L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

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1 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA A CURA DI: Maria Carbone, Francesca Codazzi, Raffaella Dellera, Paolo Gualtieri, Margherita Gallina. Settembre 2013 Mandato consiliare

2 Sommario PRESENTAZIONE...3 INTRODUZIONE: DEFINIZIONE DI TUTELA OGGI...4 Da WIKIPEDIA...5 Da Dizionario di SERVIZIO SOCIALE Carocci Faber...6 FILOSOFIA ED EVOLUZIONE STORICA DEL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO...7 LA TUTELA OGGI...9 I SERVIZI DI TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA: ALCUNE RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE...11 LA RETE DEI SERVIZI...13 IL TERZO SETTORE...14 LA FORMAZIONE DELL ASSISTENTE SOCIALE CHE OPERA NEI SERVIZI DI TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA...15 Specializzazione non specialismo...16 La Supervisione...17 L ASSISTENTE SOCIALE E GLI INTERVENTI DI SOSTEGNO E PREVENZIONE...18 GLI ATTORI E LE FASI DELL AZIONE DI TUTELA...21 I SIGNIFICATI DELL INTERVENTO DI TUTELA PER L ASSISTENTE SOCIALE...22 IL PERCORSO...22 La segnalazione...23 La valutazione sociale...25 Il progetto di interevento sociale...26 E la tutela degli Assistenti sociali?...27 Rapporto con i servizi e con l Ente...28 APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO...29 BIBLIOGRAFIA...34 CONTRIBUTI...35 Il servizio di tutela e assetti organizzativi...35 In copertina: Fernand Léger, Les loisirs sur fond rouge - particolare, L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

3 PRESENTAZIONE Il percorso di riflessione teorico-pratica che l Ordine professionale ha intrapreso ponendo crescente attenzione al proprio Codice Deontologico, trova una conferma suggestiva nel documento elaborato su un tema centrale per la nostra professione, quello che in termini correnti si definisce tutela minori, che in letteratura viene affrontato principalmente nelle sue implicazioni operative. L argomento tutela (nei confronti non solo dei bambini, ovviamente) rappresenta con la sua complessità il senso stesso dell intervento professionale dell assistente sociale che si identifica e viene identificato in questa dimensione. Le riflessioni emerse nel lavoro presentato dal gruppo tematico consiliare toccano i diversi livelli della responsabilità e delle competenze della nostra professione: visione culturale-antropologica, riferimenti giuridicoamministrativi, metodologia dell intervento e formazione e, non ultimo, riferimento al Codice Deontologico. Perché questa nuova attenzione etico-deontologica? Perché, certamente, la legittimità sociale della professione chiede di interrogarci continuamente sulla permanente congruenza tra questi livelli che definiscono un modello ideale di professionista che segue personalmente, in scienza e coscienza, regole e principi collettivi, concretizzandoli in pratiche corrette e giuste, verificate e validate nei contesti applicativi. L altro tema centrale nell elaborazione culturale del servizio sociale professionale trattato nel documento è il richiamo alla famiglia (o meglio alle famiglie), chiaro e reiterato nel testo del Codice Deontologico vigente come in quello della 1^ e 2^ edizione. L analisi dei legami famigliari, l importanza della rete primaria, insieme alla scoperta dell infanzia fanno parte dei paradigmi antropologici della relazione di aiuto professionale in quanto costituiscono l humus dell intervento pubblico nella sfera privata. Che cosa significa famiglia, cosa essa rappresenti nella storia delle persone nelle diverse fasi della vita, quali fenomeni la stanno cambiando, trasformando, e con essa come muta il nostro bisogno ancestrale di essere parte della cellula costitutiva della società, sono i significanti con i quali il nostro lavoro si confronta, a volte con consapevolezza, a volte con limitata attenzione all autorevolezza delle teorie e dei modelli di riferimento. La matrice filantropica e la dicotomia aiuto/controllo caratterizzano l intervento sociale che è condizionato anche dai contesti organizzativi e istituzionali ai quali il professionista afferisce o ritiene di appartenere, generando nella quotidianità professionale vitali dilemmi etici. La valutazione dei legami familiari è l azione professionale che apre l intervento di aiuto e sostegno (non solo quello di controllo) che porta con sé una grande sfida: quella di saper comprendere senza giudicare, quella di capire senza interpretare, quella di sostenere senza sostituire. La responsabilità di essere professionisti collettivi (il Codice Deontologico dell Assistente Sociale è il collettore dei valori saperi comportamenti che possono accomunarci) in una fase di crisi e declino dei sistemi di welfare è basilare per uscire dal bivio che rischia di essere fatale per i professionisti dell aiuto: o intervento standardizzato e asettico, o all opposto, intervento discrezionale e irripetibile. E per essere capaci di fare ciò occorre molta preparazione, sensibilità e autoriflessione individuale e collettiva. Renata Ghisalberti presidente CROAS Lombardia mandato consiliare L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 3

4 INTRODUZIONE: DEFINIZIONE DI TUTELA OGGI Il gruppo di lavoro tutela minori ha lavorato in varie fasi, una prima fase si è conclusa nel 2009, quindi il gruppo ha ripreso il suo lavoro nell aprile In questa seconda fase si è valutato la necessità di fermare la propria attenzione sugli aspetti connessi alla tutela dell infanzia, dell adolescenza e della famiglia. La prima fase del lavoro (2007/2009) si era conclusa con alcune considerazioni a partire da: i primi esiti dell applicazione della legge 149 (o perlomeno di parte di essa) e dalle diverse interpretazioni che emergevano soprattutto in alcune sedi giudiziarie; i rapporti con altre figure professionali e/o servizi (Avvocati Magistrati Psicologi) per l avvio di un percorso di costruzione di linee condivise. Queste note rimandavano ad una serie di approfondimenti, oltre che di chiarimenti, su alcuni aspetti legati al ruolo dei diversi professionisti coinvolti nell applicazione di leggi inerenti la tutela del bambino/adolescente. A distanza di alcuni anni da quel lavoro ci è sembrato importante ripartire, nell approfondire la tematica inerente la tutela, dalla professione e da quell ottica fermarsi a ragionare su alcuni punti ritenuti critici: i cambiamenti legislativi hanno costretto la professione ad interrogarsi su quale ruolo dovesse assumere, in un momento in cui il percepirsi come unico garante della tutela del bambino/adolescente era messo in discussione dalle competenze di altri professionisti. Soprattutto il ruolo terzo del giudice (vedi giusto processo) ha indebolito un binomio, giudice-assistente sociale, che aveva determinato, giusto o sbagliato che fosse, da parte dell assistente sociale un sentirsi a fianco della Magistratura e non parte di un procedimento di più ampio respiro; i cambiamenti socio-culturali ed il complessificarsi della società che richiedono sempre di più un attenzione, una lettura, un intervento competente, che può essere garantito solo da una formazione e supervisione permanente; l importanza di guardare la famiglia nel suo complesso e non più e non solo il singolo bambino scisso dal contesto dei suoi affetti e legami; la necessità di capire cosa vuol dire oggi occuparsi dei bambini e della famiglia in un contesto di aiuto e sostegno. Il gruppo, costituito presso l Ordine professionale, ha lavorato in parte per cercare di capire come il termine tutela non necessariamente era in binomio con il termine infanzia/bambino/adolescente, ed in parte a cercare di definire il termine tutela nella sua accezione più ampia, rivolta quindi a tutte le fasi di vita, o di situazione, di una persona in un momento di particolare fragilità. Sicuramente le analisi hanno riconfermato come la tutela rappresenti un ambito che non riguarda solo chi per età è in una situazione di particolare fragilità/delicatezza. A questo proposito va sottolineato come molteplici siano gli studi e le analisi fatte, con una ricchezza di prodotti, approcci e modelli di intervento, tanto che si potrebbe essere tentati di dire forse è superfluo continuare ad approfondire tale tematica. Eppure ancora oggi è sulla tutela del bambino che si focalizza la nostra attenzione: perché è un ambito particolarmente delicato, perché occuparsi di bambini vuol dire necessariamente occuparsi delle loro famiglie (con tutta la complessità che questo comporta), perché è un ambito dove l intervento deve essere il più adeguato e mirato possibile, pena il suo stesso vanificarsi, perché lavorare in tale ambito vuol dire occuparsi del futuro di una comunità. Questo è il motivo per cui le riflessioni, pur partendo da una visione più ampia di chi ha bisogno di tutela, di fatto sono ritornate a concentrarsi sul bambino e la sua famiglia. Un altro aspetto che nel merito ci è sembrato importante affrontare è guardare alla tutela non solo come protezione, ma anche come promozione di diritti. Solo operando questo passaggio si può passare da un concetto, 4 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

5 sicuramente importante ed essenziale ma a volte riduttivo, ad un concetto di più ampio respiro. Promuovere i diritti vuol dire ritornare a parlare di inclusione, di pari dignità di tutti, di attenzione alle persone in quanto tali (soggetti e non oggetti degli interventi) ed alla collettività quale ambito naturale dello sviluppo di ognuno, di attenzione al benessere e quindi di attenzione a sostenere le fragilità/difficoltà quando queste si presentano. Non è una risposta giuridica quella che abbiamo cercato e cerchiamo di dare, ma una risposta professionale, con il limite di parzialità derivato dallo sguardo mono-professionale su un tema che necessariamente richiede multidisciplinarietà. Si impone, quindi, una riflessione sul perché nella nostra legislazione il bambino/ adolescente (in quanto soggetto di minore età) è, a prescindere da qualsiasi ragionamento sulle sue competenze/capacità, per definizione soggetto da tutelare. La prevalenza, nel nostro paese, di una normativa in virtù della quale il minore di età non può stipulare alcun contratto, con un giudizio quindi di incapacità sul piano legale che di fatto gli impedisce la possibilità di rappresentare i propri diritti. Rappresentanza che viene quindi trasferita ad altri (in genere la famiglia di appartenenza). Tale logica, che potremmo definire contrattualistica, oltre a condizionare le vicende che riguardano il minore, influisce pesantemente sulla sussidiarietà, quale modalità regolatrice del sistema di protezione/benessere sociale. Tant è che nell approccio attuale tale sistema pone l accento sulle capacità/ possibilità di scelta tra una serie di opportunità offerte. Condizione da cui è, per definizione, escluso il minore. Il cambiamento culturale nella diade famiglia-minore. Un excursus delle modifiche del quadro normativo e sociale hanno portato a spostare l attenzione dal bambino/ragazzo, prescindendo dall adulto di riferimento, alla famiglia intesa come ambito privilegiato e perno del sistema degli interventi. Mai come in questo momento la famiglia è così enfatizzata, anche nel modello del welfare lombardo. Se è innegabile l importanza del ruolo rivestito dalla famiglia, è altrettanto innegabile come questa, nelle situazioni di fragilità, rischi di essere spinta verso l assunzione di responsabilità tanto da creare un vero e proprio paradosso più non riesco ad assumere responsabilità rispetto al carico legato al compito di cura e crescita di un figlio, tanto più vengo indicato come chi ha potere di rappresentarne l interesse 1. Si ritiene opportuno ripartire dal significato etimologico, prima ancora che professionale e sociale, della parola tutela. Da WIKIPEDIA dir. Cura, protezione e rappresentanza giuridica di un minore orfano o con genitori non in grado di esercitare la potestà genitoriale, oppure di un incapace o di un interdetto; è affidata dal giudice a una persona ritenuta idonea (tutore): avere la tutela sul nipote 2 dir. Protezione di un diritto, riconosciuto e assicurato per legge: tutela dell immagine 3 estens. Difesa, protezione di beni e diritti singoli, salvaguardia: tutela dell ordine pubblico; provvedimento a tutela dell ambiente. 1 stralci tratti dal precedente documento dell Ordine Assistenti Sociali Regione Lombardia in materia di tutela(2009). L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 5

6 Da Dizionario di SERVIZIO SOCIALE, Carocci Faber Se ne riprendono i concetti. - Il concetto giuridico di tutela si compone di due accezioni: una restrittiva, attraverso la quale il termine indica l istituto per cui un minore orfano o privo di genitori capaci di esercitare la potestà genitoriale oppure un interdetto viene affidato a un tutore che lo rappresenta nel compimento di atti di rilievo e ne amministra i beni; l altra, estensiva, dove la tutela,in ossequio al significato etimologico dell aggettivo latino tutus (sicuro) è sinonimo di salvaguardia, difesa, protezione. La Carta Costituzionale contiene sia nel Titolo II (rapporti etico sociali), sia nel Titolo III (rapporti economici) molte disposizioni che mirano al riconoscimento e alla conseguente garanzia di diritti sociali. Lo Stato attraverso la propria funzione sociale assume in ossequio all art.3 comma 2 (principio di uguaglianza sostanziale), il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico sociale, che limitando di fatto la libertà e l eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Questo principio, insieme al dettato contenuto nell art.2 della Costituzione ( la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ) costituiscono il fondamento non solo del riconoscimento dei diritti sociali, ma anche della loro effettiva realizzazione. La tutela del diritto all assistenza sociale si fonda su legislazioni e normative quali: L.N. 328/2000 legge quadro La riforma del titolo V Costituzione, in particolare art.117, comma 2, determinazione da parte dello Stato dei livelli essenziali art.119 comma 5 dove vengono destinate risorse aggiuntive in favore enti locali per garantire l effettivo esercizio dei diritti delle persone. Queste norme hanno allargato e vivacizzato il dibattito intorno all esigibilità dei diritti. Parlare di tutela vuol dire quindi parlare di diritti che, come abbiamo sottolineato, sono sanciti dalla Costituzione: il diritto del minore ad avere la sua famiglia ad essere educato istruito curato amato. il diritto della famiglia ad occuparsi del proprio figlio, sostenuta laddove da sola non dovesse essere in grado. così come la stessa Costituzione, all art.32, indica la tutela della salute come fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività, dando al termine salute un significato ben più ampio del solo aspetto sanitario. A partire dagli anni 70, si è andata definendo nel nostro Paese una legislazione sempre più attenta al minore ed alla famiglia. Certo è una legislazione che seppur molto avanzata su alcuni aspetti, su altri non può che risentire dei cambiamenti culturali che hanno riportato l attenzione dal minore alla sua famiglia. Passaggio estremamente delicato perché impone una seria riflessione su quale è l interesse prevalente da tutelare. Pensiamo utile, proprio per entrare nella complessità di tale tematica, partire da una declinazione della legislazione 2 quale punto fermo, seppure in alcune parti controverso soprattutto per la ricaduta avuta sulla professione dell assistente sociale che da principale interprete della tutela del bambino/adolescente, si è trovata nella necessità di reinterrogarsi su quale ruolo - a tutela di chi in che relazione con gli altri attori del sistema. Aspetto questo di non secondaria importanza perché va a toccare un aspetto delicato: chi è il detentore della tutela (i genitori sempre e comunque? il giudice? l avvocato del minore? l assistente sociale?). Probabilmente se al termine tutela diamo un significato ampio, possiamo dire che la tutela diviene frutto di un concorso di più ambiti, dove non c è prevalenza di uno o dell altro, ma un modularsi di interventi che a seconda della situazione e della sua più o meno criticità assumono valenze diverse. 2 In appendice sono elencate le principali fonti legislative 6 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

7 FILOSOFIA ED EVOLUZIONE STORICA DEL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO L Assistente Sociale che si occupa di tutela dell infanzia, dell adolescenza e della famiglia si confronta e conforma costantemente con il nostro sistema normativo, e trova i fondamenti del suo operato in due filoni di norme che orientano la forma di tutto il quadro legislativo e dell azione della pubblica amministrazione. Le leggi che direttamente si occupano del diritto di famiglia e delle responsabilità genitoriali e quelle che si occupano del diritto dei minori, prima fra tutte, anche se non temporalmente, in quanto sovraordinata, la Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo. Questo contributo si ispira liberamente alle mirabili lezioni e scritti di: Alfredo Carlo Moro, Valerio Onida, Silvia Vegetti Finzi a cui va tutta la nostra gratitudine per la profondità di pensiero e precisione delle opinioni. Per quanto attiene la legislazione che regola i rapporti familiari si rinvia al dettaglio in appendice, ove sommariamente sono elencati gli articoli del codice civile e le leggi specifiche, qui si ricorda soprattutto l importanza della riforma del diritto di famiglia del 1975 e la conseguente corresponsabilità dei coniugi. Nel 1975, una data storica per la nostra società, il nuovo codice di famiglia dispone che i due coniugi sono uguali tra di loro, hanno pari diritti e doveri e l autorità familiare spetta all uno e all altro. Questa equanimità fa venire meno, una volta per tutte la struttura verticistica in cui tutto il potere apparteneva al padre di famiglia, il quale tra l altro era anche l unico a detenere pieni diritti di cittadinanza. Questa riforma ha inciso profondamente sul costume e le consuetudini familiari, in qualche caso anticipata nei fatti dai comportamenti dei cittadini, in altri anticipatrice di una vera e propria rivoluzione della concezione di famiglia. Le tipologie familiari ora sono molte, tanto che conviene utilizzare il termine famiglie piuttosto che famiglia. Nella società attuale convivono più modelli: la famiglia tradizionale, la famiglia nucleare (composta da padre, madre, figli), le famiglie di fatto, quelle separate; quelle che si sono successivamente ricomposte; le famiglie costituite da un solo genitore con figlio o figli a carico. Inoltre vi sono famiglie che hanno adottato bambini, anche provenienti da paesi lontani, o ne hanno accolti in affidamento. Parliamo quindi anche di reti familiari. Ora i due aspetti - coniugalità e genitorialità - un tempo strettamente connessi, non coincidono più, per lo meno non necessariamente. Si è marito e moglie finché si può, finché dura, ma si è genitori per sempre. Il tempo sacro si è spostato dai coniugi, come coppia, al loro impegno in quanto padri e madri. La genitorialità è un impegno di cui si conosce l inizio ma non la fine, e la scelta di filiazione consapevole, grazie anche alla diffusione della contraccezione, costituisce il nucleo forte della famiglia attuale. Ciononostante sentiamo tuttora la mancanza di politiche che sostengano le famiglie così intese e accompagnino gli adulti in questo complesso impegno, come se nella mente del legislatore, e non solo, permanesse la famiglia modello, la famiglia borghese, composta di padre, madre, figli. Il riferimento più significativo per quanto riguarda la tutela dei minori che segnala l evoluzione normativa internazionale e nazionale è la Convenzione sui diritti dell infanzia del Altre leggi antecedenti avevano salvaguardato molti dei principi enunciati: per alcuni aspetti si potrebbe dire che la Convenzione non fa che precisare aspetti di diritti e di tutela che, in prospettiva almeno, dovrebbero essere patrimonio dei diritti umani in quanto tali, quindi indipendentemente dall età. Alcuni articoli prevedono informazioni e indicazioni più specifiche e dirette all infanzia, alla condizione di minore. Ad esempio quando si parla di riconoscere la responsabilità comune dei genitori per l educazione e lo sviluppo del minore; il diritto alla protezione sostitutiva nei casi in cui manchi la famiglia, o i genitori siano inadeguati; la tematica dell adozione, il diritto all istruzione e all educazione; il diritto ancora del minore ad essere udito, ad essere ascoltato in ogni procedura amministrativa o giurisdizionale che lo riguardi. 3 Ratificata dallo Stato Italiano con L. 176/91 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 7

8 La Convenzione nel suo preambolo dice tra l altro che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività. Il principio fondante che preme qui ricordare, che si pone come ispiratore di tutti i provvedimenti che riguardano i minori, è contenuto nell art. 3 4 ove si dispone che in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative, degli organi legislativi, l interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. Questo è lo spirito con cui guardare agli aspetti giuridici della condizione dei minori e a questo consegue l impegno dello Stato di assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie per il suo benessere. Ove per interesse superiore dobbiamo intendere il miglior interesse (the best interest) per quel bambino specifico, in quella situazione specifica, non un interesse generale che prevalga versus un altro interesse generale. L interesse del minore è da intendersi come quell insieme di fattori soggettivi, familiari e sociali che promuovono lo sviluppo armonico e favoriscono la crescita del bambino e dell adolescente, e, in quanto tali, non si contrappongono per definizione agli interessi e ai diritti dei genitori, ma debbono e possono trovare compiuta espressione nella famiglia d origine. L interesse del minore che l ordinamento italiano riconosce e richiama, non implica affatto un declassamento dei diritti soggettivi del minore in meri interessi e cioè in mere aspettative il cui appagamento è affidato alla discrezionale volontà di altri soggetti: ormai per il nostro ordinamento minorile il soggetto in formazione è sicuramente portatore di autentici diritti soggettivi il cui godimento deve essere garantito e la cui promozione deve essere stimolata. Questo vuol dire che qualunque operatore, amministrativo, giudiziario, quando applica la legge, non può considerare la Convenzione come un ideale, un utopia, un qualcosa che sta un po al di fuori, perché anche questa è legge, anzi è legge in un certo senso prima di tutto. Da portatore di meri interessi che gli adulti avrebbero dovuto rispettare ma che se non erano rispettati non erano garantiti in altro modo dall ordinamento il soggetto di età minore è divenuto un titolare di diritti che l ordinamento è tenuto ad attuare anche rompendo, come nell adozione, legami di sangue sempre ritenuti incomprimibili, qualora si rilevi una contrapposizione tra il diritto alla crescita e i comportamenti dei genitori. A questo proposito è utile richiamare l art 14 del Titolo III del Codice deontologico degli Assistenti Sociali che recita: L assistente sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti e dei clienti, in particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve adoperarsi per contrastare e segnalare all autorità competente situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fisico e/o psicologico, anche quando le persone appaiono consenzienti. Il diritto afferma in tal modo i bisogni essenziali di crescita umana del soggetto in formazione e li ha assunti e tradotti in diritti soggettivi perfetti, come lo sono certi bisogni dell uomo adulto, da tutelarsi con la stessa puntualità e intensità. E l impegno del diritto non è più solo di garanzia ma anche di promozione della persona in difficoltà. Accanto ai diritti individuali di personalità l ordinamento ha inoltre riconosciuto una serie di diritti sociali e cioè i diritti all istruzione, al lavoro, alla salute, all assistenza, allo svago, alla protezione da ogni sfruttamento, alla regolare socializzazione e all eventuale risocializzazione se si è interrotto o deviato l itinerario formativo. 4 ART. 3 In tutte le decisioni riguardanti i bambini di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale e dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente 8 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

9 Sono, i diritti sociali, quei diritti che possono essere fatti valere non solo in caso di violazione di essi da parte di uno specifico soggetto ma anche, anzi principalmente, nei confronti della comunità organizzata in Stato e delle sue diverse componenti territoriali. Attengono, questi diritti, a bisogni fondamentali di personalità che possono non trovare attuazione non perché uno specifico soggetto si sottragga al compito di rispettarli ma perché situazioni particolari possono rendere difficile il loro pieno godimento. Se i classici diritti di libertà civile affondano le loro radici nel concetto di libertà naturale, i diritti sociali hanno la loro giustificazione teorica nel diverso concetto di liberazione da determinate forme di privazione e quindi hanno lo scopo di realizzare un efficace sintesi tra libertà ed eguaglianza, assicurando a tutti identiche chances e quindi un eguaglianza non più formale ma sostanziale. La promozione dei diritti effettivi fa parte dei compiti dell assistente sociale, come declinato in tutto il Titolo IV del Codice che tratta delle Responsabilità dell assistente sociale nei confronti della società a proposito della Partecipazione e promozione del benessere sociale. È chiamata non solo a proteggere i soggetti deboli, ma anche a promuovere tutte le iniziative che favoriscono il raggiungimento di uguali opportunità. La Convenzione e il Codice Deontologico non sono da intendersi come dichiarazioni di principio, ma indicazioni di comportamenti attivi e promozionali. LA TUTELA OGGI Come appare chiaro dall analisi sin qui svolta, affrontare l argomento della tutela è complesso in quanto facilmente si può incorrere o in semplificazioni o in problematizzazioni. Rischiando di ricorrere per definirlo a riferimenti ed a parametri legislativi psicologici sociologici, teorizzando sino all esasperazione quello che è pur sempre un semplice e fondamentale concetto insito nel termine tutela. Con il termine tutela in lingua italiana si intende potestà costituita per curare gli interessi e l educazione di una persona di età minore, o le cose di persona interdetta ma anche protezione o difesa. Questo aspetto del difendere e proteggere sta ad indicare non solo la fragilità legata alla minore età, ma anche la situazione di malessere disagio difficoltà che può coinvolgere la persona adulta. Ed è questo l ambito in cui si sviluppa il senso della professione di assistente sociale. Questi concetti oggi sono in crisi su un piano culturale, e nonostante spesso si citino legislazioni internazionali piuttosto che le diverse Convenzioni Internazionali (in parte recepite dalla nostra legislazione) quali normative a favore della tutela del minore, di queste si estrapolano principalmente quelle parti che in qualche modo fanno prevalere i bisogni esigenze dell adulto/genitore. Affermare che il bambino ha bisogno della sua famiglia per poter crescere e che è un diritto avere la propria famiglia è tanto vero quanto ovvio, ma è altrettanto vero considerare che a volte quella famiglia è parte del disagio, anche grave, del bambino. Se è importante rimuovere le cause del malessere familiare è altrettanto importante mettere in atto quegli interventi, anche se dolorosi, che mettano il bambino al riparo da eventuali ed ulteriori danni. In questo senso vale la pena di sottolineare come il diritto del genitore è sancito dall art. 30 della Costituzione che parla però di diritto-dovere e non di potere, potere che a volte emerge nel rapporto con alcuni nuclei familiari che vivono qualsiasi intervento, seppure di aiuto, come un indebita ingerenza nel proprio ambito familiare. C è, purtroppo, da rilevare come questo stesso sentire sia fatto proprio anche da chi demonizza l intervento dei servizi sociali oltre che giudiziari, sottovalutando come alcuni problemi, se non trattati e sostenuti, lungi dal risolversi potrebbero mettere a serio rischio la stessa incolumità (fisica e psicologica) dei minori. Proprio la crisi del concetto di collettività quale ambito di intervento delle politiche sociali, rischia di vanificare un percorso che ha visto nel miglioramento del benessere sociale della collettività la dimensione ideale in cui sviluppare e tessere la rete di protezione del singolo individuo. Il rischio è quello di guardare al bisogno ed alla risposta da dare come ad un fatto individuale, che solo in questa dimensione può trovare la risposta migliore. L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 9

10 Se è vero che alcune volte è il malessere stesso della famiglia a produrre il problema per quel bambino, è altrettanto vero che nella famiglia possono essere presenti potenzialità che se sostenute ed aiutate di certo potranno permettere di affrontare, ed anche superare, quel malessere all origine dell intervento dei Servizi. Il guardare alla famiglia non solo e non tanto nei termini di ciò che non c è - che manca, ma anche per ciò che ha e potenzialmente può esprimere vuol dire recuperare i principi alla base di molte leggi ma anche il senso che dalle leggi stesse è dato ai servizi: la possibilità cioè di intervenire a sostegno ed aiuto. Questa lunga premessa appare utile nel tentativo di capire quale significato assume, per i Servizi, l azione della tutela. Soprattutto oggi in presenza di difficoltà, carenze (economiche e di personale) da parte degli Enti competenti. Come sappiamo, sin dal DPR 616/77 è apparso chiaro come il trasferimento di una materia, sino ad allora in capo allo Stato, non ha prodotto sino in fondo quei cambiamenti che il legislatore si era posto con l emanazione di leggi che da un lato scioglievano innumerevoli enti che a vario titolo si occupavano dei Servizi socio-assistenziali, dall altro cercavano di ricomporre tutto il sistema dei bisogni e delle risposte/risorse in un ambito (quello territoriale) più vicino e più raggiungibile da parte del cittadino. Questo obiettivo sicuramente condivisibile, di razionalizzazione dell esistente, di professionalizzazione di un intervento (quello di sostegno/aiuto) spesso confuso con interventi di beneficenza e mera assistenza, si è da subito scontrato con l assenza di una legge quadro di riferimento (per averla bisognerà aspettare il 2000), con la presenza di servizi sanitari che proprio in virtù di una specifica legge di riforma (833/1978) acquisivano una maggior forza, relegando i servizi sociali, anche in quelle regioni dove veniva fortemente teorizzata una integrazione dei due ambiti per una risposta puntuale ed efficace, ad un ruolo sempre più fragile. A questo si aggiunge un rapporto con la Magistratura minorile che ha visto l Ente locale (anche nelle realtà più grandi e con una lunga tradizione nella costruzione di Servizi sempre più attenti nel progettare risposte ed attivare risorse a favore di soggetti più fragili) porsi spesso in posizione di mero esecutore dei provvedimenti emessi dalla Magistratura e non di Istituzione cui spetta il compito di costruire la rete di interventi di protezione e promozione della salute sociale dei suoi cittadini, oltre che del territorio in cui essi vivono. Questo processo, grazie anche al complessificarsi delle realtà urbane (in particolare in quelle più grandi) ha prodotto un progressivo arretramento degli interventi di sostegno ed aiuto in ambito spontaneo (in presenza cioè di un mandato da parte delle persone stesse) ed un esponenziale aumento delle richieste in ambito coatto. Non si vuole riproporre ancora una volta una sterile diatriba fra spontaneo e coatto, sono due modalità che sicuramente sono presenti nella presa in carico, ma va recuperato, da parte di chi opera nei servizi sociali (in primis l assistente sociale), la capacità professionale di strutturare il proprio intervento a prescindere dalla presenza di un mandato della Magistratura. L azione di tutela può tornare in tal modo ad assumere quel significato forte di protezione e sostegno della fragilità, quale essa sia, protezione quindi non solo del bambino/a ma anche dell adulto in una situazione di difficoltà (malattia disoccupazione deprivazione immigrazione - anziano solo etc..). Certo, l aspetto della protezione assume una maggior delicatezza se riferita ai bambini, proprio perché l intervento non può prescindere dal fatto che il bambino è inserito in un tessuto familiare, in un ambito che rappresenta una componente importante, di cui si deve tener conto anche quando è all origine di una situazione di malessere disagio rischio del bambino. Uno degli aspetti che sin da subito è emerso in tutta la sua complessità è la stretta interrelazione tra i servizi tutela e gli assetti organizzativi. Va sottolineato come da una ricostruzione, risultata peraltro molto faticosa e parziale, delle diverse forme organizzative dei territori riguardo alla tutela emerge un quadro eterogeneo, caratterizzato da continui cambiamenti, a volta anche radicali, con ricadute sui servizi in generale ed in particolare sulla figura dell assistente sociale e sul suo ruolo all interno di una materia delicata, articolata e difficile. 10 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

11 I SERVIZI DI TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA: ALCUNE RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE L organizzazione dei Servizi che si occupano di tutela minori è, nel territorio lombardo, come già sottolineato, molto diversificata. È legata ad una storia locale e territoriale specifica, pur all interno di quadro formale normativo comune. Nella costituzione dei diversi Servizi hanno pesato indubbiamente i rapporti di collaborazione e/o di forza tra le Asl e i Comuni, nonché il diverso sviluppo che ha avuto la gestione associata dei servizi (tra cui appunto la tutela minori) dopo il ritiro delle deleghe alle Asl. Elemento di diversificazione è inoltre quello della dimensione: le città capoluogo (Milano in particolare) hanno una storia ed una organizzazione dei servizi per molti aspetti non confrontabile con quella del resto dei territori. L organizzazione attuale dei Servizi tutela di molti territori è generalmente centrata su équipe interistituzionali (Asl + Comuni attraverso protocolli formali). Nel concreto questa doppia appartenenza degli operatori a due organizzazioni diverse, con modalità organizzative e di gestione del personale diverse, rende complessa l attività professionale. Le istituzioni, a prescindere dalle dichiarazioni di principio e formali, hanno finalità e interessi non sempre coincidenti (autoreferenzialità e auto centralità di ogni organizzazione), che condiziona in modo differenziato i margini di autonomia degli operatori. Vi è come conseguenza una prevalenza degli aspetti legati alle procedure in senso formale piuttosto che alle relazioni professionali orientate all utente. Alcuni territori hanno sviluppato forme organizzative più autonome, quali Aziende di Servizi (comunque denominate) costituite dai Comuni associati nell ambito dei Piani di zona; in Lombardia sono 42 su 98 ambiti territoriali 5 e quindi un soggetto ormai rilevante. Alcuni di questi soggetti hanno sviluppato modalità organizzative autonome dall ASL, un po per scelta propria e un po come conseguenza della chiusura o della limitazione dei consultori pubblici da cui derivavano le risorse professionali (psicologi) dedicati, anche spesso solo parzialmente ai servizi tutela. La contemporanea partecipazione degli psicologi alle attività del consultorio non semplifica la situazione, sia tale consultorio pubblico o privato accreditato. La remunerazione delle attività a tali servizi come pagamento di prestazioni sulla base di un modello strettamente sanitario (o meglio di contabilità sanitaria), spinge infatti tali servizi ad orientare la propria attività verso prestazioni più remunerative. Si sta inoltre facendo strada una tendenza, peraltro non nuova in altri settori, all esternalizzazione del servizio tutela minori mediante l affidamento a soggetti del privato sociale (cooperative o associazioni). Questa scelta, oltre che su valutazioni di natura economica (per altro di dubbia validità), si basa sul falso convincimento di poter scaricare una funzione (e quindi una responsabilità) che è per definizione pubblica e non può essere altro che tale (almeno nel nostro ordinamento). Un modello organizzativo minimo necessita di un servizio tutela minori strutturato, che oltre alle figure professionali dell assistente sociale e dello psicologo (per un numero di ore lavoro adeguato e proporzionale alle situazioni in carico), dovrebbe poter disporre di un coordinatore che oltre ad svolgere funzioni di raccordo istituzionale, ha la funzione di dare unitarietà al servizio garantendo una riflessività complessiva sulle attività e lo stimolo per un confronto continuo sulle situazioni, anche al fine di evitare eccessive personalizzazioni. È inoltre opportuna una consulenza giuridica stabile sia in forma di tutela degli operatori, sia come esperto consulente per le attività più strettamente connesse al percorso giudiziario dell azione di tutela. È importante anche una supervisione periodica e stabile sia a livello singolo che di gruppo da parte degli operatori dell équipe professionale. In realtà l organizzazione attuale di buona parte dei servizi nei diversi ambiti presenta molte criticità: il coordinamento è spesso molto ridotto, la consulenza giuridica non è sempre presente e quando c è, è generalmente molto limitata; la supervisione (a volte è curata dallo stesso coordinatore) è frequentemente una rarità. È evidente un limitato investimento verso un servizio strutturato e stabile che comporta una frammentazione e uno scarso coordinamento delle azioni che vengono attivate, azioni molto spesso determinate da un emergenza organizzativa. In molti territori il personale dei Servizi è inoltre assunto con contratti a termine, dove non a prestazione professionale (specialmente gli psicologi), e pagato a ore e con un monte-ore minimo. 5 Dato riferito al 2011 fonte: Regione Lombardia L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 11

12 L Assistente Sociale si muove dunque in un contesto organizzativo caratterizzato da molti aspetti critici, che spesso costituiscono, suo malgrado, degli elementi determinanti per le scelte che sono portate avanti nella relazione d aiuto con l utente: da un lato si esprime come un professionista dotato di competenze che mette in campo per fronteggiare, insieme all utente, la situazione di disagio, costruendo e co-gestendo un progetto di aiuto; dall altro è esso stesso l espressione di una organizzazione fatta di regole, di vincoli, di limiti (compresa la disponibilità di risorse proprie e/o attivabili), ma anche di relazioni ed equilibri interni e dell organizzazione stessa verso l esterno. La mission dell Assistente Sociale e della sua organizzazione per quanto teoricamente coincidenti, nella realtà concreta non sempre viaggiano di pari passo; le scelte istituzionali (di politica sociale per intenderci) non sono necessariamente nella medesima direzione dell attività professionale. Questo aspetto è di per sé ineluttabile in tutte le attività professionali che agiscono all interno di organizzazioni complesse e, a maggior ragione ove centrale è il rapporto diretto utente-operatore, ove quest ultimo esercita (o può esercitare) una certa discrezionalità. Le ipotesi di soluzione (o meglio di gestione) di questo dualismo si muovono normalmente in due direzioni: a) una valorizzazione dell autonomia attraverso la costruzione di buone prassi di lavoro il più condivise possibile ai vari livelli. Questo comporta un forte investimento da parte dell organizzazione sulla professione, ovvero investimento in formazione e in tempi di riflessività ; b) una standardizzazione dei comportamenti sempre più accentuata, che, con una brutta parola in burocratese significa per l organizzazione investire in regole/procedure. Nonostante tutte le dichiarazioni di facciata la tendenza attuale delle organizzazioni per i servizi alla persona (comuni, ambiti, Asl, ) è orientata in questa seconda direzione. L attività degli assistenti sociali, e di altre professionalità coinvolte, è sempre più caratterizzata da schede, moduli di validazione, protocolli operativi rigidi, con regole spesso definite da esigenze di un sistema informatico più che da una riflessione sulla realtà del caso/ delle situazioni sociali. Per dirla con una battuta: la capacità di ascolto-risposta a un problema personale/sociale è determinata dalla capacità di adattarla ad un qualche logaritmo. È comunque chiaro (o forse no?) che l assistente sociale che lavora in una organizzazione, asl o comune o altro, agisce in nome e per conto della stessa e quindi, se da un lato risponde alla stessa per il suo operato, dall altro l organizzazione risponde verso l esterno (gli utenti o beneficiari dei servizi in particolare) in quanto tale. L eccessiva personalizzazione della relazione d aiuto (comunque essa sia configurata) è altrettanto negativa della spersonalizzazione creata dalla standardizzazione esasperata a cui si accennava. In tema di servizi per la tutela dei minori tale rischio è molto reale e presente: il caso non è (non deve essere) dell assistente sociale A o B, ma del servizio/sistema di servizi di cui l assistente sociale fa parte (e ne è solo una parte); il problema (inteso come mandato per la situazione da fronteggiare) non è del professionista, ma dell intero sistema organizzazione. Questo significa semplicemente che si è di fronte ad una responsabilità condivisa, anche se molto spesso negata. ll dirigente e/o l amministratore che nega una proposta di intervento (o addirittura nega la situazione problematica) per quanto sposti verso altri la questione è comunque parte dell organizzazione, tra l altro con un ruolo preciso, e quindi co-responsabile delle azioni (o delle non azioni) degli operatori che a lui riferiscono in qualche modo. È vero ovviamente anche l opposto, ovvero quando il dirigente o l amministratore valida la scelta di intervento dell Assistente Sociale. Questo non vuol dire che ogni proposta da parte dell operatore assegnato al caso/alla situazione è aprioristicamente buona o positiva: è semplicemente messa in comune (almeno in termini di responsabilità) perché diventa propria dell organizzazione di appartenenza. Questo dato presupporrebbe, all interno di un sistema organizzativo normale (cioè orientato al proprio mandato), una comunicazione professionale (e se vogliamo gerarchica) fluida, anche se comunque svolta attraverso norme e/o procedure, caratterizzata da una chiarezza di intenti e di relazioni, oltre che da una condivisione dei linguaggi. In generale, ma a maggior ragione per quanto concerne i servizi per la tutela dei minori, dev essere più che mai chiaro qual è l obiettivo, ovvero la tutela del prioritario interesse del minore, ma non in quanto esigenza etica ( prima i bambini ), ma in quanto obbligo istituzionale fissato dalla legge che è, peraltro, il motivo fondante del servizio stesso. 12 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

13 LA RETE DEI SERVIZI Se si allarga la prospettiva all intera rete dei servizi il quadro attuale delle cose non è certo incoraggiante. Nell ambito dei servizi di tutela dei minori, nella realtà delle situazioni, l attivazione di servizi di supporto e di sostegno al progetto di tutela del minore sono molto spesso oggetto di una continua e difficile mediazione tra l operatore incaricato del caso e i vari soggetti istituzionali del territorio, in particolare comuni e Asl. Parte del tempo e delle risorse professionali è spesa in tali mediazioni a scapito dell attività con l utenza. In particolare nei comuni piccoli l attivazione di servizi anche minimi è oggetto di mediazione con la componente politica e basata su elementi non sempre strettamente legati alla situazione di tutela e protezione (principalmente di natura economica, ma non solo). Soprattutto nei piccoli comuni, dove non è presente un filtro costituito dai capi settore e/o dirigenti, la pressione degli amministratori sugli assistenti sociali è molto presente. Oltre alla dispersione di energie in mediazioni, il condizionamento sul lavoro degli operatori si fa sentire su molti aspetti, che creano una linea di comportamento professionale più gradita : le scelte operative sono condizionate da una valutazione di autotutela da parte dell operatore, che, specie se con contratto precario, cerca comunque, anche inconsciamente, di difendere il proprio posto di lavoro; gli interventi di tutela e/o di protezione sono orientati al massimo ribasso e non a una valutazione complessiva costi-benefici, efficacia-efficienza; prevale un attendismo decisionale, le azioni sono attivate quando non se ne può fare a meno. Emerge quindi un aspetto che può di per sé sembrare ovvio: la tutela dell assistente sociale che opera nell ambito della tutela. Il contesto organizzativo che crea un clima di appartenenza e quindi in qualche modo protettivo, permette all assistente sociale una serenità che permette a sua volta l impiego in senso professionale della sua umanità nella relazione d aiuto con l utente. È quindi evidente come il contesto determinato dall organizzazione a cui l assistente sociale appartiene (per cui lavora) è fondamentale per la reale capacità di azione professionalmente qualificata (ed efficace) che riesce svolgere. È quindi importante presidiare alcuni aspetti che in qualche modo possono rappresentare la condizione minima perché un servizio dedicato alla tutela dei minori possa avere un senso: essere costituito da Assistenti Sociali con una sufficiente competenza specifica in materia, anche se non dedicati esclusivamente; avere un monte-ore-lavorativo sufficiente in relazione alle situazioni in carico; l organizzazione di tale monte ore può non essere (non deve essere) necessariamente rigida (es: 15 settimanali il martedì e il giovedì), ma deve tuttavia essere evidenziata la sua specificità. Viceversa il rischio è venga condizionata dalle emergenze altre e dagli adempimenti formali tralasciando una progettualità orientata alla persona; essere strutturato : avere cioè delle figure professionali di riferimento più meno stabili e dedicate e modalità di comunicazione e relazione tra le stesse chiaramente definite; avere spazi/momenti di riflessività che devono essere assolutamente presidiati per dare senso alle azioni proposte e/o attivate. Meglio sarebbe se tali spazi fossero organizzativamente definiti attraverso il coordinamento e la supervisione; garantire una logica progettuale, poiché non si può prescindere dal presupposto che un intervento di tutela è comunque un progetto di vita (a volte condiviso a volte imposto), agisce cioè in modo determinante sulla vita reale delle persone coinvolte. Una breve riflessione riguarda inoltre le risorse concrete che l assistente sociale può attivare effettivamente in un progetto di tutela. È chiaro, che se da un lato il lavoro professionale si muove all interno di una relazione diretta di aiuto con l utente (sia essa spontanea o coatta), finalizzata alla valorizzazione delle possibilità di cambiamento della situazione di disagio che la famiglie (e tutti i protagonisti della situazione) possono agire, dall altro è necessario che vi sia un pacchetto di risorse immediatamente attivabili (comunità, famiglie affidatarie, reti familiari, servizi L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 13

14 di sostegno territoriali). Tali risorse non possono tuttavia essere inventate al momento in cui se ne ravvisa la necessità, ma devono pre-esistere, devono cioè essere il risultato di una programmazione e una politica sociale del territorio. L Assistente Sociale della tutela può e deve essere un protagonista tecnico-professionale per la costruzione di dette politiche sociali. Sono poi necessarie delle scelte che competono alla componente politica. La rete di Servizi (intesa nel senso più ampio) è quindi una variabile fondamentale per l attività dei servizi dedicati alla tutela dei minori e l impostazione (o il principio organizzativo di fondo) è quindi determinante: la capacità di risposta è connessa al numero e soprattutto alla qualità (alla coerenza) delle opportunità. IL TERZO SETTORE Nella rete dei Servizi un ruolo importante è rivestito dal terzo Settore, sia che ad esso si guardi come attore della tutela, in quanto attuatore di un progetto dell assistente sociale, sia che ad esso venga delegato lo svolgimento e l organizzazione del servizio tutela da parte dell Ente. Tutte le diverse sperimentazioni di Servizi, nella realtà milanese senza ombra di dubbio, sono nate da una collaborazione non solo fattiva ma anche di pensiero, di progettazione dell ente pubblico e del privato sociale. Sotto questo aspetto la legge 328 del 2000 (anche altre in precedenza ma non con la stessa incisività) all articolo 1 (Principi generali e finalità) recita: 1. la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. 3. la programmazione e l organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali. 4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. 5. Alla gestione ed all offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata. Uno dei concetti cardine che la legge sottolinea è quello della sussidiarietà, cui andrebbe restituito il significato che nello spirito del legislatore era quello vero: reale e concreto concorso nel creare il sistema di risposte ai bisogni del cittadino, e non mera delega di un soggetto all altro come spesso purtroppo è avvenuto. 14 L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

15 Sicuramente al terzo settore va riconosciuto un ruolo importante, a livello più generale, in particolare interroga la professione sotto molteplici aspetti, ne delineiamo alcuni dei più significativi: terzo settore come partner nella progettazione/attuazione di alcuni servizi/interventi; terzo settore come soggetto attuatore del progetto di intervento elaborato dal Servizio sociale e che in questa interazione permette al servizio di rispondere al bisogno: di verificare la possibilità di un reale cambiamento tale per cui è possibile un ripristino della funzione tutoria dei genitori, di osservare e di capire, di verificare; terzo settore come luogo di appartenenza di una parte della professione, e come tale ambito in cui è necessario la professione si esplichi in tutte le sue sfaccettature e con tutti i suoi saperi ed i suoi riferimenti etici/deontologici. Questo aspetto spesso non ha goduto della necessaria attenzione in quanto si parla di una professione che si è espressa soprattutto all interno del Servizio pubblico e solo da un tempo più breve si muove nell ambito del terzo settore. In questo caso, paradossalmente, la stessa appartenenza professionale non ha giocato come collante o facilitatore di un dialogo fra due mondi (pubblico-privato) che, se guardati con occhio libero, non possono che procedere di pari passo. LA FORMAZIONE DELL ASSISTENTE SOCIALE CHE OPERA NEI SERVIZI DI TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA Anche in questo ambito l assistente sociale rimanda l immagine di una certa fragilità della personale formazione professionale a confronto con professioni dallo status più elevato che spesso operano in servizi dello stesso settore, quali psicologi e medici. Il percorso formativo attuale risente di alcuni vincoli e limiti: la laurea triennale, prevista nella formazione di base, ha permesso l acquisizione di una maggiore cultura teorica, necessariamente generalista, d altro canto le stesse organizzazioni di lavoro tendono ad utilizzare l assistente sociale più per rispondere in modo universalistico e standardizzato alle molteplici richieste, riducendone la funzione all erogazione di prestazioni più o meno proceduralizzate. Forse in passato era possibile tenere separati il momento dell apprendimento, la scuola, da quello del lavoro, la fabbrica, l ufficio, la professione, quasi fossero due grandi scansioni biologiche della vita dell individuo, oggi questo non è più possibile. Nessuno, neanche chi si presenta al lavoro con il più ricco curriculum scolastico, riesce a vivere per più di qualche anno dell eredità che la scuola gli lascia in termini di preparazione professionale. Il tempo per apprendere, inoltre, deve servire soprattutto ad imparare ad imparare e ad imparare a lavorare. Si rende pertanto indispensabile impostare l attività formativa attraverso la ricerca del giusto equilibrio tra teoria e pratica, evitando il prevalere esclusivo di una dimensione a sfavore dell altra. Troppo spesso, invece, la costruzione dei piani di studio per le lauree dei professionisti del lavoro sociale privilegiano un approccio di tipo disciplinare teorico che porta a leggere i fenomeni attraverso lenti mono-oculari, in grado di mettere a fuoco una parte del fenomeno ma non di trovare le possibili connessioni con le altre parti. Per altro, le stesse aspettative degli studenti sono spesso invece orientate sugli aspetti pratici, ovvero su apprendimenti in grado di abilitare possibilmente nel più breve tempo possibile alla messa in atto di interventi chiari, efficaci e replicabili. La professione richiede, invece, la capacità di reinterpretare le teorie di riferimento e le buone prassi ogni volta che s incontra un utente, rispettandone la specificità, insomma di saper mettere in pratica attraverso la lente della creatività quanto appreso. L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 15

16 Specializzazione non specialismo Nella realtà operativa non è possibile affrontare le tematiche della tutela dell infanzia e della famiglia, ma non solo di questo settore, se non si è acquisita la capacità di elaborare un pensiero complesso, se non si è abituati ad esercitare una pratica riflessiva, ad utilizzare processi di auto osservazione. Quanto richiamato ci porta a definire il percorso di formazione permanente (ma forse anche durante il biennio della cosiddetta laurea specialistica) in termini di specializzazione, ben differente da uno specialismo che riduce le competenze a tecniche di problem solving, che rincorrono neoteorie di moda, sovente poco verificate e certamente non sempre contestualizzate in relazione all utenza e alle culture di appartenenza. Riteniamo utile chiarire il concetto espresso citando un intervento di Franca Olivetti Manoukian:.Sull etimologia di formazione : è una declinazione di forma che (forse contrariamente a quel che si potrebbe immaginare) è parola dall etimo oscuro in cui sembra si leghino un termine latino (forma) con uno greco (morphé) attraverso una mediazione dall etrusco e attraverso una metatesi, ovvero una trasposizione di lettere tra l uno e l altro. È interessante però annotare che la parola latina forma corrisponde più specificamente a stampo, ovvero a forma che viene data o presa da una sostanza, attraverso qualche cosa che la definisce e la consolida. Il rimando più immediato è a formaggio. La parola greca morphé sembra indicare piuttosto le configurazioni, le variazioni che prendono varie parti per e nell interagire con il mondo che le circonda ( si parla di morfologia embrionale, grammaticale, geografica), per essere e stare nel mondo con grazia e bellezza, anche se forse solo in apparenza, con gesti e con parole. Le due etimologie sono oscuramente compenetrate ma non sono così pacificamente sovrapponibili. Il significato di forma come modello rinvia all esistenza nella formazione di relazioni di potere, al peso di un potere/sapere costituito che detta il modello a cui sottomettere, sottomettersi. Il significato di forma come morphé è più aperto ai rapporti multipli, è più provvisorio e costruttivo, più vissuto tra interno e esterno più trasformativo, metamorfosi nel bene e nel male 6 La professione sociale è paragonabile al lavoro di un artigiano, colui che pratica un arte, che realizza lavori su misura, unici e irrepetibili, ricercando le formule più adatte per interagire e rispondere ai bisogni dei clienti, con una attenzione costante e approfondita sulle domande e sui bisogni stessi. Domande e bisogni che sono spesso dinamici, mutevoli, ambigui, aperti a significati diversi, che cambiano (e non necessariamente in senso evolutivo e positivo) nel corso dell intervento, che obbligano a ricalibrare la propria azione accettando una dimensione costante di incertezza. Nessuna teoria è in grado di rappresentare la complessità umana. Ogni approccio apporta strumenti che possono essere utili per formulare ipotesi e modalità di valutazione degli interventi, tuttavia una teoria può solo aiutarci a raffinare ed indirizzare tale lettura, ma non ne definisce mai la veridicità e l assoluta validità. La creatività di un operatore o di un équipe si sviluppa nella capacità di ascoltare, raccogliere, approfondire i diversi punti di vista per elaborare letture circolari della situazione, superando la logica lineare di causa-effetto. Ciò è possibile solo riconoscendo come validi tutti i punti di vista, in quanto rappresentazioni di molteplici sfaccettature possibili della stessa realtà, utilizzando i contributi dei diversi attori coinvolti ma anche i concetti di diversi approcci teorici per elaborare letture coerenti e articolate, che contengano maggiori possibilità di interpretazione in cui gli interlocutori possano in gran parte riconoscersi. 6 (Franca Manoukian in Rivista Spunti n 13/2010 edizioni APS L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

17 Occorre perciò formare l assistente sociale alla flessibilità nell uso dei modelli e alla loro integrazione in metamodelli, funzionali alle singole situazioni ed in grado di ampliare il campo delle ipotesi. In ultima analisi ciò che può aiutare ed avere effetti terapeutici è la capacità del professionista di stabilire una relazione significante con l utente più che l aver perseguito con fedeltà un metodo piuttosto che un altro. Sembra indispensabile privilegiare un modello formativo interdisciplinare che sappia valorizzare l esperienza professionale a partire da situazioni reali e concrete, da casi problematici, che permettano anche attraverso il confronto in gruppo, sia l utilizzo pratico di conoscenze teoriche e metodologiche di osservazione, di analisi, di ipotizzazione e di valutazione delle scelte intraprese, sia una costante auto-osservazione del proprio profilo di competenze professionali. È necessario, per gli assistenti sociali, vivere esperienze formative dove provare a sviluppare diverse forme della conoscenza, dove confrontarsi con altri punti di vista, dove provare a interrogarsi sulla propria operatività per andare oltre il consolidato, il routinario: si fa così perché si è sempre fatto così ; dove attrezzarsi per affrontare il dolore che sempre più spesso si genera nell operare in questo campo e affrontare i nuovi fenomeni di disagio sociale, per elaborarlo e trasformarlo in energia per andare oltre. La Supervisione La specializzazione nella professione di Assistente Sociale richiede costantemente un investimento di intelligenza e creatività che non appartengono alla sola sfera cognitiva: non esiste una sfera cognitiva indipendente da quella emotiva. Oggi sempre più il welfare mostra le sue debolezze di sistema a fronte all aumentata pressione del disagio, con una contrazione senza precedenti delle risorse disponibili per far fronte ai problemi portati dai cittadini. Queste risorse appaiono oggi povere sia economicamente sia in relazione all affacciarsi di questioni inedite per l esperienza dei servizi, questioni per le quali è necessario il riconoscimento e la presa in carico sociale dei problemi insieme alla ricerca di soluzioni professionali socialmente sostenibili. Gli assistenti sociali, nonostante l impegno organizzativo prestato, risentono l impatto con le richieste degli utenti che possono farsi pressanti e rivendicative: allo stress da routine si associa quindi anche la percezione di inadeguatezza, nonostante l evidenza che le risposte non dipendano dalla loro volontà, che produce stress o la fuga nel distanziamento che produce indifferenza. Il confronto quotidiano con situazioni anche dolorose, nello spazio temporale a volte di un solo incontro, genera risonanze emotive che hanno ricadute in ciascuno, nel gruppo di lavoro e più in generale sull intera organizzazione. Anche se il confronto con alcuni utenti è connotato dalla brevità dell incontro è frequente che sorgano elementi conflittuali che segnano inevitabilmente la relazione intersoggettiva. Nella realtà operativa può accadere di sentirsi investiti della ricerca di soluzioni definitive, con la conseguente deriva di una consistente insoddisfazione lavorativa (la sensazione di lavorare continuamente a fare e disfare senza arrivare mai ad esiti concreti), o ancor peggio a senso di colpa, che producono oscillazioni pericolose tra l onnipotenza e l impotenza dell intervento. Nelle professioni di aiuto è in causa la soggettività dell operatore, intesa come dimensione profonda del proprio essere, che viene sollecitata al di là del livello di consapevolezza. Per fronteggiare queste sfide è opportuna e necessaria l elaborazione di elementi affettivi, relazionali, emotivi sempre connessi ad una situazione di relazione diretta con gli utenti: uno spazio di supervisione garantito, all interno del proprio tempo di lavoro: è una supervisione del lavoro da collocare nel lavoro. L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 17

18 L ASSISTENTE SOCIALE E GLI INTERVENTI DI SOSTEGNO E PREVENZIONE 7 L orientamento ad un lavoro preventivo discende oltre che dai fondamenti normativi, anche da una serie di altri fattori che hanno segnato l evoluzione di servizi sociali. Soprattutto, oggi, la famiglia e i suoi componenti si presentano ai servizi non più e non solo come persone bisognose di aiuti materiali, di sostegno o di controllo da parte di un operatore che interviene prevalentemente in situazioni d emergenza per contenere o ridurre i danni, ma come soggetti attivi di diritti, portatori di competenze e risorse proprie. L Assistente Sociale non ha più il compito di elargire, con maggior o minor benevolenza sussidi assistenziali, ma soprattutto quello di promuovere il benessere e le condizioni favorevoli perché le stesse famiglie possano affrontare e superare una condizione di bisogno o difficoltà. A questo proposito è utile richiamare l art. 11 del Titolo III del Codice Deontologico che recita: L assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per promuovere la autodeterminazione degli utenti e dei clienti, la loro potenzialità ed autonomia, in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto, favorendo l instaurarsi del rapporto fiduciario, in un costante processo di valutazione. Il rapporto servizi-utente, quindi anche servizi e bambino, è regolato all interno di una relazione in cui sempre l utente è considerato soggetto attivo e partecipe, non solo in relazione all intervento che lo riguarda, ma anche nella promozione e organizzazione dei servizi e delle attività a suo favore. Poiché l interesse del minore non va inteso come contrapposto all interesse di genitori carenti, in difficoltà, marginali, impreparati o immaturi il compito fondamentale dell assistente sociale è di promuovere interventi volti a ridefinire i comportamenti, le modalità relazionali e gli stili pedagogici delle famiglie in crisi. Non si possono fare alleanze privilegiate ed esclusive solo con qualcuno degli attori in gioco in una vicenda di intervento familiare: il minore è utilmente partecipe al progetto, se tutti coloro che stanno attorno a lui sono ugualmente tenuti in considerazione per quanto riguarda le loro esigenze. Certamente il concetto d interesse del minore è di per sé vago e apre al rischio di parzialità e interpretazioni discrezionali e soggettive, d altro canto la materia mal si presta a criteri universalistici e, proprio nel rispetto dell unicità delle persone, all assistente sociale spetta il compito di decodificare la situazione e declinare caso per caso le possibili mediazioni e concrete soluzioni che devono tener conto delle specificità che mutano nel tempo: le condizioni sociali, l età del minore, le caratteristiche personali, le relazioni affettive con tutto il loro carico di ambivalenza e irrazionalità. Da questi presupposti ne discende che l assistente sociale che si occupa della cosiddetta tutela dei minori e della famiglia debba affrancarsi dall interpretazione restrittiva del proprio mandato che la confina alla collaborazione con l Autorità giudiziaria (quando non vera e propria passiva esecuzione di decreti). L intervento del magistrato è utile e necessario solo in quanto, a fronte di un grave danno per il minore, si incontri una totale non collaborazione dei genitori, non può essere invocato a supplenza delle inadempienze delle amministrazioni locali o nell illusione che modifichi alcuni comportamenti sociali. 7 Il testo è liberamente tratto da: Margherita Gallina. Lavorare con la L.285/1997 L intervento socio-educativo con le famiglie in difficoltà. Carocci Faber Roma, L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

19 Il decreto della magistratura ha il valore di un limite che permette la nascita di qualcosa di nuovo: compito dell assistente sociale e del servizio di appartenenza, è offrire una nuova possibilità di economia vitale per tutti, lavorando nella direzione della composizione. Da questi principi discende anche l importanza delle attività a carattere preventivo promosse dall assistente sociale. È necessario chiarire anzitutto la definizione di prevenzione: non va intesa come possibilità dell operatore di evitare difficoltà o conflitti. Non dobbiamo pensare che la responsabilità genitoriale sia sempre nell ordine dei buoni sentimenti: esistono il conflitto, lo scontro, la ribellione, ma esiste anche la capacità di elaborare il conflitto, di ricominciare su basi più elevate, perché quando un conflitto è stato elaborato bene non si torna al punto di partenza, ma si costruisce una nuova, più avanzata piattaforma, dalla quale procedere in avanti. È chiaro che non esiste il genitore perfetto, ma solo il genitore che sa apprendere dall esperienza, far tesoro dei suoi stessi errori. Solo i genitori che sanno errare senza negare i torti che hanno inferto ai figli e senza cadere nella depressione per il fatto di non essere perfetti possono insegnare ai ragazzi che crescere significa anche sbagliare e che, in ogni caso, si può rimediare e ricominciare. A partire da questa concezione di prevenzione intesa come lavoro di composizione si può condividere l idea che per prevenzione si intendano almeno quattro funzioni fondamentali: la promozione, la prevenzione del disagio, le pari opportunità, l educazione ai diritti. L Assistente Sociale può svolgere un azione di promozione del bambino e dell adolescente, ma anche del genitore, quando orienta il suo intervento, la sua competenza diagnostica anzitutto a riconoscere e poi a sviluppare le potenzialità e le competenze del suo interlocutore, anche il bambino piccolo non è totalmente dipendente dagli adulti, ha strategie proprie da mettere in campo: capacità relazionali molto precoci, risorse emotive, facilitazioni intellettive, prerogative nei rapporti sociali; quando riesce a garantire uno spazio d ascolto individuale e specifico troppo spesso il bambino o l adolescente sono ascoltati e conosciuti attraverso il racconto che di loro fanno i genitori o gli insegnanti a stabilire un rapporto di fiducia che permetta una contrattualità diretta e la possibilità di riconoscere e valorizzare i cambiamenti e i risultati. Quanto più l Assistente Sociale è orientato verso attività promozionali, tanto più la prevenzione del disagio diventa un terreno congeniale e fertile per il suo lavoro. Chi opera nel settore è portato alla convinzione di dover parlare di prevenzione, in modo concreto, relativamente alla possibilità propria della professione sociale di essere sul campo, in questo caso è più corretto parlare di prevenzione secondaria, che è il livello su cui ciascun operatore può intervenire direttamente. L assistente sociale ha la possibilità di essere un sensore sensibile ai mutamenti, alle involuzioni e agli sviluppi dei singoli, dei gruppi e dei contesti di vita; le visite domiciliari, le riunioni con le reti di organizzazioni e di servizi, la presenza frequente nelle scuole, nei centri di aggregazione, la conoscenza dei gruppi di pari e delle relazioni del quartiere sono fonti d informazione preziosa, e nello stesso tempo strumenti d intervento che consentono di rilevare precocemente i segnali di difficoltà e sostenere le situazioni in crisi. Una terza funzione riguarda la promozione di pari opportunità, in questo caso il riferimento è a quell insieme di attività che hanno lo scopo di contenere le disparità dovute a differenze socioeconomiche e culturali acutizzate da eventi straordinari, ad esempio le particolari e specifiche condizioni dei minori stranieri che richiedono indubbiamente attenzioni e iniziative mirate, esclusive per superare il divario originale (linguistico, di socializzazione, di integrazione) con i loro coetanei; oppure le azioni di sostegno dove è ancora evidente il divario di genere, finalizzate a promuovere la partecipazione femminile come l orientamento scolastico post obbligo e l orientamento ad attività professionali significative e qualificate. Infine, ma altrettanto rilevante, segnaliamo il compito relativo all educazione ai diritti. Educare ai diritti non significa far sperimentare ai bambini o agli adolescenti gli stessi modelli degli adulti in materia d esercizio di diritti; piuttosto, ma sono forse i temi su cui è più difficile misurarci come adulti, dovremmo sviluppare il senso critico dei ragazzi, consentire la loro espressione autonoma mettendoli a confronto con i diritti degli altri, adulti e ragazzi, quindi dare significato anche ai loro doveri, rispetto ai quali la tendenza attuale è di ritenerli soggetti poco competenti o poco affidabili. L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA 19

20 Un contributo fondamentale in questa direzione è stato dato dalla L.285/97: Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l infanzia e l adolescenza. Anzitutto si può affermare che è una legge che rivela una precisa teoria pedagogica e sociale di riferimento, ossia pur essendo una legge di settore (il riordino del comparto avverrà successivamente grazie alla legge quadro 328/2000 ed alle successive conseguenti disposizioni regionali), non si limita a fornire risorse condizionate da generici criteri di bisogno e specifici vincoli di bilancio, ma definisce una cornice teorica per lo sviluppo dello stato sociale per l infanzia e l adolescenza. La novità è insita anche nella duplice definizione adottata diritti - quindi ciò che va difeso e fatto valere in caso di violazione - e opportunità ossia la sostanziale e non formale eguaglianza di possibilità che devono essere offerte a tutti. Formula che quindi non si limita a sancire un principio definito, un concetto risolto e chiuso nella norma stessa, ma evoca altre responsabilità, chiama in causa immediatamente altri livelli di regolazione della società, come la capacità di prevedere e di organizzare del buon amministratore o la perspicacia critica e il sapere degli operatori, esprime un invito all intelligenza di chi sa immaginare un modo diverso di comporre le diversità e sanare lo svantaggio. La formulazione indicata dalla legge presenta un orientamento favorevole all inclusione dei ragazzi in difficoltà in percorsi educativi che potremmo definire fisiologici, ma preparati ad accoglierli e predisposti ad un affiancamento educativo individualizzato. Sembra opportuno a questo punto citare un intervento di Enriquez 8 sulla Hýbris (dal greco ) dell operatore: La trappola dei risultati possibili. Ricapitoliamo. Abbiamo fin qui visto come vi sia un primo gruppo di fantasmi in cui l operatore sociale si pone in una posizione di superiorità nei confronti di coloro con cui lavora, singoli o gruppi, per (far) fare un operazione di rinnovamento; nel secondo gruppo prevale l aspetto di condivisione della sofferenza da parte dell operatore e il cercare di fare di tutto per eliminarla; nel terzo c è l idea di accompagnare le persone per far uscire la positività che è in loro. Naturalmente questi diversi fantasmi non sono condivisi dallo stesso operatore. E ciascuno presenta criticità specifiche che abbiamo tentato di mettere in evidenza. C è però un elemento critico che accomuna le rappresentazioni fantasmatiche che ho descritto e su questo vorrei soffermarmi. Ossia il fatto che tutte generano nell operatore l attesa che dal suo lavoro si giunga sempre e comunque a dei risultati positivi. Ma questa attesa non tiene conto di un fatto fondamentale: che la persona o il gruppo con cui gli operatori lavorano possono avere delle resistenze, possono cioè non voler cambiare. Infatti, anche se una persona ha difficoltà estremamente gravi può preferire vivere con i propri problemi piuttosto che cambiare anche se a parole sostiene il contrario. Prendiamo un esempio semplice: vi sono casi di persone alcoliste o tossicodipendenti che dico no «voglio smettere, voglio chiudere con questa storia», ma nella realtà non riescono a intraprendere strade di emancipazione e spesso, molto velocemente, ricadono nella dipendenza. Perché? Perché in una certa misura preferiscono avere una malattia o una condizione di disagio che conoscono piuttosto che guarire e trovarsi in una situazione totalmente nuova per loro e che per certi aspetti rappresenta l ignoto e incute loro paura. Dunque, come criticità generale in tutti questi fantasmi dell operatore sociale, vi è la prevalenza di un lato ottimista - «si possono trasformare le cose»- mentre manca una visione lucida che metta bene a fuoco il fatto che non tutti hanno voglia di staccarsi dalle situazioni di disagio in cui si trovano, di trasformarle, di essere «riparati», di essere terapeutizzati... Ci sono resistenze individuali e sociali molto forti. 8 Eugenié Enriquez, I fantasmi del cambiamento. Per un operatore autoriflessivo. Animazione sociale, L ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL INFANZIA, DELL ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

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