RASSEGNA STAMPA martedì 6 maggio 2014

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1 RASSEGNA STAMPA martedì 6 maggio 2014 ESTERI INTERNI LEGALITA DEMOCRATICA RAZZISMO E IMMIGRAZIONE SOCIETA BENI COMUNI/AMBIENTE INFORMAZIONE CULTURA E SCUOLA INTERESSE ASSOCIAZIONE ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA LA REPUBBLICA LA STAMPA IL SOLE 24 ORE IL MESSAGGERO IL MANIFESTO L UNITÀ AVVENIRE IL FATTO REDATTORE SOCIALE PANORAMA L ESPRESSO VITA LEFT IL SALVAGENTE INTERNAZIONALE

2 L ARCI SUI MEDIA Da IoDonna.it del 30/04/14 VOLONTARIATO Arci: aperti i campi antimafia Workshop di formazione, corsi sulla legalità, laboratori, bonifiche e coltivazioni delle terre. I luoghi confiscati alle cosche tornano a nuova vita. Con l'aiuto e il lavoro di tutti di Nicoletta Pennati Trasformare i luoghi un tempo simbolo del potere mafioso in occasioni di riscatto. Restituirli alla gente, eleggerli a simboli positivi di riscatto. Un processo lungo, ma possibile. Dimostrato negli anni. Anche attraverso i Campi Antimafia proposti dall Arci e giunti quest anno all ottava edizione. Aperti a singoli, gruppi, famiglie, anche under 18, propongono una pacifica occupazione estiva nutrita con workshop di formazione, educazione alla legalità democratica e alla responsabilità, azione concrete sui terreni, laboratori culturali, memoria e condivisione di esperienze. Non solo in Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, ma anche nelle Marche, in Liguria, Veneto, Lombardia e Toscana. Perché purtroppo la mafia è ormai ramificata ovunque e terreni e proprietà sono sparsi in centinaia di comuni. Obiettivo finale: collaborare per costruire una comunità alternative alle mafie. Le iscrizioni sono aperte e si raccolgono fino ad esaurimento dei posti disponibili. Si comincia con Corleone, in Sicilia, da metà maggio e si continua fino a settembre. In Sicilia, ma anche in Liguria e Lombardia. È possibile iscriversi scaricando dal sito Arci il modulo da compilare. Da QualEnergia.it del 06/05/14 Cuba, sistemi alternativi e più efficienti per vivere senza petrolio Cosa potrà succederà dopo il picco del petrolio e quali problemi dovremmo affrontare. Riusciremo a sostenerci con le sole energie rinnovabili a sostenerci? Un gruppo di lavoro composto da agronomi, fisici, esperti di energie rinnovabili, geologi ed ecologi sta sperimentando a Cuba sistemi alternativi e più efficienti di coltivare e vivere senza petrolio. Roberto Salustri Orti collettivi, trasporto pubblico con cavalli, utilizzo di energie rinnovabili, agricoltura biologica e trazione animale, attività sociali in piazza. Potrebbe essere lo scenario ipotizzato dal movimento delle Transition Town o l insieme delle varie attività portate avanti da gruppi ecologisti, invece è la realtà di tutti i giorni a Cuba. Tutti ci domandiamo cosa succederà dopo il picco del petrolio, quali problemi dovremmo affrontare, riusciremo con le sole energie rinnovabili a sostenerci? Oppure ci aspetta uno scenario alla Mad Max? 2

3 A Cuba già lo sanno: stanno vivendo senza petrolio da anni, da quando l Unione Sovietica ha smesso di spedire tutta una serie di derivati del petrolio e da quando l embargo costringe i cubani a farsi bastare quel che possono produrre da soli. Nel 1990 il PIL di Cuba è crollato dell 85% e il consumo di petrolio del 50%. Inizialmente le calorie di cibo disponibili a testa calarono del 30%-40%. La gente inizio a dimagrire velocemente. L agricoltura, che in precedenza assomigliava a quella del resto del mondo e utilizzava fertilizzanti, pesticidi, macchinari e sistemi di allevamento industriali, ha dovuto essere rimodellata in modo sostenibile. Il biologico è diventato la norma. I bovini, più che essere allevati per la carne, sono usati per il lavoro dei campi. La gente oggi mangia molta frutta e verdura e in molti la coltivano da soli o negli orti collettivi urbani. Oggi la produzione di cibo è al 90% dei livelli pre-crisi, ma il consumo di energia è molto, molto al disotto dei livelli precedenti. La gente gode di buona salute, Cuba ha un sistema sanitario migliore di quello degli USA, quando passò l uragano Katryna, il Governo cubano offrì di mandare medici e paramedici. A Cuba si punta molto sulla prevenzione e la mortalità infantile è più bassa che negli USA. Il sistema scolastico funziona bene. Cuba ha solo il 2% della popolazione dell America Latina, ma l 11% degli scienziati di quel continente sono cubani. Gli uomini vanno in pensione a 60 anni, le donne a 55. L età media si sta allungando, per cui anche queste soglie dovranno essere spostate in avanti. Il primo problema che hanno dovuto risolvere durante il periodo speciale è stato quello del cibo. In poche settimane hanno dovuto escogitare sistemi diversi da quelli industriali per coltivare e conservare il cibo. Una delle iniziative partite dal basso e poi istituzionalizzate è stata quella delle fattorie urbane (granjas urbanas), orti collettivi in aree urbane, parchi e aree pubbliche trasformati in fonti di cibo. Anche su i tetti e i balconi si iniziò a coltivare. Attualmente gli organoponici e le granjas urbanas sono sostenuti da una rete di tecnici e agronomi cubani che collaborano con le università e insegnano ai cittadini a coltivare in modo efficiente, senza petrolio e suoi derivati. Per aiutare questa esperienza l ARCS (Arci Cultura e Sviluppo, Ong del sistema ARCI nata nel 1985), insieme al dipartimento internazionale di Legambiente, RESEDA onlus, AUCS (Associazione Universitaria per la Cooperazione e lo Sviluppo), ACTAF (associazione tecnici agronomi e forestali cubani, e l Università di Pinar del Rio hanno ideato e realizzato un progetto di Supporto allo sviluppo dell agricoltura urbana e sub urbana e di un sistema di commercializzazione nella città di Pinar del Rio. Lo scopo è potenziare l esperienza delle Granjas e delle cooperative di produzione agricola. Uno degli obiettivi principali è ridurre il consumo di acqua ed energia per l irrigazione, attraverso la pacciamatura, sistemi di irrigazione sostenibile, impianti di pompaggio che utilizzano le fonti di energia rinnovabile (eolico, fotovoltaico, pompe ad ariete idraulico) e altre tecniche agricole biologiche. Un gruppo di lavoro composto da agronomi, fisici, esperti di energie rinnovabili, geologi ed ecologi stanno sperimentando sistemi alternativi e più efficienti di coltivare e vivere senza petrolio. Anche il tema della conservazione e il trasporto degli alimenti ha un forte impatto energetico e quindi è studiato da questo gruppo anche progettando mini-industrie di trasformazione dei prodotti agricoli ad energie rinnovabili. Una delle attività più interessanti che stiamo portando avanti è la realizzazione di una comunità cooperativa che utilizza la permacultura come sistema agricolo e di vita. In un area di 236 ettari i 50 soci della Cooperativa agricola Roberto Amaran e le loro famiglie vivono producendo cibo in modo completamente ecologico e sostenibile migliorando il terreno e incrementando la capacità produttiva ecologica. Progetti come questi sono sicuramente di aiuto alla popolazione cubana ma saranno altresì importantissimi per il nostro futuro. L esperienza di Cuba, con tutti i miglioramenti 3

4 del caso, sarà utile per costruire un futuro solidale e senza petrolio. Certo, sarebbe bello che si arrivasse a stili di vita sostenibili per libera scelta, non forzatamente e con abbastanza tempo a disposizione, ma intanto mi piace pensare che sopravvivremo anche noi alla fine del petrolio e che gli aspetti sociali e culturali potrebbero addirittura migliorare. Video di approfondimento:

5 ESTERI del 06/05/14, pag. 9 La battaglia di Sloviansk Simone Pieranni Ucraina. Almeno altri 10 morti a est. Abbattuto un elicottero dell esercito. Mosca: «Rischio catastrofe umanitaria» Odessa e Slaviansk sono le due città ucraine al centro dello scontro militare, sfociato ormai in guerra civile, che vede contrapposti Guardia Nazionale, esercito e corpi speciali ucraini e i filorussi, impegnati a difendere e riconquistare posizioni. Anche ieri il bollettino è stato tragico: almeno dieci le vittime a Sloviansk dove i separatisti sono stati in grado di colpire un altro elicottero delle forze di Kiev. Secondo quanto dichiarato da uno dei comandanti delle forze di autodifesa filorusse del sud est del paese, ci sarebbero anche state vittimi civili e almeno venticinque feriti. è questa cittadina di poco più di 100mila abitanti l attuale centro dello scontro tra le due forze in campo. La diplomazia appare statica, con Mosca che avverte circa il rischio di una catastrofe umanitaria. «Nelle città assediate, si legge nel comunicato del ministero degli esteri russo, si sente la mancanza di medicinali e inizia l interruzione nell approvvigionamento alimentare». Un emergenza specie negli ospedali ucraini sottolineata anche da molte ong che lamentano i tagli del budget sanitario, per finanziare le spese militare del governo di Majdan. E anche secondo Kiev sarebbero almeno dieci i civili morti negli scontri a Sloviansk, mentre la Germania propone un nuovo incontro a Ginevra, con tanto di road map in cinque punti, senza però tenere conto dei separatisti. Proprio la loro assenza ha seppellito sotto le offensive militari di Kiev il precedente e precario accordo, che oltre a non aver ottenuto alcun risultato, se possibile, ha peggiorato il confronto. A questo si aggiunge ora la corsa alle elezioni: l Europa, il Fondo monetario e gli Stati uniti (presenti con un quartier generale a Kiev, con personale adibito a «consigliare» i militari ucraini) spingono perché si svolgano le elezioni del 25 maggio, come se le urne potessero cancellare di colpo la realtà di un paese spaccato e diviso in due. Anche ieri sia la Francia, sia la stessa Kiev, hanno confermato l importanza della data, mentre Mosca già nei giorni precedenti si era detta decisamente scettica circa la riuscita della tornata elettorale. Il governo di Majdan, però, non obbedisce più solo ai propri ministri e se vuole ottenere il prestito del Fondo monetario deve accelerare i tempi: o conquistare il paese e riportarlo sotto l autorità della capitale, o organizzare in ogni caso le elezioni. Il Fondo monetario è stato chiaro: i soldi arriveranno, a patto che il paese sia unito. La situazione militare del resto rimane in bilico, tra difficoltà ad avere dati oggettivi su quanto accade e costanti operazioni tese a recuperare e riconquistare palazzi governativi, sedi televisive e uffici di polizia. A Odessa dove l incendio alla sede dei sindacati, con oltre 40 morti, ha segnato il momento più grave del confronto militare (secondo la russa Rt, tutto sarebbe nato da uno scontro tra ultras della Chernomorets Odessa e del Metalist Kharkov) la situazione rimane tesa. Domenica una manifestazione dei filorussi è riuscita a sfondare il portone della caserma dove erano in stato di arresto molti dei protagonisti degli scontri con le forze ucraine, liberandoli. I poliziotti che avrebbero dovuto impedire l azione, hanno gettato a terra gli scudi, in un ennesimo atto di insuburdinazione contro Kiev. Ieri, infine, un gruppo di neonazisti di Settore Destro, è arrivato in città e ha organizzato una manifestazione, mentre Kiev ha annunciato l invio di una unità speciale da quelle parti, per dare manforte ad un esercito che non riesce ad avere la meglio sull organizzazione dei filorussi. 5

6 Tra Kiev e Mosca intanto è ormai guerra dialettica aperta. Il premier ad interim di Kiev Yatseniuk, si è recato nei giorni scorsi a Odessa, promettendo l indagine richiesta dall Unione europea, ma puntando il dito contro Mosca, accusata di essere la principale responsabile dell attuale situazione in Ucraina. Mosca ha risposto con 81 pagine di un «Libro bianco» sulla situazione nel paese. Il rapporto, reso noto dal ministero degli esteri russo, denuncia i «numerosi episodi» di violazioni dei diritti umani in Ucraina dalla fine dello scorso novembre alla fine di marzo. Il «Libro bianco» accusa le autorità ucraine di aver «preso il potere con la forza, di aver portato a termine un colpo di Stato, di aver distrutto le legittime strutture di potere, di aver tollerato episodi di xenofobia, ricatto, repressioni, abusi fisici e politici contro gli oppositori politici». Il fronte centrale del combattimento è Sloviansk, già teatro alcuni giorni fa di una delle battaglie più importanti. Almeno cinque esponenti delle milizie filorusse sono rimasti gravemente feriti ieri, secondo quanto riferito dall agenzia Interfax, che ha citato un portavoce delle forze separatiste. «Siamo circondati da vicino. Molti negozi stanno chiudendo perché non ci sono merci da commerciare», ha dichiarato la stessa fonte descrivendo la situazione nella città completamente accerchiata dalle forze di Kiev e che teme un offensiva imminente. Ieri infine è stata la Germania a provare a ritentare una carta diplomatica, mettendo al centro di un eventuale pacificazione Russia e Ucraina, chiamate a trovare un accordo, ancora una volta a Ginevra, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha offerto la sua mediazione per trovare una soluzione alla crisi in Ucraina. «Sono pronto a svolgere un ruolo», ha detto. Del 6/5/2014 pag INTERVISTA AL MINISTRO TEDESCO STEINMEIER Ucraina, guerra vicina trattiamo con Putin ANDREA TARQUINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO - «Siamo ad un passo da uno scontro militare aperto in Ucraina. Occorre una seconda conferenza di Ginevra». È il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier a parlare. Ed a esporre le nuove proposte di Berlino per evitare il peggio, in questa intervista a Repubblica e ad altri tre grandi quotidiani europei. «Non dobbiamo permettere a Putin di essere un avversario». E ancora: «Vediamo immagini spaventose: la situazione peggiora di giorno in giorno, specie nell est ucraino, le sanguinose immagini di Odessa ci dicono che siamo a pochi passi da uno scontro militare aperto. Dobbiamo cambiare la situazione». MINISTRO, a quali tentativi pensa? «MI concentro sulla ricerca di possibilità e strumenti per evitare una guerra civile. Tutti i paesi Ue escludono un intervento militare. Quindi dobbiamo cercare un mix bilanciato di pressione politica e offerte diplomatiche per preparare il terreno a una soluzione politica. È divenuto più difficile negli ultimi giorni. Ma forse la tragedia di Odessa è stata campanello d allarme anche per le parti in conflitto. Gli ultimi mesi ci hanno mostrato che è facile condannare gli sviluppi, come è stato anche necessario dopo la violazione del diritto internazionale in Crimea. È infinitamente più difficile trovare vie d uscita da un conflitto in escalation e le soluzioni politiche. Sarebbe irresponsabile permettere che le potenze coinvolte cadano in un completo silenzio tra loro a causa di una escalation Anche se è difficile, abbiamo bisogno di cooperazione». 6

7 Perché Ginevra 1 non ha funzionato? «L errore non è stato la conferenza, ma il non aver elaborato un modo per tradurre nei fatti le intese. Ginevra 2 deve stabilire singoli passi vincolanti, ridurre la tensione nelle zone più colpite dai conflitti, rafforzare un processo politico e costituzionale che includa tutti in Ucraina, sullo sfondo della cooperazione tra Usa, Europa, Russia per la stabilizzazione economica ucraina». Putin vuole ricostruire l Urss? «Certo è che nell elaborazione teorica della politica estera russa la categoria dominante resta il pensiero in termini di sfere d influenza geostrategiche. Ciò porta non solo a malintesi, ma anche a conflitti con le parti del mondo che dal 1989 avevano detto addio al pensiero geostrategico. L idea europea di un rapporto stabile con i vicini non è stata mai rivolta contro la Russia. Dobbiamo convincere Mosca che deve avere lo stesso interesse a una stabilità della zona tra le frontiere orientali della Ue e le frontiere occidentali russe». Pensa ancora che le elezioni presidenziali in Ucraina si terranno il 25 maggio? «Le premesse non sono buone. Non sappiamo se saranno migliori il 25 maggio. Ma non è ammissibile una strategia che punti a rendere impossibile quella scadenza. Coloro che in Russia la mettono in forse cadono in contraddizione: dubitano della legittimità della leadership politica in Ucraina, e negano la chance di creare una nuova legittimità con l elezione di un presidente. Per questo mi batto per Ginevra 2 e per un intesa sulla scadenza elettorale». I paesi baltici temono uno scenario ucraino. Fino a che punto Nato e Germania sono pronte a difenderli? «Nella parte orientale della Ue la sensazione di minaccia ha raggiunto il massimo livello. Soprattutto in Lettonia, Lituania ed Estonia. Lo capiamo, e abbiamo espresso la nostra solidarietà politica. In relazione a scenari di minaccia militare, la Nato ha rafforzato temporaneamente le capacità di sorveglianza, con pattuglie aeree e navali». Siamo allora testimoni di una nuova guerra fredda? «I poteri politici non possono mai essere testimoni. Hanno la responsabilità di impedire che avvenga ciò che c è ragione di temere, cioè che il conflitto sull Ucraina diventi acuto, cosa che noi tutti in Europa non ritenevamo possibile. Improvvisamente, 25 anni dopo la fine del confronto tra i due blocchi, una nuova spaccatura politica dell Europa diverrebbe di nuovo virulenta. Nessuno s inganni: è un pericolo e una minaccia, non solo per l Ucraina. Con questo conflitto può venire distrutta l intera architettura di sicurezza costruita e consolidata in decenni in Europa». Putin è ancora un partner possibile, o piuttosto un avversario? «Non dobbiamo permettergli di essere un avversario». Nel 1914 le potenze pensarono a un conflitto locale balcanico, e poi divenne guerra mondiale. Quanto siamo lontani da una simile situazione? «Tra il 1914 e oggi ci sono state due guerre mondiali e la fine del confronto tra i due blocchi. Tali eventi dovrebbero bastare a renderci sensibili e attenti a non ricadere mai a tempi come quelli di allora. Non vediamo oggi in tutta Europa una disponibilità di molti Stati a mandare in guerra i loro giovani. Con la Osce e l Onu abbiamo strumenti che già più volte hanno reso governabili i conflitti. Adesso non c è garanzia, ma spero che ci riesca di farlo con l Ucraina, e lavoro per questo. Anche se durerà a lungo, perché la volontà di deescalation non è presente in tutte le parti in campo». 7

8 Del 6/5/2014 pag. 16 IL REPORTAGE Quei corpi in trappola nella casa degli spiriti Odessa dopo la strage Nessuno vincerà in questa folle partita DAL NOSTRO INVIATO VINCENZO NIGRO ODESSA - ANGELI e demoni si aggirano nella casa della strage. Nella penombra scavalcano le cataste di mobili carbonizzati, aggiungono i loro fiori ai mazzi di garofani rossi. Calpestano esitanti un blocco di parquet bruciato, che emana un odore quasi dolciastro: quello dei resti delle vittime che non è stato possibile rimuovere dal legno. Nel Palazzo dei Sindacati di Odessa, dove venerdì 2 maggio più di 40 russi sono morti tra le fiamme o asfissiati, ragione e ingiuria si intrecciano silenziose. Una processione di visitatori, russi e ucraini, di curiosi e pellegrini sfila sul luogo di un massacro che già marchia questa guerra civile di Ucraina. Il palazzo è al centro di Kulikova Pole, una grande piazza-giardino nella zona centrale di Odessa, accanto al grande viale alberato che porta al mare e alla scalinata più famosa dell Urss, quella della corazzata Potëmkin. Al piano terra tutto è bruciato profondamente: i mobili, i rivestimenti, le porte. Gli intonaci sono crollati, dalle scale spunta il cemento armato a nudo. «Chi ha ragione? Chi ha torto? Tutti abbiamo le due cose, e tutti perderemo», dice Anatoly. L uomo che ci accompagna è quasi un segno del destino: è un ex professore di storia, ma per aiutarsi fa anche il tassista. Il padre siberiano e la madre ucraina si trasferirono qui. Di se stesso dice: «Russo? Ucraino? Sono un uomo, non so scegliere, non voglio». Al centro fra i sedili della sua Skoda c è una recensione di un libro, The Sleepwalkers, di Christopher Clark, sui sonnambuli che portarono l Europa alla guerra nel «Chissà come finirà adesso ma venerdì, ormai è chiaro come è andata». La storia di quella giornata tragica per Odessa, per l Ucraina e per la Russia si intreccia maledettamente con le bande di tifosi più o meno violenti che scolorano in politica. «Venerdì c era una partita fra il Cheronomorets di Odessa e il Metalist di Kharkiv. Dopo pranzo i tifosi si erano radunati al centro della città per andare insieme allo stadio, insieme». Ma su uno dei viali ci sono i russi, molti di meno di loro, ma armati. Vedono arrivare quella folla, li vedono con i colori dell Ucraina, giallo e azzurro, e parte l attacco, anche con colpi di pistola. «In quel momento almeno 2 tifosi vengono uccisi da pistolettate, dai filo-russi che capiscono subito di essere in minoranza e anche per questo reagiscono alzando il tiro». Gli scontri iniziano a 200 metri dall Hotel Continental, poi si trascinano interrompendosi per lunghi momenti. Immediatamente gli ultras e gli attivisti di Majdan si passano la voce sui social media che ormai sono un moltiplicatore di tutto, quando serve anche di violenza. Allo stadio, che non è lontano, la partita inizia, ma fra primo e secondo tempo le scalinate si svuotano, gli ucraini partono per la guerra. «Arretrando, i filorussi provano a difendere un accampamento di tende messo in piedi per protestare contro il governo di Kiev proprio nel grande giardino del palazzo dei sindacati». I filo-ucraini si rafforzano e si organizzano. In strada verranno filmate ragazze che riempiono le bombe molotov. Con i rinforzi arrivati dallo stadio e dalle file della sicurezza dei filo-majdan, il contrattacco ai russi diventa inarrestabile. Dietro il palazzo dei sindacati la piazza è chiusa da una cancellata, per cui i primi iniziano a rifugiarsi all interno: altri li 8

9 imitano. È una trappola. Parte l assedio, le molotov lanciate prima all interno e poi contro chi provava a fuggire. I russi si difendono, in ogni stanza ci sono ancora a giorni di distanza sacchi di tela carichi di sassi e mattoni, le armi che si erano portate dentro. Ora Odessa appare tranquilla. Non è così. La polizia allo sbando è stata rafforzata da una colonna di Guardia nazionale arrivata da Kiev, ci saranno dentro di sicuro anche uomini di Pravy Sektor, la destra estrema. Domenica i filorussi avevano circondato una caserma di polizia e si erano fatti liberare 60 dei loro che erano stati arrestati. Allora Kiev ha messo fuori dalla polizia alcune decine (da Mosca dicono centinaia) di agenti, e inquadrato tutto con nuovi capi. Si preparano a organizzare le elezioni politiche ucraine del 25 maggio, mentre il referendum autonomista dell 11 maggio, quello dei filo-russi, qui non dovrebbero riuscire a metterlo in piedi. Odessa è tranquilla, ma alla tv Anatoly cambia canale: da Mosca, in tutti i tg ritornano gli attivisti russi che venerdì si lanciavano in strada per sfuggire al fuoco. Angeli e demoni, russi e ucraini si scambiano accuse e si scambiano nei ruoli. Come sonnambuli sembrano correre verso una guerra ancora più violenta. del 06/05/14, pag. 9 La pace atlantica della Pinotti Giulio Marcon Centosessanta anni fa il conte di Cavour decise di mandare dei soldati del Regno di Sardegna a combattere in Crimea. Si trattava di una scelta estemporanea e scaltra per conquistarsi un posto nel gioco diplomatico europeo. Erano stati gli inglesi, formalmente, a chiedergli di mandare delle truppe sabaude. La ministra della difesa Roberta Pinotti, che di Cavour ha solo una portarei che porta il suo nome, ha solertemente offerto delle truppe italiane per una «missione di pace» in Ucraina (c è tanto di intervista su la Repubblica del 4 maggio). Ma non gliel ha chiesto nessuno, e meno male. Non gliel hanno chiesto le Nazioni Unite, né la Nato (l Alleanza atlantica), né i russi, né gli americani. Con un azzardato paragone con la situazione in Libano (che niente c entra con quello che sta succedendo in Ucraina e dove le nostre truppe sono schierate nel territorio libanese perché riconosciute neutrali e al di sopra delle parti in conflitto), la ministra della difesa italiana dimostra di avere un approssimativa consapevolezza di quello che sta succedendo nella crisi in Ucraina e un eccessiva considerazione del ruolo di pacificazione delle nostre truppe. Tra l altro in Afghanistan non è andata proprio come la racconta: lì siamo in guerra aperta. In realtà come evidenziato da molti il conflitto ucraino non ha bisogno oggi di «prove muscolari» né di finte «missioni di pace», che non hanno alcuna possibilità di essere decise ed inviate, ma di riannodare il bandolo delle trattative e di una soluzione diplomatica, che è l unica possibile. Se invece si continua ad andare verso una prova di forza allora la guerra è assicurata. In questo momento, la causa dell incendio è l offensiva militare dell esercito ucraino contro i separatisti. Questa offensiva andrebbe fermata, perché oltre a provocare una guerra su più vasta scala ha ormai minato gli accordi di Ginevra (pure osteggiati da una parte dei separatisti) e la possibilità di una soluzione concertata della crisi nella regione. La responsabilità dell autocrate Vladimir Putin (con cui si sono intrattenuti, in affari e in politica, in questi anni tutti i leader delle democrazie occidentali) prima nel sostenere un leader corrotto e autoritario come Yanukovich e poi nel soffiare sul fuoco dei separatismi 9

10 locali è evidente, come è altrettanto chiaro che c è un problema reale delle minoranze russofone che si sentono minacciate dalle forze nazionaliste fasciste e antisemite ucraine. Non però è solo farina del sacco di Putin; ci sono paure ed angosce reali della minoranza russa di quel paese (strumentalizzate dal leader di Mosca), cui gli «occidentali» meglio farebbero a dare risposte più rassicuranti che appoggiare i carri armati di Kiev. Dopo la fuga di Yanukovich nel febbraio scorso, uno dei primi atti del parlamento ucraino poi bloccato dal veto del presidente Turcinov è stato quello di abolire il russo come lingua ufficiale. È uno scenario «jugoslavo»: non è bastata la lezione degli anni 90 a far capire agli europei che è necessario affrontare un conflitto di questo genere con strumenti diversi dall interventismo armato e dall arroganza della Nato. Ed è proprio l espansione, con tanto di stategia, della Nato ad est e la pervicace intenzione di fare dell Ucraina un suo prossimo avamposto ad essere una delle cause principali di quello che sta succedendo in quel paese. «Ma che c entrano gli americani con l Ucraina?» si è chiesto Romano Prodi, invitando implicitamente gli europei a lasciarli fuori dalla porta e ad essere loro i protagonisti di una soluzione del conflitto in corso. Ma il problema è proprio questo: gli americani, in un modo o nell altro, in Ucraina ci vogliono entrare e rimanerci per due motivi: stare a ridosso, magari con la Nato, alla potenza russa ed entrare nel gioco del controllo delle risorse e delle vie di comunicazione che attraversano il paese. Quando si pensa ad una «missione di pace» in Ucraina bisogna essere chiari. Non basta dire «pacificazione». È una missione (dell Alleanza atlantica) a sostegno del governo di Kiev? È una forza di interposizione (anche con truppe russe, solo così da Mosca possono accettarla) tra le forze separatiste e quelle del governo ucraino? In mancanza di chiarimenti dire come fa la nostra ministra difesa che l Italia è disponibile a mandare delle proprie truppe, anche «attraverso la Nato, non significa nemmeno lontanamente emulare il conte Cavour di centosessanta anni fa (che aveva comunque una sua visione e degli obiettivi ben precisi), bensì semplicemente mettersi al servizio. Ma non certo della pace. del 06/05/14, pag. 14 Vent anni dopo l apartheid è diventato economico IL SUDAFRICA ORFANO DI MANDELA ALLE ELEZIONI CON DISUGUAGLIANZE SOCIALI SEMPRE PIÙ MARCATE TRA I NERI. FAVORITO IL PRESIDENTE ZUMA Una fila lunghissima con i colori della nazione arcobaleno si snoda per Trafalgar Square, a Londra. Davanti alla South Africa House, dove ha sede il consolato, centinaia di sudafricani residenti in Gran Bretagna sventolano le bandiere gialle e nere dell African Nation Congress e quelle azzurre dello sfidante Democratic Alliance e si preparano a votare, in anticipo rispetto al loro paese, nelle elezioni che celebrano i 20 anni della fine dell apartheid e dell inizio della democrazia. Ma anche le prime dalla morte del padre della nazione, Nelson Mandela. L African National Congress (Anc) è andato al potere nel 94, raccogliendo i frutti della lotta del suo leader, Mandela, e facendo un compromesso con la minoranza bianca: a noi il potere politico a voi quello economico. Chris Vandome è ricercatore presso Chatham House, Istituto britannico che si occupa di affari internazionali. 10

11 Il Programma dedicato all Africa del think-tank londinese è probabilmente il più importante del mondo. Chris ripercorre questi venti anni di democrazia dominati dall Anc spiegando perché l apartheid oggi non è più razziale, come prima del 94, bensì sociale ed economico. Sia la presidenza Mandela che quella del successore Mbeki hanno puntato tutto sulla crescita economica. In questo modo, anche grazie al flusso di investimenti dall estero e agli aiuti del Fondo monetario internazionale, il Paese è esploso a livello macroeconomico. Lasciando però indietro una fetta importante di persone, creando una frattura sociale tra minoranza benestante spesso bianca e una maggioranza devastata dall alto tasso di disoccupazione e dalla carenza di servizi pubblici (istruzione, igiene, salute). Solo quest anno ci sono state oltre manifestazioni, senza contare le rivendicazioni salariali dei minatori. Nel 2012 ne morirono 38 negli scontri con la polizia. Segni evidenti del malessere diffuso e del fallimento delle politiche sociali del partito di governo, nota Vandome. LA CORSA ELETTORALE è però quella di un uomo solo: Jacob Zuma, leader dell Anc e presidente in carica dal Già accusato di corruzione, Zuma ha governato facendo lo slalom attraverso gli scandali. Il più noto all opinione pubblica è quello in cui è stato accusato di aver sottratto 65 milioni di rand (più di 4 milioni di euro) di denaro pubblico per la ristrutturazione faraonica di una casa di campagna. Una giudice che ha indagato sul caso, Thuli Madonsela, è popolarissima, e tutti i partiti di opposizione cavalcano una linea anti-corruzione. Eppure l Anc è ancora il primo partito: il sondaggi lo danno sopra il 65%. L opposizione è divisa, e neanche una sfidante dall alto profilo come Manphela Ramphele donna, accademica, imprenditrice e già militante anti- apartheid è riuscita a coalizzare contro il ventennale potere dell Anc. Patrick, nero 42 anni di Johannesburg, che veste la maglietta di Zuma è molto netto: Non voto per lui perché è corrotto, ma credo ancora nel partito, come ci credono tanti della generazione born free, ovvero quelli nati liberi dall apartheid, i ventenni di oggi. Forse non riesce a rappresentare più molti settori della società, ma l Anc infatti continua a difendere le classi più deboli attraverso gli strumenti dello stato sociale. Anche dopo le elezioni, chiarisce Patrick, il partito ha il potere di richiamare il suo leader e di sostituirlo. Così accadde con Mbeki che dovette lasciare il posto a Zuma. E così spero accada a Zuma in favore del suo attuale vice, Cyril Ramaphosa, ambizioso uomo d affari, anche lui con un passato da attivista anti-apartheid. Quel che è certo, oltre alla vittoria sicura di Zuma e dell African National Congress, è che Mandela non è sparito dalle strade del Sudafrica. Per noi è come un padre, aggiunge Patrick tutti lo amano e lo rispettano per l umanità che ha espresso. Ma l eredità più grande che Madiba ha lasciato al suo Paese è certamente quella del senso dello Stato. Quando nel 2004 decise di ritirarsi dalla vita pubblica, lo fece anche per questo, conclude Vandome. Per dire: non sono eterno, ma quello che lascio resterà. In Sudafrica l autonomia della magistratura e la libertà di stampa sono gli strumenti che bilanciano gli abusi del potere politico. Elementi di una democrazia che in Africa è merce rara. A. Val. del 06/05/14, pag. 13 Boko Haram: «Venderemo le liceali rapite» Rivendicato il sequestro di 223 studentesse in Nigeria. Il leader islamista: «Ce l ha chiesto Dio» Marina Mastroluca 11

12 «Le venderemo al mercato come schiave». Ha l aria di chi impartisce una lezione Abubakar Shekau, leader del movimento qaedista Boko Haram, mentre rivendica in un video il rapimento di oltre 270 ragazze in Nigeria. Da quasi tre settimane non si hanno più notizie delle studentesse sequestrate il 14 aprile scorso a Chibok, nello Stato del Borno, dove erano giunte per sostenere un esame di fine corso. Shekau si fa riprendere dalle telecamere in mimetica, davanti ad un veicolo per il trasporto di militari e a due pick up equipaggiati con mitragliatrici. Accanto a lui ci sono sei soldati armati e a volto coperto. «Ho rapito le vostre ragazze - dice -. Le venderò». «Dio mi ha detto di venderle, loro sono sua proprietà e io eseguirò le sue istruzioni», aggiunge. Le ragazze non dovevano essere lì, piuttosto che a scuola le famiglie avrebbero dovuto mandarle spose, perché l istruzione femminile è peccato, «l educazione occidentale è peccato»: questo significa Boko Haram, il nome del gruppo. Per 14 minuti Shekau declama il suo credo contro l educazione scolastica delle ragazze, contro la convivenza tra cristiani e musulmani. Ha dei fogli in mano, il suo sembra un proclama. Poi annuncia le sue intenzioni: ridurre in schiavitù, vendere o costringere a nozze forzate le ragazze in ostaggio. «Mi sposerò con una donna di 12 anni e con una ragazza di 9 anni», annuncia. Subito dopo il sequestro di massa i sospetti si erano concentrati sull organizzazione terroristica. Ma il video del leader di Boko Haram non appare del tutto convincente: nel filmato non nomina mai il numero delle ragazze - delle 276 iniziali, 53 sono riuscite a fuggire - né dove sarebbe avvenuto il rapimento. Non dà nessun dettaglio e non mostra nessuna delle studentesse. Anche il riferimento alle nozze con delle ragazzine non collima con l età delle ragazze sequestrate, tutte tra i 16 e i 18 anni. La vicenda imbarazza enormemente il governo che ha cercato di mostrare il fenomeno terroristico come estremamente circoscritto e ha ridimensionato gli attacchi a villaggi cristiani, ma che poi si è trovato a dover spiegare l ottantina di morti negli attentati nella capitale di tre settimane fa e subito dopo il rapimento delle studentesse. Anche in questo caso la linea ufficiale è stata quella di minimizzare. Le madri e i parenti delle ragazze sono dovute arrivare ad Abuja per chiedere che le autorità si muovessero per riportare a casa le ragazze. Solo domenica scorsa il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha ammesso il sequestro, affermando che il governo farà tutto il possibile. Ma ieri la leader delle madri Naomi Mutah è stata brevemente arrestata - secondo fonti di stampa locali - per essersi presentata ad un meeting ufficiale sollecitando la liberazione delle ragazze. La donna sarebbe stata accusata di aver ordito la messa in scena del rapimento per mettere in cattiva luce il governo, ma sarebbe poi stata rilasciata dopo poche ore. Per le autorità di Abuja la vicenda non potrebbe avere tempistica peggiore. Il sequestro rischia di distogliere l attenzione dal World Economic Forum for Africa, riunito per la prima volta in Nigeria proprio questa settimana e dove il governo contava di presentare il suo volto più moderno. Il presidente Jonathan, ha rivolto un appello ai leader di molti Paesi, fra questi anche al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, perché prestino aiuto per ritrovare le ragazze e stabilizzare il Paese. Jonathan si è rivolto anche a Francia, Gran Bretagna e Cina, oltre che ai Paesi vicini Camerun, Ciad, Niger e Benin. «Abbiamo parlato ad alcuni Paesi dai quali ci aspettiamo un aiuto - ha detto -. Gli Usa sono al primo posto. Ho già parlato due volte al presidente Obama». Negli ultimi giorni ad Abuja e a Kano, nel nord del Paese, ci sono state diverse manifestazioni per chiedere al governo di darsi da fare per liberare le studentesse. «Ridatecele», c era scritto sui cartelli, «le ragazze non meritano tutto questo». 12

13 del 06/05/14, pag. 21 Sfida tra Comitato Onu e Vaticano sui limiti del trattato anti tortura Il Comitato dell Onu che si occupa di verificare l applicazione della Convenzione contro la tortura e i trattamenti disumani e degradanti vuole che il Vaticano risponda dettagliatamente sulla pedofilia e gli abusi del clero. Lo dovrà fare oggi pomeriggio, per cercare di controbattere un verdetto (atteso per il 23 maggio) che, stando alla sessione pubblica di ieri, sembra essere già stato scritto.per due ore, nella sala delle Conferenze posta al primo piano del Palais Wilson, la delegazione vaticana, guidata da monsignor Silvano Tomasi, è stata sottoposta a un fuoco di fila di domande su un tema al quale la Santa Sede non ha fatto alcun riferimento nel suo Rapporto di 25 pagine, in quanto, come ha dichiarato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, equiparare le sofferenze e i traumi derivati dagli abusi sessuali sui minori a quelli inflitti con la tortura, vuol dire impostare la questione in modo chiaramente «ingannevole e forzato per qualsiasi osservatore obiettivo». Per affrontare questioni delicate come l applicazione della Convenzione contro la tortura o la lotta alla pedofilia occorre «un dialogo costruttivo», non basato su «asserzioni polemiche», ha affermato Tomasi ieri pomeriggio alla Radio Vaticana. Mentre a caldo aveva affermato che comprendendo anche la pedofilia «si rischia lavoro inefficace e controproducente». L articolo 1 della Convenzione Onu definisce «tortura» (usando quindi il termine in senso proprio) «qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali» per ottenere informazioni o confessioni, per punire o intimidire e fare pressioni «o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione». Inoltre, perché ci sia «tortura», deve essere compiuta da «un agente della funzione pubblica» dello Stato o da «ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale». Citando la dichiarazione interpretativa fornita al momento dell adesione del Vaticano al Trattato, nel 2002, Tomasi ha affermato che la Convenzione si applica solo allo Stato della Città del Vaticano, in quanto entità territoriale circoscritta, e non alla Santa Sede. Un interpretazione che invece è stata respinta dalla maggioranza degli interventi dei membri del Comitato. Tanto che il presidente, il cileno Claudio Grossman, con qualche imbarazzo è dovuto intervenire per riequilibrare la situazione, dando atto al Vaticano che il nuovo codice penale sanziona la tortura come reato e ha introdotto il reato di pedofilia. Particolarmente determinati i due vicepresidenti, l americana Felice Gaer e il georgiano George Tugushi (che ha fatto riferimento anche al trattamento subito dall ex maggiordomo di Benedetto XVI Paolo Gabriele), ma anche la rappresentante del Nepal («la pedofilia è una forma di tortura») e della Cina. Non è intervenuto l italiano Alessio Bruni. Per la Gaer, lo Stato della Città del Vaticano «è una suddivisione della Santa Sede, come il cantone di Ginevra è una suddivisione della Svizzera» e la Santa Sede con la Congregazione per la dottrina della Fede è competente per tutti i preti del mondo. Gaer ha fatto riferimento a casi recenti riguardanti preti del Cile e dell Honduras, e dell Austria. Per quanto riguarda l Italia, Gaer ha stigmatizzato l esistenza nel Trattato del Laterano la norma per cui i sacerdoti non sono tenuti a fare denuncia alle autorità civili. Gaer ha chiesto al Vaticano anche di esprimersi sul divieto assoluto dell aborto, divieto che nei casi di vittime di violenza, ad esempio, può causare sofferenze supplementari, ha affermato. Il riferimento all aborto è stato fortemente contestato da Ashley McGuire dell associazione Catholic Voices. M. Antonietta Calabrò 13

14 INTERNI del 06/05/14, pag. 6 L Ambasciatore Usa: L Italia comprerà gli F- 35 CI SONO ACCORDI con la Difesa, l Italia comprerà gli F-35, probabilmente tutti e 90. A dirlo è l a m b a s c i a to re Usa a Roma, John R. Phillips, durante la registrazione della puntata del programma di RaiDue 2next. Philips ha elogiato l impegno internazionale italiano, ma le sue parole sono suonate come un richiamo agli impegni presi. Gli F-35 cacciabombardieri americani ancora in fase di sperimentazione costano circa 135 milioni di euro l uno e sono da mesi al centro delle polemiche. Il governo Renzi ha lasciato trapelare che intende, nella prossima legge di Stabilità, dimezzare il numero di velivoli di cui dotare l Aeronautica, ma di certo l amministra - zione Usa continua a fare lobby (gli aerei vengono costruiti dall americana Lockheed Martin). Prima dell ambasciatore, ci aveva già pensato lo stesso Barack Obama durante la sua recente visita in Italia: La libertà ha un co s to, ha scolpito riferendosi proprio agli F-35. A rispondere a distanza è intervenuto il deputato Gian Piero Scanu, capogruppo Pd in commissione Difesa: Il Parlamento ha avviato un indagine conoscitiva sui nostri sistemi d arma, solo dopo saranno prese decisioni e saranno vincolanti. Del 6/5/2014 pag. 10 LA GIORNATA L ultimatum del governo Avanti con il nostro testo e poi poche modifiche Renzi sfida i gufi e attacca Grillo: È uno sciacallo Napolitano: lavorare alla riforma della giustizia SILVIO BUZZANCA ROMA - Matteo Renzi vuole discutere delle riforme con tutti, ma chiede anche di arrivare presto ad una decisione. Il presidente del Consiglio lo dice chiaro e tondo, aprendo i lavori del seminario del Pd dedicato alle riforme. E parla anche a qualcuno dei professoroni, assenti, accusati nelle scorse settimane di frenare il cambiamento. «L Italia può e deve cambiare in tempi certi», dice il premier. Non è vero che non vogliamo discutere. Vogliamo farlo ma poi bisogna decidere». E alla critiche Renzi risponde che «sostenere che bisogna cambiare non è né autoritarismo né esercizio violento della cosa pubblica». Bisogna farlo perché è «elemento di credibilità in Europa». E ammette «che avere rinviato la discussione a dopo le elezioni è «un atto che personalmente e politicamente mi costa». Il premier però ascolta cosa dicono gli esperti convocati. E prende appunti. Quando Franco Bassinini parla del presidenzialismo invocato da Silvio Berlusconi annota un «dopo» che rinvia il confronto a dopo la riforma del Senato. Registra l ammonimento di Valerio Onida che le «riforme non si fanno per risparmiare». Annota le critiche di Ugo De Servio che dice: «Dare un potere meramente consultivo al Senato è profondamente contraddittorio». 14

15 Tutti problemi che restano sul tappeto. Oggi al Senato però si dovrebbe scegliere il testo base. Il governo vuole che sia adottato il suo. Gli altri no. La mediazione possibile è testo base governativo accompagnato da un pacchetto di emendamenti giù concordati. Luigi Zanda, capogruppo pd parla di intesa possibile affidando alle regioni le modalità di elezione dei futuri senatori. Ma per Luciano Violante sarebbe «un escamotage, non una soluzione». Sullo sfondo resta il tema giustizia. Ieri il presidente della Repubblica ne ha parlato con i nuovi giovani magistrati. «Siete una nuova generazione che confido non cada prigioniera di un clima di tensione che ha dominato per decenni la vita pubblica del nostro paese», ha detto Napolitano. E ha auspicato che il ministro Orlando lavori ad una riforma della giustizia «con tutti per la ricerca di soluzioni concrete e organiche». del 06/05/14, pag. 1/15 Riforme Un mostro giuridico Gaetano Azzariti Sembra che l «autonomia del politico», dopo aver consumato un forte distacco dalla società, stia ora cercando di affrancarsi anche dal diritto. Un impressione che, da ultimo, trova conferma nel dibattito sulle riforme istituzionali, dove i principali compromessi politici sono stati raggiunti tutti a scapito delle ragioni del diritto, delle sue regole di rigore e logica. Basta pensare al delicato intreccio che tiene unite la riforma elettorale e quella costituzionale, che rappresenta a quel che è dato sapere la base del misterioso patto del Nazzareno. Da un lato le forzature ipermaggioritarie e incostituzionali per favorire i due principali competitori (il giorno della sottoscrizione del patto Renzi e Berlusconi, oggi non è più così), dall altro la scelta di non far più eleggere direttamente i senatori. Quest accordo politico peraltro assai precario ha creato un mostro giuridico. Com è noto, infatti, al fine di manifestare il sostegno di tutti al complesso delle riforme proposte, nel corso della discussione alla Camera, è stato deciso (da Pd e FI, ma con il consenso anche di varie minoranze interne) che l approvazione delle norme elettorali dovesse riguardare esclusivamente la Camera, dacché i membri del Senato, dopo la riforma costituzionale e nel rispetto del patto, non saranno più eletti direttamente. Dal punto di vista politico a me sembra già un aberrazione: come si può giustificare che prima di ogni discussione parlamentare, prima ancora della presentazione del disegno di legge costituzionale in materia, si imponga una scelta obbligata di non elettività della seconda Camera? I fatti di questi giorni, che hanno rimesso in discussione proprio i criteri di elettività dei futuri senatori, stanno mostrando il fiato corto di questa così ardita e apparentemente radicale scelta politica. Ma è sul piano giuridico che si sono prodotti gli effetti più negativi. Si è venuta, infatti, a determinare una situazione paradossale, costituzionalmente insostenibile. Se il Senato dovesse effettivamente approvare la legge elettorale prima della conclusione dell incerto percorso di riforma del bicameralismo, ci troveremmo con due complessi normativi per l elezione dei due rami del Parlamento tra loro totalmente incompatibili che farebbero venir meno le stesse finalità di governabilità così ardentemente perseguite dalla maggioranza di larghe intese. Quest esito palesemente irragionevole e, dunque, incostituzionale non verrebbe meno neppure se, in seguito, si approvasse una riforma del bicameralismo perfetto, fosse anche la più radicale, ma che non prevedesse specificatamente l esclusione dell elettività diretta di tutti i senatori. 15

16 Dunque, una blindatura di un patto politico (tra Renzi e Berlusconi) che appare fondato esclusivamente su fragili interessi politici personali, che si sono rivelati immediatamente errati: Forza Italia non è più il secondo partito e non può più sperare di sfruttare a suo vantaggio le distorsioni maggioritarie (non le rimane che sperare nel gioco delle soglie di accesso per attirare alleati recalcitranti) e il Partito democratico non troverà una sintesi se non rinnegando il principio della non elettività dei senatori. Quel che rimane è però il mostriciattolo giuridico che non sarà facile debellare che è stato generato da un accordo senza diritto. Non è questa vicenda un espressione assai significativa del divorzio tra le ragioni della politica e le logiche del diritto? D altra parte, le fondamenta stesse su cui si sta costruendo l autonomia della politica dal diritto sono deboli. Non dovrebbe sfuggire, infatti, che le «decisioni» del potere politico, alla fine, dovranno tornare a fare i conti con la grande regola dello «stato di diritto». Nel nostro ordinamento democratico proprio al diritto costituzionale spetta l «ultima parola». Nessuno può allora illudersi che un accordo politico oltretutto contestato possa rappresentare un salvacondotto in sede di giudizio di costituzionalità. E l incostituzionalità della legge elettorale che si vuole approvare è palese. Non è difficile prevedere sin da ora la sua sorte ove arrivasse alla Consulta. Ma, ancor prima, c è da considerare che una legge fonte di gravi irrazionalità di sistema, inidonea persino a raggiungere l obiettivo perseguito della stabilità delle maggioranze parlamentari, foriera pertanto di una possibile paralisi del sistema politico e parlamentare, che finisce per condizionare molti dei poteri presidenziali, quello di scioglimento in particolare, è ad alto rischio di non vedere mai la luce. Non scommetterei, infatti, sulla sua promulgazione da parte del capo dello Stato. Viene naturale allora interrogarsi sulla ragione di queste forzature. È lo sguardo corto sempre più corto, ormai quasi cieco della politica che spiega le spericolate operazioni cui stiamo assistendo. Esagerazioni motivate della debolezza in cui versa una politica arrogante. Quando non si sa cosa fare e non si hanno chiare strategie politiche da seguire, non si può far altro che alzare la voce per cercare di far valere gli interessi del momento. Fragilità della politica che è un carattere dei tempi nostri e sembra non salvare nessuno. Se valutiamo quel che è successo sull altro fronte delle riforme istituzionali, quello della trasformazione del nostro sistema bicamerale, ritroviamo, purtroppo, conferme drammatiche di come le ragioni della politica ormai non riescano più a conciliarsi con le logiche del diritto. Se può dirsi che il dibattito sulla legge elettorale è stato pressoché inesistente e in sede parlamentare tutte le richieste di cambiamento sono state frustrate, non altrettanto è avvenuto con riferimento al disegno di legge costituzionale presentato dal governo sulla trasformazione del Senato. Anzi, com è noto, alla commissione affari costituzionali il progetto del governo era a un passo dal fallimento, non avendo trovato il consenso necessario proprio la richiesta concernente la non elettività diretta dei senatori. Ebbene, nel vuoto del diritto, è stato possibile assistere ad un colpo di teatro, che ha ottenuto un consenso politico pressoché unanime. Matteo Renzi, al quale nessuno può negare capacità spettacolari e velocità di movimento, ha sparigliato, proponendo egli stesso un sistema di elezione diverso. Ha sostenuto di voler lasciare che ogni Regione possa stabilire le modalità d elezione dei propri senatori, aggiungendo che in fondo non c era da impiccarsi sulla data di approvazione (ancorché s intende nessuno potesse mettere in discussione la velocità come mito fondante l immaginario del nuovo governo). Un coro di consensi ha accompagnato la brillante operazione politica, ed anche i commentatori più distanti hanno apprezzato l apertura, mentre solo gli irriducibili hanno auspicato ulteriori aperture. 16

17 Non ho udito nessuno dire quel che a tutti è chiaro: il sistema suggerito non ha nessun senso giuridico e non potrà mai trovare una sua coerente applicazione. A prendere sul serio il compromesso politico enunciato ma non chiarito dal presidente del consiglio bisognerebbe ritenere che l organo senatoriale potrebbe essere composto, del tutto irrazionalmente, a seguito delle differenti scelte di ogni ente territoriale, magari mettendo caoticamente assieme elettività diretta e indiretta, rappresentanza istituzionale e popolare. Ovviamente nessuno ritiene che questo possa essere l esito. L ipotesi che circola in queste ore di non modificare il testo base, ma di affiancargli l approvazione di un ordine del giorno di segno opposto, oltre ad essere un innovazione assai spregiudicata dei precedenti parlamentari, segnala l indeterminatezza della proposta, ovvero la sua impraticabilità costituzionale. Malgrado ciò, si tende ad apprezzare la ragione politica che ha indotto a fare una proposta di apertura alle opposizioni. Poi si vedrà. Forse si riuscirà in seguito a dare un senso alla riforma costituzionale che, per ora, un senso non ne ha. Sono in molti a sostenere che sia questo un atteggiamento pragmatico, politicamente opportuno in tempi difficili in cui non ci si vuole o può opporre al vento tempestoso e confuso del cambiamento. Non voglio esprimere giudizi di natura propriamente politica, ritengo tuttavia, semplicemente, che se il costo dovesse essere rappresentato dalla negazione della logica del diritto e della costituzione, non credo sia un prezzo che si possa pagare a nessuna ragione politica. 17

18 LEGALITA DEMOCRATICA Del 6/5/2014 pag. 22 Stop alle indagini per Di Matteo: Non è un pm della Dda Le nuove regole, in vigore da marzo, non ammettono deroghe La beffa dell antimafia una circolare del Csm azzera il pool di Palermo SALVO PALAZZOLO PALERMO - Nino Di Matteo non potrà fare più nuove indagini sulla trattativa fra i vertici della mafia e pezzi dello Stato. Anche Roberto Tartaglia dovrà fermarsi. E, fra un mese, la stessa sorte toccherà a Francesco Del Bene. Tira un aria pesante nelle stanze blindate della Procura. Il pool di Palermo è praticamente azzerato, resta soltanto il coordinatore del gruppo, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. È il primo drammatico effetto di una circolare arrivata dal Consiglio superiore della magistratura il 5 marzo scorso: ordina che tutti i nuovi fascicoli d inchiesta sulla mafia debbano essere affidati esclusivamente a chi fa parte della Dda, la direzione distrettuale. E Di Matteo è formalmente scaduto da quattro anni, ufficialmente è assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi. Tartaglia, invece, non fa ancora parte della Dda. Fino ad oggi, i due magistrati che hanno istruito il processo in corso a Palermo sono stati solo «applicati» al pool. Il terzo componente del gruppo, Francesco Del Bene, è l unico ancora legittimato a fare nuove indagini, ma fino al primo giugno, poi scadrà anche lui dall incarico decennale in Dda. La circolare del Csm spedita a tutte le procure d Italia è perentoria: nessun nuovo fascicolo antimafia potrà più essere gestito da chi non fa parte della direzione distrettuale, «salvo casi eccezionali». E i casi eccezionali sono particolari competenze «nei delitti contro l economia, la pubblica amministrazione, la salute e l ambiente». Oppure, dice il Csm, tutti i componenti della Dda dovrebbero avere dei carichi di lavoro tali da non poter condurre più altre indagini. Così, al procuratore di Palermo Francesco Messineo non è rimasto che fermare una nuova importante assegnazione a Di Matteo e Tartaglia. Quale, resta un segreto d indagine. Ma sembra che riguardi proprio gli sviluppi di una serie di accertamenti fatti in questi ultimi mesi. Perché, ormai, non è più un mistero che i pm di Palermo hanno proseguito le indagini sulla trattativa anche dopo l inizio del processo in Corte d assise: l estate scorsa, si sono presentati con la Dia nelle sedi romane dei servizi segreti per acquisire una montagna di documentazione. Di recente hanno poi continuato a interrogare decine di uomini delle istituzioni come testimoni. Il pool di Palermo sta cercando di chiarire il ruolo della misteriosa Falange Armata, la sigla che rivendicava gli attentati del ai centralini delle agenzie di stampa. E sembra che alcuni nomi su cui indagare siano saltati fuori. Ma su questi nomi Di Matteo e Tartaglia non potranno fare alcuna indagine, anche se sono stati loro a individuarli nella giungla dei misteri che ancora restano. La circolare del Csm non ammette deroghe. Non importa che un gruppo di magistrati abbia acquisito una competenza unica. Non importa che le indagini offrano nuovi spunti di approfondimento, e relative iscrizioni nel registro degli indagati. Perché, intanto, quella misteriosa sigla della Falange armata è ricomparsa, in una lettera minacciosa spedita in carcere al boss Totò Riina dopo la pubblicazione sui giornali delle sue intercettazioni all ora d aria. «Chiudi la bocca, ricordati che hai famiglia», gli hanno scritto. 18

19 Alla Procura di Palermo nessuno ha voglia di commentare. Ma il malumore cresce. Anche perché l effetto tagliola è arrivato per tutte le indagini antimafia, che vedevano applicati diversi pm della procura ordinaria. Qualcuno sta già pensando di scrivere al Csm, per porre ufficialmente il caso. del 06/05/14, pag. 5 «I beni confiscati aumentano La riforma per gestirli meglio» MASSIMO SOLANI Filippo Bubbico «Si dice chele stesse aziende in mano alla mafia producono lavoro e in mano allo Stato falliscono È un teorema da ribaltare con norme aggiornate» «È una rivoluzione sì, ma visto il mio ruolo devo necessariamente essere più prudente. Diciamo che è arrivato il momento di cambiare passo e che spero si riesca a farlo presto con il contributo di tutti». Il viceministro dell Interno Filippo Bubbico lavora da mesi al progetto di revisione della normativa sul tema dei beni confiscati e oggi quel suo lavoro può finalmente vedere la luce con l arrivo in Consiglio dei ministri del disegno di legge intitolato «Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti» in cui, fra le altre cose,sono previsti l inasprimento delle pene previste per il 416bis e l introduzione del reato di autoricilaggio. Da cosa nasce l esigenza di questo cambio di passo? «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un grandissimo aumento dei sequestri e delle confische mafiose e la grande fecondità di quella legge straordinaria ci ha dimostrato l efficacia di uno strumento diventato fondamentale nel combattere la criminalità organizzata e le diverse mafie. La capacità dei sodalizi criminali di tallonare l economia legale e condizionarla, però, rende ancora più rilevante il tema degli strumenti che noi mettiamo a disposizione per restituire alla dimensione collettiva e alla funzione di produrre utilità pubbliche i beni sequestrati e confiscati. Che sono cresciuti nel corso del tempo e cresceranno ancora di più perché la pervasività del sistema criminale nel campo economico è sotto gli occhi di tutti». Diciamo che la legge Rognoni-LaTorre, dopo anni di grande efficacia aveva bisogno di qualche aggiustamento? «Quello straordinario strumento voluto da Pio La Torre e Virginio Rognoni ha dimostrato la sua efficacia, però non possiamo non ammettere che oggi ci troviamo di fronte alla necessità di aggiornare quell impianto normativo. Se un tempo si riteneva sufficiente restituire alla funzione sociale i beni confiscati oggi proprio la mutata natura dei beni confiscati ci pone un problema diverso: cresce il numero di aziende che vengono sequestrate e confiscate e cresce in maniera significativa il valore dei patrimoni confiscati». Non solo«la roba», ma sempre più imprese con centinaia di lavoratori. Aziende che, troppo spesso, non sopravvivono all impatto con l economia legale dopo il sequestro e la confisca. «Finora purtroppo non siamo stati capaci Di reagire rispetto ad un teorema che metteva fuori gioco lo Stato. In molte situazioni, soprattutto in territori di crisi, le conseguenze dell azione penale dicevano che le stesse aziende in mano alle mafie creavano lavoro, 19

20 mentre in mano allo Stato producevano licenziamenti. Dobbiamo sconfiggere questo teorema». Il disegno di legge insiste molto su questo. Con quali nuovi strumenti? «Puntiamo a mettere in campo un nuovo modello di governo anche imparando dagli errori. Non possiamo continuare a pensare che le amministrazioni giudiziarie proseguano per un tempo indeterminato o che le funzioni di amministratore giudiziario si assommino in maniera cumulativa in capo agli stessi soggetti. Proprio per la rilevanza economica e sociale che quelle aziende confiscate esprimono in molte realtà è necessario che lo Stato metta in campo il meglio delle sue professionalità e competenze di natura gestionale prestando a ciascuna di queste aziende il massimo dell attenzione». Va letta in quest ottica anche la riorganizzazione dell agenzia per i beni confiscati contenuta nel testo? «Che l agenzia abbia sede a Reggio Calabria non ha senso: l agenzia deve avere la capacità di gestire processi complessi interfacciandosi con le altre strutture dello Stato e interagendo con le altre componenti interessate dal processo di sequestro e confisca dei beni. Deve insomma agire in via diretta nel rapporto con le altre amministrazioni: per questo il nostro progetto prevede una sede unica a Roma e l utilizzo delle prefetture per esplicitare localmente la propria funzione». Nel testo ci sono anche interventi di sostegno per gli enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose. L ottica è quella di sostenerli nel loro percorso di rientro nella legalità? «Non possiamo permettere che gli amministratori locali siano ancora lasciati soli, perché più sono esposti ai condizionamenti e alle minacce e più sono fragili. Il sindaco è visto sempre più come dominus, i consigli comunali sono sempre più svuotati di poteri ed è il primo cittadino a nominare i dirigenti. Per questo il sindaco rischia di essere visto come una figura monocratica che volendo può assecondare gli interessi di chi ha la forza di imporsi. E accade troppo spesso che, pur non essendoci complicità, manchi semplicemente la forza di opporsi a questi fenomeni. Noi dobbiamo introdurre meccanismi di irrobustimento delle funzioni pubbliche ridando senso ai consigli comunali e al dibattito pubblico, in modo da mettere in campo gli interessi contrapposti e validare così le scelte che più rispondono alla tutela dell interesse generale. Le amministrazioni sciolte per inflitrazioni devono essere accompagnate e sostenute verso un esercizio legale delle proprie funzioni». Dopo un lavoro di mesi,iniziato con lo scorso governo in cui lei aveva la delega per i beni confiscati, adesso il disegno di legge può finalmente vedere il traguardo. Quando potrà essere approvato dal consiglio dei ministri? «Io mi auguro che accada già domani (oggi ndr), in modo che si possa avviare al più presto possibile il suo iter parlamentare. Nel frattempo, dopo la pubblicazione dei risultati del lavoro delle commissioni Garofoli e Fiandaca, la commissione Antimafia guidata dalla presidente Bindi ha concentrato su questo tema gran parte del suo lavoro recente. Per questo sono convinto che l impostazione del governo sarà confermata e arricchita durante il lavoro parlamentare». 20

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