SDD Seconde Proteine. Le proteine. Le funzioni delle proteine. Le proteine sono macromolecole

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1 1 Le proteine Entriamo nell'ultima parte del nostro viaggio nella chimica iniziato l'anno scorso e incontriamo finalmente le molecole della vita. Inizieremo ad analizzare la struttura e le funzioni delle proteine. Analizzando le proteine tuttavia inciamperemo in alcuni concetti di chimica che ancora non conosciamo. Per questo motivo il capitolo sarà lungo, ma per lo stesso motivo ogni considerazione teorica sarà agganciata ad aspetti importanti per la fisiologia del corpo umano. Le funzioni delle proteine Le proteine hanno molteplici applicazioni all'interno degli organismi Trasporto: pensa all'emoglobina che trasporta l'ossigeno nel sangue, oppure ricorda che sulla membrana cellulare vi sono delle proteine che hanno il compito di trasportare dentro fuori della cellula determinate sostanze tramite il trasporto attivo. Difesa: Gli anticorpi sono una classe di proteine. Movimento: Astina e miosina nei muscoli. Strutturale: Peli, unghie, penne, squame sono strutture proteiche. Riserva energetica: In certi casi anche le proteine vengono utilizzate per produrre energia. Catalitica: Le proteine aiutano i processi chimici e metabolici dell'organismo rendendoli più veloci. Le proteine sono macromolecole Le proteine sono costituenti essenziali di tutte le cellule; circa 1/5 del corpo umano è costituito di proteine, che sono distribuite nelle cellule di tutti i tessuti, ma sono presenti nella maggior parte nei muscoli. In tutti i processi biologici le proteine svolgono funzioni essenziali, fra cui assume particolare importanza quella catalitica; infatti, il maggior numero delle reazioni che si svolgono negli esseri viventi è catalizzato (reso più veloce) dagli enzimi che sono una classe particolare di proteine. A livello energetico, il metabolismo delle proteine soddisfa solo una minima parte del fabbisogno di un organismo (in un uomo adulto circa il 10-15%). Le proteine, infatti, vengono scisse nei singoli amminoacidi che hanno soprattutto il compito di costruire le proteine specifiche di cui il corpo ha bisogno, quali le proteine dei muscoli, dell'epidermide, dei peli, ecc. (biosintesi delle proteine). Tuttavia in alcuni casi, esse intervengono come combustibili: quando non sono richieste per la sintesi di nuove proteine, quando sono in eccesso rispetto alla quantità richiesta a questo scopo, durante il digiuno o quando, per altri motivi, L'organismo è carente di carboidrati o questi non vengono utilizzati propriamente. Il potere calorico medio delle proteine è di 17 KJ/g (4.1Kcal/g).

2 2 Gli amminoacidi Le proteine sono polimeri di amminoacidi (aa), la cui struttura generica è: Il radicale R differenzia un amminoacido da un altro. Gli amminoacidi che costituiscono le proteine sono 20, di cui 8 sono detti essenziali per l'uomo visto che devono essere assunti con il cibo poiché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli. In particolare trovate nelle immagini la rappresentazione di tutti gli amminoacidi. Si può notare come alcuni di questi hanno radicali apolari, altri invece sono polari se non addirittura ionici (a dipendenza del ph). Gli amminoacidi polari solitamente di trovano sulla superficie delle proteine mentre quelli apolari spesso si trovano all'interno delle proteine, senza essere a contatto con l'acqua. Ci sono poi alcuni amminoacidi particolari. La metionina è molto importante perché, come vedremo

3 3 più avanti, è il segnale di inizio di ogni nuova proteina: ogni proteina inizia quindi con una metionina. La prolina è l'unico amminoacido che differisce drasticamente, essendo ciclico. Questo amminoacido forma catene molto rigide ed è soprattutto presente nelle strutture proteiche di sostegno, cioè nella cartilagine, nei tendini, ecc. È l'amminoacido principale contenuto nel collagene. Infine la cisteina è anche molto importante perché é in grado di formare dei ponti disolfuro (vedrete più avanti). Legame peptidico Nelle proteine gli amminoacidi sono legati tra loro con un legame peptidico, che si stabiliscono tra il gruppo carbossilico (acido) di una molecola e il gruppo amminico (basico) di un'altra; la catena che così si forma è detta catena polipeptidica, chiamata anche peptide.la reazione di formazione dei peptidi è prevede che per ogni legame tra aa che si forma si libera una molecola di acqua.questa reazione è anche chiamata condensazione. A livello biologico la reazione di condensazione di aa per formare peptidi è controllata da enzimi. La reazione può anche essere facilmente invertita e dai peptidi l'organismo è in grado di smontare i singoli mattoni che possono essere riutilizzati per nuove e diverse strutture. Si può tranquillamente affermare che questa catena di montaggio e smontaggio lavori incessantemente. Le proteine possono avere svariate dimensioni a dipendenza del numero di amminoacidi che le formano; possono raggiungere gradi di complessità e masse molecolari elevatissime: un enzima del fegato bovino è formato da 8300 aa e la sua massa molecolare è di circa 1'000'000 uma. La struttura delle proteine può risultare molto complessa; infatti la catena polipeptidica si avvolge su sé stessa in maniera precisa. Per questo motivo si suddivide la struttura in quattro livelli di organizzazione.

4 4 Struttura primaria La struttura primaria esprime la sequenza degli aa. La sua conoscenza è fondamentale, anche perché è proprio la sequenza degli amminoacidi che determina poi i livelli superiori di organizzazione. La prima dimostrazione di una sequenza di aa fu eseguita su una proteina molto importante, l'insulina. Questa scoperta dimostrò che ogni proteina ha una sua sequenza specifica di aa, determinata geneticamente. Malattie gravissime sono collegate all'alterazione anche di un singolo aa nella sequenza del peptide; per esempio l'anemia falciforme è dovuta ad un difetto della molecola dell'emoglobina: in questo caso solo 2 aa sui 600 che formano l'emoglobina sono diversi da quelli "normali". Struttura secondaria Gli amminoacidi, una volta legatici tra loro secondo la specifica sequenza della proteina, non restano lineari ma si avvolgono generalmente ad elica alfa, oppure a strati beta. Entrambe queste strutture sono legate alla formazione di specifici ponti idrogeno. La funzione di una proteina è strettamente legata alla sua conformazione in 3D. Struttura terziaria Può succedere che le eliche e gli strati beta si aggreghino tra loro formando strutture più complesse e raggomitolate, ancorché molto precise e ben definite. Questo raggomitolamento si chiama struttura terziaria. Struttura quaternaria Se singole proteine con la propria struttura si aggregano tra loro formando una struttura ancora più complessa, questa viene chiamata struttura quaternaria. È il caso per esempio dell'emoglobina che è composta da 4 proteine (2 di un tipo e 2 di un altro tipo). Questa aggregarsi è anche fondamentale e vedremo più avanti il perché, parlando dell'attività degli enzimi.

5 5 Le forze che tengono unite le proteine Vi sarete forse posti la domanda: come mai i peptidi si ripiegano su sé stessi?. Ebbene la risposta già la conoscete. Tutte le forze che si osservano tra le molecole e che abbiamo precedentemente analizzato (capitolo 3) si ritrovano qui unite a collaborare affinché i peptidi assumano una forma ben precisa. Osservando le immagini potete vedere come all'interno della catena di aa, singoli aa si attirano tra loro per le diverse forze già incontrate. È proprio la combinazione di tutte le innumerevoli forze di attrazione tra i singoli aa che si trovano in punti anche molto distanti della catena a far si che questa si ripieghi con ordine su sé stessa. Osservando questo fatto potete anche capire la importanza del ph. se infatti il ph dell'acqua, nella quale si trova la nostra proteina, varia, può succedere che alcuni amminoacidi cambino la propria carica elettrica e la propria caratteristica morfologica; questa variazione spesso porta alla distruzione delle specifiche interazioni tra aa e quindi alla denaturazione della proteina. Una volta che una proteina perde il proprio ordine 3D, perde automaticamente anche la sua funzionalità. Spesso poi (lo vedremo più avanti), questo processo è irreversibile. Immaginate per esempio la denaturazione che avviene tramite l'azione del calore sulle proteine dell'albume dell'uovo. Una volta che è sodo, è sodo, non torna più "crudo". Ricordate anche come si produce il formaggio... e l'attività di laboratorio collegata. Si osservi la formazione del ponte disolfuro. Questa è una tipica reazione di ossidoriduzione, nella quale vengono scambiati degli elettroni. Per megli interpretare questo dato di fatto dobbiamo introdurre un nuovo paragrafo riguardante appunto le ossidoriduzioni e il modo con il quale i chimici conteggiano gli elettroni scambiati e cioè il numero di ossidazione.

6 6 Definizione di ossidoriduzione Fu il chimico francese Lavoisier ( ) a introdurre il concetto di ossidazione; con ciò egli voleva indicare una reazione di combinazione con l'ossigeno, ossia una combustione. Nel procedimento inverso, chiamato riduzione, venivano scritte tutte quelle operazioni nelle quali l'ossigeno veniva eliminato da un composto. Questi due concetti vennero poi estesi a tutti i processi di combustione; si riconobbe che essa non era altro che una rapida ossidazione di una sostanza combustibile con sviluppo di calore e luce. Un modo per rappresentare la combustione potrebbe essere: C + O > CO2 Siccome poi l'ossigeno è presente nell'atmosfera ed è alla portata di mano, era logico, una volta riconosciuto il ruolo essenziale che questo elemento giocava nelle combustioni, che le prime reazioni studiate e analizzate a fondo fossero proprio quelle nelle quali l'ossigeno vi partecipava, non solo con la sua azione specifica, ma con il suo nome; da qui la parola ossidazione. Anche se più tardi si riconobbe che le combustioni erano solo casi particolari di ossidazioni, questo nome non venne più modificato. Le ossido-riduzioni Possiamo collegare le reazioni la reazione di formazione di un sale tramite legame ionico alle reazioni di ossidoriduzione. Queste reazioni rivestono un'enorme importanza, non solo nel settore della chimica, ma anche in quello della biologia e della biochimica. Occorre ricordare che una buona parte delle reazioni chimiche che avvengono nell'organismo umano sono reazioni redox come, ad esempio, quelle che forniscono l'energia indispensabile al funzionamento delle cellule (respirazione). Il decorso delle reazioni redox può essere spiegato tramite un trasferimento di elettroni da certi atomi (o gruppi di atomi) ad altri (questo modo di esprimersi corrisponde a quanto viso nel caso del legame ionico. La perdita di elettroni è definita come ossidazione L'acquisto di elettroni è definito come riduzione Nel caso dei legami ionici è abbastanza facile capire quali sono gli atomi che si ossidano e quali sono quelli che si riducono. La cosa diventa decisamente più difficile quando si parla di ossidoriduzione tra i composti covalenti. Per fare questo bisogna il concetto di numero di ossidazione. Il numero di ossidazione viene assegnato supponendo che nella formazione di un composto alcuni atomi cedano elettroni e alcuni li prendano, e questo anche quando il legame che si stabilisce non è ionico ma covalente puro o polare. In questo caso il passaggio di elettroni (virtuale) avviene dall'atomo meno elettronegativo verso quello più elettronegativo. Quando nelle reazioni redox partecipano composti con legami covalenti, gli elettroni di legame vengono assegnati all'atomo più elettronegativo. Con questa scelta arbitraria tutti gli atomi ricevono delle cariche elettriche virtuali che definiscono il numero di ossidazione. Il numero di ossidazione corrisponde al numero reale o apparente di cariche elettriche positive o negative che possono essere attribuite ad un atomo in un composto, qualora tutti i legami presenti nella molecola in cui si trova, vengano considerati ionici. Nello molecola di acqua, per esempio, gli elettroni in comune devono essere completamente

7 7 assegnati all'ossigeno che possiede un'elettronegatività maggiore rispetto all'idrogeno. Procedendo in questo modo l'atomo di ossigeno riceve4 due elettroni in più rispetto a quando so trova nel suo stato naturale. Pertanto il N.O. dell'ossigeno è -II. Ogni singolo atomo di idrogeno che ha perso il suo elettrone assume il N.O. +I. Nella molecola di CO2 gli elettroni che formano il legame devono essere assegnati agli atomi di ossigeno che sono più elettronegativi rispetto all'atomo di carbonio. Visto che l'atomo di ossigeno allo stato naturale appartiene al sesto gruppo, riceve due elettroni ed il suo N.O. è -II. L'atomo di carbonio è del quarto gruppo e perde quattro elettroni che sono stati messi in comune. Il suo N.O. è +IV. Considerando questi primi due esempi si può dedurre che gli N.O. degli atomi nei composti ionici corrisponde alla carica elettrica realmente posseduta dagli ioni mentre è apparente in tutti gli altri casi (legame covalente apolare e legame covalente polare) poiché non corrisponde ad uno stato reale dell'atomo o del gruppo di atomi. Si tratta semplicemente di un artificio che permette di esprimere in modo semplice il complicato meccanismo delle reazioni di ossido riduzione. Regole generali per determinare il N.O. degli atomi nei composti Il N.O. viene indicato con una cifra romana preceduta dal segno di carica e va posto in alto a destra del simbolo chimico dell'atomo. Na +I, S -II. Il N.O. può essere positivo, negativo o nullo Il N.O. degli atomi allo stato libero, non combinato è zero. Infatti quando un atomo non è combinato, non acquista e non cede elettroni. Per alcuni elementi che allo stato naturale si presentano sotto forma di molecole il N.O. è pure zero. Fe 0, Cu 0, O 2 0, ecc. il N.O. dell'idrogeno, quando è combinato è sempre +I e il N.O. dell'ossigeno, quando è combinato è sempre -II (tranne rare eccezioni, per es nell'acqua ossigenata, dove c'è un legame O-O (-I)) Il N.O. di ciascun ione in un composto ionico coincide, come numero e segno, con la carica elettrica effettiva dello ione. Esempio: in NaCl sappiamo che il sodio è presente come ione Na+ de il cloro come Cl-, e per quanto riguarda gli N.O. possiamo indicare Na +I e Cl -I. Il N.O. di ciascun atomo in un composto covalente si determina tenendo conto dell'elettronegatività per cui, riassumendo, all'elemento più elettronegativo sarà attribuito il segno meno e rispettivamente il segno più andrà all'elemento meno elettronegativo. Esempi: vedi quanto detto nel paragrafo precedente. Nei composti chimici, in generale, la somma algebrica dei N.O. dei vari atomi che compongono il composto è pari alla carica totale del composto (e quindi solitamente pari a zero). Questa regola permette di calcolare il N.O. di molti elementi, deducendolo in funzione degli altri. Esempio: NaH 2 PO 4. Dalla regola 4 so che il N.O. dell'idrogeno è +I e quello dell'ossigeno -II. Dalla tavola periodica so che il sodio (Na) si trova nel primo gruppo ed origina lo ione Na+ quindi il suo N.O. (regola 5) è +I. Con la regola 7 trovo il N.O. del P: +I*2 (Na) + (+1I)*2 (H 2 ) + (-II)*4 (O 4 )= -V. Poiché la somma algebrica deve essere 0 allora il N.O. di P è +V. Gli enzimi Una classe fondamentale delle proteine è proprio quella degli enzimi. Gli enzimi sono responsabili

8 8 per il funzionamento di tutti i processi biologici. Rendono possibili reazioni chimiche che altrimenti necessiterebbero di temperature e condizioni non accettabili per un organismo vivente. Pensate per esempio che la combustione del glucosio nel nostro corpo avviene a temperatura fisiologica, mentre la reazione diretta, non mediata dagli enzimi, è una normalissima combustione con tanto di fiamma... Osserviamo un meccanismo catalizzato da un enzima. L'enzima sta al suo substrato (la o le sostanze che devono reagire tra loro) come la serratura sta alla chiave. Il substrato avendo la forma corretta (cariche corrette, dipoli corretti, VdW corretti, ecc) si inserisce nell'enzima. (tutta una serie di deboli forze di attrazione concorrono a far si che avvenga questo inserimento). Questo permette loro di reagire correttamente e in modo controllato, formando esattamente il prodotto desiderato. Dopo la reazione il prodotto si stacca dall'enzima. Il prodotto è stato modificato, mentre l'enzima è rimasto integro, ed è pronto per catalizzare una nuova reazione. Si osservi anche come gli enzimi hanno specificità non solo nella reazione chimica da loro catalizzata, ma anche nelle condizioni esterne nelle quali sono in grado di funzionare. Piccole variazioni di ph e di temperatura conducono inevitabilmente alla loro disattivazione. Per meglio interpretare questo fenomeno dobbiamo introdurre alcuni concetti teorici di chimica, e cioè la spontaneità e la velocità delle reazioni chimiche. Reazioni reversibili e irreversibili Non sempre si riesce ad individuare una reazione chimica, poiché non sempre sono percepibili le differenze tra le sostanze che si hanno prima e quelle che si ottengono dopo la reazione. Richiamando il concetto di reazione chimica vediamo di elencare quali caratteristiche si possono considerare normalmente per renderci conto che è avvenuta una reazione. Si ha reazione quando la struttura della materia cambia o, detto in un altro modo, i composti che ottieni dopo lo svolgimento della reazione non sono per niente uguali a quelli che avevi all'inizio, prima della reazione. Un primo parametro che si può prendere in considerazione per giustificare che è avvenuta una reazione chimica è il cambiamento di colore. Prendiamo una striscia di magnesio; essa presenta tutte le caratteristiche del metallo che conosci ed è di colore grigio. Bruciandolo otteniamo l'ossido di magnesio che è una polvere di colore bianco. Nella reazione si osserva anche uno sviluppo di energia termica e luminosa. Ricorda che tutte le combustioni sono delle reazioni.

9 9 Se noi facciamo friggere un uovo, l'albume, che all'inizio è trasparente, dopo la cottura diventa di colore bianco; segno che è avvenuta una reazione chimica e più precisamente le proteine dell'albume si sono denaturate. Generalizzando possiamo dire che i tipici sintomi che indicano l'avvenuta reazione sono Cambiamento di colore Sviluppo di gas Formazione di un precipitato Formazione di gas o di sostanze con odore caratteristico Sviluppo o assorbimento di energia La reversibilità delle reazioni Solitamente si parla di processi reversibili quando si considerano quelli fisici (fusione, ebollizione, ecc.); si tratta però, in questo caso, di cambiamenti di stato della materia e non di cambiamenti della sua struttura interna. La reversibilità esiste anche nei processi chimici? A questa domanda possiamo già rispondere in modo affermativo pensando per esempio alle soluzioni acquose contenenti un sale saturo oppure, nel campo acido base, pensando ad un acido debole o ad una base debole e al loro effetto tampone. I processi chimici possono essere suddivisi, associandoli alla reversibilità, in tre categorie. Le reazioni irreversibili Una reazione irreversibile per definizione è la combustione. Non è mai successo, considerando per esempio la combustione del legno, di vedere la cenere che fa una reazione chimica per ridare il pezzo di legno iniziale, liberando ossigeno. Occorre considerare quest'aspetto sotto due punti di vista; il primo problema è che parte dei composti che si sono formati durante la combustione di disperdono nell'ambiente (fumi), è quindi impossibile tornare indietro se alcuni composti formatisi vanno persi. Il secondo problema, quello più importante, è di tipo energetico. Possiamo rappresentare la combustione del legno, dal punto di vista dell'energia tramite il grafico seguente: L'energia di attivazione corrisponde a quella quantità di energia che occorre fornire all'inizio perché la reazione s'inneschi; quando si accende un fuoco solitamente può essere rappresentata dal fiammifero che si usa. In natura, nei periodi estivi, è il sole a fornire l'energia che, in certi casi, innesca l'autocombustione (fenomeno abbastanza frequente a certe latitudini che può causare gli incedi.

10 10 La differenza di energia tra stato iniziale e finale è così grande che diventa inimmaginabile la reazione inversa. La combustione è descritta di conseguenza, come reazione irreversibile. Reazioni irreversibili che in certi casi diventano reversibili Questo caso può anche essere visto come sottocaso del precedente. Partiamo da una reazione che si conosce bene sulla carta, la combustione dell'idrogeno La reazione inversa non si è mai vista (ce ne saremmo accorti giacché l'idrogeno è esplosivo). Essa può però avvenire in condizioni particolari, ossia fornendo un enorme quantità di energia (ciò è possibile con apparecchiature di laboratorio ma non avverrà mai in natura). Il grafico che ne risulta, dal punto di vista energetico, è il seguente: È possibile in laboratorio scomporre l'acqua nei suoi elementi costituenti; occorre fornire però una certa quantità di energia. Questi primi due casi che abbiamo considerato sono caratteristici per le reazioni esotermiche, ossia quelle che liberano energia quando avvengono. Di per sé, anche la reazione che abbiamo visto potrebbe essere reversibile ma solo a condizioni particolari, e, visto che in natura esse non si presentano, si può affermare che questa reazione è irreversibile. Il termine reazione reversibile è usato per le reazioni nelle quali è possibile tornare indietro. Un esempio tipico è la dissociazione di un acido debole, per esempio quello acetico. Sappiamo che un acido debole non si dissocia completamente, per cui in una bottiglia contenente aceto, per esempio, saranno presenti tutte le componenti indicati nella reazione. Se le due reazioni (quella di andata e quella di ritorno) avvengono con la stessa velocità si parla di equilibrio chimico. Dal punto di vista energetico si può rappresentare la reazione riportata sopra con il seguente grafico: Reazioni reversibili La velocità di reazione La difficoltà di individuare una reazione chimica è collegabile, certe volte, alla lentezza con cui essa

11 11 si svolge. La velocità di una reazione si misura in base alla quantità di sostanze che si trasformano. Tale misura però, riesce agevole solo nei casi in cui qualche proprietà cambia in modo evidente, come per esempio il colore, ed in un tempo relativamente breve. La velocità di reazione costituisce un aspetto di particolare rilevanza. Pensa a quello che finora sai della biologia per quanto concerne gli enzimi che intervengono nella scomposizione degli alimenti durante la digestione; oppure per esempio, quando siamo confrontati con una reazione particolarmente lenta: in questo caso ci possono essere dei problemi: in un'industria, ad esempio, un aumento dei tempi di lavorazione provoca un aumento dei costi di produzione e questo incide negativamente sul prezzo del prodotto finito. Allo stesso modo una reazione troppo veloce può risultare incontrollabile e se è istantanea come una combustione esplosiva, diventa certamente indesiderabile. Come estremi di velocità di reazione si possono considerare la formazione delle stalattiti e delle stalagmiti che è un caso di reazione chimica lentissima, mentre l'esplosione di fuochi di artificio è dovuta a reazioni velocissime. La velocità di una determinata reazione non è sempre uguale, ma varia in funzione di alcuni fattori: la superficie di contatto, i catalizzatori, la concentrazione dei reagenti e la temperatura. La superficie di contatto Per accendere il fuoco in un barbecue si utilizza la carbonella e on i pezzi grossi di carbone; se utilizzassimo polvere di carbone si avrebbe una combustione molto più vivace, addirittura esplosiva. La spiegazione va nella direzione seguente: maggiore è la suddivisione del carbone, maggiore è la superficie di contatto fra carbone e ossigeno, maggiore è la velocità di reazione. Pensando al nostro sistema digerente, abbiamo i denti che si occupano della masticazione, che a sua volta serve ad aumentare la superficie di contatto. Più il cibo viene ridotto in piccoli pezzetti, maggiore è la superficie di contatto tra l'alimento e la saliva, che contenendo ptialina inizia a scomporre gli amidi in zuccheri semplici. mangiare lentamente e masticare correttamente vuol dire allora aumentare la superficie di contatto tra cibo e ptialina, cosa che una masticazione affrettata non permette di fare. Il sale da cucina o lo zucchero sono venduti a granelli e non in blocchi interi poiché, in questo modo, la superficie di contatto è maggiore e di conseguenza si sciolgono più rapidamente. La concentrazione dei reagenti La concentrazione dei reagenti è un altro fattore direttamente collegato alla velocità di reazione. Se aumenta la quantità di uno dei reagenti, aumenta anche la velocità con la quale una reazione avviene. A questo proposito pensa a che cosa succede al fuoco quando c'è vento; la quantità di ossigeno è maggiore, la fiamma è più intensa e la legna brucia più velocemente. Le reazioni catalizzate da enzimi sono molto veloci; in genere si verificano circa un milione di volte più velocemente delle reazioni non catalizzate. Anche il ritmo con cui sono fabbricati i prodotti enzimatici dipende dal fatto che essi possono formarsi più velocemente quando è presente una maggiore quantità di substrato. Infatti un enzima e il suo substrato si uniscono per effetto di urti casuali; se sono presenti molecole di substrato in quantità maggiore, le probabilità di collisione aumenta. Alla fine potrebbe avvenire che tutte le molecole siano saturate dal substrato e perciò, se si aumenta ancora più la quantità di quest?ultimo senza aumentare la quantità di enzima, il ritmo di formazione del prodotto non aumenterà. Se invece la concentrazione del substrato è molto bassa la

12 12 velocità di formazione del prodotto sarà proporzionale alla quantità di substrato presente. La temperatura Un aumento della temperatura aumenta sempre il decorso di una reazione. Misure sperimentali hanno provato che se la temperatura aumenta di 10 C, la velocità di reazione raddoppia. Vi sono due fattori da indicare che spiegano questa osservazione empirica: se si aumenta la temperatura, aumenta l'energia cinetica delle molecole per cui vi saranno più scontri e gli urti efficaci aumentano (per poter reagire due molecole devono scontrarsi con un orientamento ben preciso e al momento in cui le due molecole si scontrano nel modo giusto, reagiscono formando i prodotti: si dice che l'urto è stato efficace). L'altro aspetto che occorre considerare è dato dal fatto che se la temperatura aumenta, aumenta anche l'energia con la quale le molecole si scontrano per cui gli urti, oltre che essere più frequenti, sono anche più violenti e si raggiunge più in fretta quella che abbiamo chiamato prima energia di attivazione. Ritornando a parlare di enzimi, possiamo aggiungere che l'aumento della temperatura accelera le reazioni chimiche, ma può anche intaccare il funzionamento degli enzimi. L'aumento di temperatura determina l'aumento dell'energia cinetica delle molecole di substrato e di enzima che si scontrano più frequentemente e più velocemente aumentando la probabilità di urti efficaci. Naturalmente c?è un limite alla quantità di calore che può essere immesso in un sistema; gli enzimi sono delle proteine ripiegate su se stesse con un preciso ordine e il calore altera il loro ordine interno (denaturazione). Per esempio se la temperatura corporea salisse al di sopra di 42 C i danni ai sistemi enzimatici sarebbero irreparabili e la morte interverrebbe rapidamente. Un ragionamento analogo è possibile per il surgelamento dei cibi. Temperature basse impediscono agli enzimi di lavorare e quindi il deperimento degli alimenti è molto più lento. Vvelocità di reazione ed equilibrio chimico A questo punto ci siamo fatti un'idea abbastanza chiara sul concetto espresso dalla velocità di reazione; in parole povere ci viene detto che se una reazione chimica avviene velocemente oppure no. In termini più precisi si potrebbe dire che rappresenta la variazione di concentrazione dei reagenti in funzione del tempo (velocità di distruzione dei reagenti), oppure la variazione di concentrazione dei prodotti in funzione del tempo (velocità di formazione dei prodotti). In conclusione possiamo richiamare il concetto di equilibrio chimico. In questo caso le due reazioni (andata e ritorno) avvengono esattamente con la stessa velocità. Possiamo notare come, modificando la temperatura, la concentrazione di uno dei reagenti, la superficie di contatto o aggiungendo un catalizzatore noi possiamo variare una delle due velocità e quindi spostare l'equilibrio creandone uno nuovo.

13 13 I catalizzatori I catalizzatori sono sostanze capaci di accelerare una reazione. Generalmente sono specifici, nel senso che il catalizzatore di un certo tipo di reazione non risulta efficace per un altro tipo; inoltre, ne sono sufficienti quantità molto ridotte, che si ritrovano tali e quali alla fine della reazione. Un catalizzatore non opera però miracoli, cioè non è in grado di far avvenire una reazione che per la natura stessa dei reagenti non può avvenire; il suo ruolo è quello di accelerare reazioni che altrimenti avverrebbero in un tempo molto più lungo. Considerando l'aspetto energetico di una reazione, l'enzima interviene secondo lo schema qui sotto illustrato: il catalizzatore non fa altro che abbassare l'energia di attivazione di una determinata reazione. In altre parole, se occorre meno energia per attivare la reazione vuol dire che tutto sommato ci vuole meno tempo per raggiungere le condizioni alle quali la reazione si innesca; di conseguenza avviene ad una temperatura più bassa e più velocemente. I catalizzatori più diffusi sono gli enzimi, caratteristici catalizzatori biologici, che dal punto di vista chimico sono proteine. Negli organismi migliaia di reazioni possono realizzarsi in condizioni compatibili con la vita grazie all'azione catalitica di queste proteine. L'azione degli enzimi è solitamente altamente specifica, nel senso che sono in grado di accelerare soltanto singole reazioni o gruppi di reazioni. Per esempio nella nostra saliva è contenuto un enzima, la ptialina, che trasforma l'amido (che trovi per esempio nel riso, nella pasta e nel pane) in maltosio. La ptialina è specifica per il polisaccaride amido, la cellulosa, un altro polisaccaride molto simile non viene intaccato dalla ptialina. Molte proteine prodotte nel nostro organismo (vedremo poi come), solitamente si ripiega in modo spontaneo nella sua forma corretta; in altre parole la sequenza di amminoacidi determina la struttura secondaria, terziaria ed eventualente quaternaria della proteina. Queste proteine sono allo stato nativo. Ciò significa che possono anche essere alterate in "maniera sintetica", ma una volta tolta la fonte di alterazione tornano alla loro forma originale, perfettamente funzionanti. Ripiegamento nativo e non-nativo delle proteine

14 14 Tuttavia le cose non sono sempre così semplici. Molte altre proteine vengono modificate dopo la loro preparazione biologica, e prima della loro messa in funzione. Osserviamo l'esempio dell'insulina. L'insulina viene dapprima preparata come proinsulina. Affinché la proinsulina si trasformi in insulina vera e propria l'organismo provvede a tagliarne letteralmente via un pezzettino. La proinsulina è una proteina nativa, si ripiega cioè spontaneamente nella forma corretta. L'insulina invece è una proteina non-nativa. Se venisse alterata chimicamente, e in un secondo tempo si rimuovesse la fonte di alterazione, non sarebbe più in grado di tornare ad essere ripiegata nella sua forma corretta e quindi funzionante. Per questo motivo la sua denaturazione è irreversibile.questo è uno dei meccanismi di funzionamento di farmaci e disinfettanti. Alterare in maniera irreversibile proteine non native significa sostanzialmente uccidere la cellula che le ha prodotte perché non sarebbe più in grado di far funzionare i suoi meccanismi enzimatici.

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