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1 Gianfranco Dalmasso DI CHI? Il proprio nelle scienze Il potere del discorso Scientificità Che significa scientificità di un discorso? Di un sapere? È questione che va affrontata in un quadro ampio e, necessariamente, nella prospettiva di un confronto globale con la tradizione del sapere occidentale. Tale confronto è ancora pù necessario dato il crescente declino del senso della storia nella mentalità corrente ed anche nel linguaggio teorico in cui siamo immersi. Nelle civiltà pre-greche, sia mediterranee sia orientali, da quando il simbolico si è prodotto nell animale generando il potere della parola, è a quest ultima che è stata affidata l impresa di rapporto e il tentativo di controllo della natura da parte degli esseri umani. Sto procedendo necessariamente a grandissime linee intendendo qui soltanto focalizzare alcuni aspetti aurorali e, direi, genetici di un sapere organizzato, com esso si è costituito nella società occidentale. Marcel Detienne nella sua celebre opera Le maître de vérité dans la Grèce archaique 1 individua una parola di tipo magico-religioso nelle civiltà soprattutto mediterranee, che egli chiama parola-azione. Tale parola è quella della supplica, dell invocazione, oppure la parola propriamente magica, che si presume intervenga trasmettendo un effetto immediato nella realtà degli enti naturali. Già in questa fase della storia della parola possiamo notare la parentela tra parola come capacità di legame e la concatenazione degli eventi naturali. Il mago, pronunciando la formula rituale, muove dal presupposto di provocare effetti nel mondo della natura. C è un altro tipo di parola, sostiene Detienne, che si 1 Cfr. Marcel Detienne, Les maîtres de verité dans la Grèce arcaîque, Paris, Maspero, 1967.

2 costituisce non tanto come atto efficace, ma come atto per così dire di secondo grado; Detienne la definisce parola-parola : si tratta di un atto di conoscenza con cui gli uomini arcaici sperimentarono come un distacco dalla natura nella quale vivevano immersi permettesse loro un dominio nuovo e più sicuro degli eventi. La parola-parola abbozzo aurorale della filosofia permette un luogo accogliente per il mondo ed il suo divenire, in modo che esso non sia completamento fagocitato dal negativo presente in esso, insieme al linguaggio che pretenderebbbe agirvi.l Tale tipo di parola permette, anche e soprattutto, la capacità di andare innazi al futuro prevedendolo. È quanto recita, con commossa e ineguagliata intensità, il primo stàsimo dell Antigone: «E parola (phthègma e pensiero (phrònema) celere come vento e impulsi a civili ordinamenti da solo apprese; e a fuggire di inospiti geli e di gravi piogge i rovesci del cielo r icco di risorse (pantòporos). Né mai senza risorse (àporos) muove incontro ad alcun evento futuro (tò mèllon): da Ade soltanto non troverà scampo» 2 Collocazione in un ordinamento simbolico e prospettiva sul futuro aprono la strada, in questo inizio della vocazione epistemica dei Greci, per cominciare a pensare la nozione di totalità. Controllare, dominare le cose della natura significa poterle dominare e controllare tutte (pànta). D altra parte la nozione di totalità implica quella di unità. Senza la nozione di totalità non si può pensare l unità, perché verrebbe a mancare una dimensione comune in cui le cose possano essere afferrate e messe in relazione. A questa figura della unità del 2 Antigone, in Sofocle. Edipo Re, Edipo a Colono, Antigone, a cura di Dario Dal Corno, Traduzione di Raffaele Cantarella,, Milano, Modadori, 1982, p. 283.

3 tutto, che è una figura del dominio, la prima civiltà dei Greci ha affidato, d un colpo solo, l impresa della verità e l impresa dell efficacia. Pensare io Questo soggetto del sapere greco, sommariamente fin qui delineato, è stato in grado di formulare una domanda su di sé in modi difficili a comprendersi per la mentalità contemporanea. Il sapersi, per tale soggetto, non ha avuto soltanto il significato di rendersi esso stesso oggetto, ma ha costituito una sorta di dominio di secondo grado rispetto alla signoria sul mondo. Tale domanda si è formulata quasi in uno spiazzamento, in una messa in questione del suo stesso gesto. L uomo greco, da Platone allo stoicismo, ha concepito il sapere sul mondo come scena di un dramma in cui il saggio è anche attore, come gli stoici insegneranno, di un copione che non può conoscere in una sinossi preventiva. La struttura del rapporto tra l individuo ed il sapere, fra l individuo e il suo sapersi, sembra configurarsi perciò come dipendenza di un movimento più grande, in cui il rapporto stesso fra l individuo ed il sapere costituirebbe una sorta di ritaglio: un rifugio in cui l uomo potrebbe in qualche modo riconoscere il suo volto, nonostante e attraverso la natura extra e/o sovrumana del Fato e di una Necessità naturale. La nascita del concetto di persona 3 (dall etrusco persu) come maschera, attore, personaggio, ma anche ciò che si dona allo sguardo, volto ( dal greco prosopon), che occupa il luogo di ciò che modernamente si è chiamato io, sembra avere istituito nel sapere antico una nuova signoria che, prima di essere signoria fra l uomo e il mondo, è signoria fra l uomo e il suo sapere sul mondo. Si tratta perciò di interrogarsi sull io, in termini classici, sul nous, sulla mens, 3 Per una sintesi, treorica e storica di tale concetto, vedi G. Bertagna, Educazione e continuità nella scuola, Brescia, La Scuola, 1994, pp Per il dibattito intorno alla traduzione del termine prosopon come maschera vedi A. Milano, Persona e teologia, napoli, Edizione Dehoniane, 1984.

4 sulla razionalità come questione del gesto, come questione di chi agisce nel sapere. Detto altrimenti, la questione della persona sembra costituirsi, nel sapere antico, come questione del luogo dell io. La presa di coscienza del rapporto con il mondo e del sapere di tale rapporto con il mondo, è questione di azione, scenica, drammatica, in cui il soggetto di tale coscienza e di tale sapere è attore, agente. Cioè: prende posizione, alla lettera, si colloca originariamente rispetto alla coscienza che egli ha di se stesso e del proprio stesso sapersi, e del rapporto con il mondo in questo stesso sapersi. Il soggetto moderno del sapere Questa figura dell anima dell anima infatti abbiamo parlato in questo flashback sulle direttrici che hanno determinato il contesto e il linguaggio problematico della questione delle scienze della persona - è entrata in crisi, fino al punto da esserne travolta, dall irrompere cinque-seicentesco della nuova immagine dell universo. Mi riferisco agli studi di Alexander Koyrè 4, che ha chiarito come il cambiamento della concezione astronomica del mondo abbia prodotto una trasformazione del concetto di natura e di quello di esperienza. Un universo che non è più fascio di energie viventi, che attornia in una prospettiva anche provvidenzialisticamente religiosa l uomo e la Terra come scena della sua azione, diventa terra e pietre, spazio vuoto infinito in cui si muovono galassie a velocità inimmaginabile. Subentra dunque a quello antico un universo estraneo ai desideri, alle misure, alle esperienze degli uomini. In tale rappresentazione del mondo l uomo si ritrae in un di dentro che egli tende a sperimentare come unico luogo familiare; questo luogo è irreversibilmente la sua interiorità, che è la sua anima, diventata però psichica in un senso ignoto alla mentalità antica. In un universo siffatto l idea di Dio sembra non poter avere più 4 lcfr.a. Koyrè, Dal mondo chiuso all universo infinito, tr.it.,milano, Ferltrinelli, 1970, Studi galileiani, tr.it., Torino, Einaudi,,1976.

5 un luogo, o meglio, tale luogo non può essere altro che l interiorità dell uomo. Questa situazione antropologica del tutto nuova è però molto diversa da quella descritta nella celebre affermazione agostiniana: Deus intimior intimo meo. Affermando ciò il Dottore della Chiesa intendeva aprire una prospettiva mistica, oltre che ontologica, al rapporto con il suo Creatore. Per il soggetto moderno del sapere l interiorità sembra alludere alla mera coscienza di sé sradicata dai legami sia col destino e la struttura delle cose, sia con la vita della divinità. Anima, coscienza e linguaggio Nel passaggio dall anima alla coscienza la struttura antropologica dell uomo ha vissuto una dislocazione interna che ha ridefinito in profondità le forme dell esperienza umana e il sapere circa tali forme. Il desiderio dell io e il linguaggio in cui tale desiderio si esprime sembrano prodursi in riferimento ad un assenza, ad una mancanza che è raddoppiata e per così dire di secondo grado, ma in un senso diverso dal modo in cui l uomo antico si avvertiva mancante al cospetto del Vero-Bene-Bello come costituente gli enti. Nell io moderno la mancanza si situa nella scissione tra sé e il proprio linguaggio, tra l oggetto del desiderio e l oggettivazione del mondo che, innescata da quel desiderio, finisce per deluderlo sostanzialmente. In tal modo l Io, per accedere a sé, si trova solcato e inciso da una divisione che attraversa la sua stessa parola: qui sembra radicarsi il chi della persona nella sua accezione moderna. Io tento di dire di me, ma in questo tentativo mi trovo a ricadere nella inesorabile spinta oggettivante di linguaggi precocemente formalizzati: oggettivato in un linguaggio che funziona da solo, ed in cui il chi diventa un Io impersonale (soggetto trascendentale). L Io sarebbe allora in grado di produrre una scienza di sé?

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