. Nel caso specifico x = 25/50 = 0.5. e si ottiene dunque σ 2 ds = 1.53 σ 2 ps σ 2 dp = 0.44 σ 2 pp (5.12) In figura 5.16 é riportato il rumore non coerente 9 per ogni strip, relativo ad un modulo barrel esterno (512 strip), polarizzato a 150 V. Nella parte alta della figura sono riportati i valori relativi alla misura effettuata in modo picco (a sinistra) ed in modo deconvoluzione (a destra). Nella parte inferiore della figura é riportato il rapporto tra il rumore in modo deconvoluzione e il rumore in modo picco con relativo istogramma. La media su tutte le 512 strip del modulo fornisce un rapporto medio deconvoluzione / picco pari a 1.18, ovvero il sistema é piú rumoroso se sul chip é impostata l operazione di deconvoluzione. Questo é coerente con le caratteristiche costruttive del chip. Infatti, in un amplificatore a CMOS, il rumore dominante é quello serie che, come visto, per effetto della deconvoluzione, aumenta. Se il rumore é esclusivamente di tipo serie e proviene solo dagli stadi di preamplificazione e dal sensore, in base alla prime delle equazioni 5.12 il rapporto stimato e di σ ds = 1.23 σ ps, in ottimo accordo con il valore σds meas = 1.18 σps meas misurato. In conclusione, l inserzione di un filtro numerico di deconvoluzione ha l effetto di aumentare il rumore in uscita dall amplificatore di read-out. Tale aumento é però di lieve entità e largamente compensato dai benefici indotti dalla riduzione della durate del segnale, argomento questo discusso in dettaglio nel prossimo paragrafo. 5.4 Risposta all impulso di calibrazione Nel chip APV é integrato un circuito di calibrazione. Esso é in grado di depositare sull ingresso di un canale una carica elettrica, qualora sulla linea 8 questo é il rumore in uscita dal chip in modo picco 9 ovvero con il contributo di modo comune sottratto

103 5.4. RISPOSTA ALL IMPULSO DI CALIBRAZIONE 103 Channel 1 Strip 72 pulse shape Channel 1 Strip 72 pulse shape p(t) [ADC] p(t) [ADC] t [ns] t [ns] Figura 5.17: Segnale generato da un impulso di calibrazione, al variare del ritardo. Misure in modo picco (a sinistra) e deconvoluzione (a destra). di trigger dell APV sia presente un impulso con durata di 50 ns. Il circuito é programmabile, precisamente: é possibile impostare la quantità di carica da iniettare, il ritardo con cui iniettarla e in quale insieme di canali la carica va depositata. Sfruttando questo circuito é possibile ricostruire l andamento temporale del segnale uscente dagli amplificatori di carica e shaper dell APV stesso. Per eseguire questa misura é necessario disporre di un segnale, sulla linea di trigger dell APV, in cui un impulso di 50 ns sia seguito, a tempo t L fisso, da un impulso di trigger (ovvero di durata pari a 25 ns). Il registro di latenza del chip deve essere impostato in modo da adattarsi a t L, ovvero LAT = t L [ns]/25 ns. Tenendo costante la quantità di carica, iniettata su tutti i canali (non contemporaneamente), e variando il ritardo fine tra l impulso di calibrazione e l istante di iniezione della carica si ricostruisce la forma d onda impulsiva uscente dallo shaper. Il ritardo fine può essere variato a passi di ns su un intervallo temporale da 0 a 25 ns, per ritardi superiori a 25 ns é sufficiente cambiare di una unità il contenuto del registro di latenza e far variare nuovamente il ritardo fine del circuito di calibrazione. In questo modo può essere ricostruito l impulso su tutto l intervallo temporale in cui é presente. In figura 5.17 sono riportati gli andamenti temporali tipici dei segnali uscenti dal chip, configurato in modo picco (a sinistra) e deconvoluzione (a destra). Le acquisizioni sono state effettuate su un modulo barrel esterno

104 104 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO (precisamente TOB011) con il backplane del sensore alimentato a 300 V. Come visto nell appendice B.2 la riduzione dell ampiezza massima dei segnali di deconvoluzione può derivare dalla durata di campionamento, non infinitesima, del segnale. In tale appendice si é inoltre riportato il legame tra la diminuzione dell impulso di deconvoluzione e la durata di campionamento (vedi figura B.8 a pagina 162). Posto A il rapporto tra il valore massimo dell impulso di deconvoluzione d(t MAX ) e il massimo dell impulso di picco p(t MAX ), dai valori riportati nella figura 5.17 si ricava A = 0.80 da cui si ricava una durata di campionamento t sample 21 ns. Va però osservato che nel modello riportato in appendice B.2 non si sono considerati alcuni elementi che potrebbero modificare questo valore. Ad esempio, in una situazione reale, l iniezione della carica all ingresso dell amplificatore di lettura non avviene in tempo nullo, secondo una delta di Dirac, come normalmente ipotizzato nelle simulazioni, bensì viene depositata in un tempo finito. Questa deposizione, può modificare la risposta in uscita dallo shaper e, di conseguenza, i profili del segnali di picco e di deconvoluzione misurati. 5.5 Risposta al segnale Come descritto nel precedente capitolo, il setup sperimentale presente a Torino 10 é in grado, oltre a misure su un segnale interno, ovvero generato dalla stessa elettronica di lettura, di eseguire misure su un segnale fisico, ovvero risultante dalla produzione di coppie elettrone - lacuna all interno del sensore in silicio. Il componente hardware specificamente progettato a tale scopo é la scheda laser, già descritta in dettaglio nella sezione 4.2 a pagina 66. Le analisi e gli studi condotti sono molteplici, nella seguente sezione sono descritti i procedimenti di misura e gli algoritmi di analisi impiegati per la ricostruzione del segnale, mentre nei paragrafi successivi saranno esposti i principali risultati ottenuti. In generale una singola misura comprende i seguenti passi Una acquisizione iniziale di piedistallo, ovvero in assenza di segnale. Accensione del laser e posizionamento del collimatore sul sensore. É possibile un posizionamento tridimensionale, la convenzione utilizzata é di definire come asse x, l asse orizzontale ortogonale alle strip del 10 questa é una caratteristica specifica dell allestimento di misura sviluppato a Torino e non é uno standard all interno degli istituti coinvolti nella costruzione e nel test dei moduli del tracciatore CMS.

105 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 105 laser profile signal [ADC] laser profile Nent = 0 Mean = RMS = n. strip Figura 5.18: Segnale laser raccolto dalle strip di un rivelatore. modulo, asse y l asse orizzontale parallelo alle strip e asse z, l asse verticale, ortogonale al piano in cui giace il modulo. Acquisizione dati con il laser acceso. Viene inviato un impulso di durata variabile entro 5 25 ns. Dopo un tempo t d pari alla latenza impostata nell APV (t d = LAT 25 ns), viene inviata una richiesta di trigger sul modulo, in questo modo gli APV risponderanno restituendo la lettura memorizzata al tempo LAT 25 ns, ovvero nell istante di attivazione dell impulso laser. Si eseguono n letture e se ne calcola media e varianza. D ora in poi si fa riferimento a questa procedura con il termine piedistallo laser. Si calcola la differenza tra piedistallo e piedistallo laser. Il risultato é il profilo di segnale riportato in figura 5.18, si noti come il segnale generato dalla carica raccolta sia negativo. Ciò é dovuto allo schema elettrico dell APV, progettato in modo da fornire una tensione negativa quando all ingresso dell amplificatore é presente una carica di segno positivo. Su questi dati viene applicato un algoritmo di cluster con lo scopo di ricavare le informazioni salienti contenute nel profilo. L algoritmo di cluster opera nel seguente modo (vedi figura 5.19, dove per comodità il segnale é stato invertito di segno): Si cerca il massimo del segnale e lo si memorizza. Sono definite due soglie, una principale indicata come cut1 ed una secondaria, indicata con cut2.

106 106 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Figura 5.19: Algoritmo di cluster. Sono riportate le due soglie utilizzate e l insieme di canali selezionati. Nel cluster sono incluse, partendo dal massimo, tutte le strip con segnale maggiore di cut1. Sono inoltre esaminate, da entrambi i lati del cluster le prime quattro strip. Se superano la soglia secondaria, cut2, sono incluse nel cluster. Infine vengono ancora aggiunte le prime due strip da ogni lato del cluster. L algoritmo fornisce, come dati in uscita, il valore massimo ed il segnale totale del cluster (entrambi espressi in conteggi ADC), la sua posizione e al sua estensione spaziale. Il chip APV dispone di uno stadio invertente interno, ovvero di uno stadio amplificatore con guadagno pari a 1. Lo scopo di questo stadio é di aumentare la dinamica di uscita (ovvero l intervallo di linearità) del chip. Infatti, per segnali con tensione in uscita negativa, l intervallo di linearità, specificato dai progettisti dell APV [36], é di circa 2.8 mip, dove 1 mip é la carica depositata da una particella al minimo di ionizzazione (minimum ionizing particle, mip). Per segnali con tensione in uscita positiva, l intervallo di linearità é invece di 4 mip, circa. Il circuito invertitore presenta sia vantaggi sia svantaggi, vediamo quali.

107 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 107 La polarizzazione dei 128 invertitori di un chip é compiuta mediante un unico resistore, comune a tutti i canali. In questo modo il circuito riduce notevolmente la propria sensibilità ai rumori di modo comune, con conseguente incremento del rapporto segnale su rumore. La connessione di polarizzazione comune aumenta l effetto di saturazione indotto sul chip per effetto di una elevata deposizione di carica, quale si può verificare, ad esempio nei fenomeni di alta ionizzazione in seguito ad urti adronici anelastici nel silicio (fenomeno di high ionizing particle, HIP). Quest ultimo effetto é descritto, con maggiore dettaglio nel seguente paragrafo Comportamento per alti segnali Le misure eseguite durante il Test Beam X5, eseguito nell ottobre 2001 mostrano un arresto nel funzionamento del chip APV25 in seguito ad una forte iniezione di carica (dell ordine di MIP) all interno del sensore, per un tempo morto, nel caso peggiore, pari a t d 1200 ns. Questo fenomeno é stato investigato, con grande accuratezza, [34], [36] ed é stata trovata una modifica circuitale che riduce il tempo morto, t d, del chip in presenza di HIP. Precedentemente, in modo indipendente, nell aprile 2001, a Torino, sono state effettuate alcune misure, simulanti una HIP, mediante illuminazione del modulo con un fascio laser ad alta intensità. In figura 5.20 sono riportati i risultati delle misure eseguite a Torino. Il modulo é stato illuminato con un fascio laser fortemente sfocato, in modo da distribuire la carica sul piú ampio numero di strip. Mantenendo costante le caratteristiche del laser, si sono compiute una serie di acquisizioni di piedistallo laser, a diversi valori di latenza. La tensione di alimentazione del sensore é stata fissata a V = 100 V, il chip é stato configurato per operare in modo picco e la durata dell impulso laser é di 25 ns. La larghezza del fascio di luce del sensore é di circa 1 mm. Per ogni valore di latenza, il piedistallo laser é stato calcolato con 100 eventi. Per chiarezza le curve riportate in 5.20, relative ai piedistallo laser per le varie latenze, sono state traslate di 30 ADC, rispetto alla precedente, in modo da separare le curve. La curva piú in alto, senza offset, rappresenta il piedistallo laser acquisito alla latenza nominale di 105 bunch crossing, ovvero alla latenza che, in caso di un segnale piccolo e focalizzato su poche strip, fornisce il segnale massimo in uscita.

108 108 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Figura 5.20: Saturazione di tutti i canali dell APV, in seguito a forti iniezioni di carica.

109 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 109 Le curve successive riportano i piedistallo laser ottenuti per decremento progressivo della latenza, ovvero rappresentano lo stato del chip nei bunch crossing successivi alla sovra-deposizione di carica nel sensore. Il registro di latenza é diminuito di una unità per ognuna delle curve (passando così da 105 a 104, ) tranne che nelle ultime curve dove il decremento é di 4 unità. Come si vede, il chip presenta un fenomeno di saturazione in tutti i canali per un tempo pari a bunch crossing, ovvero il tempo morto t d vale t d = (105 80) 25 = 625 ns, un tempo inferiore a quanto riscontrato nelle misure sugli APV25 durante il test beam [34], [36], ma comunque non trascurabile. A tale proposito, va osservato che il modulo sotto studio era equipaggiato con chip APV6, predecessori degli odierni APV25. Le indagini iniziali, svolte dal gruppo di microelettronica dell Imperial College di Londra, hanno identificato nello stadio invertente citato nel precedente paragrafo la causa della comparsa del tempo morto t d nel chip. Secondo questa ipotesi il chip APV6, privo di tale stadio, dovrebbe dunque essere privo di tale difetto. In realtà, come appena mostrato, anche nell APV6, in presenza di forti segnali, si ha un tempo morto nel funzionamento del chip. Ulteriori studi sull APV25 hanno poi mostrato che esso presenta un tempo morto non nullo anche se lo stadio invertente non é abilitato. In conclusione, lo stadio invertitore é una delle cause, ma non l unica, del blocco del funzionamento dei chip APV, in presenza di alti segnali in ingresso. A tutt oggi, ulteriori cause non sono ancora state identificate. Una possibile spiegazione é legata alla presenza di induttanze parassite sulle linee di alimentazione. Infatti, in presenza di ampi segnali su tutte le strip del rivelatore, il chip di read-out risponde emettendo impulsi di corrente su tutti i canali di preamplificazione. La corrente in uscita é, ovviamente, prelevata dalle linee di alimentazione che si trovano, pertanto, a dover fornire un elevato picco di corrente in breve tempo. Ricordando che un segnale pari ad una mip (minimum ionizing particle) in un rivelatore di spessore pari a 300 µm produce, all uscita dell APV, un segnale di 1 ma e che il tempo di integrazione dello shaper nell APV é di 50 ns possiamo stimare una richiesta di corrente, per ogni chip, di circa 100 ma (1 ma per 100 strip) in 50 ns. Assumendo che in un modulo vi siano 4 chip, la sovracorrente risulta dunque di 400 ma per modulo. L induttanza per unità di lunghezza, per un cavo libero é pari a L/l = µ 0 = 4π 10 7 H. Assumendo una lunghezza totale delle linee di alimentazione dei chip di 10 cm si ha L = 4π 10 8 Hpossiamo valutare la caduta di tensione indotta

110 110 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO dal picco di corrente richiesto. V = L i t = 4π V Ricordando che le tensioni di alimentazione del chip APV sono 2.5 V e 1.25 V possiamo concludere che l induttanza parassita di 10 cm di linea di alimentazione é sufficiente, in caso di accensione simultanea di tutte le strip di un modulo, per produrre una elevata variazione di tensione di alimentazione (circa l 80%). In tali condizioni é ovvio che il. funzionamento del chip sia fortemente compromesso. Va comunque osservato che le argomentazioni qui accennate possono trovare piena conferma solo con uno studio dettagliato del componente, in cui vengano simulate le situazioni appena descritte. Tale studio, attualmente, non é ancora stato eseguito Geometrie del rivelatore La lente di collimazione posta come terminazione della fibra ottica trasportante il segnale laser permette una focalizzazione del fascio entro pochi µm, questa caratteristica può essere utilizzata per uno studio accurato della geometria della superficie del rivelatore. Infatti, ponendo il piano focale della lente in coincidenza della superficie del sensore, si iniettano i fotoni in una regione molto circoscritta del rivelatore. Con un accurato movimento del collimatore lungo la direzione ortogonale alle strip, é possibile, dall analisi della carica raccolta al variare della posizione del fascio laser, valutare le caratteristiche geometriche del rivelatore, oltre alle dimensioni del fascio stesso. Infatti, nelle regioni del rivelatore coperte dalle strip metalliche il fascio di luce laser viene in gran parte riflesso e quindi il segnale risulta assai ridotto (vedi figura Effettuando una sequenza di piedistalli laser (vedi paragrafo 5.5) e variando ogni volta la posizione del fascio incidente si ottiene, se il fascio di fotoni é focalizzato nell intorno della superficie del sensore, la curva di figura 5.22, in cui é riportata la carica totale del cluster (espressa in conteggi ADC) al variare della posizione x del raggio laser. Con opportune ipotesi sulla geometria del fascio incidente é possibile stimare la risposta del rivelatore lungo x. Il fascio di luce uscente dal collimatore ottico é ben rappresentato da un fascio gaussiano a geometria cilindrica, con asse coincidente con l asse del collimatore (asse z).

111 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 111 Figura 5.21: Segnale misurato al variare della posizione. Gli effetti di diffusione, indotti sia dall aria, sia dalle imperfezioni costruttive della lente collimatrice possono essere modellati, in prima approssimazione, come una coda non gaussiana ad ampiezza costante entro un certo raggio d q (vedi figura 5.21). Per calcolare la risposta del rivelatore é conveniente valutare i due contributi, gaussiano e coda in modo separato. La risposta complessiva sarà la somma pesata dei due termini. Per il contributo gaussiano, si tratta di calcolare un integrale in tutto il piano 11 x y ad eccezione della regione in cui si trova la strip metallica. Per comodità l asse y si suppone allineato con la strip. Indicando con x st il punto medio della strip metallica e con w la sua larghezza il contributo del termine gaussiano é dato da: I g (x) = 1 = 1 dy xst+w/2 x st w/2 xst+w/2 x st w/2 dx 1 (x x) 2 2πσ 2 e 2σ 2 e y 2 2σ 2 1 2πσ e (x x) 2 2σ 2 dx (5.13) in cui x é la posizione del fascio luminoso (la sua posizione in y é irrilevante) e σ definisce la dimensione del fascio stesso. 11 per non confondere la posizione x del fascio con la variabile di integrazione lungo l asse x, quest ultima si indica con la lettera x.

112 112 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO dove: Ponendo t = (x x)/( 2σ) si ottiene: I g (x) = 1 2 b e t2 dt (5.14) 2 π a a = x st + w/2 x b = x st w/2 x σ σ Ricordando la definizione di funzione di errore Erf(x): Erf(x) = 2 x e t2 dt (5.15) π 0 si ottiene: I g (x) = 1 [ ( ) ( )] xst + w/2 x xst w/2 x Erf Erf 2 σ σ (5.16) Per il contributo della coda non gaussiana occorre eseguire il seguente integrale: I q (x) = 1 1 u(d πd 2 q r)da (5.17) q A in cui A é la regione del piano x y delimitata da (x st w/2) < x < (x st + w/2), e u(d q r) é la funzione gradino : u(d q r) = { 0 per r > dq 1 per r d q (5.18) dove r = (x x ) 2 + y 2 é un punto di una circonferenza con centro in (x, 0) (asse del fascio luminoso) e d q é il raggio della circonferenza del contributo non gaussiano Utilizzando coordinate cartesiane si ha: I q (x) = 1 1 πd 2 q ponendo ξ = x x si ha: dy xst+ w 2 x st w 2 dx u(d q r) (5.19) I q (x) = 1 1 πd 2 q dy ξb ξ a dξ u(d q r) (5.20) in cui: ξ a = x st w 2 x ξ b = x st + w 2 x

113 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 113 la funzione a gradino conduce ai seguenti estremi di integrazione: I q (x) = 1 1 πd 2 q y0 y 0 dy b a dξ (5.21) dove y 0 = d 2 q ξ 2 (circonferenza di raggio d q ) e a e b sono gli estremi di integrazione in ξ, così definiti: a = b = d q per ξ a < d q ξ a per d q ξ a d q (5.22) d q per ξ a > d q d q per ξ b < d q ξ b per d q ξ b d q (5.23) d q per ξ b > d q ovvero, se il generico punto ξ della circonferenza é al di fuori della regione della strip metallica i due estremi, ξ a e ξ b coincidono e dunque l integrale a secondo membro di I q (x) é nullo. Se il punto é all interno della strip metallica almeno uno dei due estremi di integrazione non é pari a ±d q e l integrale non é nullo. Si ottiene dunque: I q (x) = 1 2 πd 2 q b a d 2 q ξ 2 dξ (5.24) La funzione primitiva dell integrale e : F (ξ) = d 2 q ξ 2 dξ = ξ ( ) d 2 2 q ξ 2 + d2 q ξ 2 arcsen d q (5.25) una via possibile per risolvere questo integrale e : d 2 q ξ 2 dξ = d 2 q ξ 2 dξ = d 2 q ξ 2 d 2 q dξ d 2 q ξ 2 ξ 2 d 2 q ξ 2 dξ da cui ( ) ξ d 2 q ξ 2 dξ = d 2 qarcsen d q ξ 2 d 2 q ξ 2 dξ integrando per parti a secondo membro: f = d 2ξ g = ξ 2 q ξ 2

114 114 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO ovvero: da cui il risultato. ( ) { ξ } d 2 q ξ 2 dξ = d 2 qarcsen ξ d d 2 q ξ 2 + d 2 q ξ 2 dξ q ( ) ξ 2 d 2 q ξ 2 dξ = d 2 qarcsen + ξ d d 2 q ξ 2 q si giunge pertanto al risultato: I q (x) = 1 1 [ ξ πd 2 b d 2 q ξb 2 + d2 qarcsen q )] d 2 qarcsen ( ξa d q ( ) ξb d q ξ a d 2 q ξ 2 a + (5.26) in cui la dipendenza da x é in ξ a e ξ b. La risposta totale del rivelatore sarà una somma pesata dei due contributi I g (x) e I q (x) ora calcolati: I(x) = A g I g (x) + A q I q (x) (5.27) Tale funzione dipende da sei parametri, precisamente: l ampiezza del contributo gaussiano A g, la sua varianza σ, l ampiezza del contributo non gaussiano A q, il suo raggio d q, la larghezza della strip metallica w e il punto medio della strip metallica x st. É possibile eseguire un fit della funzione 5.27 con i dati misurati e trovare la stima migliore dei parametri ora citati. In figura 5.22 sono riportate le misure eseguite spostando la sorgente laser in un intervallo di 180 µm. Il valore riportato in ordinata é la carica totale 12 del cluster al variare della posizione x del fascio. Si osservano tre minimi, corrispondenti alle metallizazioni di tre strip. L intervallo di misura in x é stato suddiviso in tre regioni uguali, scelte in modo da avere un minimo di segnale ciascuna, e su ogni regione é stato effettuato un fit. La tabella sotto alla figura 5.22 riporta i parametri dei tre fit; nelle ultime due colonne é riportato il valore di χ 2 ottenuto e l errore medio su ogni punto ɛ, calcolato come ɛ = χ 2 /ndf (ndf = numero di gradi di libertà). In generale, ogni parametro mostra una notevole riproducibilità, segno, questo, di robustezza e stabilità nel procedimento di simulazione. Dai valori dei parametri A g, σ, A q e d q si può dedurre che il fascio laser é composto al 75% da un picco gaussiano con estensione di ±5 µm, e al 25% da una coda non gaussiana di 20 µm. 12 la valutazione analitica di I(x) é ottenuta mediante integrazione su tutto il piano x y e rappresenta dunque la carica totale raccolta.

115 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 115 Laser vs position. ampl. [ADC] position [um] BEST FIT PARAMETERS x st w A g σ A q d q χ 2 ɛ [µm] [µm] [ADC] [µm] [ADC] [µm] [ADC] Figura 5.22: Segnale laser al variare della posizione x. Modulo TIB prototipo. Il passo interstrip viene stimato pari a: p 1,2 = x st,2 x st,1 = 61 µm p 2,3 = x st,3 x st,2 = 60.9 µm (5.28) In ottimo accordo con il valore di passo p = 61 µm definito dal costruttore del sensore (Hamamatsu Photonics). La larghezza della strip metallica risulta invece di w 10 µm. Su tale grandezza non si dispone dei dati forniti dal costruttore. In generale, i rivelatore a microstrip in silicio del tracciatore CMS hanno un rapporto w/p di circa 0.25 e quindi, con questo passo, ci si dovrebbe attendere una larghezza di 15 µm. Va però osservato che il modulo, TIB prototipo, su cui é stata condotta la misura, é equipaggiato con sensori costruiti prima della definizione delle caratteristiche dei sensori utilizzati per il tracciatore e quindi, non rispettano necessariamente il rapporto w/p = Le misure e le analisi ora descritte per un modulo TIB sono state successivamente eseguite per un modulo barrel esterno, precisamente il modulo TOB009. I risultati ottenuti sono riportati in figura 5.23 e i parametri dei fit sulle due strip sono nella tabella allegata alla figura. In questo caso, i valori di A g, σ, A q e d q portano a stimare il fascio laser composto al 85% da un picco gaussiano con estensione di ±10 µm, e al

116 116 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Laser vs position. ampl. [ADC] position [um] BEST FIT PARAMETERS x st w A g σ A q d q χ 2 ɛ [µm] [µm] [ADC] [µm] [ADC] [µm] [ADC] Figura 5.23: Segnale laser al variare della posizione x. Modulo TIB prototipo. 15% da una coda non gaussiana di 45 µm. In questo caso i parametri del fascio appaiono diversi da quanto visto nel TIB. La maggiorazione dei valori di σ e d q é, probabilmente, conseguenza di una focalizzazione non perfetta del fascio. A tale proposito, va osservato che, anche se leggermente defocalizzato la forma del fascio dovrebbe rimanere la stessa, ovvero il rapporto d q /σ dovrebbe essere lo stesso nei due casi. Le misure eseguite portano alle seguenti stime: d q σ 4 per il T IB d q 4.5 per il T OB (5.29) σ in buon accordo tra loro, considerando l imprecisione delle stime. Anche il rapporto A g /A q dovrebbe risentire della stessa invarianza di scala, va però ricordato che ciò é vero solo se le ampiezze dei segnali misurati sono compresi nell intervallo di linearità dell elettronica di lettura. Le misura eseguite sull APV [37] mostrano un intervallo di linearità di circa 100 ADC. Questo implica che l ampiezza del segnale laser raccolto dal modulo TOB009 (circa 120 ADC) é tale da far operare il chip fuori dalle condizioni di linearità con conseguente deformazione della curva di risposta del segnale al variare di x.

117 5.5. RISPOSTA AL SEGNALE 117 Pertanto, ai fini del rapporto tra le ampiezze, non é possibile comparare le misure eseguite sul modulo TIB prototipo con quelle eseguite sul TOB009. Le misure permettono invece una stima affidabile della larghezza w e del passo interstrip p = x st,2 x st,1 del sensore. Si ha: w = 52 µm p = x st,2 x st,1 = 185 µm Per i sensori equipaggianti il modulo TOB009 sono disponibili i dati di progetto, in quanto essi sono realizzati in modo conforme alle specifiche del tracciatore [20] Il passo interstrip nominale é p = 183 µm, in ottimo accordo con la nostra stima e la larghezza nominale é w = 58 µm, in buon accordo con il valore di 52 µm ricavato dal fit. La sottostima di w é, probabilmente, conseguenza degli effetti diffrattivi che si generano sui bordi della metallizazione Mancata risposta al segnale Le misure sinora riportate riguardano strip e canali del chip di lettura con un comportamento conforme a quanto teoricamente previsto. In realtà é possibile che, sebbene in presenza di carica generata sulla strip del sensore, l uscita corrispondente non produca alcun segnale. In tal caso si parla di strip, o canale, morto. Le cause di morte di un canale possono essere molteplici, ad esempio: microsaldatura (bonding) interrotto, o assente, tra il sensore e l adattatore di passo (pitch adapter 13 ); bonding interrotto, o assente, tra il pitch adapter e l APV; guasto, o interruzione, interna nell APV; cortocircuiti verso massa lungo la linea di connessione strip - amplificatore; rottura di un ingresso nel primo stadio del multiplexer dell APV; difetti nei circuiti di memorizzazione - lettura della pipeline dell APV. Oltre ai difetti, testé citati, il cui effetto é di non produrre segnale al passaggio di una traccia ionizzante nel sensore, esistono altri difetti, il cui 13 il pitch adapter é un circuito avente le funzioni di raccordo tra l APV, i cui canali hanno gli ingressi distanziati di 44 µm, l uno dall altro, e il sensore, le cui strip hanno un passo variabile da 80 a 180 µm.

118 118 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Conteggio di eventi. Soglia a 60 ADC. Inv. OFF Conteggio di eventi. Soglia a 60 ADC. Inv. ON counts 70 counts channel channel Figura 5.24: Occupanza. Numero di segnali superiori a 60 ADC presenti su ogni strip. risultato é di produrre una risposta fortemente alterata, ad esempio ampiezza ridotta, impulsi temporalmente allargati, interferenze tra canali adiacenti (cross-talk),... Uno dei difetti tipici generante questo tipo di anomalie é il contatto indesiderato tra due o piú fili di bonding, il cui effetto é di distribuire la carica raccolta da una strip su piú ingressi dell amplificatore di read-out. La disponibilità di una sorgente laser permette di effettuare un test per l identificazione di canali morti o inefficienti. D ora in poi si indicherà questo test con il termine di test di occupanza 14 La procedura di acquisizione é la seguente. Si effettua una acquisizione preliminare di piedistallo, ovvero senza sorgenti laser attivate. Si attivano contemporaneamente due processi: uno di movimentazione lungo l asse ortogonale alle strip (asse x) della lente di collimazione, un altro di lettura dati dalla scheda di acquisizione (FED). Il movimento in x della sorgente é eseguito con velocità uniforme lungo l intera larghezza del sensore, in modo da illuminare uniformemente tutte le strip del modulo. L acquisizione dati, contemporanea al movimento in x, ma non sincronizzata con esso, é attivata per tutta la durata del movimento della 14 da non confondere con la occupanza (occupancy) definita per il tracciatore.

119 5.6. RISPOSTA ALL IMPULSO DI BACKPLANE 119 sorgente. Per ogni evento, si prevede l invio di un impulso laser e, dopo opportuno ritardo, la lettura del dato presente, a cui viene sottratto il piedistallo precedentemente memorizzato. Sul segnale così ottenuto si applica un taglio e, per ogni canale, si conta quante volte un canale supera tale soglia. Al termine della procedura si ottiene una misura in cui, per ogni strip (canale), é indicato il numero di volte che il segnale ha superato la soglia specificata. Le strip morte o difettose mostreranno un numero di conteggi nettamente inferiore, rispetto alla medie. In aggiunta, le strip con alto rumore mostreranno un eccesso di conteggi. In figura 5.24 é riportato il risultato di un test di occupanza, eseguito sul modulo barrel esterno TOB 009. Durante la misura il modulo é stato polarizzato ad una tensione di V b = 200 V, sono stati raccolti eventi, la durata dell impulso laser era di 5 ns e la sua ampiezza era tale da generare un segnale con massimo di circa ADC. La soglia é stata imposta a 60 ADC, circa 2/3 del massimo. La misura é stata eseguita sia con l inverter APV abilitato, sia senza inverter. Dall esame dei dati in figura si osserva come la quasi totalità delle strip risponda al segnale per circa 60 volte, durante l acquisizione, fatta eccezione per le strip morte, 479 e 507, in cui non compare alcun conteggio. Le strip 8 e 78 si comportano come canali morti solo se l inverter dell APV é inserito (parte destra della figura 5.24), altrimenti mostrano un conteggio non nullo (anche se la strip 78 ha un numero di eventi sopra soglia sensibilmente inferiore alla media). Questo permette di concludere che, per queste ultime due strip, il componente difettoso é, probabilmente, l invertitore. Le misure e le considerazioni svolte nel presente paragrafo non sono delle vere e proprie analisi. Sono, piuttosto, un possibile contributo nelle strategie di misura per giungere, velocemente ed in modo affidabile, alla valutazione della qualità di un modulo, argomento che verrà ulteriormente trattato nel seguito. 5.6 Risposta all impulso di backplane Nel precedente paragrafo si é visto come sia possibile, in modo semplice ed accurato, tramite un fascio laser, identificare i canali cattivi presenti su un

120 120 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO HV in 100k HV out 5k BP in nF Figura 5.25: Schema elettrico del filtro utilizzato per iniettare l impulso di backplane sui moduli TIB. modulo. Tale procedura, sebbene affidabile, presenta però uno svantaggio in quanto richiede l allestimento di un sistema di misura costoso e sofisticato. Infatti, per il test di occupanza, é necessario disporre di una sorgente laser veloce, di un sistema di focalizzazione e di un posizionatore (stage lineare) in grado di compiere movimenti micrometrici con grande precisione e con velocità costante. Quest ultimo componente, in particolare, a causa del suo alto costo, non risulta particolarmente appropriato per l utilizzo in un sistema di test durante la produzione dei moduli. Una alternativa economica é data dal test con impulso di backplane. Esso consiste nella iniezione di carica elettrica sulle strip del rivelatore attraverso il proprio backplane, mediante accoppiamento capacitivo. Si tratta di un procedimento che non richiede un allestimento sperimentale sofisticato. É sufficiente un circuito elettrico, in grado di generare un segnale a gradino, ed un filtro (figura 5.25) con due ingressi ed una uscita. L ingresso in alto, indicato con HV in é l ingresso per la tensione di alimentazione del rivelatore; quest ultimo deve essere collegato all uscita del filtro, indicata con HV out. Il segnale, a gradino, viene applicato al secondo ingresso, BP in, su cui é presente un attenuatore 100 : 1, con resistenza di ingresso di 50 Ω, in modo da adattare la linea. L attenuatore si rende necessario in quanto la carica da depositare nel rivelatore é poca (alcuni pc) e, per evitare di dover operare

121 5.6. RISPOSTA ALL IMPULSO DI BACKPLANE 121 con segnali di backplane eccessivamente piccoli (pochi mv ), occorre allora provvedere alla attenuazione. Un condensatore, da 470 nf, ha il duplice scopo di isolare elettricamente l ingresso di BP in dall alta tensione e, inoltre, opera come un circuito derivatore, trasformando il gradino in un impulso. L impulso, uscente dalla capacità di 470 nf, viene poi applicato alla linea di alimentazione e, di conseguenza, al backplane del sensore. Un resistore da 100 kω é presente sull ingresso di alimentazione ad alta tensione. Il suo scopo é di impedire che l impulso applicato, invece di andare verso il rivelatore, si istradi verso l alimentatore. Rimane infine un commento a proposito del cablaggio. Infatti, oltre agli elementi presenti nella rete di figura 5.25, un effetto filtrante deriva dall induttanza parassita dei cavi di alimentazione usati per connettere alimentatore, scatola di filtro e rivelatore. Possiamo, in modo assai indicativo, valutare il peso di tale contributo. L induttanza per unità di lunghezza di un cavo coassiale dipende dalle sue caratteristiche geometriche. Per un cavo coassiale standard (diametro del conduttore centrale d = 0.6 mm e diametro della calza metallica D = 6 mm) l induttanza per unità di lunghezza vale L/l 0.5 µh/m. Assumendo un cavo di alimentazione lungo l 3 m, l induttanza di tale cavo vale allora L 1.5 µh. La reattanza opposta al passaggio di corrente ad alta frequenza (f > 100 MHz) da una tale induttanza é di qualche kω. Ad esempio, per un segnale impulsivo, con tempi si salita di 1 o 2 ns, essa vale: X L = ω L = 2πf L 4 kω per f = 400 MHz T = 2.5 ns (5.30) Ovvero valori comparabili con quelli presenti nella rete di filtro e, pertanto, non trascurabili. In conclusione, per avere una efficiente iniezione di carica sul rivelatore e, contemporaneamente, una reiezione del segnale verso l alimentazione di alta tensione é opportuno collocare la rete di filtro di backplane vicino al rivelatore. In figura 5.26 é riportato l andamento temporale del segnale raccolto dalle strip in seguito ad una iniezione di impulso sul backplane. Il primo grafico fa riferimento ad un modulo barrel interno (TIB prototipo) e sono ottenuti con un gradino sul backplane di ampiezza pari a 2.5 V, di durata t d = 1 µs applicato all istante t = 2400 ns. La tensione di alimentazione del rivelatore é di 80 V e si sono compiute diverse acquisizioni, variando il ritardo di trigger sul modulo. Ogni punto di figura 5.26 é stato ottenuto mediante una media, su tutte le strip del modulo (768 strip, in totale), della fluttuazione di piedistallo misurata.

122 122 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO Mean BP response. TIB (inv OFF and ON) signal [ADC] delay [ns] signal [ADC] Mean BP response. TOB (inv OFF and ON) delay [ns] Figura 5.26: Segnale generato da un impulso di backplane al variare del tempo. In alto, dati modulo TIB prototipo. In basso, dati modulo TOB009 (vedi testo).

123 5.6. RISPOSTA ALL IMPULSO DI BACKPLANE 123 Il secondo grafico fa invece riferimento al modulo TOB 009. Le caratteristiche del segnale di ingresso (ampiezza e durata) e l alimentazione del modulo sono analoghe a quanto appena descritto per il TIB prototipo. In entrambi i grafici sono presenti due curve. La curva a linea continua si riferisce alle acquisizioni eseguite con l inverter dell APV disinserito, mentre la linea tratteggiata fa riferimento alle misure con inverter abilitato. Come già accennato, l inverter ha l effetto di sopprimere i contributi di modo comune al segnale. Nel caso in questione, l impulso applicato simultaneamente su tutte le strip tramite il backplane del rivelatore é certamente un segnale di modo comune. Coerentemente con quanto appena detto si osserva pertanto che, in presenza di stadio invertente, l ampiezza del segnale raccolto é minore, in quanto parzialmente soppressa da tale stadio. Dal confronto tra le due figure si nota una sensibile differenza nell andamento temporale dei segnali, per i moduli TIB e TOB. La ragione di tale differenza sta nella presenza di un filtro passa basso a T, presente nei moduli TIB, ma non nei moduli TOB 15. Esso ha l effetto di smorzare le rapide salite dell impulso, producendo così un segnale, molto attenuato e di ampia durata. Il picco, positivo, presente a circa 3.5 µs, é causato dalle caratteristiche del segnale a gradino applicato uscente dall impulsatore. Infatti, come già detto, il circuito é sensibile alle variazioni di segnale. Una prima transizione, da 0 a 2.5 V, si verifica per t = 2.4 µs e produce un segnale negativo. Dopo un microsecondo circa, ovvero a t = 3.5 µs, il gradino torna a 0 V, producendo un nuovo impulso di backplane, il cui segno sarà però invertito (dunque, positivo), rispetto al precedente perché generato da un salto di tensione verso il basso. Ciò spiega il picco, positivo, presente a circa 3.5 µs. Tale picco é ovviamente presente anche nelle misure del modulo TOB, ma la scala temporale non lo include nel grafico. All inizio del presente paragrafo si é accennato alla possibilità di utilizzare l impulso di backplane, durante la fase di test di un modulo, come alternativa economica al test di occupanza con il laser. Ciò é possibile se la risposta temporale di un canale cattivo é sensibilmente diversa dalla media delle risposte. Il modulo barrel esterno utilizzato nelle presenti misure é il TOB 009, su cui é stato effettuato un test di occupanza 15 in realtà il filtro a T é presente anche nei moduli TOB. Questi ultimi, a differenza dei TIB, dispongono di un ingresso specifico, a valle del filtro, per iniettare l impulso che, pertanto, non risentirà degli effetti della rete a T.

124 124 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO BP response. Bad channels signal [ADC] all good, mean strip 479 strip delay [ns] Figura 5.27: Risposta delle strip cattive. Modulo TOB 009, inverting OFF. con il laser. I risultati di tale test identificano come canali cattivi le strip 479 e 507 (vedi paragrafo e pagina 119). Nella figura 5.27 con le curve tratteggiate 16 é riportato l andamento temporale del segnale, per le due strip suddette, mentre la curva continua riporta la media delle risposte per le strip buone, come già riportato in figura Durante l acquisizione lo stadio invertitore non é stato attivato, in modo da avere una dinamica del segnale piú ampia e pulita. Dal confronto delle tre curve riportate in figura, é evidente la forte discrepanza dei canali cattivi, rispetto alla media e, pertanto, é possibile, mediante un semplice taglio sul segnale identificare tali canali. Si può pertanto concludere che, mediante un test con impulso di backplane, é possibile stabilire quali sono i canali che non rispondono al segnale. Tale test può costituire una valida alternativa al laser, durante il collaudo di un modulo a microstrip di silicio, in quanto economico e di veloce esecuzione. Come già detto, l impulso di backplane produce una carica sulle strip mediante accoppiamento capacitivo, per mezzo della capacità di backplane. Siccome quest ultima varia, al variare della tensione di polarizzazione del rivelatore, é lecito attendersi una variazione dell andamento temporale del- 16 per limiti grafici le due curve, relative ai canali 479 e 507 appaiono sovrapposti.

125 5.6. RISPOSTA ALL IMPULSO DI BACKPLANE 125 Mean BP response vs HV bias. TOB 009 signal [ADC] bias 22 V. V. bias V. V. bias V. V. bias bias 2 V V. V. bias 10 V. bias 40 V. bias 80 V delay [ns] Figura 5.28: Risposta al variare della tensione di alimentazione. TOB 009. Modulo la risposta all impulso di backplane, sia come ampiezza massima, sia come durata. In figura 5.28 é riportato la media su tutte le strip buone dell andamento temporale delle risposte all impulso di backplane, per diversi valori di tensione di alimentazione del rivelatore. Il modulo utilizzato nelle misure é il TOB 009 con gli APV nella configurazione in modo picco e senza stadio invertente. Come si vede, la risposta del modulo non subisce grosse variazioni al cambiare della polarizzazione, in contrasto con quanto appena detto. La spiegazione di tale incongruenza richiederebbe uno studio approfondito ma, in generale, sono possibili alcune considerazioni qualitative in grado di giustificare le misure. In primo luogo, la capacità che condiziona la forma dell impulso di backplane é quella totale, vista all ingresso della rete di filtro. Essa é certamente funzione della capacità di backplane del rivelatore, ma non solo, e, in ogni caso, il legame tra le due grandezze non é necessariamente lineare. Va inoltre osservato che, per raggiungere le strip del sensore, esistono due percorsi possibili, per le cariche iniettate all ingresso di backplane. Il primo tramite il lato caldo dell alimentazione (linea ad alta tensione). In questo caso le cariche passano effettivamente dal backplane del sensore. Esiste però un secondo percorso possibile. Si tratta del collegamento costituito dalle terminazioni di adattamento verso massa e, in generale, da tutti gli elementi passivi connessi verso massa. Da qui le cariche possono passare sulle strip

126 126 CAPITOLO 5. STUDI SUL MODULO attraverso l anello di polarizzazione del sensore e successivamente tramite i resistori in polisilicio di polarizzazione. La distribuzione delle cariche lungo i due percorsi possibili é legato alle impedenze che questi ultimi presentano. Una bassa impedenza implica un percorso favorito e viceversa. Si deve inoltre ricordare che tutto il sistema dispone di un punto di messa a terra attraverso il quale si potrebbe disperdere una parte della carica iniettata, alterando così l ampiezza del segnale raccolto sul rivelatore. Una analisi accurata di tutti i fenomeni coinvolti é possibile solo con una simulazione della intera rete elettrica di iniezione dell impulso di backplane, includendo i contributi dovuti a tutti gli elementi, ovvero sensore, chip di lettura, circuito ibrido di connessione, alimentazioni di alta e di bassa tensione, cablaggi (introducono induttanze e capacità distribuite)... Le considerazioni appena svolte rimangono comunque una valida giustificazione per la mancata variazione del segnale di backplane al variare dell alta tensione. Ai fini del test dei moduli é però poco importante se la carica viene depositata sulle strip via backplane oppure via anello di polarizzazione. Infatti i test a cui si fa riferimento sono quelli sul modulo, da eseguirsi dopo le microsaldature tra sensore ed elettronica di lettura. Si presume che le singole componenti (sensore, ibrido... ) siano già state preventivamente verificate e dunque eventuali difetti nel sensore (ad esempio resistori in polisilicio difettosi) che potrebbero condizionare la risposta al test di backplane siano già stati identificati.

127 Capitolo 6 Procedure di qualifica e di test Nel precedente capitolo sono state elencate alcune misure ed analisi condotte su un insieme di moduli prototipo. Nella descrizione dell attività svolta sono stati dati alcuni cenni alle procedure di test da eseguirsi per la verifica funzionale dei moduli durante la loro produzione. Questo argomento costituisce l oggetto del presente capitolo. 6.1 Produzione dei moduli La produzione dei moduli si inserisce nel contesto, piú ampio, della costruzione del tracciatore CMS. Le principali fasi della costruzione e le relative scadenze sono elencate nella figura 6.1. La produzione dei moduli é la prima delle fasi produttive. Essa viene normalmente suddivisa in piú parti: produzione dei sensori, produzione degli ibridi di lettura, produzione dei supporti in fibra di carbonio, montaggio dei sensori e dell ibrido sul supporto in fibra, connessioni elettriche tra sensore ed elettronica (bonding), qualifica del modulo Per la maggior parte di queste fasi é prevista l esecuzione di uno o piú test; alcuni, preliminari, volti a controllare la funzionalità del materiale appena ricevuto, altri per verificare la bontà del lavoro appena svolto. 127

128 128 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST Figura 6.1: Pianificazione della produzione del tracciatore CMS. Le parti piú chiare fanno riferimento alla pre-produzione.

129 6.1. PRODUZIONE DEI MODULI Bonding sensore -sensore 2. Bonding sensore - pitch adapter 3. Bonding pitch adapter - ibrido Figura 6.2: Punti di bonding del modulo. Facendo riferimento alla fase di connessione elettrica tra sensore ed elettronica, in quanto direttamente coinvolgente Torino, la procedura attualmente proposta prevede [39] i seguenti passi. Inserzione del modulo appena ricevuto nel database, tramite lettura di codice a barre. Ispezione ottica, allo scopo di rilevare eventuali danni. In caso di sospetto danneggiamento, eseguire un test veloce sulla parte interessata. Inizializzazione macchina di bonding. Posizionamento del modulo sul supporto per il bonding (jig), montaggio del jig sulla macchina. Se necessario, eseguire i bonding di alimentazione di alta tensione. Se sono presenti due sensori, eseguire il bonding sensore - sensore per tutte le strip (vedi figura 6.2). Eseguire il bonding sensore - pitch adapter. Ispezione ottica del modulo appena bondato, da eseguirsi direttamente sulla macchina di bonding. Test del modulo. Un altro punto su cui il gruppo di Torino partecipa direttamente é la qualifica del modulo. Essa é costituita da una serie approfondita di test ed é particolarmente importante in quanto permette di verificare, per la prima volta dall inizio della produzione del modulo, la sua funzionalità completa.

130 130 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST 6.2 Definizione dei test Le procedure di test da eseguirsi durante la costruzione del tracciatore sono state oggetto di accurati studi e dibattiti dal gruppo preposto, giungendo alla formalizzazione specificata in [38]. La necessità di compiere test dettagliati e, in certa misura, ridondanti é legata, principalmente, alla scarsa accessibilità dei componenti del tracciatore durante la fase di presa dati. Un altra valida ragione per l adozione di procedure rigide ed esaustive deriva dal grande numero di moduli da produrre e dal gran numero di istituti coinvolti nella costruzione del tracciatore. I centri di produzione coinvolti nelle fasi di test sono: produttori di ibridi, centri di bonding dell APV25, centri di assemblaggio (gantry) centri di bonding centri di qualifica del modulo. Particolare attenzione deve essere rivolta alle fasi di trasporto e spedizione delle varie componenti. Una delle possibili sorgenti di guasto del modulo é infatti il danneggiamento di quest ultimo a seguito di manovre improprie durante la fase di trasporto. Per questo motivo é sempre previsto, per ogni componente ricevuta, una ispezione ottica, allo scopo di identificare eventuali danni. Ibrido APV25 bond. Gantries Bonding Qualifica I-V Test opt. X X Basic Test X X X X X Psh Test X PLL Test X B Test X X X L Test X X Pipe Test X Tabella 6.1: Test previsti per i vari centri di produzione La tabella 6.1 illustra i test previsti per ogni centro di produzione coinvolto. Il contenuto dei vari test (I-V Test, Basic Test, Psh Test... ) é descritto di seguito.

131 6.2. DEFINIZIONE DEI TEST 131 I-V Test. Vedi paragrafo 5.2 a pag.82. Il sensore é polarizzato fino alla tensione massima V max di funzionamento con una velocità di 10 V/s. Ogni 100 V viene letta e registrata la corrente di buio del sensore. Giunti alla tensione V max, questa viene mantenuta per un minuto e quindi viene riletta la corrente di buio. Basic Test. É il nucleo del test per gli ibridi e per i moduli. É suddiviso in tre parti: H0-test (hybrid). Si verifica il corretto funzionamento dei componenti montati sull ibrido (APV, DCU, PLL, APVMUX) mediante letture e scritture nei loro registri F-test (fast). Vedi paragrafo 5.3 a pagina 88. É la misura del piedistallo e del rumore, prima e dopo la sottrazione del rumore di modo comune. C-test (calibration). Vedi paragrafo 5.4 a pagina 102. É la risposta dell APV ad un segnale interno di calibrazione. Il segnale di calibrazione e la latenza devono essere configurati in modo da eseguire la lettura dei chip in corrispondenza del massimo del segnale di calibrazione. Psh Test. Vedi paragrafo 5.4 pag.102. É un C-test piú avanzato. L impulso di calibrazione é misurato ad istanti diversi, in modo da determinare la forma d onda dell impulso uscente dall APV. PLL Test Il PLL (Phase Locked Loop, Anello ad aggancio di fase) ha lo scopo di rifasare i segnali di trigger e clock inviati dalla CCU. Il ritardo di fase impostato nel PLL può condizionare le prestazioni dell intero modulo, introducendo degli sfasamenti tra il campionamento del multiplexer dell APV (e dell APVMUX) e la lettura dei FED. Si tratta di un test in fase di definizione. B Test. Vedi paragrafo 5.6 a pag.119. Si tratta di un test in cui si inietta un impulso di backplane. Durante tale test lo stadio invertente dell APV non deve essere abilitato.

132 132 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST L Test. Vedi paragrafo 5.5 a pag.104. Il suo scopo e di verificare la risposta del silicio ad un segnale fisico. La luce può essere generata sia da un laser, sia da un LED e può essere inviata sul modulo a brevi impulsi (tipicamente, 5 ns) oppure in modo continuo. In quest ultimo caso lo scopo del flusso di luce continuo é di aumentare la corrente di buio, simulando così un sensore danneggiato dalle radiazioni. Ciò é utile per identificare eventuali pinholes nelle strip. Pipe Test. Vedi paragrafo a pag.94. É un estensione dell F-test. I piedistalli ed i rumori vengono calcolati tenendo separati i contributi provenienti da differenti celle di memoria della pipeline. In questo modo si possono individuare eventuali non uniformità nella pipeline. Ognuno dei test sopra indicati fornisce, ad eccezione del test I-V, un risultato per ogni strip (piedistallo, rumore, ampiezza del segnale) Una strip viene definita cattiva se uno dei valori misurati non rientra nei limiti imposti dal taglio. In prima approssimazione, la regione di taglio é definita come ±20% intorno alla media, su tutte le strip del modulo, del valore misurato. In base al numero di canali cattivi un modulo, o una parte di esso, viene definito di qualità A, oppure B, oppure viene scartato. Il modulo di qualità B é da intendersi di ricambio. In tabella 6.2 é riportata la percentuale di canali cattivi massima affinché la qualità di un modulo risulti di grado A, oppure di grado B. Per il test da effettuare nei centri di produzione degli ibridi per accettare il componente é inoltre necessario verificare l assenza di errori nella lettura e scrittura dei registri dell APV, del APVMUX, della DCU, e del PLL. Per i test da eseguirsi nei centri di bonding e di qualifica, in aggiunta ai Ibrido APV25 bond. Gantries Bonding Qualifica A 0.2 % 0.4 % 0.6 % 1.0 % 1.0 % B 0.5 % 0.6 % 1.0 % 2.0 % 2.0 % scarto >0.5 % >0.6 % >1.0 % >2.0 % >2.0 % Tabella 6.2: Definizione del grado di qualità di un modulo.

133 6.2. DEFINIZIONE DEI TEST 133 limiti indicati in tabella, é necessario che i moduli abbiano una corrente di buio inferiore a 40 µa e 80 µa per i moduli di qualità A e B, rispettivamente Qualifica del modulo. Ai fini delle procedure di test, la fase piú importante di tutte quelle finora indicate é l ultima, ovvero la fase di qualifica del modulo. Essa é suddivisa in due parti: Deep Test. É il test iniziale, composto dalle seguenti fasi: I-V test da 0 V alla tensione di funzionamento nominale del modulo, V std. Basic test e Psh test, da eseguirsi alla tensione V std. I-V test dalla tensione di funzionamento nominale del modulo, V std, alla tensione di funzionamento massima, V max. Basic test, da eseguirsi a V max. Dopo aver riportato la tensione di alimentazione a V std, eseguire un Basic test, Pipe test, Psh test, B test e L test. Long term test. É costituito da una serie di test, ripetuti nell arco di piú giorni, alternando la temperatura dell ambiente in cui é posto il modulo tra valori prossimi alla temperatura ambiente e temperature molto basse (tipicamente 20 o C). I test da eseguire, per ogni ciclo termico sono: I-V test, Basic test, Psh test e B test. Tutti i test indicati sono da compiere con l APV configurato sia in modo picco, sia in modo deconvoluzione. Le tensioni nominale (standard) e massima sono state fissate a V std = 300 V e V max = 500 V, sia per i moduli interni, sia per i moduli esterni. Va infine ricordato che i limiti ed i valori specificati nel presente paragrafo sono indicativi, una assegnazione precisa di tali valori é possibile solo dopo aver testato in modo sistematico una pre-produzione consistente di moduli. Questo é uno dei motivi per cui é prevista una prima realizzazione, di 200 moduli, convenzionalmente indicata con il termine Milestones M200.. Solamente al termine di tale fase, grazie alla possibilitá di eseguire una analisi statistica su un campione rappresentativo di moduli, sará possibile fissare le regioni di accettazione delle grandezza misurate. Tuttavia é utile ed opportuno provvedere giá da ora alla stesura di appropriati programmi allo scopo di qualificare un modulo. Un esempio di procedura di qualifica é descritto nel prossimo paragrafo.

134 134 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST 6.3 Esempio di qualifica Il sistema ufficiale di test dei moduli da utilizzare in fase di produzione é al momento in fase di sviluppo. Come conseguenza, anche il software di acquisizione e quello di analisi sono ad uno stato iniziale e quindi incompleti. Nonostate ciò é possibile eseguire una qualifica basandosi sui dati attualmente disponibili. In particolare, l insieme di dati mancanti é costituito dalle acquisizioni in cui é prevista una sorgente: impulso elettrico di backplane o laser. Il programma di qualifica dei moduli accetta come ingresso i dati di F- test, C-test e Psh Test. Per ogni strip sono applicati i tagli, come specificato in un apposito file di configurazione. In uscita viene generato un file ASCII di risultati e una serie di grafici, relativi a tutte le grandezze misurate (piedistallo, rumore, segnale di calibrazione, parametri temporali della risposta all impulso di calibrazione). Di seguito é riportato un esempio di file di risultati: ======= Input files : File name 1: pedcal-80v-peak-invoff.root File name 2: pedcal-80v-deconv-invoff.root ==================================================== Pedestal : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== noise before CMN sub. : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== noise after CMN sub. : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== Calibration : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== Maximum amplitude data : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3:

135 6.3. ESEMPIO DI QUALIFICA 135 chip 4: ==================================================== Maximum time data : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== Rise time data : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== Fall time data : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ==================================================== Fwhm time data : mean t.mean rms t.rms mean t.mean rms t.rms chip 1: chip 2: chip 3: chip 4: ========================================== Bad channel list: ================= Cut methods Pedestal : 1 low 0.1 high 0.1 ** Noise : 1 low 0.2 high 0.2 ** RNoise : 1 low 0.2 high 0.2 ** Calibration: 1 low 0.2 high 0.1 ** Number of bad strips : 6 (peak) 4 (deconv.) =========================================================== Strip: 1 chip 1 status p 2 (0010) - status d 6 (0110) Strip: 78 chip 1 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) Strip: 257 chip 3 status p 2 (0010) - status d 0 (0000) Strip: 479 chip 4 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) Strip: 507 chip 4 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) Strip: 512 chip 4 status p 2 (0010) - status d 0 (0000) Le grandezze riportate sono: per la sezione di F-test: piedistallo (Pedestal), rumore totale (noise before

136 136 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST CMN sub.) e rumore non coerente (noise after CMN sub.); per la sezione C-test: segnale di calibrazione (Calibration); per la sezione di Psh Test: ampiezza massima dell impulso (Maximum amplitude data), tempo a cui si ha l ampiezza massima (Maximum time data), tempo di salita dell impulso (Rise time data), tempo di discesa (Fall time data) e larghezza dell impulso a metà altezza (Full Width Half Maximum, Fwhm time data). Per ognuna di queste quantità si riporta, per ogni chip del modulo il valore medio, con relativa deviazione standard, prima e dopo i tagli delle strip cattive. Sono presenti due gruppi di dati, quelli a sinistra si riferiscono alle acquisizioni in modo picco, mentre quelli a destra sono relativi alle acquisizioni in deconvoluzione. La parte finale del file di risultati raccoglie l elenco dei canali cattivi. Per ogni canale é riportata una variabile di status il cui valore dipende dal tipo taglio che ha marcato tale canale, secondo il seguente schema: bit 0 : strip con piedistallo fuori dai limiti; bit 1 : strip con rumore totale fuori dai limiti; bit 2 : strip con rumore non coerente fuori dai limiti; bit 3 : strip con ampiezza di calibrazione fuori dai limiti; Sulle misure relative alla forma dell impulso (Psh Test) non sono applicati tagli. Come giá detto, oltre ad file ASCII con i risultati vengono prodotti alcuni grafici. In figura 6.3 sono riportati alcuni di questi grafici. Il primo grafico si riferisce al rumore, strip per strip, prima della sottrazione del termine di modo comune, mentre nel secondo grafico é riportato il rumore dopo la sottrazione di tale contributo (rumore non coerente). Queste due misure fanno parte dei risultati forniti dal fast test, l altra misura fornita da tale test, il piedistallo, non é stata riportata in quanto tutti piedistalli erano nella norma. Il terzo grafico riporta il risultato del test di calibrazione (C-test). Anche se i programmi ufficiali di qualifica e di analisi 1 non sono attualmente in grado di eseguire test di backplane (B-test) e con il laser (L-test), la estesa campagna di presa dati effettuata sul modulo TOB009 include anche 1 per correttezza, il programma di analisi qui utilizzato non é quello ufficiale, ma una versione equivalente, riscritta in C++ puro.

137 6.3. ESEMPIO DI QUALIFICA 137 Figura 6.3: Risultati dei test di qualifica. Modulo TOB009.

138 138 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST questi test 2. I risultati da essi forniti sono giá stati riportati nel corso del precedente capitolo (paragrafi e 5.6 a pagina 117 e 119, rispettivamente). Per comodità, i risultati del B-test e del L-test sono comunque riportati negli ultimi due grafici di figura 6.3. Le strip cattive risultanti da tale analisi sono di seguito riportate: Number of bad strips : 6 (peak) 4 (deconv.) =========================================================== Strip: 1 chip 1 status p 2 (0010) - status d 6 (0110) Strip: 78 chip 1 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) Strip: 257 chip 3 status p 2 (0010) - status d 0 (0000) Strip: 479 chip 4 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) Strip: 507 chip 4 status p 14 (1110) - status d 14 (1110) In particolare, le strip 78, 479 e 507 non rispondono al segnale e possono pertanto essere classificate come strip morte, le strip 1 e 257 hanno invece un contributo di rumore leggermente superiore alla media e vengono pertanto marcate dal programma di analisi come rumorose. Va peró osservato che l aumento di rumore é comunque minimo e che non dovrebbe creare problemi nel normale funzionamento del modulo. In particolare si noti come in deconvoluzione, cambiando i tagli sul rumore, tali strip vengano riconosciute come buone. Dal confronto di tutti e cinque i grafici si nota una certa ridondanza nella quantitá di informazioni. Infatti, le strip morte (strip 78, 479 e 507 ) sono facilmente identificabili sia con un F-test, in quanto hanno un rumore notevolmente inferiore alla media, sia con un test con segnale (C-test, B-test oppure L-test). Va peró notato che, se ai fini dell informazione minima (strip buona o cattiva), si ha ridondanza questo non é piú vero nel caso si debba identificare il tipo di difetto che ha danneggiato il canale. La possibilitá di identificare i difetti risulta di grande utilitá anche durante la fase di test in quanto fornisce una linea guida nella scelta dell intervento da fare sulle strip cattive. Infatti, una volta identificata una strip cattiva é necessario decidere come procedere, ovvero se é opportuno che il modulo venga riparato o meno. Inoltre vi sono alcuni difetti (ad esempio i pinholes) che con il danneggiamento del sensore producono fenomeni di saturazione tali da bloccare il funzionamento di tutti i canali di un chip. É quindi evidente che in presenza di un pinhole occorre rimuovere il filo di bonding per scollegare la strip dall elettronica di lettura, preservando cosí i canali adiacenti. 2 ovviamente, per l acquisizione di tali dati é stato necessario ricorrere a procedure di misura non automatizzate oppure a setup sperimentali e a programmi non standard, vedi capitoli 4 e 5 della presente tesi

139 6.3. ESEMPIO DI QUALIFICA 139 Ad esempio, nel modulo in esame (TOB009) la causa di morte dei canali 78, 479, e 507 é probabilmente dovuta ad una interruzione nel chip di lettura. Infatti, se il chip fosse buono, si dovrebbe avere comunque una risposta all impulso interno di calibrazione. Va peró osservato che, siccome la forma d onda dell impulso dipende anche dalla capacitá all ingresso del canale di lettura, in presenza di un bonding interrotto l impulso dovrebbe risultare di forma diversa. Per uno studio dettagliato di questo tipo occorre allora un Psh test. In ogni caso, i difetti presenti su questo modulo sono tali da ritenere inutile ogni ulteriore intervento. Occorre infine ricordare che la strategia di intervento sui moduli presentanti difetti puó essere raffinata solo con l esperienza. Risulta pertanto di fondamentale importanza disporre di un buon numero di moduli prima dell inizio della produzione del tracciatore. Solo dopo aver accumulato una esperienza sufficiente sará possibile definire in modo appropriato i criteri di test e gli algoritmi per identificare i tipi di danno e i rimedi adatti ad ognuno di essi.

140 140 CAPITOLO 6. PROCEDURE DI QUALIFICA E DI TEST

141 Appendice A Fisica dei semiconduttori In questa appendice si esporranno i principali fenomeni fisici connessi con l uso dei semiconduttori (in particolare, silicio) come rivelatori di particelle. Non si riporta alcuna descrizione a proposito dei fondamenti di fisica dei semiconduttori. Il lettore interessato può consultare, ad esempio [40], [41], oppure, per una trattazione piú orientata all utilizzo come dispositivi di rivelazione, [42]. A.1 Produzione coppie elettrone-lacuna mediante fotoni IR Il meccanismo dominante nella produzione di coppie elettrone-lacuna in un materiale per effetto di fotoni a lunghezza d onda λ = 1 µm é l effetto fotoelettrico [45], in cui un fotone viene assorbito da un elettrone con conseguente espulsione di quest ultimo dalla propria orbita. Si tratta di un effetto che, per poter avvenire, richiede una energia minima del fotone incidente, in quanto l energia ceduta all elettrone deve essere sufficiente a permettergli il salto da una banda (occupata) di energia a quella successiva (libera). Nel caso del silicio il minimo intervallo di energie tra una banda occupata (banda di valenza) ed una libera (banda di conduzione) prende il nome di energy gap ed, a 300 K, é pari a 1.12 ev. Il numero di coppie elettrone-lacuna create é legato al coefficiente di assorbimento σ, definito come: σ = 1 x ln I 0 I(x) (A.1) 141

142 142 APPENDICE A. FISICA DEI SEMICONDUTTORI Figura A.1: Dipendenza spettrale del coefficiente di assorbimento fotonico del silicio, da [44]. Energia in ev e coefficiente espresso in cm 1.

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