Pensioni - Benefici pensionistici per esposizione ultradecennale all'amianto - Concentrazione di polveri di amianto Valore - Limite.

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1 Pensioni - Benefici pensionistici per esposizione ultradecennale all'amianto - Concentrazione di polveri di amianto Valore - Limite. Tribunale di Fermo / , n Dott Cozzolino S. (Avv.ti Marini, Piersantelli) - INPS (Avv.ti Cimmino, Trovati) Ai fini del riconoscimento dei benefici pensionistici connessi all'esposizione ultradecennale all'amianto ex art. 13 della l. n. 257/1992, i valori delle polveri di amianto che rendono l'aria dell'ambiente di lavoro respirabile, e quindi non morbigena, non devono superare il limite di 0,2 fibre/litro. FATTO - S. M., dipendente della SGL C. S.p.A. di Ascoli Piceno, premesso di aver svolto mansioni di Capo Turno e Collaboratore del Capo Reparto presso il reparto "Finitura" dell'opificio della predetta società; che le lavorazioni in tale reparto, minutamente elencate in ricorso, comportavano contatto con l'amianto; che, pertanto, nell'ambiente di lavoro si sprigionavano fibre di detto materiale di indubbia natura morbigena; che avendo inalato polveri di amianto dal 1976 al 1992, formulava istanza all'inps per vedersi riconosciuti i benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8 della legge 27/3/1992 n.257; che l'inps sia in prime cure che in sede di ricorso, non dava alcun riscontro a detta istanza; tutto ciò premesso, citava in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale (Giudice del Lavoro) l'inps e l'inail, per sentirsi dichiarare ope iudicis la sussistenza del diritto preteso e non riconosciuto in sede amministrativa. Si costituiva I INPS il quale contestava la domanda deducendo di non aver alcun autonomo potere dispositivo in relazione al beneficio richiesto, essendo la sua concessione subordinata ad accertamenti di carattere tecnico affidati istituzionalmente all'inail. A sua volta l INAIL, con l'atto di costituzione, contestava che il giudizio de quo dovesse svolgersi nel contraddittorio con esso Istituto, atteso che il suo compito si limitava per legge soltanto ad attestare che il lavoratore fosse assicurato per il rischio amianto, specificando se la lavorazione dallo stesso effettuata fosse o meno da ricomprendersi tra quelle ritenute a rischio amianto. Che detti oneri erano stati nella specie tutti adempiuti, se pure con esito negativo; che sul punto esisteva ricca ed abbondante giurisprudenza di merito rispetto alla quale non sussistevano ragioni per discostarsi. Prodotta documentazione, espletata attività istruttoria, disposta consulenza tecnica di ufficio, la causa veniva decisa all'udienza del 26/3/2007 come dal sotto indicato dispositivo, di cui veniva data contestuale lettura, per i seguenti. DIRITTO - Come in una sintesi globale esposto in superiore narrativa, il ricorrente si lamenta del mancato riconoscimento da parte dell INPS dei benefici di cui all art.13, comma 8, della legge 257/92 previsti per i lavoratori esposti al rischio amianto, nonostante si trovasse nelle condizioni 1

2 richieste dalla menzionata legge e dal d.lgs. 15/8/1991 n.277 (ultradecennale esposizione al rischio di inalare fibre di amianto oltre la soglia minima di 0,1 per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di lavoro giornaliero di otto ore).. Invero, secondo l'assunto del ricorrente, dal combinato disposto dei predetti provvedimenti legislativi, l'attribuzione del beneficio richiesto, presuppone l'assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e personale rischio morbigeno a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto che per essere superiore ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale, renda concreta la possibilità del manifestarsi delle patologie, quali esse siano, che la sostanza è capace di generare. Detto questo, si osserva, così come riferisce l'inps, che nel caso del ricorrente, dipendente della SGL C. G. (già E.) presso lo stabilimento di Ascoli Piceno, sia con riguardo all'ambiente di lavoro in cui svolgeva la propria attività, sia con riguardo alle mansioni concretamente espletate, non vi sarebbe stata alcuna esposizione all'amianto, così come attestato dall INAIL con lettera del 13/7/2004, inviata, oltre che al ricorrente, alla S.G.L. ed al patronato INAS, anche alla sede INPS. Infatti, quest'ultimo Istituto, con la predetta lettera dichiarava, in relazione alla domanda di riconoscimento dell'esposizione all'amianto presentata dal ricorrente ai fini della concessione dei benefici previdenziali (art.13, comma 8 legge 257/92, modificato dalla legge 271/93 e art.3, comma 13, legge 650/03), che sulla base degli accertamenti effettuati e del curriculum professionale rilasciato dal datore di lavoro, presso la SGL C. S.p.A. S. M., nato a Porto San Giorgio il 22/5/1952, non è stato esposto all'amianto. In siffatto contesto e dopo ampia istruttoria svolta a mezzo testi che confermava la postazione di lavoro del ricorrente e la polverizzazione dell'amianto in detta postazione, veniva disposta consulenza tecnica.: il ricorrente lavorava con mansioni di Capo Tecnico - Capo Turno presso il reparto finitura ospitato nello stesso capannone dove risultavano essere dislocati i Forni di Cottura e senza che sussistessero barriere o pareti divisorie. All'esito dei lavori, premetteva il consulente che allo stato poteva pervenirsi ad una quantificazione dell'esposizione del ricorrente solo ricorrendo a modelli matematici descrittivi, in quanto non era possibile stabilire analiticamente e quantitativamente lo stato di inquinamento e relative fibre di amianto presenti nel periodo in cui il ricorrente aveva svolto la sua attività presso la SGL C. di Ascoli Piceno ( dal 1976 al 1991). Che l'attendibilità che può avere un modello di calcolo, dipende dalla accuratezza con cui vengono individuate le condizioni di lavoro, la tipologia dei materiali usati ed utilizzati, le modalità con cui questi venivano manipolati, il tempo di contatto con i materiali stessi, le mansioni del personale, le precauzioni e prescrizioni qualora ne fossero. Chiariva, pertanto, che per detta ragione, prendeva contatti con l'azienda e chiedeva alla stessa 2

3 l'autorizzazione ad una ispezione dei luoghi di lavoro, con particolare riferimento ai Reparti Cottura, Stoccaggio e Finitura, posto che l'ufficio del ricorrente insisteva in un corridoio a cui si accedeva ai detti Reparti, peraltro collocato di fronte alla cosiddetta prova a scoppio, ad una distanza di circa quattro, cinque metri, dove di volta in volta due elettrodi venivano portati ad altissime temperature, sì che venivano apposte opportune schermature con lastre di amianto. Spigava il consulente che i forni di cottura venivano coperti con pesanti coperchi. Detti coperchi dovevano avere una adeguata guarnizione in materiale di amianto. Lo scoperchiamento del pozzo di cottura e la successiva chiusura portavano inevitabilmente alla necessità di dover sostituire le guarnizioni usurate che poi venivano accantonale. Tale manutenzione prevedeva un modellamento della fibra di amianto che doveva adeguarsi per la sua larghezza alla forma del coperchio. Quindi, il materiale di amianto, raschiato, diveniva friabile e arrecava per questo pericolo di esposizione sia in fase di maneggio della guarnizione, sia in fase di stoccaggio. Inoltre i forni a pozzo presentavano un rivestimento refrattario che con il calore e con il tempo tendeva a formare delle fessurazioni, onde una manutenzione con riempimento delle fessure spingendo all'interno pezzi di tessuto di amianto. Per evitare che i fondelli dei forni che consentono il passaggio dei fumi e dell'aria calda venissero ostruiti venivano utilizzati pezzi di tessuto di amianto, opportunamente sagomati. Ad avviso del Consulente, tutto quanto esposto poteva non esaurire l'uso di altri materiali di amianto posti a protezioni dell'impiantistica (termocoppie, tubi, condotte di aspirazioni varie), atteso che in una zona come quella dei forni le temperature sono notevoli, tante che i lavoratori venivano costretti a porre delle lastre di amianto allo scopo di ridurre l'effetto calorifico. Spiegava ancora il Consulente che mentre la Finitura consiste nella lavorazione e modellazione dell'elettrodo al fine di avere il prodotto finito delle dimensioni richieste, lo Stoccaggio consisteva nella collocazione in un ampio magazzino sito a ridosso del Reparto Finitura di materiale proveniente dalle acciaierie, ricoperto di amianto e destinato al ciclo produttivo dell'elettrodo. Concludeva, infine, il Consulente, nella premessa dell'attività lavorativa svolta dal ricorrente nelle zone esaminate, che lo stesso era stato esposto ad una concentrazione media annuale di fibre di amianto dai valori rispettivamente indicati per ogni periodo che segue: dal 16/11/1976 al 31/12/1977 superiori a 100 ff/1: dall 1/1978 al 31 5/1978 inferiori a 100 ff/1; dall'1/6/1978 al 31/12/1991 superiori a 100 ff/1; dall 1/1/1992 in poi valori inferiori a 100 ff/1 in conseguenza della sostituzione di amianto con altri materiali. Ora. posto che il valore di 100 ff/1 corrisponde al valore di 0.1 ff/c., quale valore medio su otto ore 3

4 lavorative al giorno, non vi è dubbio che il ricorrente si trovi nelle condizioni di cui all'art.24. comma 3 d.lgs. 15/8/1991 n.277. Condivisa la consulenza tecnica, perché basata su molteplici, significativi ed univoci elementi di analisi elencati nella relazione depositata, deve rilevarsi tuttavia, come dette condizioni in oggi non siano più ritenute sufficienti perché il lavoratore possa ottenere il riconoscimento dei benefici di cui all'art. 13, comma 8 della legge 27/3/1992 n.257. Invero, secondo Cass. 1/8/2005 n , colui che ha fatto richiesta del beneficio di cui all'art.13, comma 8 della legge 257/92, dopo aver indicato e provato la specifica lavorazione praticata, deve dimostrare che l'ambiente nel quale la stessa si svolgeva presentava una concentrazione di polveri di amianto superiore ai valori limiti di cui all'art.3 della menzionata legge. Secondo tale disposizione normativa, i valori delle polveri di amianto che rendono l'aria dell'ambiente di lavoro respirabile e quindi non morbigena, non devono superare il limite di 0,2 fibre di centimetro cubo di cui all'art.31 del d.lg. 15/8/1991 n.277 espressamente richiamato da detta norma. Da qui la conclusione da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito secondo cui i benefici previdenziali di cui all'art. 13, comma 8, della legge 257/92 richiedono il superamento non della soglia di prevenzione di cui all'art.24. comma 3 del d.lgs di o,1 fibre al centimetro cubo, oltre il quale il datore di lavoro deve adottare le disposizioni dello stesso d.lgs. di cui agli artt comma (notifica all organo di vigilanza) e 26. comma 2 (informazione dei lavoratori), bensì la diversa soglia di valori limite prevista all'art.31 dello stesso d.lgs. 277/91(0,2 fibre per centimetro cubo) superata la quale il datore di lavoro è tenuto, previa identificazione, alla rimozione della causa dell'evento adottando quanto prima misure appropriate. (Cass.277/1991; Cass.22300/2004; Corte Appello Ancona 397/05 e 133/06). Resta a questo punto da affrontare il problema della legittimazione passiva dell'inail in relazione alla domanda del lavoratore diretta ad ottenere i benefici di cui all'art.13, comma 8, della legge 257/92, imposto dalle deduzioni dello stesso Istituto in base a cui ne afferma l insussistenza. Ebbene, nel caso di specie, non vi è alcuna ragione per discostarsi dalla giurisprudenza già da tempo formatasi sul punto. Afferma, invero, detta giurisprudenza, che nel procedimento previsto per la concessione dei benefici previdenziali che ne occupa, l INAIL si inserisce all'interno di detto procedimento limitandosi a svolgere una funzione esclusivamente tecnica diretta ad accertare sulla base della relazione datoriale l'eventuale esposizione al rischio di amianto e la durata di tale esposizione, mentre la concessione del beneficio spetta per legge all'inps. Pertanto, in un'azione come quella esperita nel presente giudizio, non si intravede in base a quali elementi giuridici si delinei la legittimazione passiva dell'inail. In conclusione, per tutto quanto precede, non resta che rigettare la domanda e dichiarare il difetto di 4

5 legittimazione passiva dell'inail. Sussistono nella specie giusti motivi rinvenibili nelle incertezze in cui è stato indotto il ricorrente in ordine agli effettivi valori limite dell'esposizione al rischio amianto richiesto per la concessione dei benefici previdenziali di cui all'art. 13. comma 8, legge 27 3, 1992 n.257 ed alla necessità del contraddittorio con l INAIL, affinché possa essere disposto un regolamento delle spese in termini di totale compensazione. (Omissis) 5

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