La P A non sfugge alla riforma del lavoro

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1 La P A non sfugge alla riforma del lavoro Luigi Oliveri In questi giorni l attenzione del rapporto tra riforma del lavoro annunciata dal Governo e lavoro pubblico si è specificamente concentrata sul problema (falso) dell applicabilità dell articolo 18, come riformato, anche alla pubblica amministrazione. Non si è ancora sufficientemente riflettuto su un punto fondamentale: ai sensi dell articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001 I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge. Il meccanismo descritto dalla legge è molto chiaro, anche se scientemente ignorato: le leggi sul mercato del lavoro si applicano interamente al sistema del lavoro pubblico, a meno che non siano stabilite dalla legge disposizioni espresse di diverso contenuto. Dunque, in assenza di una disciplina particolare, che deroghi alle regole del mercato del lavoro, esse si estendono, per la parte non incompatibile, nel sistema del lavoro pubblico. Forme flessibili. Il sistema del lavoro pubblico è poco influenzato, a ben vedere, dalle regole della cosiddetta flessibilità in entrata. Questo perché gran parte delle forme di lavoro regolate dal d.lgs 276/2003, cioè la fonte principale di disciplina delle forme flessibili, sono inapplicabili alla pubblica amministrazione, per espressa indicazione del medesimo d.lgs 276/2003. Per comprendere, tuttavia, meglio la questione è opportuna una ricognizione delle forme flessibili di lavoro (che non sono 46, ma 22; combinandole tra loro, in particolare col part-time, possono divenire oltre 40), in un quadro sinottico che illustri se possono essere utilizzate o meno nel sistema pubblico: Forma flessibile Grado di applicabilità alla P.A. 1. Tempo indeterminato Si applica ovviamente. Anzi, ai sensi dell articolo 36, comma 1, del d.lgs 165/2001, è la forma principale. Le altre sono tutte recessive. 2. Tempo indeterminato a tempo parziale Come sopra. Il tempo parziale è solo una modulazione dell orario, ma non influisce sull elemento dell assenza di una condizione o di un termine. 3. Tempo determinato Si applica, ma nel rispetto delle restrittive condizioni poste dall articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001. La norma così dispone: Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo

2 determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio di cui alla lettera d), del comma 1, dell'articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Nella pubblica amministrazione esiste già da tempo una misura normativa finalizzata a rendere il tempo indeterminato il contratto fondamentale e principale. Le forme flessibili possono essere utilizzare esclusivamente per far fronte a fabbisogni lavorativi a loro volta flessibili, dandone conto con specifiche motivazioni. Si deve ritenere valida anche per le pubbliche amministrazioni la nuova aliquota contributiva dell 1,4%, che serve a finanziare l assicurazione per l impiego (Aspi), che sembra assicurerà un sostegno al reddito per i lavoratori assunti a tempo determinato dalle pubbliche amministrazioni. 4. Tempo determinato stagionale La disciplina del tempo determinato stagionale è molto meno facile da utilizzare nella pubblica amministrazione di quanto si creda. Non basta assumere periodicamente e ciclicamente, ma occorre che le assunzioni rientrino negli ambiti disciplinati dal Dpr 1525/ Socio lavoratore di cooperativa sociale Non si applica 6. Lavoro somministrato a tempo Non si applica. Si tratta dello staff leasing, efficace solo indeterminato 7. Lavoro somministrato a tempo determinato 8. Lavoro somministrato in deroga ai minimi retributivi per categorie svantaggiate (art. 13 comma 1 lettera a) nell ambito del lavoro privato Si applica, per espressa previsione dell articolo 86, comma 9, del d.lgs 276/2003. Non pare, invece, estendere i suoi effetti alla pubblica amministrazione la riforma della somministrazione approvata di recente dal Governo, per attuare la direttiva 2008/104/CE, che consentirebbe di attivare la somministrazione anche in assenza delle causali che la giustificano. Ciò contrasta con l articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001. Si tratta di un rapporto di somministrazione che può consentire alle Agenzie di assumere i lavoratori da somministrare in deroga all obbligo di assicurare i

3 d.lgs 276/2003) 9. Lavoro somministrato per percettori di ammortizzatori sociali (articolo 13 comma 1 lettera b) d.lgs 276/2003) medesimi trattamenti salariali previsti per l utilizzatore. Nei confronti della pubblica amministrazione, che non vedono il rapporto sottostante, si tratta di una somministrazione come un altra. Non pare corretto escludere a priori questo rapporto, visto che per l utilizzatore non è diverso da qualsiasi altra somministrazione. Anche in questo caso, la particolarità del rapporto lavorativo riguarda solo l Agenzia, che può beneficiare come sgravio dei propri costi anche del sostegno al reddito percepito dal lavoratore. Per l utilizzatore questo rapporto sottostante non rileva. Non si può escludere l applicazione, dunque, alla pubblica amministrazione. Inapplicabile 10. Lavoro ripartito (uno stesso posto condiviso da due persone) 11. Lavoro a chiamata Inapplicabile 12. Apprendistato per qualifica o Inapplicabile. diploma professionale 13. Apprendistato professionalizzante Applicabile, quando sarà adottato il Dpcm previsto dall articolo 7, comma 8, del d.lgs 167/2011 (testo unico dell apprendistato). 14. Apprendistato di alta formazione e ricerca 15. Contratto di inserimento Inapplicabile. 16. Contratto di formazione e lavoro (solo per P.A) 17. Telelavoro - ci sono poi forme di lavoro autonome o para subordinate: 18. Co.co.co. Applicabile, quando sarà adottato il Dpcm previsto dall articolo 7, comma 8, del d.lgs 167/2011 (testo unico dell apprendistato). Dato che nella pubblica amministrazione l articolo 36, comma 2, del d.lgs 165/2001 configura il tempo indeterminato come forma contrattuale assolutamente prevalente, difficilmente l apprendistato potrà considerarsi come canale privilegiato per l accesso al lavoro nella p.a. Si applica. Sarà necessario comprendere se l estensione dell apprendistato alla p.a. avrà influenze sul contratto di formazione e lavoro. Si applica, ma si tratta di una forma lavorativa largamente sottoutilizzata. 19. Co.co.pro Si applica, con i limiti e le condizioni stabilite dalle varie norme restrittive in tema di incarichi di lavoro autonomo. Si afferma che per la pubblica amministrazione valgano le co.co.co. e non le co.co.pro. In realtà, per la pubblica amministrazione da sempre l articolo 7, comma 6, prevede un progetto specifico e a tempo determinato. In realtà, per la p.a., co.co.co. e co.co.pro. sono la stessa cosa. 20. Collaborazioni occasionali Si applica, con i limiti e le condizioni stabilite dalle propriamente dette (art. 61 comma 2 d.lgs varie norme restrittive in tema di incarichi di lavoro 276/2003) autonomo. 21. Collaborazioni occasionali-mini Si applica, con i limiti e le condizioni stabilite dalle

4 co.co.pro varie norme restrittive in tema di incarichi di lavoro autonomo. 22 Lavoro accessorio (voucher) Si applica entro i limiti consentiti dall articolo 70, comma 1, del d.lgs 276/2003. Ovviamente, tutte le forme di lavoro flessibili debbono fare i conti col principio di riduzione della spesa posto da ben due norme. Si tratta dell articolo 1, comma 557, lettera a), della legge 296/2006 e dell articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, che indica anche il tetto de 50% rispetto al Paternità obbligatoria. Trattandosi di un istituto finalizzato ad attuare le pari opportunità e i pari diritti, difficilmente può ritenersi escluso dall ambito del lavoro pubblico. Pari opportunità nelle aziende. La misura intende favorire la partecipazione paritaria delle donne nei consigli di amministrazione e negli organi amministrativi delle società. Vi è un estensione diretta anche al sistema pubblico delle società partecipate. Gli enti vigilanti avranno l onere di impartire direttive per l attuazione di questa previsione. Personale ex pubblico esternalizzato. La riforma delle pensioni e del mercato del lavoro non può che avere effetti anche sui processi di esternalizzazione. L idea di svolgere le funzioni ed i servizi mediante società, impone anche di cedere il personale addetto agli stessi. Questo implica il passaggio dal pubblico al privato. Le conseguenze debbono essere valutate in maniera molto analitica. Per molti dipendenti pubblici esternalizzati il nuovo sistema oneroso del ricongiungimento pensionistico ha giocato un brutto scherzo: le somme da pagare per avere una pensione dignitosa, per coloro che provengono dal sistema retributivo, sono ingentissime. Bisogna essere consapevoli che in assenza di un assimilazione piena tra lavoro pubblico e privato, passaggi di questo genere sono sempre soggetti nel lungo periodo a sorprese di questo genere. Un trasferimento in massa di personale dal pubblico al privato imporrebbe, ad esempio, una conformità assoluta e certa di trattamenti pensionistici, che potrebbe essere garantita dalla confluenza dell Inpdap nell Inps. Ma, forse, prima di adottare decisioni affrettate è necessario attendere come il nuovo Super-Inps deciderà di organizzarsi e quali regole contributive opereranno. L abbandono, poi, del sistema pubblicistico immette, ovviamente, i dipendenti coinvolti dalle esternalizzazioni nel mercato del lavoro aperto. Una comparazione seria tra i diversi stati giuridici ed economici risulta fondamentale. Allo stesso modo, occorre prendere atto che le regole sul costo del personale impongono di risolvere definitivamente il rapporto di lavoro pubblico. La fuoriuscita dovuta alle esternalizzazioni è da considerare senza ritorno. Solo piani economico-finanziari seri e credibili, alla base delle esternalizzazioni, possono evitare il rischio di incidere negativamente sull occupazione e anche sulla qualità stessa dei servizi da esternalizzare. Programmazione triennale delle assunzioni. Indirettamente, la riforma enfatizza il ruolo e la funzione fondamentale della programmazione delle assunzioni, prevista dall articolo 6 del d.lgs 165/2001. Proprio la conclamata possibilità di estendere l articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come riscritto dalla riforma anche alle pubbliche amministrazioni deve far ponderare molto bene le politiche assunzionali, legandole strettamente come non mai alla situazione economica. E noto che laddove gli enti si trovino in condizione di dissesto o abbiano violato il patto di stabilità o abbiano un incidenza della spesa di personale sul totale delle spese correnti superiore al 50% il legislatore ha pensato al posto loro: ed impedisce in modo assoluto di operare assunzioni. Inoltre, per gli enti soggetti al patto, che a partire dal 2013 saranno tutti, con l eccezione dei comuni aventi meno di 1000 abitanti, esiste una forte limitazione delle assunzioni, pari al 20% del costo delle cessazioni dell anno precedente. Nei margini di manovra residui, oggettivamente piuttosto ristretti, la programmazione delle assunzioni non può che tenere conto delle influenze dirette che mosse sbagliate, la cui conseguenza porti ad incrementi non sostenibili della spesa di personale, possono sfociare nella formazione di

5 quella situazione finanziaria, secondo la quale, ai sensi dell articolo 33 del d.lgs 165/2001, è possibile attivare anche licenziamenti individuali, in tutto soggetti alla disciplina dell articolo 18 per ragioni economiche. Per giunta, con minori poteri del giudice di accertare eventuali aggiramenti: la motivazione della situazione finanziaria non potrà che passare per atti pubblici, soggetti a controlli dei revisori, quasi impossibili da demolire da parte del giudice del lavoro, a meno di non dimostrarne la falsità. Occorre, inoltre, considerare i maggiori costi connessi al lavoro a tempo determinato. Poiché il tetto al lavoro flessibile è connesso alla spesa, le maggiori contribuzioni richieste dalla riforma finiscono ovviamente per innalzare i costi del lavoro a tempo determinato, riducendone proporzionalmente l attivabilità. Il lavoro flessibile non è oggetto della programmazione delle assunzioni vere e proprie, ma è un accessorio imprescindibile delle verifiche contabili per garantire le norme sui tetti di spesa al personale. E il lavoro flessibile, come visto prima, non è utilizzabile per far fronte a fabbisogni stabili. La china presa dalla normativa, sia quella pubblicistica, sia quella indirettamente indotta dalla riforma del mercato del lavoro, trasforma la programmazione delle assunzioni più in una ricognizione interna, finalizzata alla riorganizzazione del lavoro, per far produrre al meglio il personale esistente, che nel medio-lungo periodo è destinato a ridursi significativamente. Determinazione profili professionali. Diviene, dunque, più strategico lavorare sulle competenze e sulla professionalità dei dipendenti, che sulla loro quantità. Occorre ricordare che ai sensi del comma 4-bis dell articolo 6 del d.lgs 165/2001 Il documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale ed i suoi aggiornamenti di cui al comma 4 sono elaborati su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti. Inoltre, i successivi articoli 16 e 17 ribadiscono che i dirigenti concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4. La programmazione, più che essere l elenco della spesa per l assunzione di nuovi dipendenti, si trasformerà sempre di più nella sede nella quale si determinano, invece, politiche per aggiornare, formare, riconvertire il personale interno, allo scopo di modificare i profili professionali adeguati a nuovi sistemi organizzativi e produttivi. Non si può continuare a considerare la politica del personale e delle assunzioni come un incremento continuo numerico e di costo. Proprio l articolo 33 riformato dalla legge 183/2011, letto con più attenzione alla luce della riforma del mercato del lavoro, segna la linea di confine definitiva delle politiche del personale pubblico. Le responsabilità dei dirigenti e responsabili di servizio nel caso di licenziamenti disciplinari o dovuti a giustificato motivo oggettivo per ragioni finanziarie. E noto che abbiamo espresso da sempre e anche in tempi non sospetti (n. 5/2011 de La Settimana degli enti locali) che l articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per la pubblica amministrazione è stato già, di fatto, disapplicato o, comunque, riformato dalla riscrittura dell articolo 33 del d.lgs 165/2001. Infatti, l introduzione del licenziamento dovuto alla situazione finanziaria (simmetrico delle ragioni economiche) determina il fatto nuovo: il dipendente pubblico può essere licenziato se vi sia uno squilibrio tra spesa ed entrata e l alleggerimento della spesa di personale si dimostri una misura necessaria. Come si nota dalla lettura dell articolo 33 citato, è stata anche eliminata qualsiasi forma di concertazione o arbitrato tra amministrazione che dichiara gli esuberi di personale ed i sindacati. Insomma, nella pubblica amministrazione indotta a licenziare per ragioni finanziarie non opera nemmeno il cosiddetto modello tedesco, il quale fonda la garanzia contro licenziamenti falsamente denominati come economici, ma invece discriminatori o di altro tipo, proprio su

6 procedure conciliative tra datori e sindacati, volte a verificare l assoluta necessità del rimedio del licenziamento. Non pochi osservatori e interpreti (Pietro Ichino, Francesco Verbaro) hanno osservato che nella pubblica amministrazione il problema non è dato, tanto, dall estensione della riforma dell articolo 18 imposta dall articolo 51, comma 2, del d.lgs 165/2001 da considerare pacifica (se si è in buona fede), quanto dal rischio che nessun dirigente darà mai corso ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, se in sede giurisdizionale l amministrazione possa essere condannata all indennizzo, riconosciuta l assenza dei presupposti per il licenziamento. Infatti, la condanna all indennizzo potrebbe dare luogo a responsabilità erariale. E un problema da non sottovalutare. Anche perché mette alla luce le inadeguatezze della disciplina del lavoro pubblico, che si vorrebbe improntato alla managerialità ed alle regole operative delle aziende. Ma, in un azienda nessun dirigente rischia nulla se licenzia, in conseguenza del pagamento di un indennizzo stabilito in sede giurisdizionale. Occorre, infatti, affermare chiaramente che le aziende sono disposte a monetizzare la risoluzione del rapporto, piuttosto che reimpegnarsi col reintegro. Come si nota, invece, l azione della dirigenza pubblica è molto più ingessata, perché anche eccessivamente compressa da regole ipertrofiche e una responsabilità, quella erariale, sconosciuta nell impresa privata. C è da osservare, tuttavia, che i dirigenti sono obbligati a dichiarare le situazioni di esubero. Ai sensi dell articolo 33, comma 1, del d.lgs 165/2001 Le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. Poiché la gestione del personale è di spettanza di ogni singolo dirigente, è da ciascuno di essi che provengono le rilevazioni, poi aggregate nel documento finale, circa le eccedenze. Per altro, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 33 Le amministrazioni pubbliche che non adempiono alla ricognizione annuale di cui al comma 1 non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto pena la nullità degli atti posti in essere. Dunque, è altamente sconsigliabile sul piano organizzativo non attivare la ricognizione degli esuberi, data la fortissima penalizzazione sulla politica assunzionale. Ma, a conferma delle specifiche competenze dei dirigenti in merito alla rilevazione degli esuberi, il successivo comma 3 dispone: La mancata attivazione delle procedure di cui al presente articolo da parte del dirigente responsabile è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare. Non c è dubbio, allora, che l individuazione delle situazioni di esubero sia un dovere ineludibile per il dirigente. Che ha una funzione attiva fondamentale: il personale in esubero è dal singolo dirigente individuato. Scatta il processo di verifica di un reinserimento dei dipendenti all interno dell ente o all esterno, mediante la mobilità, in conseguenza del documento finale, che è la sintesi ovvia delle rilevazioni di eccedenza di personale indicata da ciascun dirigente. Conclusasi negativamente la procedura tracciata dall articolo 33, come potrebbe il dirigente sottrarsi al dovere di risolvere il rapporto di lavoro e, dunque, licenziare? Risulterebbe quanto meno inappropriato che in sede di tutela giudiziale, l eventuale riconoscimento dell indennizzo al lavoratore possa qualificarsi come danno, posto che le decisioni del dirigente dovrebbero considerarsi come necessitate e non pienamente discrezionali. Questo è, comunque, uno dei temi che dovrebbe trattare l eventuale adeguamento della disciplina pubblicistica alla riforma del lavoro.

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