B) Il Castagno e gli Antichi Mestieri I Mestieri di una volta Il Metato : essiccazione delle Castagne
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- Adriano Valli
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1 B) Il Castagno e gli Antichi Mestieri Il castagno è una pianta conosciuta e apprezzata fin dalla antichità. Ricordata nella Bibbia e nei poemi di Omero, i Greci chiamavano i suoi frutti "ghiande di Giove". In Italia ebbe fin dall'antichità grandissima diffusione, prevalentemente sull'appennino, fra i 300 e i 1000 metri di altezza. Dal medioevo fin quasi ai nostri giorni la castagna ha costituito la base del nutrimento delle popolazioni della montagna, come dimostrano i numerosi interventi legislativi succedutisi nei secoli, relativi alla tutela e alla regolamentazione dello sfruttamento dei castagneti. Gli Statuti di Gavinana del 1540, ad esempio, prevedevano che la raccolta delle castagne da parte del proprietario terminasse col mese di novembre, dopo di che i poveri potevano andare liberamente a raccogliere i frutti che restavano. A questo proposito, una credenza popolare afferma che il riccio contiene tre castagne perché una tocca al padrone, una al contadino e la terza ai poveri. I Mestieri di una volta L incalzare inesorabile del progresso, l avanzamento esasperato delle tecnologie e il consumismo incontenibile, hanno fatto scomparire tanti mestieri che ora non si praticano più. Di questi Antichi Mestieri se ne è persa la conoscenza e se ne conserva la memoria solo nelle enciclopedie e in alcuni musei voluti da solerti privati, nell intento di serbare il ricordo di certe tradizioni che, altrimenti, se ne perderebbero le tracce. Fortunatamente sono state attivate alcune iniziative con l obiettivo di salvaguardare i costumi di un territorio, talvolta rivalutando quei mestieri ormai perduti, ma che fanno parte della storia del territorio stesso e che hanno contribuito allo sviluppo della cultura locale e alla sopravvivenza della popolazione e la cui estinzione è una limitazione per la nostra memoria e per quella dei giovani, a cui manca la conoscenza di queste radici. Alcune di queste attività sono mantenute ancora in vita dalla perseveranza e dalla passione di alcuni anziani artigiani, i quali hanno solo il cruccio di non avere a disposizione qualche giovane a cui insegnare il mestiere e affidare le loro botteghe. Hanno solo la consolazione di lasciare, a testimonianza, meravigliosi manufatti originati, pur con povertà di risorse e umiltà d intenti, dalle proprie virtù creative e dall ingegno. Il Metato : essiccazione delle Castagne Per essere macinate, le castagne dovevano essere seccate e sbucciate. Ciò richiedeva un certo tempo, non meno di un mese. Le castagne venivano fatte seccare nel metato, uno spazio appositamente creato, adiacente alla casa del contadino o isolato nel luogo di raccolta dei frutti (castagneto). Lo spazio interno era diviso da un soppalco di legno o canne, detto canniccio o graticcio, su cui si disponevano le castagne, fino ad uno spessore di circa 70 cm. Nella parte inferiore si accendeva il fuoco, che doveva essere alimentato senza interruzione. 1
2 Miseri resti di un essiccatoio (metato): prima vi era un meraviglioso castagneto (MonteMaggiore Marradi) Recupero di un metato (Gamberaldi Marradi) 2
3 Pascoli ricorda un: "metato soletto in cui seccasse a un fuoco dolce il dolce pan di legno: sopra le cannaiole le castagne cricchian, e il rosso fuoco arde nel buio." (Il ciocco dai Canti di Castelvecchio,) Una volta seccate al calore e al fumo, le castagne venivano sgusciate con una energica battitura che triturava i gusci dentro robusti sacchi o in un apposito recipiente detto bigoncia. Oggi questi procedimenti sono stati sostituiti dall'uso di macchine sgusciatrici. Anche i metati sono quasi del tutto scomparsi, trasformati spesso in stanze di abitazione o in ripostigli per gli attrezzi. Il Mulino : molitura delle Castagne Quando le castagne erano veramente il pane dei poveri e costituivano la base dell'alimentazione della gente di montagna, anche i mulini che le macinavano erano numerosi. Nella sola comunità di San Marcello Pistoiese, per esempio, nel 1838 se ne contavano ben 24, con 60 macine. Altrettanti e forse più nelle comunità di Marradi e Palazzuolo Sul Senio (Firenze). Oggi il prodotto macinato è ricercato soprattutto all'inizio dell'inverno, poi il suo commercio subisce una drastica riduzione. Al mugnaio che macinava le castagne veniva pagata la molenda in natura, cioè 10 chilogrammi di farina per ogni quintale di macinato, più due chilogrammi di spolvero per la farina che si perdeva nella lavorazione. Con la farina dolce si possono fare ottimi, seppur rustici, dolci: il castagnaccio; la torta di farina dolce profumata di rosmarino, arricchita da noci e condita con olio d'oliva; le frittelle, la polenta dolce; i manifatoli, polentine con latte freddo e i necci, etimo forse derivante da ilex, leccio, a ricordare tempi remoti nei quali si consumavano ghiande "dulcior eadem in cinere tosta", come ricorda Plinio (Naturalis Historia, IV,16). Il Carbonaio : produzione di carbone di castagno La carbonificazione è una pratica che, in Italia, è quasi completamente scomparsa. I costi attuali della manodopera, che rendono più conveniente acquistare carbone vegetale sui mercati esteri, sommata alla diminuzione della domanda, ha fatto quasi scomparire l antichissimo mestiere del Carbonaio. Il carbone di legna, non è più utilizzato nei processi industriali, al contrario di quanto non avvenisse alcuni decenni fa. In particolare il carbone di castagno veniva prodotto per essere impiegato nell attività siderurgica: esso infatti non è adatto per altri usi, dato che per ottenerne una buona combustione è necessario ventilarlo continuamente. Nelle ferriere il carbone veniva sottoposto a ventilazione e quindi si utilizzava quello di castagno. Anche nei fucine dei fabbri il carbone di castagno trovava specifico uso perché incrudiva meno il ferro e forniva tempere più dolci. Quello del carbonaio è dunque divenuto rapidamente un mestiere in via di estinzione, oggetto di ricerche nelle scuole, articoli di stampa, libri e servizi fotografici (vedi poster che segue). Il lavoro del carbonaio è complesso e richiede un apprendistato non banale. Le condizioni di lavoro non sono facili, l attività si svolge anche in inverno, all aperto, con qualsiasi condizione atmosferica e con la necessità di sorvegliare il cumulo molto spesso. Un tempo, quando la carbonaia si trovava in un bosco lontano dai centri abitati, i carbonai costruivano una piccola capanna, sotto la quale, se occorreva, potevano anche pernottare. I carbonai sono sempre a contatto con fumo e polveri e alla lunga questo può provocare problemi ai polmoni. I carbonai delle nostre montagne erano molto richiesti e spesso, durante l inverno, emigravano temporaneamente, per essere ingaggiati da proprietari di boschi e taglialegna. 3
4 Antico mulino ad acqua, azionato da pale orizzontali(mulino Margheri, Ronta - FI) Molitura delle castagne in un vecchio mulino a macina presso Pariana (LU) (Da Manfredini: L albero del Pane) 4
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6 Il Bottaio e il Bigonciaio Il mestiere del Bottaio è ormai scomparso. Era una vera arte: le doghe di legno, accuratamente preparate, venivano curvate con il fuoco e veniva predisposto il corpo della botte. Lateralmente, robusti cerchi in ferro, preparati dal fabbro, stringevano tutte le doghe unite, e così la botte, assumeva la sua forma panciuta. Infine si preparavano i coperchi, superiore ed inferiore e si incastrava il rubinetto, che serviva a spillare il vino. Ora le botti sono tutte in acciaio o in vetro cemento, che sicuramente garantisce igienicità al prodotto ma il sapore, che il legno cedeva lentamente al vino, è sparito. In merito al mestiere del Bigonciaio solo nel territorio di Pescaglia (LU), fino agli anni 60, venivano prodotte anche bigonce all anno. Un bravo bigonciaio ne poteva costruire tre al giorno, lavorando sodo per ore! La produzione delle bigonce avveniva nei mesi estivi, mentre in quelli più freddi gli stessi artigiani costruivano altri contenitori (botti, barili, bigoncioni, tini, secchie, secchioni, malandrini, tinelle e altri in uso all epoca). Tutti i contenitori erano rigorosamente fatti con doghe ricavate da tronchi di castagno, appositamente lavorate con l ausilio di specifici attrezzi che ogni abile Artigiano possedeva nella propria bottega. Insieme al tavolo di lavoro il Bottaio - Bigonciaio curava e possedeva essenzialmente i seguenti attrezzi: segoni, cunei o biette, mazza per spaccare i tronchi, riducendoli in quartoni; scure e mazzolo per ottenere le doghe grezze; accetta o seguretta, coltello a petto e grossa pialla fissata al tavolo sulla quale scorreva la doga grezza da rifinire; cerchi in ferro (modelli), dove piazzare le doghe una dopo l altra; sega a telaio, pialla piccola e raschietto per ricavare il canale che doveva accogliere il fondo (fondatura). A questi attrezzi si aggiungevano quelli per costruire i cerchi delle bigonce, sempre in legno di castagno, che sostituivano gli stampi (modelli in ferro) utilizzati per costruire le bigonce medesime. Il Cestaio : produzione di cesti, canestri e gerle Un antica lavorazione del castagno riguarda la costruzione di cesti di varie forme, utilizzati in passato per diversi scopi. La tipologia dei recipienti in castagno intrecciato è in effetti molto complessa. Il corbello era il contenitore più diffuso. A seconda del materiale che dovevano contenere, si distinguevano corbelli da pasta, da zoccoli, ginori, questi ultimi destinati al vasellame della famosa ditta toscana. Poco diversa dal corbello era la canestra e la cesta. Le ceste venivano costruite per contenere molti prodotti agricoli e ognuna assumeva una specifica forma. La materia prima per questa lavorazione veniva ricavata dai pedoni di castagno, detti anche polloni, presenti nella parte dell albero più vicina alle radici. Questi pedoni, una volta tagliati, vengono tenuti in una vasca d acqua piovana perché le fibre del castagno mantengano un elasticità sufficiente per la particolare lavorazione a cui vengono in seguito sottoposti e cioè alla schiappatura, che consiste nella suddivisione del pedone in tante lamine sottili e flessibili, in modo che possano essere agevolmente intrecciate. Le condizioni di vita e di lavoro degli artigiani dei cesti in castagno sono sempre state molto dure: l insalubrità dell ambiente di lavoro, in genere oscuro e umido, la bassa retribuzione e il metodo del lavoro a cottimo, che caratterizzarono il periodo di maggiore sviluppo di questa produzione fra la fine dell Ottocento e la prima metà del Novecento, hanno spinto sempre più 6
7 persone ad abbandonare questo mestiere, anche in conseguenza della crisi del settore derivante dall introduzione della plastica nella produzione di imballaggi. Proprio in corrispondenza con questo abbandono, l artigianato delle ceste intrecciate in castagno ha avuto negli ultimi decenni una risonanza internazionale, ma il riflesso positivo che tale risonanza ha portato non basta a scongiurare la fine di questa attività, che viene portata avanti ormai da pochissimi artigiani, ai quali non sembra volersi affiancare nessun giovane disposto ad imparare. L ultimo Bigonciaio al lavoro 7
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