sommario Lo scivolamento verso un welfare condizionale Per una diversa rappresentazione di problemi e risorse Remo Siza

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3 Anno 47 nr. 313 seconda serie sommario L archivio L archivio degli articoli di Animazione Sociale (annate ) è disponibile agli abbonati sul sito www. animazionesocialearchivio.it Basta registrarsi una prima volta e il servizio sarà attivo fino allo scadere dell abbonamento. 3 intervista Se la strada resta la nostra università Fare formazione al lavoro sociale, ieri come oggi Intervista a Leopoldo Grosso a cura di Roberto Camarlinghi 13 studi Lo scivolamento verso un welfare condizionale Per una diversa rappresentazione di problemi e risorse Remo Siza 23 prospettive Quale welfare al tempo della sharing economy? Appunti per un confronto su possibilità e criticità dell economia collaborativa Davide Arcidiacono 32 Inserto del mese Parole chiave per lavorare con i giovani/7 Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Giovani al tempo della sharing economy Giovani che fanno il loro futuro dando futuro al loro paese Non è una scuola quella dove non c è utopia al lavoro Giovani alla ricerca sperimentale di utopia, qui e ora Testi a cura di Carlo Andorlini, Nicola Basile, Marco Lo Giudice, Andrea Marchesi, Riccardo Nardelli, Maria Ramella 77 metodo Per una didattica attiva e meditativa Come bambini e ragazzi possono acquistare fiducia e autostima in laboratori di manualità Ferdi Giardini 87 strumenti Capacitare il districarsi tra le fatiche Verso percorsi di accompagnamento brevi e intensivi Luisa Sironi 96 luoghi&professioni Accogliere giovani vite in fuga Quale lavoro con i minori stranieri non accompagnati? Luca Fossarello, Agnese Calò, Selenia Serafino 105 bazar punto Dario Fo discussione L azione dal basso non basta, si rischia la disintermediazione Anna Monti, Luca Rossetti diari I sospetti dell assistente sociale davanti a certi Isee Davide Pizzi locande Il bistrot che porta avanti l opera di Murialdo Gaia Girardi

4 Fondato nel 1971 da Aldo Guglielmo Ellena 313 Rivista edita da Edizioni Gruppo Abele corso Trapani Torino tel fax facebook.com/animazione.sociale Direzione e redazione Franco Floris (direttore responsabile - franco.floris@gruppoabele.org), Ro ber to Camarlinghi (vice direttore - rcamarlinghi@gruppoabele.org), Laura Carletti (lcarletti@gruppoabele.org), Francesco Caligaris (fra.caligaris@gmail.com), Francesco d Angella (fdangella@gruppoabele.org). Segreteria di redazione Gianluca Borio (animazionesociale@gruppoabele.org), Daniele Croce (daniele.croce.as@ gmail.com). Comitato di redazione Eleonora Artesio, Paolo Bianchini, Lucia Bianco, Elisabetta Dodi, Michele Gagliardo, Elena Granata, Riccardo Grassi, Andrea Marchesi, Michele Marmo, Roberto Maurizio, Francesca Paini, Norma Perotto, Ennio Ripamonti, Franco Santamaria, Simone Spensieri. Consulenti Marco Aime (interazioni tra mondi culturali), Roberto Beneduce (psichiatria transculturale), Pier Giulio Branca (processi di partecipazione), Massimo Campedelli (politiche di welfare), Ugo Corino (cura della gruppalità), Mauro Croce (prevenzione delle dipendenze), Duccio Demetrio (educazione degli adulti), Norma De Piccoli (logiche dell empowerment), Ota de Leonardis (culture e istituzioni delle politiche sociali), Italo De Sandre (professioni sociali), Leopoldo Grosso (pedagogia delle dipendenze), Marco Ingrosso (promozione della salute), Gioacchino Lavanco (sviluppo di comunità), Vanna Iori (pedagogia delle emozioni), Ivo Lizzola (antropologia della cura), Sergio Manghi (epistemologia delle relazioni sociali), Nicola Negri (contrasto della povertà), Franca Olivetti Manoukian (formazione degli operatori), Mario Pollo (animazione culturale), Fulvio Poletti (processi dell educare), Piergiorgio Reggio (pedagogia interculturale), Dario Rei (terzo settore), Claudio Renzetti (auto-organizzazione della cura), Francesca Rigotti (analisi dei processi culturali), Chiara Saraceno (politiche per la famiglia), Paola Scalari (comunità educante), Gabriele Vacis (processi culturali e artistici). La rete Silvia Brena (Bergamo), Daniele Bruzzone (Piacenza), Elena Buccoliero (Ferrara), Salvatore Cacciola (Catania), Lorenzo Canafoglia (Milano), Ettore Cannavera (Cagliari), Franco Chiarle (Torino), Luigi Colaianni (Milano), Maurizio Colleoni (Bergamo), Barbara D Avanzo (Milano), Riccardo De Facci (Sesto S. Giovanni), Giuseppe De Robertis (Andria), Stefano De Stefani (Rovigo), Alessandra Di Toma (Bologna), Barbara di Tommaso (Milano), Graziella Favaro (Milano), Max Ferrua (Torino), Osvaldo Filosi (Trento), Alessandro Forneris (Torino), Marina Galati (Lamezia Terme), Claudia Galetto (Pinerolo), Raffaella Goattin (Venezia), Claudio Gramaglia (Padova),, Riccardo Guidi (Lucca), Pierpaolo Inserra (Roma), Giacomo Invernizzi (Bergamo), Giovanni Laino (Napoli), Roberto Latella (Roma), Raffaello Martini (Lucca), Giorgio Macario (Firenze), Gino Mazzoli (Reggio E.), Michele Marangi (Torino), Laura Molteni (Milano), Meme Pandin (Venezia), Paolo Peruzzi (Arezzo), Salvatore Pirozzi (Napoli), Silvio Premoli (Milano), Emiliano Proietto (Firenze), Paola Scarpa (Venezia), Paola Schiavi (Legnago), Chiara Sità (Verona), Giorgio Sordelli (Milano), Nicoletta Spadoni (Reggio E.), Matteo Villa (Pisa), Tommaso Vitale (Milano), Carla Weber (Trento), Boris Zobel (Torino). Progetto grafico: Avenida grafica e pubblicità (Mo) - Disegni di copertina: Dario Fo Impaginazione: redazione Animazione Sociale - Stampa: Stampatre (To) Issn Registrato al Tribunale di To ri no il nr Iva assolta dall editore ai sensi art. 1 decreto Ministero delle finanze I dati personali sono trattati elettronicamente e utilizzati esclusivamente dall Associazione Gruppo Abele (Onlus) per l invio di informazioni sulle proprie iniziative. Ai sensi dell art. 13, L. 675/96 sarà possibile esercitare i relativi diritti, fra cui consultare, modificare e far cancellare i dati personali, scrivendo a: Asso ciazione Gruppo Abele, Responsabile Dati, corso Trapani 95, Torino. 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Chi sottoscrive l abbonamento nel corso dell anno e desidera farlo decorrere da gennaio, deve specificarlo nella causale e versare 5 aggiuntivi per l invio degli arretrati. I fascicoli non pervenuti devono essere reclamati entro 30 giorni dal ricevimento del fascicolo successivo. Oltre, dovranno essere acquistati a prezzo di copertina. Archivio online agli abbonati Gli abbonati hanno a disposizione, in forma gratuita, gli articoli dell archivio della rivista fino al Basta registrarsi sul sito una prima volta e il servizio sarà attivo fino allo scadere dell abbonamento. Ogni articolo è rintracciabile attraverso un motore di ricerca e scaricabile in formato pdf.

5 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Se la strada resta la nostra università Fare formazione al lavoro sociale, ieri come oggi Intervista a Leopoldo Grosso a cura di Roberto Camarlinghi Negli anni 70 non pochi gruppi e associazioni, sparsi per l Italia, costruivano le loro esperienze di lavoro sociale, procedendo per tentativi ed errori. Si era nella fase nascente del welfare dei servizi, e i primi operatori volontari e professionali avvertivano forte l esigenza di formarsi, di mettere a punto ipotesi su un lavoro che era al tempo stesso sociale, politico e culturale. Una di queste esperienze pionieristiche nel campo della formazione fu quella dell Università della strada del Gruppo Abele. Merita oggi tornare su quella stagione, per rileggere la storia da cui veniamo ma soprattutto per capire come orientare la formazione al lavoro sociale in un mondo molto mutato.

6 4 Animazione Sociale intervista Nel fermento degli anni 70, a seguito delle conquiste sociali, venivano istituiti i primi servizi di aiuto e cura (per le tossicodipendenze, la salute mentale, i consultori, le comunità terapeutiche, ecc.). Nasceva il welfare sociale e insieme l esigenza dei primi operatori professionali e volontari di formarsi, attrezzarsi, scambiarsi idee e pratiche. In quella fase istituente del lavoro sociale, il Gruppo Abele, una delle grandi esperienze pionieristiche dell epoca (fondato nel 1965 da don Luigi Ciotti a Torino), dava vita sulle colline del Monferrato all Università della strada, una esperienza di formazione rivolta a quanti si impegnavano al fianco di persone che vivevano situazioni di disagio e di sofferenza. Università e strada erano allora, e sono in parte ancora oggi, termini all apparenza antitetici. Eppure l esperienza ha dimostrato che il contatto con la strada i suoi volti, le sue storie non solo può insegnare molto, ma è luogo imprescindibile per formarsi come operatori sociali. In occasione dei 40 anni dell Università della strada (nel 2018), le Edizioni Gruppo Abele hanno da poco pubblicato un libro, Preparati all incertezza. Fare formazione in ambito sociale, che riflette sull attualità di quella proposta. Abbiamo incontrato Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, curatore del volume (con Angela La Gioia), a lungo coordinatore dell Università della strada. A lui abbiamo chiesto una riflessione che, prendendo spunto da quella storia, ragioni sulle prospettive del fare formazione oggi. Quelle settimane di vita in comune I primi corsi dell Università della strada del Gruppo Abele nascono nel lontano 1978, su intuizione di Luigi Ciotti e da una diffusa esigenza di formazione. È così? L Università della strada come le prime agenzie non istituzionali di formazione per operatori sociali è figlia del grande movimento riformatore degli anni 60 e 70 che diede vita ai servizi in Italia. Il lavoro sociale nasce in quell epoca, insieme al sistema di welfare. I primi gruppi di operatori sentivano la necessità di riflettere sul loro agire, che era un agire di frontiera. Stiamo facendo bene?, stiamo andando nella direzione giusta?, cos altro potremmo fare?, erano le domande legate all operatività concreta, che si innestavano nel timore di tradire la coerenza con i propri valori. Non erano pochi a quel tempo i gruppi e le associazioni che, sparsi per l Italia, non diversamente dal Gruppo Abele, avevano costruito le loro esperienze, procedendo inevitabilmente per tentativi ed errori. Erano corsi residenziali, in una dimensione comunitaria... Sì, per tre settimane consecutive i partecipanti vivevano a stretto contatto e con la completa autogestione dei servizi di vitto-alloggio e lavanderia. La formazione si svolgeva presso la comunità agricola di Murisengo, su un cucuzzolo del Monferrato, all incrocio tra le province di Asti, Alessandria e Torino. Chi aveva un lavoro si giocava le ferie, gli studenti universitari almeno la metà delle vacanze. Si faceva cassa comune per le spese alimentari. L impegno di ogni giornata formativa richiedeva sei ore di lavoro intellettuale e due di lavoro manuale. L esperienza voleva essere di quelle che lasciano il segno. La proposta di «ingaggio», molto esigente, oggi sarebbe improponibile e non più replicabile.

7 Animazione Sociale intervista 5 L impegno richiesto, oltre alla riflessione intellettuale e alle implicazioni di lavoro domestico e agricolo, esigeva soprattutto il mettersi in gioco sul piano personale e relazionale. Non più di 25 persone per corso, si privilegiava il lavoro in piccoli gruppi di 7-8 persone, disposte a cerchio, dove tutti erano invitati a dire la loro, per poi cercare, «strada facendo» nel percorso formativo reciproco, delle sintesi condivise. Un idea che anticipava il futuro tirocinio La formula era quella del laboratorio di ricerca... Sì, una ricerca che intendeva andare in profondità. All analisi sociologica delle problematiche che erano quelle proprie dell impegno quotidiano del Gruppo Abele: tossicodipendenza, delinquenza minorile, prostituzione, emarginazione e disadattamento si affiancava lo sguardo psicologico, introspettivo, che metteva in discussione la persona dell operatore allora volontario o in procinto di essere assunto nei nascenti servizi per le tossicodipendenze. L operatore veniva sollecitato a fare emergere le proprie rappresentazioni mentali del fenomeno; ci si confrontava sulle emozioni vissute nei momenti di condivisione e affiancamento con chi, nella cascina agricola, era venuto per mettersi al riparo dai rischi di dipendenza, per capire alcuni perché della sua vita, nel tentativo di riprendere in mano il proprio futuro. L idea anticipava quella che poi sarebbe diventata, a livello di formazione istituzionale, l esperienza di tirocinio: un contatto diretto con le problematiche, una «messa alla prova» delle proprie modalità di relazione rispetto ad alcune situazioni da gestire. La formazione si svolgeva in una comunità agricola del Monferrato. Chi aveva un lavoro si giocava le ferie, si faceva cassa comune, la proposta di ingaggio era esigente e oggi non più replicabile. C erano, di base, l intuizione e la fiducia che il contatto con la strada potesse insegnare qualcosa, che confrontarsi con il vissuto di chi aveva fruito degli interventi permettesse di verificarne la validità: nella consapevolezza che nessuno potesse propinare ricette, ma solo mettere a disposizione esperienze da cui attingere. Università della strada perché si riteneva la strada, con i suoi volti e le sue storie, «maestra»? Certo. La presenza dei ragazzi «col problema» era indispensabile, perché il confronto con chi aveva vissuto in prima persona l esperienza della tossicodipendenza e dell emarginazione era ineludibile. Si voleva ridurre il gap tra teoria e pratica, mettere a confronto un sapere libresco con l esperienza quotidiana. Si tentava anche di dimostrare che non esisteva un «maestro della società», in grado di indicare come risolvere i problemi, ma un insieme di persone e gruppi che, collaborando fin dall analisi dei fenomeni, contribuivano a scioglierne i molteplici nodi. Il contributo di «sapere» di cui erano portatori i ragazzi problematici, i «portatori

8 6 Animazione Sociale intervista del problema» espressione che verrà poi sostituita con quella di «esperti per esperienza» costituiva un aspetto indispensabile del percorso di apprendimento ed era parte fondamentale della «formula» dei corsi dell Università della strada. Le loro conoscenze, desunte dalla vita, «scritte sulla loro pelle», costituivano un apporto imprescindibile e decretavano un tavolo orizzontale, pienamente paritetico, del setting della formazione. Formalmente era azzerata ogni asimmetria tra i partecipanti al corso, e si sigillava un alleanza di lavoro che prescindeva da qualsiasi aspetto terapeutico, prefigurando una collaborazione volta a individuare i tentativi di soluzione più praticabili. Formare le coscienze, si diceva all epoca L obiettivo della formazione era anche politico-culturale? L obiettivo consisteva nell arrivare a essere co-protagonisti, insieme, di un confronto che desse linfa alla formulazione di progetti da avanzare alle Amministrazioni, con proposte che chiamassero in causa le responsabilità istituzionali, nella necessità di un loro maggiore coinvolgimento. Era appena stata approvata la prima vera legge riabilitativa degli stati di tossicodipendenza, la 685 del 1975, con l istituzione di servizi appositi, sull onda delle grandi riforme sociali degli anni 70, che beneficiavano dello svecchiamento culturale prodotto dal movimento del 68. Rimaneva viva una critica pratica all Accademia, agli istituti di ricerca universitaria, ancora tenacemente ancorati a vecchi paradigmi, resistenti ad aprirsi alla realtà delle problematiche emergenti. L obiettivo era politico ma anche culturale: scuotere l indifferenza sociale, sfatare i luoghi comuni, debellare pregiudizi e stereotipi, contrastare l ignoranza imperante sulla Un incontro dell Università della Strada nel 1981 a Cascina Abele, Murisengo (Al).

9 Animazione Sociale intervista 7 droga, battere il tabu del silenzio, finirla con la politica dello struzzo, far emergere il binomio disadattamento/droga. All epoca era chiaro che l impegno sociale richiedeva un equivalente sforzo culturale, un ingaggio per la «formazione delle coscienze», come si usava dire. Alla capacità di dialogare con le persone escluse ed emarginate, si aggiungeva la necessità di far capire le buone ragioni dell impegno anche a chi era estraneo a tali problematiche, spesso preda di rappresentazioni sociali semplicistiche e fuorvianti. Chi veniva ai corsi? I destinatari erano in primo luogo la gioventù impegnata di allora, come si usava dire. Più in generale la proposta formativa era rivolta a tutti coloro che volevano approfondire seriamente alcuni nodi del lavoro sociale, ritenendo inefficaci e controproducenti le risposte esistenti. Esigenza sentita anche dai nuovi operatori, che di fronte all urgenza dell apertura dei servizi previsti dalle leggi sociali per cui si era tanto lottato si dichiaravano ancora non attrezzati per il loro compito. Erano i primi operatori professionali sulle problematiche della tossicodipendenza, dei portatori d handicap inseriti nelle scuole dell obbligo, della territorialità in psichiatria, dei consultori materno-infantili... A fronte di un informazione scientificoteorica da cui non si deducevano chiari orientamenti e di un insufficienza degli strumenti offerti da formazioni tradizionali, veniva molto apprezzato l apprendimento che poteva emergere dal confronto con l esperienza, dall insegnamento che si traeva dagli errori commessi, dai limiti delle soluzioni insoddisfacenti e inadeguate adottate in ormai più di dieci anni di lavoro. Il sapere dell operatore allo stato nascente Si era allo stato nascente del sapere, forte era l atteggiamento di ricerca... Possiamo dire che apprendere dall esperienza sia la formula che raccoglie tutto il senso della storia di allora: far parlare e socializzare le buone prassi, filtrare la verifica della loro applicazione nei differenti contesti. Si trattava di valorizzare il sapere diffuso del lavoro quotidiano, passarlo e filtrarlo al vaglio critico del confronto tra le diverse esperienze, rendendolo sapere consolidato e trasmissibile. E poi ancora: continuare a praticare il confronto permanente, mantenere la presenza, al tavolo della riflessione e dell elaborazione, degli «esperti per esperienza», che nella maturazione degli sviluppi successivi diventeranno operatori-pari. L obiettivo era accrescere l auto-riflessività dei partecipanti e la riflessione comune. La metodologia di lavoro faceva del dubbio la spinta propulsiva dell impegno, contro ogni dogmatismo e ricetta semplificatrice che creasse false illusioni di scorciatoie per risolvere problemi complessi. L atteggiamento di ricerca era anche ricerca dei metodi di insegnamento e apprendimento in grado di favorire il confronto. Il rifiuto di soluzioni precostituite, e del ruolo di chi si prende il compito di fornirle, comportava la sperimentazione di un modello di scuola che, a partire dall autogestione, contemplava già in sé un coinvolgimento al lavoro di gruppo ed evocava la capacità fondamentale che tale lavoro richiede: sapersi mettere in discussione, esporsi alla critica, sperimentare su di sé il cambiamento e il superamento degli ostacoli insiti, perché «ogni cambiamento

10 8 Animazione Sociale intervista sociale inizia dal cambiamento personale». L esperienza di fare comunità di apprendimento in una comunità agricola rivolta all aiuto di ragazzi tossicodipendenti, con una full immersion di 24 ore su 24, anche se «solo» per tre settimane, metteva abbondantemente a nudo l intera persona. Operazione necessaria proprio perché partiva dall assunto che è la propria soggettività lo strumento principale per operare nel sociale tramite la costruzione di relazioni. Formarsi al lavoro sociale implicava poi imparare ad allargare la visuale dall individuo al contesto... Sì, c era la consapevolezza che il lavoro sociale non può fermarsi e limitarsi solo all accogliere. Si rendeva necessario affiancare, al lavoro con chi sta male, l approfondimento e l elaborazione culturale delle problematiche di chi è sofferente, allargando la visuale dall individuo al contesto. Fu questa l esigenza iniziale da cui originò l Università della strada, che nasceva proprio dall ascolto e dall analisi della vita di strada, dalla constatazione di quanti condizionamenti ambientali interferiscano con tante biografie di persone dipendenti. Non solo accogliere, non solo studiare le problematiche, non solo elaborare progetti: bisogna anche immergersi nel conflitto politico, per fare approvare le proposte maturate dalla riflessione comune. Quarant anni dopo, tra crisi e sfide Sono passati quarant anni, in cosa consiste, nell attualità dell oggi, il compito di un attività di formazione che nasce e si radica nelle esperienze di accoglienza e di accompagnamento delle persone in difficoltà? I bisogni degli operatori oggi sono molto variegati: alcuni reclamano di comprendere come muoversi nelle complicazioni del mondo reale; altri mostrano difficoltà a uscire da schemi di interventi la cui funzione è soprattutto «difensiva» per sé, perché mette al riparo dal coinvolgimento e dall esposizione all utenza, non contribuendo né a evolvere le situazioni delle persone né a promuoverne i diritti. Il vasto mondo degli operatori sociali che giungono in formazione è oggi impregnato di tante differenze. Operatori impegnati e disimpegnati, équipe di lavoro che si sono scelte e altre casuali, contratti di lavoro differenti pur nello svolgimento di ruoli sovrapponibili, stress lavorativo, limitatissimo ricambio generazionale Tuttavia c è un denominatore comune: tutti i servizi sociali e socio-sanitari, indistintamente, risentono della crisi economica e culturale, e anche morale, dell ultimo decennio. La crisi economica, tuttora in corso, ha generato una pressione al risparmio sulla spesa pubblica. I tagli dei trasferimenti dei contributi dallo Stato agli Enti locali hanno determinato una drastica riduzione dei margini di intervento per Comuni e Asl nel garantire i precedenti livelli dei servizi alla persona. E agli operatori dei servizi pubblici e delle organizzazioni non profit sono di fatto delegate molte delle prestazioni del sistema del welfare socioassistenziale e sanitario. Un sistema che oggi vive la criticità del passaggio tra ciò che si è realizzato e permane del welfare state e la prefigurazione di un nuovo assetto di welfare che i più audaci e ottimisti tra noi definiscono «generativo». Tra l altro anche gli spazi per la formazione e la supervisione si sono drasticamente compressi nelle organizzazioni. Per una questione economica, ma anche culturale: si è fatta strada l idea individualistica che in

11 Animazione Sociale intervista 9 realtà la formazione professionale ognuno se la debba impartire da sé. È inevitabile che, in questo clima, quando si ascoltano gli operatori in formazione, se ne raccolgano i cocci... I diritti, vaso di coccio tra due vasi di ferro È paradossale che in una società dove aumentano i bisogni sociali si taglino le risorse dedicate al lavoro sociale e alla sua formazione. La cultura dei diritti pare oggi un vaso di coccio tra due vasi di ferro: il neo-darwinismo sociale da una parte e un welfare compassionevole dall altra. In questo quadro si colloca il fare formazione oggi. Il fatto è che la cultura dei diritti, e dei diritti sociali in particolare, pare oggi un vaso di coccio tra due vasi ferro. Il neo-darwinismo sociale da una parte, frutto di una spinta liberistica che nella ricerca della massimizzazione dei profitti ha perso di vista la centralità delle persone e della loro dignità, propone la selezione sociale degli individui come selezione naturale: chi è povero non si è meritato la ricchezza; la responsabilità è individuale: la persona ha giocato male le sue carte; né gli altri, né le istituzioni hanno alcun obbligo morale, tantomeno giuridico, di aiutarla. Dall altra parte, come correttivo e compensazione, ha guadagnato strada un welfare soccorritore, dal volto caritatevole e compassionevole, che viene incontro ad alcune delle vittime, meno immeritevoli e più sfortunate, rimaste intrappolate nell ingranaggio delle dinamiche sociali, vittime parziali di circostanze avverse a cui non hanno saputo opporsi a sufficienza. Nel mezzo, tra le due voci più grosse, rimane schiacciata, indebolita e più fievole, rischiando un naufragio di consensi e di coscienze, la voce dei diritti e dei diritti sociali in particolare. È in questo quadro che si colloca la proposta di una riflessione sul fare formazione oggi, nella consapevolezza che il cambiamento è sia individuale che collettivo, che il singolo e la società non possono prescindere l uno dall altra. Nel cambiamento vengono chiamati in causa sia i professionisti che le forze sociali. Il ruolo di cerniera degli operatori sociali Su che cosa deve puntare oggi la formazione degli operatori professionali dei servizi pubblici e del non profit, a cui di fatto come dicevi - sono delegate molte prestazioni del welfare? La preparazione e la formazione degli operatori sociali professionali assumono rilevanza per il ruolo di cerniera per nulla secondario che questi ricoprono all interno dell intero corpo sociale, pur con le poche risorse oggi a disposizione. Cerniera tra esclusi e inclusi, tra diritti all inclusione degli uni e diritti alla sicurezza degli altri. Due diritti che non sono da pensare in antitesi perché prendendosi cura delle persone marginali vengono stimolati sia processi di ri-appartenenza e reintegrazione sociale sia processi di control-

12 10 Animazione Sociale intervista lo sociale leggero, che sono tutt altra cosa dalla mera repressione. Ogni formazione che si rispetti punta molto sul valorizzare questo ruolo che gli operatori svolgono, tutti i giorni, nelle loro pratiche anche routinarie, direttamente a vantaggio delle persone in difficoltà e indirettamente a favore di tutta la cittadinanza, contro i rischi di cadute e imbarbarimenti della vita sociale. È noto quanto poco questi aspetti siano tenuti in debita considerazione da parte della pubblica opinione, dei mass media e della politica; tant è che molte organizzazioni del privato sociale si stanno chiedendo quanto sia stato trascurato un investimento in immagine, di tipo informativo e comunicativo, sulla rilevanza sociale del lavoro svolto. Forse con un po di presunzione e di orgoglio si pensava che le buone ragioni della tanta fatica condotta parlassero da sole. Si è sottovalutato quanto i bassi livelli di retribuzione (in non poche situazioni ai confini con i working poors) fossero lo specchio della scarsa reputazione sociale in cui era riflesso il proprio impegno professionale. La stessa rappresentazione mediatica delle questioni sociali, privilegiando unicamente le notizie di cronaca nera, sancisce indirettamente il fallimento degli interventi di aiuto. Così, l empowerment degli operatori, la valorizzazione della loro professionalità, la restituzione di un orgoglio per il loro impegno cercano di porre argini a smarrimenti, depressioni e crisi identitarie. Va però detto che si ha maggiore successo in questo compito solo se i formatori sono anche in grado di suggerire, contestualmente, una concretezza di obiettivi accompagnata da una metodologia di lavoro idonea ed efficace. Il rilancio di un lavoro sul territorio Come aiutare gli operatori a uscire dall angolo? È ormai idea condivisa che il baricentro del lavoro sociale debba spostarsi in direzione della comunità territoriale, trovando le connessioni, la convergenza di interessi comuni, nuovi stimoli e nuovi apporti, nella ricerca di una collaborazione con la cittadinanza più attiva e solidale. Altrimenti ogni altra direzione di impegno rischierà di morire di asfissia, con sempre minori risorse a disposizione che rendono monchi i tentativi riabilitativi e insufficienti gli stessi interventi tampone, incrementando la rabbia e la disperazione della stessa utenza a cui si vorrebbe andare incontro. Il rilancio di un investimento sul lavoro di territorio consente di trovare nuove opportunità e di evitare che le stesse comunità siano risucchiate dal rancore che alimenta le «guerre tra poveri», producendo esclusione invece che accoglienza. Anche oggi, come negli anni 70, non mancano «cittadini responsabili». Sono una minoranza in genere esigua ma mai trascurabile della popolazione, ben integrata e propositiva, spesso in sintonia con le varie iniziative sociali e culturali a difesa degli esclusi e su temi controversi che vengono intraprese nei territori. Neanche la loro domanda di formazione può essere elusa. Costituiscono il patrimonio e il fermento sociale di un territorio; la loro presenza, il loro darsi da fare sono la testimonianza e la pratica spontanea dei valori di inclusione, solidarietà e cooperazione. Costituiscono gli «alleati naturali» degli operatori dei servizi, indispensabili in un lavoro di rete che non si esaurisce nella gestione del singolo «caso», ma che inten-

13 Animazione Sociale intervista 11 de ragionare sul perché si originano così tanti singoli casi, affrontando le tematiche anche a livello sociale e culturale. Il processo formativo delle minoranze attive che agiscono a livello sociale nel territorio si realizza spesso col lavorare insieme, nel confronto sulle iniziative, nel fornire, soprattutto, competenze di metodo. Diciamo anche che il lavoro sociale, aprendosi a maggiori contatti e interazioni con la società civile, è destinato oggi ad acquisire una più spiccata collocazione politica. Il formatore non è neutrale Quali sono oggi le bussole di chi fa formazione al lavoro sociale? Oggi la figura del formatore non può configurarsi come neutrale. Per quanto la sua funzione tenti di tenere assieme, nel microcosmo dei partecipanti alla formazione, in un dialogo che si vorrebbe permanente, tutte le parti e tutti i punti di vista, egli è inevitabilmente schierato. Pur nelle tante mediazioni a cui è chiamato, pur nello scontato rispetto di tutte le posizioni, anche quelle a lui più avverse, il formatore compie comunque una scelta di campo: sta dalla parte dei più deboli, dei bisogni dei meno rappresentati, ne promuove i diritti e ne favorisce la progressiva assunzione di responsabilità, contribuisce a svelare le modalità con cui si manifestano ingiustizie e oppressione. È su questi valori che si fonda il suo fare formativo, inclusivo e partecipato, che non divide e che non esclude. La formazione, oggi come un tempo, ha il compito di abbattere i luoghi comuni e di andare a fondo nell analisi delle problematiche. Mai come oggi è opportuno un investimento riflessivo. Incontrarsi per capire, approfondire e imparare costituisce un occasione preziosa. Per questo formare è anche predisporre, gestire, aver cura degli spazi e dei tempi in cui le persone si riuniscono per confrontarsi e aggiornarsi. Non bisogna mai dimenticare che riflettere è un comportamento esplorativo e come tale, per potersi esprimere, ha bisogno di una «base sicura». La base sicura è il buon clima formativo che si riesce a creare. Aiutare a pensare In effetti si incontra oggi nei gruppi di lavoro una fatica di pensare, di ascoltarsi, di confrontarsi. Si tende subito a proporre la soluzione, a rimanere attaccati alla propria «verità». Interessante questa tua osservazione: riflettere è un comportamento esplorativo, come tale generatore di ansie. Se la conoscenza rimane lo strumento principale di ogni cambiamento, bisogna tenere a mente che tutto il percorso della conoscenza è marcato da profonde emozioni che lo sostengono, che motivano l apprendimento, ma che possono anche intralciarlo e ostacolarlo. Ognuno di noi, ripercorrendo il proprio passato di allievo, ricorda bene quanto la relazione con i propri insegnanti possa essere stata di stimolo o viceversa una difficoltà aggiuntiva nell affrontare la materia di studio. La qualità delle relazioni che il formatore instaura tra sé e i partecipanti, e riesce a far vivere tra i partecipanti stessi, assume quindi una rilevanza che non è secondaria alla competenza sui contenuti proposti. La relazione è sempre emozione. L intero processo di apprendimento è percorso dal coinvolgimento del proprio sé ed è influenzato dalle relazioni in cui è immerso. Non a caso la disposizione a cerchio dei parte-

14 12 Animazione Sociale intervista cipanti costituisce il punto di partenza simbolico del percorso formativo. Non ci sono prime e ultime file, tutti si è esposti nella stessa misura, più scoperti ma al contempo anche invitati a mettersi in gioco personalmente, ci si guarda tutti negli occhi, con un richiamo forte all imprinting dei gruppi di auto-mutuo aiuto. Aiutare a reggere l incertezza Ci sono altri aspetti che pongono la formazione di oggi in continuità con quella di ieri? Fare formazione in ambito sociale, oggi come ieri, significa mantenere viva la curiosità della ricerca, non necessariamente con la R maiuscola, ma come «volontà di sapere» che si può esercitare in ogni ambito e con una diversità disparata di strumenti: la ricerca «grigia» che sistematizza, comunica e trae considerazioni dalle conoscenze del proprio ambito di servizio; la ricercaazione che coinvolge le risorse territoriali; il confronto costante con le evidenze e le innovazioni della letteratura di settore; gli approfondimenti sul «caso» e sui suoi insegnamenti; la periodica ricognizione tramite l organizzazione di focus groups per mettere a confronto saperi diversi e integrare le conoscenze. Fare formazione in ambito sociale, oggi forse più di ieri, significa aiutare a collocare le conoscenze settoriali, parziali e locali all interno di una cognizione più globale dei problemi. Da questo punto di vista non aiuta la frantumazione delle conoscenze in campi specialistici che comunicano ancora poco tra loro. Si rischia di non riuscire a restituire la complessità unitaria di una condizione umana che è al tempo stesso fisica, biologica, psichica, culturale, sociale e storica. Né aiuta il bisogno di sicurezze e rassicurazioni che gli operatori spesso portano nei contesti formativi: chi lavora nel sociale deve essere consapevole che la risposta alla domanda di cosa sia giusto fare in una certa situazione è sempre l esito di un sapere che si costruisce nella situazione stessa, insieme alle persone portatrici del problema e ai colleghi. E che quello che si fa nel sociale non è mai edificato in modo stabile, non dura nel tempo. Ieri come oggi, saper essere strabici Fare formazione in ambito sociale, infine, è sempre alzare il livello della sfida per l operatore sociale: dal «caso» al «contesto». La consapevolezza di quanto le vicende individuali siano collegate con le vicende collettive, di quanto la sfera di molte vite private sia condizionata dalle scelte di ambito pubblico, e di quanto alcune decisioni o indecisioni politiche incidano negativamente sull esistenza di tutti, è il passaggio che alza il livello della sfida per l operatore sociale: non solo la «risoluzione» del «caso», ma il cambiamento socio-culturale del contesto complessivo. Oggi come ieri lo strabismo che viene richiesto all impegno sociale consiste nello slittare avanti e indietro su tre piani: dall attenzione alla centralità della persona, al lavoro di rete e di valorizzazione dei contesti e delle comunità di appartenenza, alla denuncia e alla proposta politica. Leopoldo Grosso è psicologo e psicoterapeuta, a lungo coordinatore dell Università della strada, presidente onorario del Gruppo Abele: leouds@interfree.it

15 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Lo scivolamento verso un welfare condizionale Per una diversa rappresentazione di problemi e risorse di Remo Siza Il welfare italiano presenta oggi priorità e obiettivi sempre più lontani dalle preoccupazioni di una parte significativa delle famiglie. Questo crescente divario, tuttavia, non è semplicemente dovuto alla crisi finanziaria ed economica, che ha ridotto le risorse e la capacità operativa soprattutto dei servizi sanitari e sociali, ma a una nuova fase evolutiva dei welfare europei. Una fase variegata e problematica che prevede una riduzione degli ambiti di intervento, un aumento consistente delle condizioni di accesso alle prestazioni e ai servizi, per i soggetti beneficiari, nuovi equilibri tra risorse pubbliche e risorse private.

16 14 Animazione Sociale studi Le politiche di welfare sono tradizionalmente finalizzate a proteggere le persone dai rischi sociali della società industriale (prima modernità), come la disoccupazione, la malattia, la vecchiaia, la disabilità, e dai nuovi rischi delle società della seconda modernità quali la precarietà, la non autosufficienza, la fragilità delle reti primarie, le difficoltà crescenti che le persone incontrano nel conciliare la vita lavorativa con la vita familiare. Allo stesso tempo, le politiche di welfare intendono operare anche in un secondo versante, con una logica di investimento sociale che sposta l asse delle politiche sociali dal presente al futuro (Morel et al., 2012), con politiche di attivazione finalizzate alla crescita delle persone e delle famiglie, della loro capacità di creare relazioni di benessere e di cura, alla prevenzione dei rischi connessi ai cambiamenti occupazionali, all acquisizione di capacità di lavorare insieme per scopi comuni, di associarsi e di partecipare alle scelte collettive. Per quanto riguarda il primo obiettivo le assenze sono numerose: troppi rischi sociali accompagnano le scelte individuali di vita che riguardano il lavoro, il reddito, la malattia, la maternità e in questo ultimo decennio molte tutele di welfare si sono ulteriormente indebolite. Sul versante dei processi di attivazione e di investimento sociale, l arretramento è per certi versi ancora più significativo: la capacità delle politiche di welfare di operare nelle comunità, valorizzare le competenze delle persone, investire sull infanzia e su politiche familiari, creare nuove forme associative. Verso un modello unico di welfare in Europa Il riferimento del welfare italiano è diventato il modello adottato da molte nazioni europee in cui il sistema pubblico convive con un sistema privato molto dinamico e finanziato prevalentemente da fondi sanitari, fondi pensionistici, welfare aziendale: un modello che rafforza il ruolo dei soggetti privati, che tuttavia storicamente hanno avuto in Italia un ruolo marginale. I welfare europei stanno andando in questa direzione attenuando sensibilmente le differenze tra i vari sistemi nazionali. Ciò che sta emergendo in Europa, sostanzialmente, è una sorta di modello unico di welfare, una configurazione che possiamo definire «ibrida» o «mista» che combina, in termini ritenuti finanziariamente più sostenibili, modalità d intervento storicamente privilegiate dai sistemi di welfare liberale con modalità dei sistemi di welfare socialdemocratico, limitate risorse pubbliche e crescenti risorse private. Le risposte ai nuovi rischi sociali sono cercate nel proporre nuove soluzioni economiche di mercato o nuovi interventi pubblici, rimanendo comunque sempre all interno di una logica di opposizione e combinazione fra queste forze e senza superare i limiti strutturali che le caratterizzano: quando lo Stato non è in grado di avviare un programma, si ricorre al mercato, quando il mercato fallisce si ricorre allo Stato. Tutto quello che è al di fuori di questa combinazione è insignificante (Bonoli, Natali, 2012; Donati, 2011). Un welfare sempre meno sociale I comportamenti dei beneficiari diventano decisivi nell erogazione delle prestazioni e nella costruzione dei loro diritti. Il welfare diventa sempre meno sociale: le attenzioni, le sensibilità sociali che per decenni l hanno contraddistinto diventano marginali, troppo lente rispetto al crescente dinamismo delle attuali società, oppure non

17 Animazione Sociale studi 15 conformi a regole procedurali, comunque superate dai nuovi modi di intendere le relazioni fra le persone. L ambito del lavoro sociale perde specificità e diventa un area di intervento come tante altre, orientato da tempi e principi dell economico, dell organizzazione amministrativa, dalle esigenze ineludibili della competizione e del mercato del lavoro. La distinzione tra poveri meritevoli e riprovevoli Il welfare emergente riattualizza distinzioni che operatori e cittadini avevano reso obsolete, quella tra poveri ritenuti meritevoli (deserving poor), vittime incolpevoli di circostanze e di crisi di carattere collettivo; e poveri i cui valori e comportamenti moralmente riprovevoli (undeserving poor) sono ritenuti la causa primaria del loro stato. Su questa base si differenzia la qualità delle prestazioni di welfare e si valuta il senso degli interventi e degli operatori sociali che li erogano. Il neoliberismo orienta, per molti aspetti, le possibili scelte e i valori sociali: ora non è più soltanto una concezione politica ed economica da condividere o a cui contrapporsi, ma è diventato una parte non secondaria del senso comune, del modo di osservare e di valutare le azioni e i comportamenti degli altri, delle persone in difficoltà. La riduzione del welfare a welfare condizionale Un welfare fondato su risorse di mercato e su risorse pubbliche e procedure amministrative riconfigura le sue modalità d intervento. Il sistema di welfare che si sta consolidando in Europa tende a non riconoscere la rilevanza di risorse e relazioni di cura che si sviluppano nella famiglia, con minor frequenza promuove azioni per valorizzare le relazioni informali. Per rispondere a una crescente domanda di servizi e prestazioni in un epoca in cui le risorse pubbliche diminuiscono, la soluzione diventa un utilizzo massiccio di risorse private. Le relazioni intersoggettive non si ritiene che possano integrare, modificare le combinazioni tra Stato e mercato, ciò che accade in questa sfera di vita è sostanzialmente irrilevante per l organizzazione dei servizi di welfare: si dà per scontato che la famiglia e le relazioni di aiuto informali si stiano indebolendo e che nulla possa essere fatto per invertire questa deriva. Si ragiona con una logica sostitutiva: nuovi modi di creare sostegno reciproco, di socialità, le innovative forme di domiciliarità e di abitare leggero che si stanno rapidamente diffondendo, non sono riconosciute nella loro rilevanza, non si avviano azioni per valorizzarle e sostenerle, ma per sostituirle con più consistenti e stabili risorse di mercato. Il nuovo quadro di riferimento delle politiche sociali Il risultato complessivo di queste concezioni del welfare è il rafforzamento di alcuni principi, modi di intendere, valori, che chi opera nel sociale contrasta e stenta a riconoscere come propri, ma che nel loro insieme rischiano di diventare il nuovo quadro di riferimento delle politiche sociali. Un quadro di riferimento che è fondato sostanzialmente su quattro direzioni di sviluppo: è necessario promuovere estese politiche di retrenchment che prevedono, oltre che sensibili riduzioni delle risorse, un ridimensionamento complessivo del welfare, una riduzione degli ambiti d intervento e dei soggetti beneficiari; costruire un welfare pubblico molto più selettivo con una consistente integrazione prodotta da servizi

18 16 Animazione Sociale studi privati (fondi assicurativi sanitari, pensioni complementari, welfare aziendale); la dualizzazione del welfare è inevitabile, la maggioranza delle famiglie comunque continueranno ad accedere a un sistema pubblico ancora universalistico, anche se la qualità delle prestazioni sarà sempre meno soddisfacente; le famiglie con redditi e condizioni lavorative soddisfacenti potranno, invece, accedere agevolmente a un sistema pubblico-privato sempre più integrato e complessivamente efficiente; le prestazioni di welfare devono essere differenziate in relazione ai comportamenti delle persone, distinguendo le persone alle quali possono essere destinati interventi attivi e qualificanti perché si ritiene possano essere reintegrate nel tessuto sociale e persone che, invece, si ritiene siano ben lontane da queste condizioni e la cui gestione può essere affidata a interventi di controllo più che di recupero; è necessario semplificare e standardizzare le procedure e le modalità di intervento, i tempi degli interventi di aiuto e la complessità delle mediazioni professionali, privilegiando modalità più dirette come l erogazione monetaria, le sanzioni dei comportamenti non ritenuti ammissibili, l inserimento lavorativo. Le forti ambiguità di un welfare condizionale Nelle strategie emergenti nei welfare europei, il welfare attivo si trasforma in un welfare condizionale in cui le relazioni di cura perdono rilevanza e prevalgono politiche di controllo nelle prestazioni di welfare, l accesso ai servizi dipende dal comportamento responsabile del beneficiario. I beneficiari che non si comportano in modo responsabile (hanno comportamenti moralmente riprovevoli, non rispettano le prescrizioni, non si impegnano a cercare un lavoro, non accettano il lavoro offerto, non frequentano corsi di aggiornamento) subiscono la riduzione o la sospensione dei benefici previsti (Harrison, Sanders, 2014; vedi anche il sito I beneficiari di prestazioni di welfare (dalle persone che abitano case popolari ai senza dimora) sono soggetti al rispetto di numerose condizioni, in termini di stringenti requisiti di accesso (reddito, condizioni occupazionali, disabilità), ma soprattutto devono assumere determinati comportamenti, in caso contrario si procede alla revoca parziale o totale del beneficio. Chi opera nel sociale esprime preoccupazione nei confronti del destino di coloro che perdono il lavoro e perdono, a causa di sanzioni, anche i benefici di welfare. Ma adottare questo modello di intervento è diventata una prassi scontata e indipendente dalla collocazione politica dei governi in carica, come se ci fossero delle consistenti e indiscutibili evidenze scientifiche che supportano queste scelte. In Italia, le disposizioni del decreto istitutivo del Reddito di inclusione (Rei) introducono una condizionalità significativa, prevedono sanzioni molto severe, sospensioni e decadenze dai benefici previsti per chi non rispetta accordi e prescrizioni. Il rischio di distacco dalle relazioni di cura Eppure molte ricerche empiriche hanno evidenziato che questo sistema di sanzioni rischia di promuovere, piuttosto che la crescita delle persone, distacchi e allontanamenti dalle relazioni di cura delle persone che presentano maggiori difficoltà e che persistono nell assumere comportamenti riprovevoli. La scarsità delle risorse destinate al finanziamento del Rei produce effetti sulle relazioni sociali non secondari:

19 Animazione Sociale studi 17 sono stati introdotti requisiti di accesso e priorità nella scelta dei beneficiari che non rappresentano indiscutibilmente condizioni di maggiore deprivazione, rischiando in questo modo di creare competizioni tra gruppi sociali che vivono condizioni simili e che temono scelte discrezionali, conflitti tra le persone che hanno paura di essere escluse dal lavoro e anche dagli interventi di sostegno economico. In un welfare che marginalizza la qualità sociale delle relazioni di aiuto, i progetti personalizzati di attivazione previsti dal Rei rischiano di subire un attuazione molto riduttiva, una loro riduzione a beneficio economico accompagnato da progetti personalizzati molto deboli, sbrigativi, che prevedono sanzioni più che articolate relazioni di sostegno. Il timore è che emerga una sorta di accanimento selettivo, un applicazione severa e punitiva delle norme e dei criteri di accesso alle prestazioni sociali che esclude le persone non affidabili né come lavoratori né come cittadini, mentre le persone con maggiori strumenti culturali e maggiori relazioni riescono comunque a ottenere un applicazione delle norme e dei criteri di accesso più favorevole. L unidimensionalità del welfare attivo Il welfare condizionale è il punto di arrivo di una lunga evoluzione del welfare attivo, per certi versi ne risolve le ambiguità che storicamente lo hanno caratterizzato privilegiando decisamente una direzione. Un welfare attivo nasce da quadri di riferimento di politica sociale molto differenti liberisti, socialdemocratici, comunitari e può condurre a delineare prospettive di azione e, soprattutto, responsabilità sociali e impegni di cura per le famiglie e le Nel Rei il timore è che emerga una sorta di accanimento selettivo, un applicazione severa e punitiva dei criteri di accesso alle prestazioni sociali che esclude le persone non affidabili né come lavoratori né come cittadini. persone molto differenti. L attivazione del beneficiario è stata adottata come obiettivo prioritario dai sistemi di welfare europei sin dai primi anni Novanta, sollecitata da varie raccomandazioni e rapporti dell Ocse, soprattutto in riferimento al mercato del lavoro. L enfasi su differenti relazioni e sfere di vita I welfare europei adottando questo approccio hanno enfatizzato, di volta in volta, differenti relazioni e sfere di vita: un attivazione strettamente connessa alla partecipazione al mercato del lavoro; un attivazione dei cittadini come clienti e consumatori di prestazioni, attraverso la loro libertà di scelta, la capacità di muoversi autonomamente nei servizi di welfare; il riconoscimento del diritto dei familiari di svolgere una funzione attiva in termini di cure informali, di sostegno, di assistenza nei confronti di altri componenti della famiglia e di conciliare esigenze di vita ed esigenze di lavoro; un attivazione che riguarda i sistemi di governance, la partecipazione attiva dei cittadini ai processi democratici di formazione delle decisioni, come parte attiva della società civile (Andersen et al., 2005).

20 18 Animazione Sociale studi La centratura sul lavoro a scapito delle altre sfere di vita In questo ultimo decennio, gli orientamenti «attivanti» delle politiche sociali sono sempre più frequentemente esposti a sviluppi applicativi riduttivi, non sono cioè intesi nella pluralità delle dimensioni e nell equilibrio delle sfere di vita che possono comprendere. Gli attuali sviluppi rischiano una standardizzazione su politiche di attivazione fondate sul lavoro, che adottano mezzi e tempi che non tutti riescono a condividere; frequentemente sono finalizzate ad attivare le abilità professionali, mentre le altre risorse di cui le persone dispongono in differente misura affettive, relazionali, valoriali diventano secondarie, almeno fin quando non interferiscono con la vita lavorativa e restano relazioni private. La società è intesa come un immenso campo di risorse a disposizione, uno spazio di beni-servizi-relazioni-competenze tutte da poter trasformare, attivare per la crescita; come un insieme potenzialmente infinito di risorse strumentali allo sviluppo economico. La capitalizzazione, l attivazione delle risorse sono i valori indiscutibili perché concepiti come condizioni necessarie, seppure non sufficienti, per ogni altro obiettivo (Prandini, 2005). I problemi che chiedono intensivi interventi sociali Molti programmi di welfare, definiti work first, hanno come unico obiettivo quello di incoraggiare le persone disoccupate, soprattutto attraverso sanzioni, ad entrare nel mercato del lavoro il più velocemente possibile, anche accettando un lavoro non appropriato rispetto alla qualifica posseduta. Spesso, però, le persone che sono quasi pronte a entrare nel mercato del lavoro e possono essere inserite in programmi come questi, costituiscono una piccola quota della popolazione disoccupata, mentre una crescente percentuale di essi presenta svantaggi e problematiche multidimensionali e il loro inserimento lavorativo, pertanto, richiede più intensivi programmi sociali di intervento (Dean, 2003). Le tre sfere di vita dell integrazione Il welfare condizionale non tiene conto che il rischio di povertà e i cambiamenti nelle condizioni di vita dipendono dalle relazioni e dalle sinergie che si stabiliscono fra le tre sfere di vita nelle quali si costruisce l integrazione: famiglia, lavoro, welfare. Queste condizioni quando agiscono nello stesso senso come perdita di legami, come severa diminuzione del reddito disponibile, come perdita dei benefici di welfare possono condurre a una caduta nella povertà; quando invece agiscono in senso contrario, favoriscono fuoriuscite più o meno stabili. Di per sé la crisi in una di queste sfere non conduce alla povertà, così come la solidità di una di queste sfere spesso non è sufficiente ad assicurare condizioni di vita soddisfacenti. Le politiche di welfare possono incidere su queste tre sfere di vita orientandole a produrre sinergicamente e valutandone gli effetti complessivi: gli effetti di un beneficio di welfare si estendono alla qualità delle relazioni familiari, gli effetti di una sua sospensione possono travolgere relazioni informali e legami sociali. Le condizioni di rischio di povertà o di relativo benessere di una famiglia dipendono dagli equilibri che si stabiliscono fra queste tre sfere di vita. L incremento delle prestazioni sociali e sanitarie private Il modello di welfare che si sta consolidando in Italia si basa su un analisi sempli-

21 Animazione Sociale studi 19 ficata della società italiana e delle condizioni economiche della famiglie italiane. Si immagina che la maggior parte della popolazione possa essere progressivamente esclusa da una parte consistente delle prestazioni pubbliche di welfare in quanto, superati questi anni di crisi, potrà disporre di una parte del suo reddito per assicurarsi prestazioni sociali e sanitarie private di qualità, realmente protettive rispetto ai rischi della non autosufficienza, di una malattia prolungata. La realtà è molto più articolata: la società italiana non riesce a rendere compatibili le esigenze dello sviluppo con la qualità del lavoro, i livelli retributivi e la qualità delle relazioni umane, a governare le dinamiche, gli squilibri e i nuovi raggruppamenti sociali che continuamente produce. I risultati dell indagine annuale Eu-Silc (Istat 2017) mostrano che nel 2016 il 30% delle persone residenti in Italia era a rischio di povertà o esclusione sociale, registrando un peggioramento rispetto all anno precedente quando tale quota era pari al 28,7%. Oltre la metà (53%) dei redditi individuali è compresa tra e euro lordi annui, circa un quarto (il 24,4%) è al di sotto dei euro e il 18,5% è tra e ; solo nel 2,8% dei casi si superano i euro. Le tre zone di coesione sociale individuate da Robert Castel (2003) in suo saggio molto noto, possono essere utilizzate per rappresentare i cambiamenti intervenuti in Italia in questi ultimi decenni e i rischi sociali emergenti. Castel individua: una «zona di integrazione» caratterizzata da contratti di lavoro a tempo pieno, possibilità di partecipazione alla vita sociale e benefici di welfare adeguati; una «zona di vulnerabilità»: è la zona della precarietà, del lavoro temporaneo, dei lavori mal retribuiti, di insufficienti risorse di welfare e fragilità delle relazioni primarie; la «zona della disaffiliazione»: secondo Castel, la zona di integrazione si sta riducendo, la zona di vulnerabilità e precarietà si sta espandendo e alimenta continuamente una terza zona, la zona della disaffiliazione o dell esclusione (esclusione dal mercato del lavoro con spesso la perdita di buona parte delle tutele sociali). Gli anni dell estensione della zona dell integrazione In Italia, fino alla prima metà degli anni Novanta, la zona dell integrazione era molto estesa, comprendeva le persone con redditi elevati, le classi medie e buona parte della classe operaia. Se ci riferiamo agli studi più accreditati sulla stratificazione sociale, possiamo stimare che un 70% della popolazione condivideva questa condizione di integrazione (Sylos Labini, 1975). La stabilità lavorativa e le retribuzioni medie consentivano di soddisfare le tradizionali aspettative di queste famiglie: la proprietà della casa, l accesso agevole alle cure sanitarie, l istruzione per i componenti più giovani, opportunità di mobilità sociale, la sicurezza di una pensione adeguata, la possibilità di vacanze anche brevi. Le disuguaglianze nei redditi e nelle ricchezze ricominciava a risalire, ma ancora comunque non determinava una frammentazione elevata del tessuto sociale. Le prestazioni di welfare erano sostanzialmente stabili o crescenti. La seconda zona, quella della vulnerabilità, si presentava sostanzialmente circoscritta (stimabile nel 20% della popolazione) e riguardava i lavoratori con limitate tutele contrattuali, precarietà, condizioni di lavoro e retribuzioni molto inferiori da quelle condivise dai lavoratori protetti. Anche

22 20 Animazione Sociale studi la zona dell esclusione riguardava gruppi sociali ben individuabili (il restante 10%), che vivevano condizioni di povertà per lungo tempo, esclusi dal mercato del lavoro, ma con qualche possibilità di rientro in lavori a bassa retribuzione e scarsamente qualificati. Il radicale restringersi dell area dell integrazione In anni più recenti, e soprattutto dopo la crisi economica e finanziaria, la situazione è cambiata radicalmente, incidendo profondamente nella solidità delle tre sfere di vita (famiglia, lavoro, welfare) nelle quali si costruisce l integrazione sociale. La zona dell integrazione è diventata molto ridotta (può essere stimata nel 30% della popolazione) e comprende le persone con redditi alti e una parte limitata della classe media (Istat, 2017a; Istat, 2017b; Siza, 2017). In questa zona, la precarietà delle relazioni primarie non è vissuta mediamente come rischio incombente, talvolta è una scelta, i suoi effetti, nella maggioranza dei casi, rimangono nell ambito della sfera affettiva. La zona della vulnerabilità è diventata, invece, molto estesa (attorno al 50% della popolazione). Comprende una parte rilevante della classe media e quasi tutta la classe operaia. Processi di dualizzazione e la riduzione delle prestazioni di welfare hanno indebolito fortemente la capacità operativa del welfare. Questa parte della popolazione utilizza crescentemente prestazioni private nell ambito della sanità, dell istruzione: in molte regioni un applicazione dell Isee rigorosa ha escluso una parte significativa di queste famiglie dall accesso agevolato a molti servizi comunali (asili nido, sostegno domiciliare, servizi residenziali). Precarietà e rottura delle relazioni diventano un rischio che coinvolge profondamente il vissuto delle persone, il reddito, l abitazione e tutte le sfere di vita. Infine la zona della esclusione e della povertà (il restante 20%) composta dai gruppi sociali stabilmente esclusi dal mercato del lavoro, con possibilità di rientro molto basse, che hanno subito in questi anni una riduzione significativa di tutte le prestazioni di welfare. Accanto alle povertà persistenti si consolida la presenza di famiglie e persone che vivono condizioni di povertà transitorie di breve durata, occasionale oppure oscillante con oscillazioni di reddito frequenti fra povertà e severe ristrettezze finanziarie, che vivono una fragilità delle condizioni di vita per il diffondersi di instabilità nel mercato del lavoro e nelle relazioni familiari, di isolamento dalle possibili reti informali di aiuto. Persone che vivono situazioni particolarmente fluide, dai contorni non ben definiti, in cui tutti i soggetti sono consapevoli che le cose possono mutare, in un senso o in un altro, non sono stabilmente acquisite o stabilmente perse. Le molte posizioni intermedie fortemente impoverite La società italiana non ci appare a questo punto caratterizzata soltanto da una elevata povertà e disuguaglianza, polarizzata tra poveri e ricchi, ma anche caratterizzata dalla presenza di molte posizioni intermedie fortemente impoverite, con condizioni di vita instabili, che non costituiscono più un tessuto connettivo di relazioni e di valori su cui poggia il vivere sociale e il legame tra differenti gruppi sociali (come storicamente sono state la classe operaia e le classi medie). Ciò che emerge non è un drammatico sconvolgimento della stratificazione sociale o

23 Animazione Sociale studi 21 un impoverimento generalizzato, ma un diffondersi progressivo di relazioni instabili in ogni sfera della vita, che crea inquietudine, preoccupazioni per il proprio futuro, insicurezza. A queste esigenze il welfare risponde molto parzialmente, sebbene queste condizioni di vita costituiscano una delle criticità più rilevanti per la coesione sociale. Il «ritorno» a un welfare sociale In un approccio che intenda superare le semplificazioni e le standardizzazioni dei «welfare condizionali» che si stanno consolidando in Europa, e che intenda valorizzare la qualità sociale delle relazioni di welfare, gli interventi di attivazione assumono anche altre finalità: sono finalizzate alla costruzione di legami sociali e di reti di relazione e di sostegno, alla ricostruzione di un identità, all apprendimento e alla progressiva acquisizione di senso di responsabilità, di un equilibrio personale, di una motivazione alla partecipazione attiva al lavoro e alla vita sociale. La responsabilità non è il requisito per un primo accesso al welfare Il benessere delle persone e la promozione delle responsabilità collettive non dipendono soltanto dalle combinazioni fra Stato e mercato, tra pubblico e privato, ma coinvolgono i cittadini, la capacità di mobilitare le risorse di cura di cui dispongono. Relazioni informali, lavoro, welfare sono le tre sfere di vita nelle quali si costruisce l integrazione sociale. Le politiche sociali non sono riducibili alle politiche del lavoro e il termine attivazione non significa soltanto formazione e inserimento nel mercato del lavoro. Il welfare to work può diventare l accettazione obbligatoria di qualsiasi lavoro, pena l interruzione di ogni forma di sostegno economico, un avvio forzoso a lavori scadenti, e la contestuale riduzione di tutte le altre spese di welfare. Oppure può essere una politica sociale di accompagnamento e di responsabilizzazione che tenga conto delle differenze, l avvio di un percorso di recupero alla vita sociale e lavorativa, che sostiene la persona e la sua famiglia nella pluralità delle sue esigenze. In questa seconda prospettiva, alle persone povere può essere richiesto di essere più responsabili, ma questo può essere l obiettivo dell intervento, nella prima prospettiva, invece, è il requisito per un primo accesso ai programmi di welfare. Una diversa rappresentazione dei problemi e delle risorse sociali Un welfare civile consistente e consapevole delle sue ragioni può proporre e sostenere un altra rappresentazione delle esigenze delle persone, può mettere in discussione la logica delle attuali combinazioni tra pubblico e privato, operando concretamente e proponendo in molti ambiti di welfare modalità di intervento che coinvolgono relazioni umane e le risorse di cura che esprimono. L esistenza di una pluralità di risorse sociali autonome Alla base la convinzione che esista una pluralità di risorse in sfere sociali autonome rispetto allo Stato e alle dinamiche economiche nella società civile, nella famiglia, nell associazionismo e nel volontariato organizzato, nelle comunità informali e che può essere efficacemente mobilitata al benessere delle persone. I valori e le regole di vita delle relazioni informali di aiuto quali la disponibilità, la reciprocità, la condivisione, l accoglienza, la sussidiarietà possono estendersi oltre

24 22 Animazione Sociale studi i loro ambiti naturali, per diventare regole generali, entrare nel sistema valoriale del privato e dell apparato pubblico, mitigandone ogni unidirezionalità e ogni combinazione esclusiva. Il riaffacciarsi del principio dell universalismo Un alternativa alle attuali combinazioni tra pubblico e privato è costituita, inoltre, da una configurazione di welfare che riafferma il principio universalistico che ancora regola i più significativi settori del welfare italiano, nella consapevolezza che l introduzione di criteri selettivi e una riduzione delle prestazioni pubbliche aggravano le condizioni di vita della maggioranza delle famiglie italiane. Sono famiglie che rischiano di non poter disporre di sufficienti servizi pubblici, che hanno scarse possibilità di accesso a un welfare integrativo, non hanno lavoro o hanno inserimenti in aziende di piccole dimensioni che non assicurano ai loro dipendenti prestazioni di welfare, hanno condizioni lavorative difficilmente conciliabili con la vita familiare anche in presenza di un programma di sostegno. Istituzioni che valorizzano quanto nella società si muove Il welfare che intende valorizzare le relazioni umane non si limita a rafforzare il ruolo delle prestazioni pubbliche e a dare capacità progettuale alle istituzioni, ma promuove l interazione delle istituzioni stesse con le risorse che la comunità esprime; è volto a valorizzare le risorse presenti nelle relazioni informali, i valori e le regole di una civile convivenza. Nella consapevolezza che la costruzione del benessere sociale e dell equità nella comunità non dipende soltanto da una razionalizzazione e da una moltiplicazione di servizi, ma anche da una valorizzazione di quanto nella società si muove per riaggregare, per superare frammentazioni sociali e distanze, per stabilire relazioni positive tra le persone. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Andersen G., Guillemard A., Hensen P. H., Pfau- Effinger B. (a cura di), The Changing Face of Welfare, The Policy Press, Bristol Bonoli G., Natali B., The Politics of the New Welfare State, Oxford University Press, Oxford Castel R., La metamorfosi della questione sociale, Sellino Editore, Avellino Dean H., Reconceptualising welfare to work for people with multiple problems and needs, in «Journal of Social Policy», 32, 2003, pp Donati P., Relational Sociology: A New Paradigm for the Social Sciences, Routledge, London-New York Harrison M., Sanders T. (a cura di), Social Policy and Social Control. New Perspective on the «Not-So- Big Society», Policy Press, Bristol Istat, Rapporto annuale 2017, Roma 2017a. Istat, Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie nel 2016, Roma 2017b. Morel N., Palier B., Palme J. (a cura di), Towards a Social Investment Welfare State? Ideas, Policies, Challenges, Policy Press, Bristol Prandini R., L emergere di un welfare state attivo «mother friendly» e le sue conseguenze per la famiglia, in «Sociologia e politiche sociali», 1, 2006, pp Siza R., Welfare for the middle classes: the case for reinforcement, in Siza R., Deeming C. (a cura di), Il declino della classe media: i limiti delle politiche sociali, numero speciale di «Sociologia e politiche sociali», 2, Siza R., Narrowing the gap: the middle classes and the modernization of welfare in Italy, in «International Journal of Sociology and Social Policy», n. 1-2, 2018, pp Sylos Labini P., Saggio sulle classi sociali, Laterza, Bari Remo Siza, sociologo, svolge attività di ricerca e formazione in Italia e nel Regno Unito: remo.siza@gmail.com

25 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Quale welfare al tempo della sharing economy? Appunti per un confronto su possibilità e criticità dell economia collaborativa di Davide Arcidiacono Ripensare il welfare al tempo della sharing economy può sembrare un modo distante di porre la questione. Tanto più che a oggi la sharing economy, con le sue grandi piattaforme, non sembra aver ridotto le disuguaglianze, semmai le ha acuite distribuendo in maniera diseguale possibilità e benefici della collaborazione. Eppure un nuovo welfare può oggi utilmente adottare la logica della condivisione e della collaborazione come «humus» eticoculturale ed economico-organizzativo. E può stimolare la sharing economy a capire come essere opportunità di inclusione e benessere, soprattutto per i gruppi a basso reddito.

26 24 Animazione Sociale prospettive La storia del welfare state è legata a doppio filo ai processi della modernizzazione. Non è un caso che i primi rischi sociali a essere protetti riguardassero i lavoratori industriali e che la fase espansiva del welfare abbia coinciso con il trentennio glorioso di consolidamento del modello produttivo fordista e con l affermarsi della società salariale. Una nuova intesa sul welfare? Il patto sociale tra classe salariata, impresa e Stato è stato il terreno fertile per la sua espansione. L infrangersi della convergenza tra questi attori negli anni ha alimentato un intensa politica «sottrattiva» che ha indebolito i sistemi di welfare state così come si erano configurati nel secondo dopoguerra. Da qui è emersa la necessità di un loro ripensamento che fosse sistemico, ovvero capace di prendere le mosse proprio dal cambiamento dei modelli produttivi di riferimento. Ricalibrare il welfare (Ferrera, Hemerijck, Rhodes, 2000) ha voluto dire ridefinire la sinergia tra gli attori in gioco attraverso l espansione e il mutuo riconoscimento del ruolo degli attori non statali (impresa e terzo settore, ma anche gruppi di cittadini) che si attivano nella sperimentazione di modelli gestionali innovativi a supporto e a complemento di un azione pubblica in crisi. È evidente che un simile ripensamento si ritiene oggi tanto più necessario quanto più si afferma un nuovo modo di produrre valore, che chiameremo «modello piattaforma» (Arcidiacono, 2017a, p. 232). Questo paradigma rappresenta un ulteriore evoluzione tecno-sociale del modello della specializzazione flessibile, essendo ancora più leggero, reticolare e diffusivo. Si struttura attorno a un sistema centrale dinamico (la piattaforma appunto, che può avere consistenza fisica o digitale) in base al quale possono essere sviluppati, innestati e adattati componenti e sistemi di produzione diversificati per finalità e gerarchie. In questo modello, l azienda (la piattaforma) diventa sempre più un abilitatore di processi produttivi distribuiti all interno di una rete di attori professionali e non, in cui gli utenti-destinatari giocano il ruolo di partner di processo, in quanto portatori di «risorse dormienti» (idle capacity) e competenze in grado di svolgere un ruolo essenziale per la qualità e innovatività degli output generati. A questo modello produttivo si ispira anche quell ecosistema plurale di pratiche e servizi che oggi viene richiamato con il concetto-ombrello di sharing economy. La molteplicità degli assetti e delle finalità che lo connotano ne spiega la natura di per sé ibrida ed eterarchica prima richiamata, sviluppatasi negli interstizi di un capitalismo in crisi, ma anche nei «lavori in corso» di un nuovo welfare in cerca di identità e strategie. Oltre il mercato e la redistribuzione Secondo Juliet Schor (2014) è quasi impossibile trovare una definizione esaustiva di sharing economy perché sotto il concetto di economia della condivisione possiamo includere una varietà disordinata di pratiche * Il rapporto tra sharing economy e welfare è stato al centro della riflessione del progetto #Oltre i Perimetri e le considerazioni riportate in queste pagine sono una serie di appunti e riflessioni a partire dal dibattito che si è svolto a Rho il 24 maggio 2017.

27 Animazione Sociale prospettive 25 e modi di scambiare beni e servizi, difficile da rendicontare in maniera esaustiva. Tecnicamente con il termine in questione ci riferiamo soprattutto a forme disintermediate di interazione/scambio tra pari (P2P) che si basano su schemi di reciprocità sempre esistiti, ma che riemergono con nuova forza grazie al potere abilitante e massimizzante delle nuove tecnologie digitali. I quattro pilastri della sharing economy Rachel Botsman e Roo Rogers (2010) considerano la sharing economy come un modello economico basato sulla collaborazione e sulla condivisione di asset, spazi, competenze, al fine di trarre benefici monetari e non. Secondo i due autori, essa si articola su quattro pilastri: il consumo collaborativo, in cui la gente scambia, condivide, redistribuisce prodotti di cui non ha bisogno e che non utilizza con continuità (forme di baratto o di scambio dell usato come il Bookrunning o piattaforme come Reoose, ma anche di condivisione come Muniren o il car pooling di Blablacar; di ospitalità come Airbnb o di trasporto come Uber Pop e Lyft, o servizi di social eating come Gnammo), ma anche beni intangibili (competenze, tempi, spazi, ecc., il caso delle digital time banking come Time-Republik o Coachsurfing), o paga per avervi accesso piuttosto che acquisirne la proprietà (per esempio, il car sharing); la produzione collaborativa, in cui reti di individui collaborano per la progettazione/ design (es. Quirky, Zooppa), la produzione (casi come Open Street Map) e la distribuzione di beni e servizi (es. Nimber); l apprendimento collaborativo, attraverso corsi aperti o forme di condivisione e agglomerazione di conoscenze in un ottica crowd (es. Wikipedia o Future Learn); la finanza collaborativa, con raccolte fondi in cui la gente può supportare la creazione di progetti, imprese, iniziative benefiche (crowdfunding) gratuitamente o ricevendo una forma di ricompensa simbolica o tangibile (es. Kickstarter; Produzioni dal basso, Rete del dono, Sellaband), ma anche altre forme come i prestiti tra pari o le monete complementari (es. Sardex). Le condizioni basilari della sharing economy Per parlare di sharing economy occorrono, però, le seguenti condizioni (Arcidiacono, 2017b, p. 25): lo scambio deve riguardare l overcapacity di un asset (la macchina, la casa, ma anche il cibo, le competenze acquisite, formali o infomali, ecc.); il modello di consumo è fondato sull uso/ accesso e non sulla proprietà; non si esclude il ruolo del mercato o la creazione di un utile (non è detto che si tratti solo di economia del dono, basata sulla totale gratuità economica); la riduzione dei confini tra produzione e consumo (per esempio, un host di Airbnb non è un albergatore, ma comunque produce un servizio di ospitalità); la riduzione dei livelli di intermediazione tra chi eroga e chi usufruisce del prodotto/ servizio (ovvero, il distributore o il mediatore è supplito dall infrastruttura tecnologica della piattaforma); basilare è la concezione dell oggetto scambiato come «risorsa relazionale» e non come bene rivale. L articolazione in tre forme di scambio Il modello si può articolare al suo interno in tre forme di scambio. On demand/renting economy Le transazioni hanno come oggetto asset di proprietà di

28 26 Animazione Sociale prospettive La capacità della sharing economy di generare un modello di scambio realmente alternativo rimanda a una governance delle piattaforme: dal platform capitalism si tratta di passare al platform cooperativism. un attore, individuale o collettivo, che ne mette a disposizione l overcapacity ad altri user, anche (e non esclusivamente) attraverso l uso di piattaforme digitali. Vi è sempre uno scambio monetario, la cui entità è stabilita dall agente che abilita o media la transazione e/o possiede la piattaforma e gli asset, appropriandosi di buona parte del valore economico generato. Si tratta di uno scambio in cui i meccanismi di attribuzione fiduciaria al provider seguono i tradizionali meccanismi di mercato (pubblicità e reputazione del brand). Per esempio, Netflix, Uber, Car2go, Taskrabbit. Sharing economy (strictu sensu) Le transazioni sono tra pari e vengono abilitate attraverso una piattaforma digitale che in qualche modo disciplina la contrattazione tra le parti, anche quando assume carattere monetario, appropriandosi di una parte del valore generato. Si tratta di esperienze con ambizioni globali, ma che nella maggior parte dei casi si concentrano su mercati nazionali o locali. Le relazioni sono perlopiù transitorie e strumentali, mediate da sistemi fiduciari basati su rating reputazionali on line. Per esempio, digital time-banking (TimeRepublik), car pooling (Blablacar), file sharing (Emule, bittorrent) o servizi di condivisione di alloggio (Airbnb, Coachsurfing), o servizi di social eating (Eatwith, Gnammo), ecc. New barter economy Le transazioni hanno come oggetto un bene/servizio all interno di reti di pari, spesso territorialmente definite e a carattere per lo più locale, prive di mediazione monetaria e in cui la tecnologia agisce solo come fattore di facilitazione, ma non come fattore abilitante alle relazioni, che possono preesistere allo scambio e in qualche modo lo superano. Il valore rimane esclusivamente ai diretti interlocutori e si esprime sotto forma di rafforzamento dei legami fiduciari tra gli stessi. È il caso di transazioni come baratto/riuso, bookrunning, tool library, orti sociali, scambi di cibo, social street... Gli incroci possibili tra reciprocità, mercato, redistribuzione I modelli di creazione e distribuzione del valore sono, pertanto, assai differenziati e possono includere sia forme di reciprocità sia di mercato, o persino forme di tipo redistributivo (Pais, Provasi, 2015). Inoltre, la capacità dell economia di condivisione di generare un modello di scambio realmente alternativo, secondo molti osservatori (Bauwens, Kostakis, 2014; Scholz, Schneider, 2016), è soprattutto una questione di governance delle piattaforme: si tratterebbe di garantire il passaggio dal platform capitalism, in cui l infrastruttura di scambio è in mano a un soggetto for profit, alimentato da interessi prettamente finanziario-speculativi e orientato all estrazione del valore generato, al platform cooperativism, un modello in cui la piattaforma è di proprietà degli stessi pari che redistribuiscono al loro interno il valore generato dai propri scambi.

29 Animazione Sociale prospettive 27 La possibile comunanza di elementi tra mondo cooperativo e sharing economy in questa ultima accezione è molto forte (in particolare, la rilevanza dei fattori relazionali, etici ma anche co-produttivi dell azione economica). Tuttavia le esperienze concrete, e ancora più di successo, appaiono quanto mai rare e sottovalutate. Come valutare l impatto sul welfare? Valutare le concrete potenzialità dell economia della condivisione in termini di welfare significa misurane concretamente l impatto. In realtà l ambiguità concettuale che connota il termine «economia della condivisione», unita alla frammentarietà e al disordine del dibattito pubblico e accademico, rendono assai difficile distinguere valore e valori generati da questa tipologia di scambio. Quattro angolature di valutazione di impatto La valutazione d impatto dell economia collaborativa andrebbe articolata in diversi sottosistemi (Arcidiacono, 2017b): adattivo/economico, relativo alle ricadute nella sfera della produzione di risorse; direzionale/politico, relativo alle ricadute nella sfera pubblica di governo in termini di apertura e trasparenza dei processi decisionali che mettano al centro la collaborazione con la cittadinanza per la co-gestione di servizi, spazi e altri beni comuni; integrativo/relazionale, relativo agli effetti di queste pratiche in termini di norme e gestione dei potenziali conflitti; valoriale/culturale, che attiene ai processi di legittimazione della collaborazione promossi dalle diverse istituzioni sociali. Tuttavia, a oggi, mancano analisi sistemiche, nonché indicatori condivisi e affidabili capaci di rendicontare ognuno di questi imperativi funzionali. In loro vece, proviamo a ricostruire una cornice quanto meno di senso attraverso una ricognizione di alcuni dei dati disponibili e confrontando le risultanze empiriche delle principali ricerche sul tema. I dati per costruire una cornice di senso Una relazione del parlamento europeo (2016) stima in circa 572 miliardi di euro il valore della sharing economy. Tuttavia, secondo Eurobarometro (2016), il 52% degli europei non conosce questi servizi e solo il 17% li ha utilizzati. L Italia sembra in linea con la media europea. Secondo il rapporto di Volta (2016) l economia collaborativa oggi nel nostro Paese rappresenta lo 0,2% del Pil, ma si stima una proiezione tra gli 8,8 e i 10,5 miliardi di euro entro il A sua volta uno studio dell Università di Pavia e Phd (1) stima che dai 3,5 miliardi di euro generati nel 2015 si potrebbe arrivare nei prossimi dieci anni a un volume di 14 miliardi. In Italia, secondo i dati della mappatura di «Collaboriamo» e Università Cattolica di Milano, l offerta continua a crescere: erano già presenti 138 piattaforme nel 2014, ma sono salite a 187 nel 2015 (+35% rispetto all anno precedente) e nel 2016 sono arrivate a 206, con una crescita ulteriore del +10% (Sharitaly, 2016). Queste imprese sarebbero per lo più concentrate nell ambito del crowdfunding (68), nel settore dei trasporti (25) e nel turismo (17). 1 la-sharing-economy-e-una-risorsa-anche-per-litalia/4379/1.html#.wcuctvu0mdu

30 28 Animazione Sociale prospettive Inoltre, le piattaforme di sharing italiane si caratterizzerebbero per una più forte vocazione locale (per esempio, Zego o Ginger). Per lo più si tratta di micro-imprese a carattere locale, autofinanziate, con problemi di scalabilità in termini di utenza e numero di transazioni generate (solo il 31% raggiunge almeno utenti e solo il 6% supera le transazioni mensili). Un laboratorio per la «generazione-flusso» Come si vede, è un mercato ancora immaturo sotto il profilo strettamente economico. Tuttavia la sharing economy, in particolare in Italia, sarebbe soprattutto uno straordinario laboratorio di pratiche e imprenditorialità che sta calamitando il discorso sull innovazione, seppur arranchi nella ricerca della sua massa critica. L intercettazione della «generazione-flusso» Questa nuova economia intercetterebbe in particolar modo una nuova generazione di utenti, tra i 20 e i 35 anni, istruiti e ad alta alfabetizzazione digitale, che si informano prevalentemente on line, nati tra gli anni 80 e il Vengono definiti millennials, ma anche generazione-flusso, perché vivono cambiamenti continui nella loro vita, a causa della più intensa mobilità spaziale e lavorativa generata dalla attuale fluidificazione e flessibilizzazione dei mercati del lavoro. Essi rappresentano la constituency di una nuova classe emergente, «il precariato» o, come qualcuno l ha definita più recentemente, «la classe disagiata», parafrasando e sovvertendo lo storico lavoro di Thorstein Veblen sull America industriale dei primi del 900 e mettendo a fuoco il processo di dissoluzione del ceto medio e la crisi di una generazione cresciuta all «ombra» di questa meta culturale. Un fattore di distinzione e di integrazione del reddito Trattasi della categoria sociale più trascurata dal welfare, specie nei paesi mediterranei. Sono questi i clienti e gli utenti tipo della sharing economy che utilizzerebbero i servizi-piattaforma per soddisfare i loro bisogni di consumatori affluenti, ma con una capacità di spesa sempre più limitata e variabile, utilizzando perlopiù l elevata dotazione del capitale culturale a disposizione, individuando nella condivisione un nuovo fattore di distinzione e, al tempo stesso, uno strumento in qualche modo funzionale di integrazione del reddito. Secondo i dati forniti, per esempio, da Airbnb (2016) sui propri host in Italia, questi percepiscono un integrazione al reddito in media di euro all anno, che arrivano a in città come Firenze con un turismo fortemente destagionalizzato. Alcuni studi sul profilo degli utenti della mobilità condivisa mostrano come questa nuova pratica si concentri su certi profili d utenza medio-alti, escludendo le persone più adulte, meno scolarizzate e che vivono in periferia, anche per precisi meccanismi di «disegno del servizio» che accentuano questa dimensione di esclusione. Al tempo stesso, non è il prezzo ma la flessibilità del servizio il vero motivo per cui decidono di utilizzarlo. Sono la generazione dei prosumers (pro-ducers + con-sumers), che vive tra professionismo e hobbismo. Benefici distribuiti però in maniera diseguale Sebbene alcuni analisti e policy maker vedano nello sviluppo della sharing economy un opportunità di inclusione e benessere,

31 Animazione Sociale prospettive 29 soprattutto per i gruppi a basso reddito, i dati testimoniano, purtroppo, una realtà molto differente. Diversi studi condotti tra gli user delle piattaforme collaborative mostrerebbero un aumento delle disuguaglianze: i soggetti provenienti da famiglie benestanti, altamente istruiti e dotati delle capabilities adeguate, stanno usando le piattaforme per aumentare i loro guadagni o integrare il proprio reddito, generando un effetto «spiazzamento» di quei soggetti che tradizionalmente svolgevano alcuni lavori «della condivisione», dotati di competenze «esperte», seppure informali, ma soprattutto con redditi e livello di istruzione più bassi. Effetti in termini di diseguaglianza si sono generati, ad esempio, dai processi di gentrification a seguito dell espansione degli affitti a breve termine su Airbnb in grandi città come New York e Barcellona. Esisterebbe pertanto un «divario sociale», un «divario digitale» e un «divario partecipativo» che distribuirebbe in maniera diseguale i benefici della collaborazione, avvantaggiando soprattutto i maschi, giovani, ad alta istruzione e maggiormente attivi sulla rete. Le dimensioni sociali o etico ambientali non sembrano quasi mai prevalenti tra i consumatori di servizi condivisi, che non appaiono come consumatori critici del modello economico di mercato, come avviene invece per altre pratiche, ad esempio i gruppi d acquisto. Alcuni studi ci dicono poi che alcune pratiche basate sul riuso o il baratto non necessariamente sviluppano un comportamento di consumo anticonsumistico e maggiormente orientato alla sostenibilità, così come l uso del car sharing o del car pooling ha ridotto solo in minima parte la propensione dei soggetti ad acquistare un auto. Un impatto economico più che sociale ed etico Le motivazioni che spingono i soggetti a condividere sono prevalentemente economiche, e assai meno sociali o valoriali. In particolare, la relazionalità è un output secondario per gli utenti e mai il principale driver, per questo assume perlopiù carattere transitorio e strumentale. Le relazioni ricorrenti sono in qualche modo «osteggiate» o temute da molti operatori della sharing economy che, pur inseguendo il mito della costruzione di una community coesa intorno al proprio servizio, al tempo stesso non desiderano che relazioni abituali tentino gli utenti a disintermediare la piattaforma stessa. Inoltre, la relazione è fortemente mediata dalla fiducia, a sua volta riprodotta attraverso il sistema degli algoritmi reputazionali. Tuttavia, secondo alcuni studi, questo sistema presenta risultati ambivalenti: gli utenti al momento di valutare un servizio offerto da un proprio pari temono una ritorsione negativa di quest ultimo o degli altri membri della community. Si produrrebbe una sorta di «bolla» del rating, in quanto c è una sovrastima viziata in positivo del concreto capitale reputazionale. Questo è stato evidenziato su Blablacar o Airbnb. Inoltre, tale meccanismo può favorire una forma di individualismo e di esclusività delle proprie cerchie di scambio in quanto si tenderebbe perlopiù a interagire e a condividere con persone che hanno caratteristiche socio-biografiche o reputazionali simili alle proprie, discriminando tutti gli altri. Discriminazioni di tipo razziale in qualche modo sono state evidenziate in Airbnb e forme di discriminazione di genere sono state evidenziate nel time-banking. Infine, i dati Oecd (2017) mostrano anche come l affermazione di modelli collaborativi diffusi nella pianificazione e gestio-

32 30 Animazione Sociale prospettive Proprio nello spazio lasciato vuoto dalle grandi piattaforme si potrebbe sviluppare, nella logica di un modello cooperativo, una più solida economia collaborativa con effetti ancora più significativi in termini di welfare. ne delle politiche pubbliche, seppure in espansione, rappresentano ancora più un obiettivo formale che un risultato concretamente raggiunto in molti Paesi, soprattutto in Italia. La sharing economy per un nuovo welfare? La sharing economy appare, alla luce delle riflessioni teoriche ed empiriche fin qui riportate, un paradigma ancora in transizione, ovvero incapace di esprimere allo stato attuale le potenzialità di un modello alternativo di sviluppo e di welfare. È nel disallineamento tra obiettivi sociorelazionali dell economia di condivisione e gli scarsi risultati in termini di attenuazione delle diseguaglianze o di inclusività dei soggetti in condizione di marginalità, che si potrebbe sviluppare una grande quantità di nuovi servizi sharing. La possibilità di ibridazioni solidali Proprio in questo spazio lasciato vuoto dalle grandi piattaforme si potrebbe sviluppare, nella logica di un modello cooperativo o for benefit, una più «solida» economia collaborativa con effetti ancora più significativi in termini di welfare. Alcuni caratteri costitutivi della sharing economy la rendono un modello assai interessante in un momento di ripensamento dei sistemi di benessere sociale. Prima di tutto per la sua capacità di integrare in sé forme di scambio differenti (reciprocità, redistribuzione e mercato). Si tratta quindi di un modello aperto all ibridazione che libera ampi margini di azione e creatività innovativa per economie generative, soprattutto per il terzo settore, ma anche per le nuove aziende «geneticamente socialmente responsabili», come le B-Corp. La sharing economy, richiamandosi pienamente al concetto di comunità, appare il terreno ideale per sviluppare nuove connessioni e sodalizi all interno del welfare mix, con nuove opportunità di scalabilità per i numerosi esperimenti locali di secondo welfare. La capacità di attivare risorse dormienti Un altro fattore importante della sharing economy nei processi di ricalibratura del welfare è il suo orientamento a ridisegnare catene del valore meno asimmetriche e più trasparenti, con la garanzia di un elevato livello di personalizzazione di servizio rispetto ai bisogni e alle peculiarità degli utenti. Altrettanto coerente il fatto che questo paradigma si basi su un elevata capacità di attivazione e co-produzione dei beneficiari/utilizzatori, capace di ottimizzare i processi in un momento in cui la scarsità di nuove risorse è percepita come il problema più grande che limita l espansione del welfare. La sharing economy, invece, avvia un vero ragionamento di ricalibratura a partire dalle risorse che esistono già e che sono invece «dormienti» o sottoutilizzate. In questo senso, questo paradigma rappre-

33 Animazione Sociale prospettive 31 senta la possibilità di ripensare ai modelli di erogazione e distribuzione di nuovi servizi capaci di risvegliare «risorse latenti o disperse», ma all interno di una cornice di senso e di valori forte, come quella di cooperazione o di bene comune. Un esempio di questo è l ambito dello «sharing food»: la sharing economy potrebbe fornire nuovi input per espandere rete ed efficienza nella lotta allo spreco alimentare (recentemente rilanciata dalla legge Gadda del 2016). A oggi, alcuni esperimenti come Scambiocibo.it e Ifoodsharing.org hanno saputo valorizzare quel patrimonio di attori e di esperienze che rappresentano un eccellenza, ma che rese «collaboranti» all interno del modello piattaforma potrebbero generare maggiore valore per tutti. Quali risultati si potrebbero raggiungere se si abilitassero i pari, distributori e associazioni che operano nella lotta allo spreco all interno di un sistema integrato, reticolare e dinamico di interazione in cui le eccedenze sarebbero più facilmente recuperate e redistribuite? L orizzonte di un nuovo paradigma di welfare Evidenziare le complementarietà possibili tra sharing e welfare non significa tuttavia negare i processi in atto di «appropriazione» del modello della condivisione da parte del puro mercato. Né significa negare che la qualità degli ecosistemi e dell azione politica siano fattori contestuali poco rilevanti per fare della sharing economy un nuovo paradigma del benessere sociale. Fare dell economia collaborativa un nuovo paradigma del welfare significa oggi affrontare i deficit culturali dell economia digitale e della condivisione, ma anche valorizzare tradizioni e pratiche già consolidate di dono e di reciprocità all interno dei territori e che popolano un patrimonio di iniziative, competenze e sperimentazioni in ambito locale. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Airbnb, Fattore sharing. L impatto economico di Airbnb in Italia, Milano Arcidiacono D., L inclusione del consumatore nella catena del valore, in Barbera F., Pais I., Fondamenti di Sociologia Economica, Egea, Milano 2017a. Arcidiacono D., Economia collaborativa e startup: forme alternative di scambio economico o mito della disintermediazione?, in «Quaderni di Sociologia», 73, 2017b, pp Bauwens M., Kostakis V., Network Society and Future Scenarios for a Collaborative Economy, Palgrave Pivot, London Botsman R., Rogers R., What s Mine Is Yours: The Rise of collaborative Consumption, Harper Business, London Eurobarometer, 2016, Collaborative Platform, 438, publicopinion/ European Parliament, The Cost of Non Europe in the Sharing Economy, Bruxelles Ferrera M., Hemerijck A., Rhodes M., Recasting European Welfare States for the 21st Century, in «European Review», 8 (3), 2000, pp Maino F., Il secondo welfare: contorni teorici ed esperienze esemplificative, in «La Rivista delle Politiche Sociali», 4, 2012, pp Oecd, Government at glance, Oecd Publishing, Paris Pais I., Provasi G., Sharing economy: a step towards «re-embedding» the economy?, in «Stato e Mercato», 105, 3, 2015, pp Shor J., Debating the Sharing Economy, www. msaudcolumbia.org/summer/wp-content/ uploads/2016/05/schor_debating_the_sharing_ Economy.pdf, october Sharitaly, La mappatura delle piattaforme di sharing economy e del crowfunding 2016, Sharitaly_2016_mappatura-1.pdf Scholz T., Schneider N. (eds.), Ours to Hack and to Own: The Rise of Platform Cooperativism, a New Vision for the Future of Work and a Fairer Internet, OR Books, New York Davide Arcidiacono è ricercatore in Sociologia dei processi economici e del lavoro presso l Università Cattolica di Milano: davide. arcidiacono@gmail.com

34 32 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Con quale sguardo osservare l evolversi dei mondi giovanili alla ricerca di futuro? E con quale sensibilità scorgere la loro capacità di non mancare, nonostante tutto, il loro appuntamento con il mondo, con il loro e nostro mondo di adulti? In altre parole, come le nuove generazioni possono sfidare se stesse a farsi carico del mondo? Sono interrogativi che sulla rivista tornano di continuo, comprensibilmente. Così come sono tornati nei nostri due appuntamenti nazionali a Rovereto di «Cose da fare con i giovani». Proprio il secondo appuntamento nello scorso febbraio ha permesso di delineare qualche riflessione intorno agli interrogativi ora sollevati, perché l attenzione dei partecipanti è andata a soffermarsi da vicino su come le nuove generazioni si mettano in gioco nel loro modo di aggregarsi, nel loro modo di leggere le sfide, nel loro modo di delineare gli investimenti, nel loro modo per dirla con un termine classico di impegnarsi. Dal confronto sono emerse alcune tendenze e modalità di azione tipiche di questa generazione e, prima ancora, si è reso evidente il ruolo attivo del sintonizzarsi di molti giovani con alcune dinamiche sociali, culturali e anche economiche che, più o meno sotto traccia, stanno innescando stimolanti trasformazioni nel modo di organizzarsi e produrre. In particolare, non pochi mondi giovanili sono connessi alla ricerca diffusa dentro il mondo economico-sociale di un diverso approccio per attraversare la crisi attuale, con un intensa apertura a quel che succede nei mondi dell economia della condivisione e della collaborazione, nella convinzione che un «altro futuro» passi dal co-produrre beni, materiali e immateriali, che possano dirsi comuni. A partire da questa angolatura abbiamo pensato e organizzato l inserto. Dopo una riflessione sulla ricerca pratica e riflessiva di molti giovani nell ingaggiarsi in imprese generative di futuro, e sulle connessioni tra le loro istanze e quelle alla base della sharing economy (primo articolo), i due articoli successivi offrono una ricostruzione critica di due esperimenti: uno a sfondo professionale e lavorativo (l avvio della cooperativa di comunità Brigì di Mendatica), l altro su base volontaria a cui partecipano migliaia di adolescenti e giovani che si sperimentano nell apprendere a farsi responsabili in prima persona del «mondo» (il Social day di Bassano del Grappa tra scuola e territorio). In chiusura, come rilancio delle ipotesi di lavoro emerse lungo l inserto, le riflessioni di Andrea Marchesi danno indicazioni di prospettiva ed elementi di metodo per una «pedagogia dell impegno» con questi adolescenti e giovani. 34 Carlo Andorlini, Nicola Basile Giovani al tempo della sharing economy 45 Intervista a Maria Ramella, a cura di Carlo Andorlini e Nicola Basile Giovani che fanno il loro futuro dando futuro al loro paese 55 Marco Lo Giudice, Riccardo Nardelli Non è una scuola quella dove non c è utopia al lavoro 66 Andrea Marchesi Giovani alla ricerca sperimentale di utopia, qui e ora

35 Animazione Sociale inserto 33 Inserto del mese Parole chiave per lavorare con i giovani/7 Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Testi a cura di Carlo Andorlini, Nicola Basile, Marco Lo Giudice, Andrea Marchesi, Riccardo Nardelli, Maria Ramella Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

36 34 Animazione Sociale inserto Carlo Andorlini, Nicola Basile Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Molti mondi giovanili si stanno posizionando attivamente dentro i cambiamenti nel modo di pensare e agire che animano la società a livello culturale ed economico. Là dove invece l aggancio ai cambiamenti non avviene e, più da vicino, non si tessono connessioni fra mondi giovanili e mondi economico-culturali ispirati da una cultura di condivisione e collaborazione, in forse è la capacità delle nuove generazioni di fare leva sulle loro aspirazioni e competenze per non mancare l appuntamento con il mondo. Ma come e con chi ingaggiarsi qui e ora in imprese oltre le contraddizioni del nostro tempo? Giovani al tempo della sharing economy Traiettorie personali e generazionali attraverso la crisi I cambiamenti in atto nel paradigma economico, per un verso parziali e frammentati, per l altro promettenti e generativi, richiedono una costruttiva riflessione sulla collocazione attuale dei giovani al suo interno e sugli sviluppi delle politiche ad essi dedicate. Per introdurre in estrema sintesi quale sia la sfida in gioco, prendiamo in prestito le parole di Checky, fondatore di Airbnb, secondo cui «oggi siamo in grado di progettare il nostro mondo e la sharing economy economia della condivisione vorrebbe offrire a tutti la possibilità di immaginare il proprio presente e futuro». Si coglie da subito la forte propensione al futuro, ma soprattutto a vederne le tracce nel presente. Più da vicino, guardando i vari territori si intravedono segnali interessanti del cambiamento, dalle cooperative di comunità che cercano di evitare processi di spopolamento ai coworking che tentano di creare percorsi professionali e di imprenditorialità, dai processi di start up con valenza sociale e/o culturale e/o ambientale ad azioni di attivazione e gestione di beni comuni a rinforzo di una logica solidale. In questa fase storica di attrazione e investimento sull economia della condivisione i giovani sono, come sempre, attori «a modo loro» del nuovo e del possibile, protagonisti e vettori del rinnovamento. Tutto questo avviene, va sottolineato, mentre i percorsi della transizione verso l età adulta sono sempre meno coerenti, tanti giovani cambiano il proprio percorso, l errore

37 Animazione Sociale inserto 35 diventa un elemento determinante. La sequenza temporale non è più certa e i tempi si dilatano, come si vede nelle dinamiche di formazione e lavoro che convivono a lungo nella vita di tutti. Per altri versi, si attenua il confine tra produttore e consumatore, anche nella dinamica socio-culturale, aprendo spazi di protagonismo e co-produzione. Il quadro emergente, di rottura dei classici percorsi di vita, è foriero di possibilità innovative, però è necessario non nascondere lo spiazzamento di molti giovani, la loro difficoltà a inserirsi in questi contesti e l emergere di nuove forme di disuguaglianza sociale. Il nostro ruolo, il ruolo di chi pensa, affianca e cerca di sintonizzarsi con i nuovi contesti giovanili, forse è proprio quello di cogliere il portato di ciò che avanza, le indicazioni metodologiche e le visioni che il paradigma reca con sé, provando a elaborarne una critica che lo renda sensata prassi di lavoro. In tale direzione nel presente articolo proviamo a tracciare degli elementi di riflessione e dei fattori di criticità per tratteggiare poi alcuni spunti metodologici e mettere a fuoco le principali sfide. Proviamo dunque a inquadrare la ricerca di sintonizzazione tra giovani e sistemi che si muovono nel solco della collaborazione e della relazione densa. Stiamo dentro un orizzonte che da un lato affascina, dall altro interroga. E che in ogni caso, abbandonando retoriche o depressive o esaltanti, pone sfide di grande portata. Non a caso la riflessione avviene all interno di un «inserto» della rivista che si conclude con una riflessione sull impegno e l aspirare dei giovani che anche per questa caratteristica risultano il gruppo sociale più capace di leggere i mutamenti sociali ed economici e di produrre immaginazione e azione di cambiamento per sé e per le proprie comunità. Tra l altro, per dare forza alla riflessione, approfondiamo nel prosieguo dell inserto due esperienze animate da giovani: la Cooperativa di comunità Brigì e il Social day. Quale economia di condivisione e collaborazione? Nei processi inizialmente elencati si genera una sorta di co-produzione del servizio e del prodotto, fondata sulla collaborazione e/o sulla condivisione tra loro sempre più collegate alla gestione del bene comune, all accrescimento della propria rete personale/professionale e della propria reputazione e all allargamento del proprio mercato di riferimento, dove da consumatore si diventa prosumer e si partecipa con altri alla costruzione di ciò di cui si ha bisogno. Quando parliamo di sharing economy siamo, tuttavia, all interno di un insieme complesso dove è opportuno distinguere l economia della condivisione dall economia della collaborazione. I due termini non sono dei sinonimi. Per chiarire la distinzione si possono riprendere le parole del «Libro verde» sull economia collaborativa curato dalla Regione Toscana quando afferma: La principale distinzione concettuale è tra forme di mera condivisione materiale e forme di condivisione che implicano o generano relazioni collaborative via via più Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

38 36 Animazione Sociale inserto intense e/o gradualmente sempre più disintermediate. Con la prima tipologia si condividono beni, servizi, risorse esistenti sfruttando la capacità inutilizzata, mentre con la seconda si possono generare nuove relazioni, nuove imprese di proprietà degli o governate dagli utenti, imprese cooperative o sociali, nuovi servizi e beni pubblici. (1) Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Smontare le retoriche per raccogliere le sfide È facile comprendere come il nuovo modello (2) possa stimolare, da un lato, un pensiero entusiasta che vede nella sharing economy il superamento dell attuale sistema capitalistico (in primis J. Rifkin (3) ), dall altro una riflessione pessimista (4) che la interpreta come una nuova fase del capitalismo, estremamente aggressiva rispetto ai diritti dei lavoratori (5) e alle regolamentazioni nazionali (6). In ogni caso tutti concordano sul fatto che questo sistema economico sta producendo una serie di nuove sfide/problemi (7) e di inedite opportunità. E così è opportuno ragionare sulle occasioni che si producono nel mercato sociale (8) integrabili nel lavoro con i giovani. Nell ottica descritta, nel segmento delle iniziative sociali troviamo alcuni esempi interessanti. Wikipedia, che attraverso la collaborazione e la condivisione degli utenti produce conoscenza accessibile e condivisibile, oppure le Social street, che puntano a ricostruire il senso di comunità legate all appartenenza territoriale o, più da vicino, esperienze come la cooperativa di comunità Brigì. La prospettiva di un intelligenza cittadina Siamo di fronte a un fenomeno minoritario (9), che non toglie affatto valore alle esperienze, anzi forse ne aggiunge. La tipologia delle esperienze ora indicate risulta infatti intrigante perché offre piste di lavoro ai giovani, alle comunità locali, alla Pubblica amministrazione (10) e al mondo del terzo settore (11). Appaiono interessanti 1 Dal Libro verde della Regione Toscana #collaboratoscana per un agenda regionale sull economia collaborativa, toscana.it/-/-collaboratoscana-economia-collaborativa-e-beni-comuni 2 Alcuni autori, tra cui Arun Sundararajan, pensano che in realtà non siamo di fronte a modelli completamente innovativi, ma a una fusione su modalità del capitalismo pre-company e innovazione tecnologica. Cfr. Sundararajan A., The Sharing Economy: The End of Employment and the Rise of Crowd-Based Capitalism, Mit- Press, 2016, Kindle Edition. 3 Rifkin J., La società a costo marginale zero, Mondadori, Milano Vedi su: 5 Vedi su: tutto-quello-che-bisogna-sapere-per-capire-ilcaso-foodora/ 6 Vedi su: 7 Ad esempio: come regolamentare le professioni e il lavoro? come coniugare il diritto ai consumi con la buona produzione? come evitare che un turismo low cost diventi turismo irrispettoso verso le persone e i luoghi? come tenere insieme un sistema di trasporti pubblico con iniziative estremamente personalizzate? 8 Vedi su: sharing-mercato-sociale-condivisione/ 9 Comito V., La sharing economy. Dai rischi incombenti alle opportunità possibili, Ediesse, Roma 2016, p Vedi su: source=twitterfeed&utm_medium=twitter 11 Vedi su:

39 Animazione Sociale inserto 37 perché in prospettiva consolidano un intelligenza cittadina (12) di cui, ancora una volta, i giovani, soprattutto quelli con maggiori competenze, possono essere motore. Nel nuovo ecosistema, se da un lato diventa possibile attraverso il web 2.0 far conoscere le proprie istanze sociali e aggregare persone intorno a problematiche collettive, ambientali e culturali (13), dall altro invece si è in grado di promuovere le proprie competenze, farle diventare professionalità, costruire possibili carriere. Ed è proprio nell ecosistema ora tratteggiato che ci interessa osservare cosa sta accadendo per cogliere in profondità quanto l approccio ibrido alimenti nuovi lavori giovanili, nuovi processi inclusivi, nuovi contesti di crescita culturale e sociale. Il prendere forma di un inedito potenziale educativo Siamo convinti che l evoluzione sociale ed economica, che porta a descrivere la nostra come società circolare (14), alimenti con intensità la strutturazione a rete (social network...), la realizzazione di spazi fisici e/o digitali di scambio (piattaforme on line, servizi di scambio...), la costruzione di relazioni di mutuo e auto-aiuto (movimenti organizzati attraverso la rete, attivisti civici ) e la realizzazione di pratiche di collaborazione e di condivisione (makerspace, coworking...). In altre parole, l avvento della logica collaborativa rappresenta una sfida da non perdere, perché porta con sé un paradigma socio-culturale (oltre che economico) con un potenziale educativo molto alto. Ad alcune condizioni che vedremo nelle pagine seguenti, essa contiene fermenti fortemente generativi per i giovani e per le loro comunità. Nuovi attori dentro nuovi cantieri Dentro la sfida che la logica collaborativa lancia con forza si intravedono orizzonti teorici, ipotesi progettuali, iniziative concrete, plurali e contaminanti, spesso piccole ma molto significative. Non senza ambivalenze. Troviamo stimolanti provocazioni nei giovani con alcune caratteristiche che li vedono aperti e per nulla chiusi nei loro mondi, interessati a riempire di senso gli spazi in cui si muovono, transitanti in modo da arricchire le proprie competenze, in movimento e con una bussola che indica la direzione, ma non necessariamente la meta. Più aperti che chiusi, senza appartenenze esclusive Per molti versi almeno, le nuove generazioni non si appoggiano a rendite di posizione ma a capacità di azione, non cercano più un appartenenza esclusiva ma uno 12 «Social network, cloud, device mobile, big data, oggetti in rete saranno gli strumenti dei quali si servirà il genere umano per produrre l intelligenza cittadina», in Vianello M., Smart cities, Maggioli, Sant Arcangelo di Romagna, 2013, Kindle Edition. 13 Castells M., Reti di indignazione e speranza, Università Bocconi Editori, Milano Cfr. Bonomi A., La società circolare. DeriveApprodi, Roma Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

40 38 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani scambio di conoscenze, non mirano al possesso ma alla possibilità di accesso a beni e servizi. L esigenza di scambiare nelle relazioni (il 25% dei giovani baratta e uno su quattro viaggia con sconosciuti) porta a uno straordinario cambio di approccio: si trasformano le esperienze sociali, le modalità di partecipare alla vita della comunità e soprattutto le dinamiche di lavoro. Prima prevaleva il rispetto delle gerarchie come organizzazione verticale, oggi predominano i rapporti orizzontali. E se il lavoro era funzionale al mantenimento della famiglia, adesso è mezzo di realizzazione personale, in linea con la ricerca del «chi sono» e, allo stesso tempo, del «cosa mi definisce». Riempitori di vuoti propensi all autorganizzazione Il riprendersi cura della comunità è alla base di straordinarie e inaspettate risposte pratiche. Risposte che nascono da un semplice quanto mai perentorio «allora ci organizziamo» e si articolano a partire da una forbice molto larga di possibili moventi: dalla disperazione alla reazione, dalla voglia di riscatto all idea di cambiamento ma anche all idea di innovazione. Risposte che nascono dalla convinzione che le comunità possono essere resilienti, costruire rapporti di reciprocità, assumersi corresponsabilità nelle risposte. Emergono esperienze sociali e aggregative che rimettono al centro l impegno e la voglia di spendersi per la propria comunità e per gli altri. Come viene raccontato nell articolo sul Social day, dove i ragazzi, dalle elementari alle superiori, si mettono in gioco per un impresa collettiva che porta a maturare la cittadinanza attiva e la solidarietà internazionale. Allo stesso tempo si delineano percorsi lavorativi che uniscono professione, valori personali e coscienza di luogo in un unico contesto costruendo di fatto «atti» capaci di incidere politicamente sul proprio contesto o territorio (proprio perché svincolati spesso dall aiuto pubblico, dal condizionamento di una politica assente o carente). Nel loro insieme questi esperimenti rimandano a metodi di lavoro che sostituiscono l unilateralità (io fornisco, produco, vendo) con processi di reciprocità e circolarità di comunità, con percorsi imprenditoriali in cui si agisce per cambi di paradigma economico in grado di alimentare indirettamente cultura civica. Gli esempi non esauriscono la gamma delle attuali «reazioni» positive. Vogliono solo aprire un varco di visione su come le carenze abbiano generato risposte molto «spostate» sulla comunità, con la comunità, «fuori» dalle organizzazioni e «dentro» i contesti. Transitanti tra competenze che delineano «carriere» Ormai le carriere dei giovani vivono a intermittenza. In un ritmo così complesso la tenuta di molte storie che a macchia di leopardo vediamo in Italia è dovuta a un modo nuovo di intendere l esperienza socio-lavorativa. Un modo che concepisce il percorso lavorativo come temporaneo, prodromo di altre esperienze future, all in-

41 Animazione Sociale inserto 39 terno di filiere che prevedono il passaggio da una fase precedente a una successiva. E il tutto non è vissuto come un difficile itinerario verso la stabilità, ma come un percorso positivo di formazione che, passo dopo passo, permette di rafforzare i legami di contesto, allargare il raggio di azione, costruire nuovi nodi professionali. Esiste un innovazione «riflessiva» (15) che è originata dal ragionevole dubbio sulle nostre condizioni di vita e fa leva sull immaginazione e sperimentazione di nuovi modi di lavorare, di consumare e di cercare di intervenire nella società (16). Per questo possiamo usare il concetto di «transito», in cui l esperienza (da quella del tirocinio, a quella del servizio civile fino alle prestazioni professionali) è tappa fondamentale per accrescere le proprie competenze, avere un rapporto di lavoro/ esperienza retribuita, ma soprattutto incrociare persone, legami, reti necessari all approdo lavorativo successivo (17). Il movimento per direzione compresi gli errori Osservando una generazione giovanile che prova a farcela, che si concentra nel pensare di uscire da una possibile deriva del «disorientamento immobilizzante» verso invece una rinnovata «motivazione generatrice», ci sono delle interessanti ricorrenze che si generano o si rafforzano in particolare dove, a un adattamento individuale, si preferisce l elaborazione di una risposta collettiva. Anzitutto la carriera per direzione e movimento, dove sviluppare una carriera non significa inserirsi su binari predefiniti in base all organizzazione o alla figura professionale (quindi subendola), ma piuttosto costruire i binari stessi in base alle proprie caratteristiche e aspirazioni (quindi interpretandola). In secondo luogo la libertà dalla burocratizzazione del lavoro, che significa passare dall idea di un format «predestinato» e «preimpostato» (con tanto di orario, pause, vacanze da programmare in tempo, recuperi, ecc.) a un tempo «liberato» che si «muove» nell arco dello stesso giorno e dei mesi. Infine la formazione continua sempre, anche nel lavoro, dove di fatto, mentre si agisce, ci si orienta, si perlustrano altri ambiti e, soprattutto, si cerca di imparare cose che permettano «lo sconfinamento professionale». Sguardi diversi, per cogliere i percorsi possibili Gli elementi tratteggiati portano a leggere sotto una luce diversa le prospettive sociali ed economiche legate all agire dei giovani. Forse, come ci ricorda Andrea Marchesi nell articolo conclusivo dell inserto, è necessario cambiare sguardo per liberare l immaginario, perché solo così saremo in grado di cogliere quelle esperienze minoritarie fatte di impegno civile, sociale e politico, come anche quelle intraprese 15 Bovone L., Lunghi C. (a cura di), Resistere. Innovazione e vita quotidiana, Donzelli, Roma Ivi. 17 Per fare un esempio, nel Terzo settore la percentuale più alta di ingressi lavorativi arriva dai giovani che hanno fatto un esperienza di servizio civile in quell ente. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

42 40 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani temporanee che sembrano abbondare nell epoca attuale. Solo attraverso un nuovo sguardo saremo in grado di comprendere che quella molteplicità variegata di esperienze che a volte appare contraddittoria e senza senso può diventare, a condizione di una riflessione collettiva, un laboratorio di futuro e soprattutto un esperienza prodromica alla transizione verso la vita adulta. Ancora una volta, chi lavora con i giovani si deve confrontare con una complessità che emerge dal cambiamento del paradigma economico-culturale. Sarà necessario ricercare forse sarebbe meglio dire co-ricercare, in quanto l operatore stesso è soggetto di tali mutamenti il senso del proprio lavoro e la valenza promozionale dell attività quotidiana. L attenzione ai beni comuni Ci troviamo in un grande contenitore collaborativo dove rileviamo tendenze giovanili multiformi e diversificate capaci di affrontare la sfida con una loro visione. È fondamentale mettere in luce la dimensione che più di ogni altra produce vicinanza e fusione di intenti fra giovani e collaborazione: la tensione al bene comune. Molte esperienze connesse alla narrazione dell economia della condivisone e della collaborazione pongono come elemento centrale lo sviluppo della comunità attraverso l utilizzo e/o l attivazione di beni comuni. Il riferimento principale e storico sono gli studi di Eleonor Ostrom (18), che definisce il concetto come beni utilizzati da più individui, che per differenti ragioni non prevedono esclusioni e il cui consumo è legato alla fruizione degli attori in campo. Gli esempi classici sono i prati dedicati al pascolo, oppure i mari in cui si pratica la pesca. Oggi si riflette su come i processi dell economia circolare e del digitale ne stiano modificando la definizione. Gli elementi centrali sembrano essere, da un lato, una vicinanza, quasi una sovrapposizione, tra chi produce i servizi e chi ne usufruisce, dall altro la semplificazione dell accesso all esperienza, anche perché spesso i nuovi beni comuni, per crescere, hanno bisogno di un alto numero di soggetti, in quanto la loro produzione e il loro mantenimento è intimamente legato alla condivisione delle conoscenze, delle competenze e all apprendimento collaborativo. Tutte queste esperienze, infine, prevedono e crescono grazie ad alti livelli di fiducia e alla scarsa presenza, a volte addirittura assenza, di sanzioni per chi viola le regole (19). L implicazione soggettiva in piattaforme collaborative Vogliamo mettere in evidenza, infine, come i beni comuni oggi richiedano una significativa e progressiva implicazione personale. Spesso assistiamo a una transizione dal volontariato sporadico, all impegno costante, sino al passaggio all attività lavorati- 18 Ostrom E., Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia Il tema delle sanzioni non può essere sottovalutato. Appare importante proteggere i beni comuni e le risorse umane che li producono da abusi.

43 Animazione Sociale inserto 41 va. Le diverse tappe/fasi appena descritte incrociano la prospettiva dell economia della condivisione e della collaborazione. Ad esempio, è evidente come l impegno volontario e il lavoro retribuito convivano in Wikipedia, nei last minute market e nei makerspace, e come spesso questo mondo produca occasioni professionali e di crescita importanti e significative per i ragazzi. Nella direzione delineata si apre una discussione sulla fecondità delle piattaforme collaborative (20) oppure sull esigenza di forme di economia della condivisione e della collaborazione semi-centralizzate e che poggino su una moltitudine di comunità collaborative, che vanno dai giardini comunitari agli orti condivisi, dai gruppi di acquisto solidali ai modelli di monete alternativi. Tutto questo vede i giovani, in particolare grazie alle opportunità che il web offre in termini di scambio e confronto, protagonisti attivi, soggetti competenti e capaci di immaginarne futuri possibili. Comprendono quasi naturalmente la centralità del legame debole, della costruzione del network (fatto di interazioni fisiche e virtuali) e dell utilizzo delle reti lunghe. Per le traiettorie di vita dei giovani, ad esempio, può essere utile sia uno scambio leggero con un coetaneo appena tornato da Londra e in grado di fornire informazioni fresche, sia un percorso di orientamento con un professionista. Le generazioni che si affacciano al mondo del lavoro sono abituate a essere nel flusso dell informazione, molto più di quelle che le hanno precedute (21) e in tale fiume informativo navigano e costruiscono le loro prospettive future. Ma, come vedremo, ciò è vero per molti, ma non per tutti. La disponibilità all apprendere collaborativo Chi lavora con i giovani deve esserne cosciente, perché sempre più il suo ruolo diventa quello di promuovere occasioni, facilitarne l accesso e costruire connessione. Il nodo preoccupante è come mantenere i soggetti più fragili all interno di percorsi sempre meno definiti. In effetti negli attuali beni comuni stiamo passando, per riprendere la metafora di Ostrom, dal pascolo consumato in base alla numerosità dei capi di bestiame, al campo delle conoscenze che cresce in relazione all aumentare dei partecipanti e al loro modo di interagire, dove la svolta passa dall apprendimento collaborativo, dai processi di condivisione e dalle pratiche di cooperazione che sono, pertanto, i punti nevralgici di metodo di lavoro da porre al centro del lavoro con i giovani, soprattutto se si vuole agire su un piano promozionale. Oltre a garantire un accrescimento delle competenze dei giovani permettono di far crescere i beni comuni, di costruire sul territorio piattaforme abilitanti (22) e di orientare il ruolo dell operatore verso una funzione da gatekeeping e di cura della qualità dell esperienza (23). 20 Gorenflo N., How Platform Coops Can Beat Death Stars Like Uber to Create a Real Sharing Economy, vedi su: how-platform-coops-can-beat-death-stars-likeuber-to-create-a-real-sharing-economy 21 Non vogliamo sottovalutare le criticità connesse alla disintermediazione dell informazione. 22 Basile N., Imbrogno G., Giovani attivi nelle piattaforme sociali abilitanti, in «Animazione Sociale», 307, 2017, pp Cappa F., L occasione educativa del lavoro materiale, in «Animazione Sociale», 309, Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

44 42 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Uno spazio in cui le istituzioni possono ripensare il loro compito La genesi circolare dei nuovi beni comuni, se pur in una fase aurorale, aiuta a far maturare parti di società e ad ampliare le capacità di intervento delle istituzioni (24), in particolare delle amministrazioni locali. Le politiche giovanili e la valorizzazione del ruolo dei giovani, sempre più appaiono strategie funzionali ad aumentare la densità relazionale all interno delle città e a moltiplicare gli spazi di azione sociale e di condivisione collaborativa. Viene posta al centro la comunità, forse sarebbe meglio dire le micro comunità. Le persone si avvicinano per assonanza, per comuni passioni e le idee collidono fino ad arrivare a proposte di cambiamento sociale. Come ci insegnano le esperienze delle cooperative di comunità, il rilancio del ciclo economico può essere un volano fondamentale per riattivare il ciclo sociale, quello culturale e, fondamentalmente, per rendere un territorio generativo. La sollecitazione a uscire dalle polarizzazioni Purtroppo la discussione è viziata da posizioni preconcette che non aiutano a comprendere fino in fondo le questioni. Per cui, troviamo letture che vedono nell economia della condivisione e nell economia della collaborazione modelli necessariamente virtuosi e in grado di generare innovazione sociale e crescita economica, altre che invece la interpretano esclusivamente come meccanismo che lentamente sta smontando le politiche, i servizi pubblici ed erodendo i diritti dei lavoratori (25). Evitare polarizzazioni permette di mettere in luce gli attori sociali, i dispositivi più interessanti e le reali opportunità, evitando adesioni a retoriche trionfalistiche che non consentono di cogliere i limiti e i rischi del modello circolare. Educare gli attori, in particolare i ragazzi e le ragazze, a comprendere la differenza tra i due modelli appare fondamentale sia per evitare strumentalizzazione e erosione dei diritti, sia per provare a innescare processi di rigenerazione delle comunità. Le esperienze che vediamo sui territori portano con sé spesso tale ambiguità. Si muovono sul confine tra economico e sociale, ma quasi sempre hanno un elevata potenzialità educativa che può permettere di apprendere competenze e strategie funzionali alla propria vita. Chi affianca i giovani spesso si muove sul confine e sostenendo la produzione di iniziative sociali e pre-economiche promuove competenze «funzionali» al contesto economico. Appunti di metodo di lavoro fra giovani e operatori Guardare con questo rinnovato sguardo permette di comprendere quali siano gli scenari in cui i giovani (a prescindere da fatiche e difficoltà strutturali in ascesa 24 Nell ottica della teoria delle reti di azioni sono i set di azioni che permettono la costruzione dei network, delle organizzazioni e la rigenerazione delle istituzioni. 25 Recalcati M., L ora di lezione, Einaudi, Torino 2014, p. 41.

45 Animazione Sociale inserto 43 nel nostro Paese) si stanno muovendo. Su quali caratteristiche personali puntano, con quale atteggiamento relazionale, che competenze trasversali stanno costruendosi. E poi a quale «mondo nuovo» si stanno affezionando. Un mondo che parla insistentemente di condivisione e fiducia e che ha come traiettoria l idea di una società collaborativa (nell economia, nella formazione, nella vita sociale...) e la prospettiva di una crescita individuale legata alle competenze relazionali e a un metodo collaborativo, orizzontale nei rapporti fra giovani e operatori, dove il tentativo è creare luoghi di cooperazione nei quali condividere desideri e aspettative. È centrale la costruzione di meccanismi attraverso cui, partendo da aspirazioni individuali, si possano costruire processi collettivi. Il punto non è tanto la tecnicalità del coworking, del makerspace oppure del vecchio centro di aggregazione, quanto la costruzione di un movimento relazionale, inclusivo e aperto al territorio. Ed è così che i giovani diventano interpreti di processi che, da un lato, rigenerano le istituzioni esistenti (il comune, la scuola, le organizzazioni, le imprese, ecc.) e, dall altro, invece, pongono le basi per nuove istituzioni. Nel quadro abbozzato, il ruolo dell operatore, spesso, è quello di rendere fruibili le possibilità e creare delle connessioni sistemiche (26). Ancora una volta, il tentativo non può che essere la connessione di traiettorie individuali all interno di contesti collettivi. Sono tre le parole chiave che, nel contesto attuale, influenzano maggiormente il metodo di lavoro. Lo sviluppo di una transizione fortemente cittadina Pensare alle politiche per i giovani significa ragionare sulle politiche di sviluppo di una città. Se le politiche per l autonomia dei giovani funzionano, funzionerà sicuramente anche la crescita della città. Non è vero il contrario. Le politiche per l autonomia giovanile a livello locale, ambito più vicino al contesto di vita sociale e lavorativo, devono promuovere politiche di prossimità. In questi anni, in cui la disoccupazione giovanile appare uno dei problemi principali, è però importante non ridurre gli interventi a favore dell aggregazione giovanile, dei tirocini, degli inserimenti lavorativi, degli interventi di accelerazione di impresa, ecc. È fondamentale che la transizione dei giovani verso la vita adulta abbia una dimensione fortemente sociale e come abbiamo descritto nella prima parte dell articolo spesso è proprio grazie a questa che nascono passioni e accrescono competenze che poi, in un secondo momento, aprono a percorsi professionali. L innovazione che fa leva sulla densità relazionale Nelle politiche giovanili l innovazione da curare e da implementare è quella che utilizza la densità relazionale come stile e anche come ecosistema di riferimento. Tutto ciò che avviene grazie allo scambio relazionale permette all innovazione 26 Basile N., Imbrogno G., art. cit. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

46 44 Animazione Sociale inserto di essere sociale e sostenibile. Il processo di rinnovamento coglie in maniera significativa le questioni che coinvolgono le nuove generazioni dalla sostenibilità alla tecnologia, dalle sfide ambientali all apertura globale. Così diventa un driver fondamentale per entrare in contatto con alcuni mondi e per sostenere alcune esperienze che da aurorali possono diventare consolidanti e consolidanti di alcuni modi di pensare e agire. Sostenere i processi descritti significa anche fare avanzare il Paese, le città, i paesi. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani L inclusione che passa da ibridazioni connesse Le politiche dello sviluppo e dell innovazione, se disegnate in contesti a forte scambio relazionale, orizzontalità di rapporti e costruzione di spazi aperti, si aprono a tutti i livelli sociali e gerarchici tipici nel nostro sistema organizzato. Perciò riguardano potenzialmente tutti i giovani, nessuno escluso. Dove il contesto si apre, si apre anche la possibilità di accoglienza. Dove il contesto si apre, si generano nuovi luoghi informali di rilevazione del bisogno. Dove il contesto si apre, si legittimano situazioni di confine. E allora verrebbe da dire che tutto quello che abbiamo visto nelle pagine precedenti, e il tanto altro che potremmo vedere in un altra occasione, non funzionerebbe senza il rapporto produttivo e permanente con la comunità. Proprio per le ragioni esposte è necessario mitigare i processi di disintermediazione in atto. L operatore è ancora quello che aiuta e promuove processi di mediazione all interno dei contesti permettendo, così, di ricostruire pezzi di comunità. Grazie soprattutto alla sensibilità collaborativa, può favorire processi inclusivi dove la presenza dei giovani diventa fondamentale e i posizionamenti tradizionali (chi educa, chi insegna, chi è educato, chi impara) si confondono e diventano orizzontali favorendo forme ibride e fortemente connesse.

47 Animazione Sociale inserto 45 Si ripete, spesso in tono enfatico, se non imbarazzante, che il lavoro i giovani devono inventarselo. Compito certo più necessario di ieri, che non ha senso tuttavia caricare solo sulle spalle delle nuove generazioni. Un alleggerimento del peso può avvenire là dove il lavoro stesso è visto in una prospettiva diversa, come evento cooperativo dove in gioco è il futuro dei luoghi e delle economie locali. E dove al centro si pone un idea di lavoro ispirato a logiche di condivisione e collaborazione, che rimanda a forme inedite di «apprendimento cooperativo» degli attori economici e politici locali. Intervista a Maria Ramella a cura di Carlo Andorlini e Nicola Basile Giovani che fanno il loro futuro dando futuro al loro paese Brigì a Mendatica (Im), una cooperativa del farsi comunità Mendatica, pochi chilometri da Ventimiglia. Un piccolo paese, di circa 160 abitanti, che abbarbicato sul monte Frontè domina l Alta valle Arroscia. Arriviamo in una calda giornata. Ad accoglierci il palazzo comunale e una bella chiesetta in stile barocco. Dopo pochi minuti giunge Maria Ramella, una delle socie fondatrici di Brigì dal nome della pecora brigasca, tipica della zona insieme andiamo verso il Parco Avventura, cuore pulsante della cooperativa di comunità. L aria è fresca, il sole scalda e si percepisce subito il clima frizzante dei contesti giovanili. I ragazzi si muovono continuamente, facilitano bambini e famiglie all interno del Parco Divertimento e offrono momenti di relax al piccolo chiosco. Parlando con alcuni di loro emerge la passione per il territorio, per le montagne e i percorsi che le attraversano. A pranzo Ludovico ci racconta degli asini e del corso formativo a cui ha appena partecipato per la costruzione del basto da lavoro per gli asini. Brigì, una delle prime cooperative di comunità nate in Liguria, il socio più giovane 19 anni, il più grande 34. In totale un gruppo di 22 ragazzi e ragazze che si stanno prodigando per gestire un bene comune e produrre del valore aggiunto per loro stessi e la comunità. La valorizzazione del territorio diventa una strategia per offrire opportunità ai ragazzi di Mendatica e contrastare la dinamica dello spopolamento. Così nel loro racconto troviamo amore per il territorio, collaborazione Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

48 46 Animazione Sociale inserto generazionale e tra generazioni, utilizzo delle tradizioni per innescare processi di marketing territoriale, promuovere circuiti virtuosi e far evolvere l identità locale. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Tutti giovani, alcuni giovanissimi Maria, raccontaci un po di voi, chi siete? Brigì nasce dall idea di tre ragazzi che, grazie al sostegno della Proloco e dell Amministrazione comunale, hanno deciso di spendersi per valorizzare il proprio territorio fondando così una delle prime cooperative di comunità. La partecipazione a Coop Startup Liguria ha permesso di accrescere le nostre competenze e di raccogliere un piccolo capitale da investire. Oggi siamo impegnati nella gestione del Parco Avventura, del Rifugio, di un Cte, centro per il turismo escursionistico, di Mendatica didattica (attività didattiche per scuole e gruppi) e di alcuni servizi forestali, come la pulizia dei sentieri. In cooperativa siamo 13 soci e 14 dipendenti, tutti giovani, alcuni giovanissimi. È la nostra caratteristica principale ed è bello pensare di offrire possibilità a chi sta crescendo, però è anche un elemento di criticità perché molti ragazzi sono alla loro prima esperienza lavorativa e non sempre comprendono la fortuna di lavorare in una struttura sul territorio dove si può partecipare ai processi decisionali. Con i ragazzi più grandi è più semplice, sono più coscienti dell opportunità che rappresenta Brigì. La cooperativa di comunità è di fatto una cooperativa di lavoro per cui prevede che il socio sia dipendente, oppure abbia la partita Iva, altrimenti può essere socio finanziatore ma non può lavorare. Tali vincoli rendono difficile l allargamento della base sociale. Una delle nostre collaboratrici, ad esempio, avrebbe voluto diventare socia ma non potendo assumerla non è stato possibile. Peccato, un occasione persa. Dove vi ha portato la consapvolezza dei molti vincoli lavorativi? Nessuno di noi lavora full-time, tutti siamo coinvolti per alcuni servizi che coprono solo determinati periodi dell anno. Il ciclo produttivo, purtroppo, al momento è ancora stagionalizzato, infatti, in agosto, tutti siamo impegnati almeno ore settimanali. Nei mesi invernali, invece, sono tre o quattro i ragazzi che continuano la propria azione e solo per 5-10 ore alla settimana. La maggior parte lavora nel Parco Avventura, aperto da aprile a settembre. Una ragazza segue il rifugio escursionistico che funziona tutto l anno. Dal punto di vista occupazionale il nostro obiettivo, nei prossimi tre anni, è stabilizzare almeno tre contratti. Pensiamo che sia utile offrire contratti part-time a tempo indeterminato in modo che i ragazzi, soprattutto quelli che hanno imprese familiari di tipo agricolo, possano comunque portare avanti l attività dei genitori. Se non si costruisce questo tipo di mix abbiamo constatato che i ragazzi sono costretti a trovarsi un lavoro in città e, se va bene, sostengono i genitori durante il week end. Alla lunga le persone non ce la fanno e sono costrette ad abbandonare il business, così sparisce un attore economico e pian piano anche gli abitanti del paese.

49 Animazione Sociale inserto 47 Il raggiungimento del nostro obiettivo pensiamo possa concorrere a interrompere lo spopolamento di Mendatica. Il territorio come opportunità di lavoro Che cosa vi ha spinto a intraprendere l avventura di Brigì? La Proloco e l Amministrazione comunale hanno sempre facilitato la partecipazione dei giovani nella gestione del Parco Avventura e del Rifugio. L esperienza cresciuta sull impegno dei volontari stava diventando insostenibile, da un lato, per la gestione amministrativa e, dall altro, perché non si riusciva a sfruttare a pieno le opportunità del territorio. Così abbiamo pensato: «Perché non proviamo a prendere a pieno le occasioni presenti a Mendatica? Perché non cerchiamo di creare posti di lavoro?». Ne abbiamo parlato con la Proloco, con il sindaco ed è sembrata una buona idea. Francesco Meoli, attuale presidente di Brigì, aveva elaborato la stessa riflessione, così il sindaco ha organizzato un momento in cui potessimo scambiarci delle proposte, in questo modo abbiamo iniziato a condividere l idea di Brigì. Poi, una volta coinvolta anche Paola, abbiamo deciso di far nascere una cooperativa. Non pensavamo a una cooperativa di comunità, non sapevamo neanche cosa fossero, però appena ne hanno parlato i funzionari di Legacoop abbiamo capito che era la nostra strada. Inizialmente avevamo pensato a una cooperativa, perché l idea era di promuovere un progetto che vedesse la collaborazione di diverse persone. Un iniziativa economica che potesse essere un occasione per i ragazzi. La cooperativa di comunità sembrava perfetta perché permette di associare l elemento della collaborazione e la dimensione economica connessa all amore per il territorio e le sue tradizioni. Insomma, ogni volta che la strada sembrava aprirsi, prontamente si faceva più lungo il percorso. A una svolta, però, è spuntata la necessità di Brigì. Puoi spiegare? C è stato un momento, quando stavamo individuando i contratti di lavoro, in cui abbiamo temuto di aver sbagliato, perché la cooperativa di comunità è un idea bellissima, ma poi sei una cooperativa di lavoro e quindi dal primo giorno di operatività devi avere dipendenti contrattualizzati. È fattibile ad Alassio, che offre una serie di occasioni, è un po più difficile qui, dove le opportunità sono più limitate. Poi abbiamo risolto i nostri problemi con il contratto a chiamata per il turismo. Lo stiamo utilizzando ancora, anche se vorremmo abbandonarlo perché non offre molte garanzie, né per i lavoratori né per noi che paghiamo contributi altissimi; prima però dobbiamo far maturare nuove situazioni di lavoro per dare stabilità economica all organizzazione. Anche il fatto che i volontari fossero per lo più pensionati ci ha spinto verso la cooperativa di comunità, loro hanno a disposizione molto tempo, ma la prospettiva futura di supporto è a medio termine. I giovani, invece, per condizioni lavorative ed Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

50 48 Animazione Sociale inserto esistenziali possono mettere a disposizione sempre meno tempo. L unica soluzione, per non vedere un impoverimento delle iniziative e del paese, era creare le condizioni per cui alcune attività producessero valore e quindi posti di lavoro. Ecco Brigì. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani È stato difficile? Molto. Bisognava essere strutturati e noi non lo eravamo. Oltre tutte le attività c erano anche gli adempimenti (stendere il bilancio, compilare le fatture e ricevute, ecc.). Gli aspetti burocratici, però, devono essere vissuti come vincoli che permettono di strutturarsi e di crescere. Passo dopo passo migliora il livello di organizzazione e le cose diventano più semplici. Abbiamo ancora tanta strada da fare. L aspetto più delicato è stato pagare i nostri stipendi. Inizialmente emergeva una sorta di senso di colpa, pensavamo che con quei soldi avremmo potuto comprare un imbrago oppure sistemare meglio una parte del Parco. Dopo abbiamo capito che era fondamentale pagarsi, perché quello era diventato il nostro lavoro. Soprattutto per chi arrivava dall esperienza della Proloco, è stato ed è ancora un aspetto complicato. Quando si passa da un azione volontaria a una lavorativa è strano farsi retribuire, però è fondamentale per far crescere l organizzazione. Una questione di connessioni Il percorso che descrivi è ricco di incontri, persone, organizzazioni e istituzioni che hanno saputo abilitare i giovani. Ma quali sono gli eventi che ti hanno portato a investire in questa esperienza? Personalmente, sia per educazione familiare sia per l esperienza maturata alla Proloco, ho deciso che sarei tornata a vivere a Mendatica. La mia tesi triennale, motivata dall interesse verso il territorio e dal recupero della tradizione, ha visto l elaborazione dello studio del Piano di gestione e di valorizzazione territoriale. Inizialmente l attenzione era verso l aspetto ingegneristico e tecnico. Nel percorso ho compreso quanto il turismo fosse fondamentale per Mendatica e ho deciso di partecipare attivamente alla Proloco. Il salto di qualità, sia per me sia per gli altri due soci fondatori, è stato il bando di Coop Startup perché ha cambiato la nostra consapevolezza, sono aumentate le nostre conoscenze amministrative, di marketing, di gestione dell organizzazione, ecc. Dopo Coop Startup abbiamo capito che la cooperativa era un azienda e da lì abbiamo sviluppato nuovi comportamenti. Abbiamo compreso che era necessario coniugare la passione per il territorio e per le tradizioni con una gestione aziendale orientata alla sostenibilità. La formazione è stata fondamentale, sono un ingegnere edile e di organizzazione e cooperativa non ne capivo molto, adesso riesco ad orientarmi. Raccontaci meglio di Coop Startup Era un bando che promuoveva la nascita e il sostegno di neo cooperative. La call era semplicissima, bastava presentare l idea di business e allegare i Cv. Hanno par-

51 Animazione Sociale inserto 49 tecipato 91 gruppi e sono state selezionate 30 idee. Nella fase successiva abbiamo seguito delle lezioni sulle logiche cooperative, il modello di business, gli aspetti economici e di marketing. Dopo circa un mese è stato avviato un laboratorio sulla stesura del business plan e un corso on line sulla comunicazione, il ruolo del datore di lavoro e altri temi. A gennaio abbiamo presentato il business plan e sostenuto un esame orale. Alla fine siamo stati selezionati tra i primi dieci progetti. Questo ha significato vincere un contributo di attuazione di euro in tre anni, un contributo di euro a fondo perso e un corso di economia presso l università di Genova. Durante la formazione abbiamo compreso la necessità di lavorare in gruppo e di promuovere le potenzialità di tutti. Passione per il territorio e scelta del gruppo Quindi la consapevolezza dell importanza del gruppo di lavoro è emersa lentamente? Sì, sia il gruppo sia la comunità hanno avuto un ruolo fondamentale, ma l abbiamo compreso con il progredire dell esperienza. Inizialmente pensavamo che la cooperativa l avremmo costituita e gestita in tre. Non abbiamo riflettuto sul valore del collettivo. Non ci siamo chiesti se il nostro fosse il team giusto e se ci fossero le competenze necessarie. Questi ragionamenti li abbiamo maturati dopo la nascita della cooperativa nel tentativo di colmare le lacune. Anche perché, a differenza di molte altre startup, noi abbiamo come asset centrale la passione per il territorio, il legame con la nostra comunità e le nostre tradizioni. Questi sono gli elementi che tengono unita Brigì. Strada facendo, capita l importanza del gruppo, abbiamo cercato e stiamo cercando di promuovere un lavoro sempre più condiviso. C è ancora molto da imparare, in particolare rispetto alle azioni mirate a far crescere lo spirito di gruppo e la comunicazione interna. Ne avevo parlato un po anche nella presentazione di Rovereto (1). Avevo raccontato delle riunioni interne che organizziamo una volta al mese: possono sembrare noiose e retoriche, ma in realtà sono un momento per condividere con tutti i soci come sta crescendo Brigì, anche con i più giovani che magari non ne sono pienamente consapevoli. Il rapporto con la comunità è stato altrettanto determinante anche perché, una parte importante di essa, ha promosso la nostra nascita. E l altra parte? L altra fatica a credere in quello che realizziamo. Quando presentiamo l esperienza di Brigì fuori da Mendatica siamo pienamente apprezzati, in paese invece una parte della comunità è critica. Poi, dopo aver spiegato ogni azione, mostrato che non rubiamo e che realizziamo delle attività a favore del territorio, forse, il nostro lavoro viene apprezzato. Il recinto che vedi, ad esempio, è stato eretto grazie a noi, 1 Brigì è stata una delle 20 esperienze discusse a «Cose da fare con i giovani/2» (Rovereto, febbraio 2017), evento promosso da Animazione Sociale, Associanimazione, Provincia di Trento. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

52 50 Animazione Sociale inserto il Comune da solo non ci sarebbe riuscito. Per un mese intero tutte le mattine lo trovavamo distrutto in alcuni punti. Oppure appena è iniziata la pulitura sistematica del parco sono stati pubblicati dei post su Facebook che raccontavano che con il soffiatore sporcavamo lo scivolo dei bambini. Anche durante la prima settimana di pulizia del parco abbiamo trovato i bidoni della spazzatura rovesciati e tagliati. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Come avete reagito? Ci siamo detti che è comprensibile una resistenza alle iniziative innovative. Proprio perché funzionano, cambiano alcuni rapporti interni alla comunità. Questa spegazione non ci bastava, non volevamo arrenderci alla confusione che poteva crescere. E così l anno scorso abbiamo deciso di dedicare un filone di comunicazione alla comunità. Le nostre classiche modalità di divulgazione, basate sul web e i social network, non erano adatte agli abitanti di Mendatica, così stiamo provando a sviluppare contenuti specifici, a usare linguaggi differenti e a costruire nuovi momenti di contatto in modo da far apprezzare il valore della nostra azione. Nella presentazione utilizzata nel 2016 spieghiamo che tipo di contratti lavorativi applichiamo, come gestiamo la cooperativa e, infine, presentiamo il nostro bilancio. Poi raccontiamo che paghiamo le bollette della corrente elettrica molti pensavano che il costo fosse sostenuto dal Comune,che abbiamo reso free la wi-fi in alcune zone di Mendatica e che realizziamo una serie di attività gratuite per la cittadinanza. La comunità nel suo insieme comincia a comprendere l apporto del vostro lavoro al futuro dei giovani e di Mendatica? Sì, all ultima assemblea oltre ai soliti sostenitori c erano trenta persone contro le cinque dell anno prima. Significa che stiamo riuscendo a raccontare bene le nostre attività. Chi viene più o meno apprezza ciò che facciamo. L aspetto più riconosciuto è la capacità occupazionale, infatti diamo lavoro a molti ragazzi. Più difficile far comprendere l importanza che a farlo sia una cooperativa nata da giovani del paese. Per molti anche se fosse una Srl che viene da Milano sarebbe identico. Altro elemento difficile da comunicare è la strategicità dell investimento sulla valorizzazione territoriale. Negli ultimi mesi stiamo cercando di uscire dai limiti di Mendatica strutturandoci maggiormente e collaborando con il Parco (2) e con altre associazioni in modo da dare una strategia turistica all Alta valle Aroscia che ha delle potenzialità inespresse. Il percorso descritto è fondamentale per la nostra cooperativa, per Mendatica e per tutte le comunità dell Alta valle Aroscia. L innesco promettente di un circolo virtuoso Dal vostro punto di vista quali sono gli aspetti su cui lavorate in un ottica di bene comune? 2 Parco naturale regionale delle Alpi liguri: è esteso nei Comuni di Osio d Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte, Pigna, Rezzo, Rocchetta Nervina, Triora.

53 Animazione Sociale inserto 51 Il business di Brigì si basa su Mendatica, così investire sulla nostra attività significa valorizzare il paese e questo produce un circolo virtuoso che ci permette di crescere e di fare del bene al territorio. Vi racconto una storia semplice, ma che rappresenta il nostro spirito imprenditoriale. Stavamo pulendo il paese in occasione della festa della Cucina bianca (3) e Paola mi dice: «Dovremmo chiedere alla Protezione civile se ci presta il mezzo una volta ogni due mesi per pulire il paese». Io le chiedo: «Secondo te dobbiamo chiedere un corrispettivo economico al Comune?». Lei: «Se ci danno il mezzo con il gasolio, per noi è un vantaggio avere il paese pulito, per cui, possiamo farlo anche gratis». Un altra volta abbiamo contribuito gratuitamente a tener aperto l Info point Iat per due anni. Per noi è una logica naturale e normale, ma ci stiamo rendendo conto che non è scontato e a volte insospettisce le persone, perché pensano che ci sia «dietro qualcosa di strano». Invece noi, da una parte, lo facciamo perché siamo legati al nostro paese (a tutti fa piacere il parco sistemato come un giardino e il paese pulito), dall altra, perché fa parte dell azione imprenditoriale della cooperativa. È un investimento sul territorio che riguarda tutta la comunità: da un lato, è un azione di riqualificazione della filiera e, dall altro, è un attività di tenuta sociale ed economica del paese. Tutto questo però non viene percepito. Se fossimo una cooperativa sociale e portassimo la spesa all anziano probabilmente sarebbe tutto più comprensibile, perché queste dinamiche sono già attive all interno della comunità. Una governance con un rapporto a tre Come sostegni avete avuto la Proloco, il Comune, Legacoop... Praticamente la governance del territorio e della cooperativa funziona perché c è un rapporto a tre: Brigì, Proloco, Amministrazione comunale. La Proloco è stata fondamentale perché attraverso la sua azione volontaria ha creato le attività che hanno permesso alla cooperativa di nascere e oggi prosegue nella sua azione in stretta collaborazione con Brigì. Il valore aggiunto della Proloco è l averci trasmesso l idea che se vuoi fare qualcosa è necessario organizzarsi e che è importante dedicare del tempo agli altri e al proprio territorio. Le altre cooperative di comunità che conosciamo sono generate da un trauma: la chiusura dell ultimo bar, la presenza di un borgo disabitato, ecc. La particolarità di Brigì, invece, è che nasce in maniera quasi spontanea in un ottica di valorizzazione del paese. È un percorso di auto-organizzazione sostenuto da alcuni ragazzi per far esplodere le potenzialità di Mendatica. L Amministrazione comunale ha facilitato e sostenuto le iniziative della cooperativa, in una comunità così piccola senza collaborazione sarebbe stato difficilissimo far crescere Brigì. Iniziare a gestire il Parco Avventura non pagando un affitto, ma fornendo dei servizi alla comunità è stato di grande aiuto. Ha permesso, da un lato, 3 Cucina bianca, il penultimo sabato di agosto. È una rassegna di piatti di origine prevalentemente povera, anticamente base alimentare dei pastori. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

54 52 Animazione Sociale inserto di aumentare i nostri volumi di lavoro e quindi i dipendenti, dall altro, invece, ha alleggerito la nostra situazione finanziaria in quanto abbiamo potuto concentrare le risorse economiche solo per il pagamento degli stipendi e dei costi aggiuntivi (spese fisse, corrente, assicurazioni, collaudi, ecc.). Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Il supporto di una rete di cooperative E Legacoop a cui hai accennato in precedenza? Legacoop, insieme a Coop Start Up, ha reso possibile la nascita di una rete di cooperative. Nel nostro percorso abbiamo capito che più avremmo condiviso con le altre cooperativa, più ci saremmo supportati e più le nostre realtà sarebbero cresciute. Tutti i partecipanti erano laureati, con master, con esperienze diversificate e ciò ha permesso di alzare continuamente il livello dell esperienza. Coop Startup ha dato forza a Brigì e a tutto il gruppo. I corsi sono stati importantissimi, averli organizzati a «Condiviso» spazio di coworking che si occupa anche di gestione del territorio e di turismo e non in università ha offerto maggiori stimoli, tante piccole attenzioni che hanno permesso di creare un bel gruppo. Con gli altri soci di Brigì si parla spesso di Coop Startup e riteniamo che l utilità principale sia stata l apprendimento di nuove conoscenze, l accrescimento delle nostre competenze e l innovazione del nostro modo di lavorare. Con i soldi abbiamo fatto parecchie cose: aggiustato gli appartamenti, realizzato una formazione in ambito di comunicazione, ecc. Le risorse economiche sono state determinanti per la decisione di partecipare, ma oggi capiamo che erano l aspetto meno importante. Il sostegno di Legacoop è stata importante anche dopo Coop Startup, perché ha continuato a offrire strumenti alle cooperative nate dal progetto. Tanto che con le altre startup abbiamo promosso una rete e continuiamo a lavorare insieme. Noi portiamo, ad esempio, le nostre iniziative a Genova alla Notte bianca dei bambini, per noi non sono attività particolarmente innovative, ma nel capoluogo sì. Avere un legame con Genova, con altre cooperative che sono più innovative, più aperte ai cambiamenti, permette anche a noi di essere più dinamici e capaci di guardare al futuro. Se fossimo rimasti da soli sarebbe tutto più difficile. Quindi avete creato spazi di condivisione con le altre cooperative conosciute a Coop Startup? Sì, praticamente è nato tutto da un gruppo di WhatsApp. Al momento siamo una rete informale che si chiama Giovani innovatori Liguria. Come spazio fisico utilizziamo Tatabox spazio che crea servizi per studenti oppure Condiviso dove ci riservano delle sale in cui possiamo incontrarci per confrontarci, coordinarci e progettare nuove proposte. Le collaborazioni sono nate all interno delle relazioni: ad esempio, Condiviso, ha supportato Brigì sul marketing territoriale, sono venuti a Mendatica, ci hanno

55 Animazione Sociale inserto 53 aiutato a riorganizzare i contenuti e ad impostare un piano di comunicazione. Sono stati fondamentali. La collaborazione, in spirito cooperativistico, sta andando avanti e per noi è fondamentale perché Condiviso è una realtà di professionisti che lavora nell ambito della promozione del turismo locale da oltre dieci anni. Mentre con Tatabox collaboriamo anche perché la presidente è la responsabile di Generazioni Liguria. Gli organizzatori di Coop Startup non si aspettavano tale ricettività da parte nostra, invece abbiamo cercato di cogliere al massimo ogni opportunità. Gli elementi determinanti Volgendo lo sguardo all indietro, quali sono per te gli elementi determinanti del vostro lavoro? Difficile, ma ci provo. Il primo elemento è stato semplicemente sperimentare che impegnandosi si raggiungono dei risultati. Secondo elemento è aver visto la crescita della Proloco, non si sono mai fermati, passo dopo passo sono andati sempre avanti. Questo ha fatto bene a loro, ma anche a Mendatica. Lo stesso discorso vale per l Amministrazione comunale che ha sempre cercato di andare oltre, ampliare i contatti, rafforzare le reti esistenti e costruirne di nuove. Altro fattore, credo, sia stato la fortuna di avere a che fare con persone e organizzazioni che avevano una visione di futuro. A Mendatica abbiamo imparato che puoi lavorare per modellare il futuro e, se riesci a farlo insieme agli altri, è ancora più probabile raggiungere gli obiettivi prefissi. Poi è stato essenziale che il Comune abbia investito sul territorio, non solo sulle opere fondamentali come le strade e l acquedotto, ma anche su attività ludico-aggregative come il Parco Avventura oppure la Festa della Cucina bianca che porta in paese oltre ragazzi. Questo ha permesso di sviluppare senso di appartenenza, di affezionarsi a Mendatica e ha posto le basi per la nascita di Brigì. Altra questione centrale è che i ragazzi fondatori di Brigì hanno vissuto una parte della loro vita lontani dal paese (le scuole superiori, l università, alcune esperienze lavorative). L ibridazione delle esperienze ha permesso di guardare al nostro territorio in maniera diversa, di portare nuovi stimoli e innovare i processi sociali. Infine, l ultimo aspetto, Mendatica, ci viene detto spesso: «È un avanguardia». Inizialmente alcune attività (per esempio, la Cucina bianca) hanno funzionato e poi si è sempre cercato di innovare e fare nuove iniziative. Alcune non hanno funzionato e sono state eliminate, altre proseguono. Però tutti dicono: «A Mendatica, avete una marcia in più». Io credo che sia solo la scelta di non accontentarsi dell esistente. Quando si parla di innovazione il pensiero va subito alle App, alla Piattaforma digitale. Voi invece fate proprio altro Noi non volevamo fare innovazione sociale, ma solo aprire un attività economica e per farlo in un paese di 120 abitanti devi fare innovazione ed essere sostenibile per forza, altrimenti fallisci. La cooperativa di comunità è lo strumento, non il fine. Ci Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

56 54 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani hanno chiamato al convegno «Mattone alla comunità» di Perugia e loro vedevano la cooperativa di comunità come obiettivo per far rinascere i paesi dopo il terremoto. Personalmente non credo sia sufficiente, ci dev essere uno spazio di condivisione e un rapporto forte con il territorio. Quello che permette di far nascere una cooperativa di comunità è il legame tra il lavoro svolto e il territorio/comunità. Noi possiamo fare pulizia dei sentieri piuttosto che gestire un rifugio o un Parco Avventura, ma lo scopo unificante è rivalorizzare e far vivere Mendatica. Partiamo dalla prospettiva economica e poi, rilanciato il ciclo economico, cerchiamo di riattivare i vari cicli: sociali, culturali, ecc. La cooperativa di comunità è un mezzo, non il fine. Cosa è cambiato da quando avete iniziato a lavorare? La questione principale è che in paese c è un attività in più, se noi ragionassimo in percentuale c è stato un incremento di posti di lavoro molto importante. Ci sono 13 ragazzi che hanno un progetto e una visione comune e ciò è fondamentale perché partecipano alla costruzione di un futuro per Mendatica. Poi sono successe tante cose, molte inattese: ad esempio, è stato significativo l interesse e il sostegno del mondo cooperativa dopo l alluvione che nel 2016 ci ha duramente colpito. Altrettanto importante per noi è l interesse che è nato intorno a Brigì, è stato molto bello essere invitati a Rovereto e poterci confrontare a partire dalla nostra esperienza. Infine, un elemento di cui andiamo particolarmente fieri, è la costruzione di una prospettiva collettiva per i ragazzi della valle. Qualche giorno fa parlavo con Chiara, una delle nostre socie, e mi raccontava che quando andò a Genova a studiare pensava che non sarebbe mai tornata a vivere a Mendatica. Adesso, invece, abita in paese. Nella scelta, mi diceva, ha pesato anche il fatto di aver visto nella cooperativa un idea di futuro per il paese. Tre sfide per il futuro Per concludere ci racconti le criticità dell esperienza e tre sfide per il futuro? A volte siamo poco preparati e professionali rispetto ad alcuni servizi che offriamo e quindi dobbiamo migliorare, come, del resto, è necessario crescere sulla capacità di disegnare i nostri business model e redigere business plan. L altra criticità è la capacità di coinvolgimento della cooperativa, vorremmo aumentare il nostro numero di soci in modo da accrescere il coinvolgimento della comunità. La prima sfida è realizzare tre contratti part-time, come ho raccontato all inizio dell intervista. La seconda, realizzare «l albergo diffuso» perché a Mendatica ci sono molte case sfitte che non sono particolarmente adeguate, sarebbe sufficiente un intervento strutturale minimo e una messa in rete per farle diventare un occasione turistica, economica e sociale. L ultima sfida è quella di uscire dalla dimensione comunale e partecipare allo sviluppo di una strategia territoriale più ampia per promuovere il turismo nella nostra valle.

57 Animazione Sociale inserto 55 Marco Lo Giudice, Riccardo Nardelli Le nuove generazioni soffrono, fino a nutrire ansia e paura per la linea evolutiva della società e del mondo intero, proprio perché più di altre generazioni si sentono dentro la «madre terra», dove il qui e l altrove sono percepiti mondi contigui. Come trasformare tale ansia in aspirazione all aver cura del mondo come luogo di autorealizzazione? Se non viene coltivata e praticata dentro i vincoli che ci assediano, questa aspirazione rischia di farsi mortifera. Essa invece può alimentare forme di azione, anche economiche, dove ragazzi e ragazze si fanno parte attiva nel cambiare il mondo qui e ora per cambiare il mondo altrove. Non è una scuola quella dove non c è utopia al lavoro Il Social day dei giovani in azione tra scuola, territorio, mondo I banchi radunati al centro della classe, come un grande tavolo quadrato, le sedie attorno, i docenti scrutano un ordine del giorno pieno, si andrà ben oltre l orario previsto, forse si farà sera. C è chi sbadiglia, chi corregge compiti, chi risponde a una telefonata. È il momento di accordarsi sulle attività extra-curricolari della classe: gite, progetti, iniziative. Ed ecco, una voce sentenzia gelida: «Questa classe fa già troppe cose, non c è spazio per il Social day», qualcuno annuisce, qualcun altro tace contrariato, e si prosegue pertanto con il punto successivo. È vero. Nella scuola dei soli risultati, del futuro calcolato, del rischio minimo, per il Social day non può esserci spazio. In questa scuola, l utopia non ha posto. Eppure, in educazione, non c è niente di più serio dell utopia. Niente che richieda tanto spazio quanto l utopia. Vedere qui, ora quel che ancora non c è, e agire di conseguenza, è un gesto rivoluzionario, rivoluzione che si fa educazione e che segna l esistenza in un orizzonte di senso (1). * Il testo cerca di condensare in poche pagine due pomeriggi a Rovereto di scambi intensi e profonde riflessioni con i giovani e le giovani del Social day italiano, in occasione del Convegno «Nuove generazioni Altre generatività» del febbraio Per informazioni: info@socialday.org 1 «Cammino per dieci passi e l orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non lo raggiungerò mai. A cosa serve l utopia? Serve proprio a questo: a camminare», in Galeano E., Parole in cammino, Sperling & Kupfer, Milano 2006, p Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

58 56 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani La possibilità di sporcarsi le mani per occuparsi del mondo La sfida del Social day comincia da lontano, mezzo secolo fa, dalla nostalgia e dalla riconoscenza per un gigante d Europa, Dag Hammarskjöld. All indomani della sua morte improvvisa nei cieli africani, in un incidente aereo le cui cause non saranno mai del tutto chiarite, un gruppo di giovani delle scuole superiori svedesi decide di istituire una giornata a lui dedicata per raccogliere fondi da destinare ai Sud del mondo. Seguendo uno sviluppo carsico, discontinuo, per certi versi fortuito e casuale lungo tutta Europa, nel 2007 questa esperienza approda a Bassano del Grappa, e in dieci anni coinvolge la provincia vicentina e altri territori in Veneto, Lombardia, Toscana e Trentino. Nel 2017 partecipano al Social day quasi studenti con un raccolta fondi di circa euro. Un processo intenso di cittadinanza attiva L algoritmo è semplice: in una giornata scolastica di primavera, dal forte valore simbolico il Social day, appunto migliaia di bambini, ragazzi e giovani sono coinvolti in un attività «retribuita» il cui guadagno andrà a finanziare dei progetti di cooperazione internazionale e solidarietà. I lavori possibili sono tanti quanti sono i ragazzi coinvolti: dall orto del vicino, alla fabbrica dello zio; dal negozio del centro, alla propria parrocchia; dalla fioreria al supermercato; dall inserimento dati alla mungitura del latte. La costruzione di questa giornata diventa un processo intenso di cittadinanza attiva, attraverso il quale i giovani durante la scuola possono vivere momenti formativi sui temi dei diritti, della pace e della giustizia, e sperimentare la possibilità di farsi portavoce dei loro pari, coinvolgendoli e formandoli a loro volta. La finalità intrinseca del Social day è, quindi, raccogliere fondi da destinare a progetti di cooperazione; ma è anche verrebbe da dire soprattutto promuovere, in una giornata simbolica, l azione di una città sensibile in cui le giovani generazioni «chiamano» il territorio ad attivarsi in iniziative solidali, attraverso modalità ispirate allo sporcarsi le mani e al fare insieme. Il giorno di chi crede che si possa cambiare il mondo È un concetto di giustizia. La ricchezza nel mondo è mal distribuita per cui in realtà quando noi facciamo del bene, non siamo migliori di altre persone, semplicemente stiamo facendo il giusto, stiamo cercando di equilibrare la ricchezza. (Stefano) Chi partecipa al Social day, chi vive il lungo processo che conduce alla giornata d azione, vuole cambiare il mondo. Anzi, crede che si possa cambiare il mondo. Ecco, non si può raccontare il Social day se non si tenta di comprendere a fondo

59 Animazione Sociale inserto 57 che cosa implichi questa convinzione nei giovani coinvolti. Una convinzione che nasce necessariamente da un passo iniziale, da un cominciamento, con il quale si chiede ai ragazzi una profonda presa di coscienza rispetto alla «condizione universale del mondo» (2). Non è scontato, e non è facile, avviare il Social day da un istantanea del contemporaneo che non sia già interessata a produrre una volontà di cambiamento e trasformazione. Difficile attestare il fallimento del liberalismo, la crescita di ingiustizie e disuguaglianze, la promessa di libertà cuore del pensiero moderno tradita a Sud dell occidente, il divario tra pochi che hanno tanto e un infinità che vive con nulla; difficile condividere un drammatico fallimento di almeno tre generazioni con l ultima di queste, nata nel nuovo millennio, innocente e oppressa da un presente senza futuro. Il mondo cambia cambiando le regole qui e ora A questo passo necessario, segue l invito a cambiare il mondo, a cambiarne le regole, riconoscendo il fallimento di quelle che l hanno condotto fin qui. Cambiare le regole, perché non piacciono, perché sono vecchie, perché raccontano di un mondo che non ci appartiene, perché non liberano futuro. Cambiarle subito, con la consapevolezza di avviare un processo prendendovi parte fin dall inizio. Un invito a un salto folle, paradossale, come Morpheus chiede a Neo in Matrix (3), ma possibile. Il presupposto etico del Social day è la possibilità, che l antropologo Arjun Appadurai contrappone alla probabilità (4), in una sottigliezza che produce uno scarto di speranza, che libera immaginario, genera futuro, nutre la capacità di aspirare. Il mondo cambierà? Improbabile, forse, ma possibile. In questa domanda c è la prima mano tesa ai ragazzi: la disponibilità a crederci, a mettere a dura prova il disincanto e la disillusione del mondo adulto, a tenere a bada le convinzioni socio-politiche, e a immaginare il cambiamento possibile. Il Social day è un utopia che diventa realtà. Potrebbe sembrare un controsenso ma lo è. Noi giovani siamo spesso attratti dall impossibile e forse questo è il motivo per cui un progetto del genere ci attira tanto. (Giada) È un registro nuovo, un linguaggio della possibilità che non appartiene al quotidiano dei banchi, delle aule, delle classi, dei voti, e perciò già potente, immediato, nuovo. Ma che richiede immediatamente un aggancio incontrovertibile con il reale: ok, ci stiamo dicono i ragazzi ma vogliamo le prove. Perché è possibile, questo cambiamento? O diversamente: che cosa rende possibile il Social day? 2 Vattimo G., L ultima lezione del filosofo che lascia l Università. La verità e l evento: dal dialogo al conflitto, in «La Stampa», ottobre «Devi lasciarti tutto dietro, Neo. Paura, dubbio, scetticismo. Sgombra la tua mente», così il personaggio di Morpheus sprona Neo in Matrix. 4 Appadurai A., Il futuro come fatto culturale, Raffaello Cortina, Milano 2014, p Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

60 58 Animazione Sociale inserto Azioni che danno sostanza alla consapevolezza L impalcatura del Social day si salda su alcune azioni. È bene cominciare da qui per comprendere come un giovane si possa sentire agente (attore) di cambiamento. Come si vedrà qualche riga più avanti, la pedagogia del fare qui abbraccia la pedagogia dell agire, scavando più a fondo nei gradi di consapevolezza dei giovani partecipanti. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Noi siamo un gruppo più ristretto composto da referenti di tutte le scuole, in pratica coordiniamo a livello generale quello che poi si fa all interno delle scuole. Siamo dietro le quinte di tutti gli appuntamenti pubblici del Social day: la giornata di presentazione dei progetti, la giornata d azione, la conferenza stampa, l evento finale. Ci troviamo ogni due settimane e, se necessario, anche una volta a settimana. Siamo un gruppo, quindi le responsabilità sono distribuite, c è un bel lavoro di squadra. (Andrea) Con il Social day non si fa solamente, si agisce: a partire da una prima fase di formazione e informazione sui temi della cittadinanza attiva, della pace e della giustizia affiancata a momenti di coinvolgimento della cittadinanza attraverso incontri, seminari, convegni, contatti diretti i giovani interessati a curare l intero processo del Social day proseguono con le due fasi cruciali, nelle quali il loro coinvolgimento è profondo (5), reale, si potrebbe dire necessario alla riuscita stessa dell iniziativa. L organizzazione della giornata d azione In queste due fasi l organizzazione complessiva della giornata d azione e la scelta dei progetti da finanziare con i fondi raccolti i ragazzi sono affiancati dagli operatori locali del Social day, giovani adulti con l obiettivo preciso di incentivare anche nel singolo dettaglio la presenza degli studenti. Per quanto riguarda l organizzazione della giornata d azione, i giovani curano con grande attenzione tutte le questioni logistiche e burocratiche sottese al progetto: la promozione e la sensibilizzazione dell iniziativa, la formazione per i propri compagni e compagne partecipanti sui temi fondanti il Social day, l affiancamento ai loro compagni nella individuazione dell attività da svolgere, personalmente o di gruppo, la registrazione e l archiviazione delle iscrizioni, la raccolta dei fondi inviati o consegnati ai ragazzi. La discussione intorno alla scelta dei progetti da finanziare La scelta dei progetti si concentra invece nei primi mesi dell anno ed è davvero un momento determinante in tutto il percorso vissuto dai ragazzi: è qui che avviene un incrocio virtuoso di sperimentazione democratica e acquisizione di competenze 5 Appadurai A., op. cit., p. 241: «Dal punto di vista semantico, democrazia profonda evoca radici, ancoraggi, intimità, vicinanza e collocazione».

61 Animazione Sociale inserto 59 valutative che guardano con attenzione alla qualità, tenendo a un piano inferiore la quantità. In un momento piuttosto sentito coordinato dai ragazzi vengono invitati tutti i referenti delle associazioni che, qualche mese prima, hanno partecipato al bando per accedere ai fondi raccolti con il Social day. I referenti hanno la possibilità di esporre gli obiettivi del progetto in un tempo rigorosamente uguale per tutti e di soddisfare successivamente, in un momento più informale, le varie curiosità raccolte dai ragazzi. Terminata l audizione, i ragazzi si ritrovano per scegliere i progetti da finanziare. Con alcuni criteri condivisi in precedenza, la scelta avviene secondo il metodo del consenso: niente voti per alzate di mano, ma un dibattito anche molto lungo, se necessario che cerca di dare voce alle opinioni, di trovare i punti di convergenza e di giungere così a una decisione collettiva. Nelle giovani generazioni c è un rispetto per i processi democratici molto più alto di quanto pensiamo. Prima, durante e dopo queste due fasi, i giovani hanno l occasione inoltre di partecipare agli incontri di Network team (giovani rappresentanti di tutte le aree del Social day), al meeting nazionale (momento «assembleare» del Network) e alla General assembly di Same (che sta per «Solidarity action-day movement in Europe», il movimento che raduna i Social day d Europa). Il fare qui e ora per agire altrove nel mondo Questo coinvolgimento «necessario» si colloca in un orizzonte di senso che tenta di sradicare la solidarietà dalla beneficenza, rifondandola nella reciprocità e in questa precisa e concreta attivazione individuale e collettiva: nella percezione del cambiamento impossibile, o possibile soltanto con meccanismi distruttivi (dell altro e dell istituzione), si tenta l innesto di un azione che sia di tutti e per questo capace di trasformare. Dalla realtà che ci circonda («l orto del vicino» da cui cominciare non è mai stata un immagine così letterale!) fino al mondo intero, producendo cambiamento a decine di migliaia di chilometri. Una possibilità magnetica per le giovani generazioni: fare qui per agire altrove per cambiare il mondo. Un futuro immaginato, «aspirato» qui e ora, che inonda di senso la mia piccola azione quotidiana. Quando ce lo hanno esposto e ci hanno fatto vedere il video di promozione, mi sono stupito del silenzio che c era, perché non c è mai stato un silenzio così a scuola da noi. (Tobia) In questa direzione, nel Social day la dimensione formativa è legata a doppio filo con il grado di coinvolgimento attivo: se da un lato l azione di quel giorno scomposta in ventimila mani tra badili, scope, pennelli, sacchi, rastrelli e l azione di chi realizzerà i progetti finanziati donano realtà al sogno, all utopia, alla speranza immaginate negli incontri preparatori, dall altro proprio questo scarto culturale maturato nelle parole e nei pensieri dà radici a quel semplice fare. È un legame che non si può scindere, sono due pratiche assolutamente complementari; i giovani hanno bisogno di sporcarsi le mani e aprire le menti, una con- Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

62 60 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani giunzione che racchiude tutto il senso pedagogico del Social day. Una formazione votata all agire si colloca giocoforza in un nuovo modo di apprendere e al contempo produrre conoscenza: siamo distanti da una visione economicista e contabile dell apprendimento, dove una serie di contenuti possono essere travasati da una mente all altra. Il tentativo è di conoscere il mondo, ascoltarne le voci, raccogliere un pensiero collettivo e restituirlo al mondo con l azione. È probabilmente quella che Edgar Morin ha definito identità terrestre: «Un pensiero policentrico capace di tendere all universalismo non astratto, ma consapevole dell unità/diversità umana nutrito dalle culture del mondo» (6). Il giocarsi in prima persona nell impegno e nel conflitto Non si fa, si agisce, quindi. E nell agire l adolescente conosce e vive due dimensioni centrali, potenti, eppure così difficili da incontrare oggi nei percorsi didattici e formativi di un ragazzo: l impegno e il conflitto. L impegno è l arte di lasciare un pezzettino di sé in pegno nel mondo, una parte di quel che siamo, di quel che pensiamo e di quel che facciamo. Mi impegno e perciò lascio traccia del mio passaggio, sento il piede affondare nel solco di chi prova strade nuove. L impegno ha a che fare con la mia capacità generativa di seminare per chi verrà. Dall altro versante, il conflitto spesso attutito dalle procedure e burocrazie dell istituzione scolastica è il ritmo della crescita. Di conflitti il Social day ne conosce tanti, con i docenti, con gli adulti, con le istituzioni politiche, scolastiche, con gli amministratori, e per nessuno di questi è prevista la mediazione di una figura adulta, ma in qualche modo si tenta di coglierne il valore pedagogico e anche qui generativo che rende possibile, senza vincitori né vinti, quella «riorganizzazione contingente che ogni relazione ci offre. In ogni incontro e nella relazione che lo sostiene è possibile infatti prestare attenzione alla discontinuità che si apre ad ogni scambio» (7). Il pragmatisno dei numeri e l idealità delle scelte Ovviamente è una soddisfazione vedere i numeri del Social day crescere, ma la cosa che ha sempre contraddistinto le nostre scelte è la ricerca della qualità prima della quantità: a un espansione incontrollata ed esponenziale (di cui pure il progetto ha potenzialità), abbiamo sempre preferito la forte aderenza ai valori, seppur questa scelta abbia comportato una diffusione più graduale. (Silvia) La correlazione irrinunciabile tra pensare e fare, enucleata dall agire, è certamente alla base del patto al quale corrispondono i giovani partecipanti. Da una parte 6 Morin E., I sette sapere necessari all educazione del futuro, Milano 2001, pp Morelli U., Il confitto generativo. La responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell indifferenza, Città Nuova Editrice, Roma 2014, p. 17.

63 Animazione Sociale inserto 61 la presenza di un fine importante, alto, ambizioso: «fare la cosa giusta» ovvero contribuire a «cambiare le regole» a livello globale, a mettere in discussione le diseguaglianze, impegnandosi nel sostegno della cooperazione internazionale e dello sviluppo locale. Dall altra la possibilità che questa forma di impegno si traduca in qualcosa di misurabile e riscontrabile. Il Social day non va dimenticato è una raccolta fondi: le donazioni ricevute possono fare la differenza ai singoli progetti finanziati, l aumento di partecipanti significa la possibilità di sostenere un maggior numero di azioni nel Sud del mondo, il tam tam informativo può essere generatore di nuovi interessi da altri territori, e perciò di nuove partecipazioni e altri fondi. Insomma: i numeri contano, eccome. I numeri sono importanti, altroché. E i giovani coinvolti ne sono profondamente consapevoli. Questa sensibilità particolarmente vicina a loro (perché di questo tempo, così irrimediabilmente legato ai numeri: sondaggi, statistiche, numeri di like, di views, numeri che si sproporzionano, tra stipendi e mutui a sei zeri, numeri nei voti, nei crediti formativi, numeri per scegliere, per decidere, per votare) viene improvvisamente compresa, risignificata e restituita da loro al mondo in una connessione interessante tra pragmatismo e idealità, tra etica e concretezza. La tensione forte a includere, incrementare, partecipare I destinatari del Social day inteso come processo partecipativo di chiamata all azione sono giovani di un età compresa tra i 6 e i 19 anni, appartenenti alle scuole di ogni ordine e grado della provincia di Vicenza e di altre province venete ed italiane. I più piccoli (scuole primarie e medie inferiori) partecipano per classe (con insegnante), affiancati a un associazione del territorio, i più grandi partecipano in piena autonomia, individuando loro stessi l attività da svolgere. Tra i più grandi, dai 16 ai 19 anni, alcuni vengono coinvolti anche in tutto il percorso organizzativo, vivendo un esperienza di partecipazione piuttosto impegnativa, da novembre a maggio: sono loro a entrare nelle due fasi cruciali descritte sopra, l allestimento di tutto ciò che concerne la giornata d azione e la scelta dei progetti da finanziare. Uno stile di lavoro partecipativo a più livelli, quindi, «incrementale, per piccoli gruppi, capace di generare forme altre rispetto a modalità illuministico-paternalistiche (cfr. chiamate a raccolta dei principali portatori di interesse per discutere di problemi già definiti altrove) o a modalità speculari di tipo assemblearista (dove il mito dell assemblea sovrana finisce spesso per condurre a decisioni elitarie)». (8) La partecipazione all interno del progetto è concentrica e riesce a formare e a coinvolgere i giovani e il territorio a livelli diversi di profondità: uno studente può semplicemente partecipare alla giornata di azione o prendere parte a tutto il processo organizzativo; un azienda o un cittadino possono offrire posti di lavoro o conoscere il progetto incontrando casualmente gli studenti mentre stanno lavorando. Eppure, 8 Mazzoli G., Arricchire l intelaiatura della democrazia, in Costruire partecipazione nel tempo della vulnerabilità, supplemento di Animazione Sociale, 259, Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

64 62 Animazione Sociale inserto anche chi è solo sfiorato dal progetto viene contaminato dagli ideali di solidarietà, cooperazione e cittadinanza attiva. (Maria) Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani La fecondità del permearsi tra cerchi concentrici L idea è che tutti possano fare il Social day, chi partecipando attivamente al percorso formativo e organizzativo, chi sostenendo lo staff scolastico incaricato di portarlo avanti nella propria scuola, chi semplicemente aderendo alla giornata d azione, in un intensità che può variare e contagiare in maniera diversa e producendo un impatto a sua volta multiplo: l impatto effettivo e riscontrabile sui micro-progetti di cooperazione internazionale; l impatto sulla popolazione studentesca che si informa e partecipa; l impatto sulla comunità locale destinataria e promotrice, perché accoglie, riceve e promuove l impegno dei partecipanti. Questi gradi differenti di partecipazione e di impatto della stessa, che tengono insieme senza scollare, sono la sorpresa più grande per i ragazzi: esiste la possibilità di un azione efficace che lasci il segno, a cerchi concentrici, nelle biografie individuali, nei contesti scolastici, nel territorio e in un angolo di mondo. Io, il mio mondo, un frammento di altro mondo, il mondo intero, fuori da verticismi e forzature rappresentative: due tentazioni di un passato sempre più lontano e sempre meno adeguate a leggere le modalità d impegno dell universo giovanile. Nel Social day il vertice non è sulla punta di una piramide ma al centro di una serie di cerchi che si permeano l un l altro, in continua osmosi. E chi sta al centro non necessariamente «rappresenta» gli altri, ma porta «in pegno» se stesso la sua storia, il suo stile, le sue istanze in una sfida collettiva, con obiettivi alti e strumenti concreti. È una strada nuova, ancora da comprendere a fondo, dove la non rappresentatività non si trasforma in distanza elitaria dalla base (un equazione alla quale spesso si riduce la percezione del fare politica attuale) ma rimane un processo fortemente inclusivo, seppur con accenti e sfumature differenti. Una strada senza appartenenze, manifestazioni di piazza, mobilitazioni ideologiche, ma che porta con sé la quotidianità, i micro-contesti, il cambiamento interiore. La spinta istituente del cambiamento qui e ora Capacità di aspirare perché ci si sente agenti di cambiamento, dentro di me, intorno a me, nel mondo. Penso, faccio, agisco. Istituisco il cambiamento, e cioè ne getto le fondamenta e il principio. Istituire, non istituzionalizzare: questo rifuggire a qualsiasi classificazione del Social day (alternanza scuola-lavoro? crediti formativi? volontariato?) è quanto di più anomalo, fastidioso la scuola-istituzione possa temere. I ragazzi chiedono di dare avvio a processi, non di farsi ingabbiare da strade già scritte: sembra che quanto più le strade siano da scrivere, da incominciare, da scegliere, tanto più vengano messe in gioco passione, entusiasmo e serietà. La partecipazione incrementale a osmosi, l assunzione di responsabilità dei giovani in maniera così radicale, investire una giornata di scuola per mettere il proprio impegno a fianco di

65 Animazione Sociale inserto 63 chi lo farà a decine di migliaia di chilometri, sono tutte provocazioni molto potenti se rivolte all abitudine tutta adulta di governare istituzionalizzando, cercando di incasellare il cambiamento per renderlo immediatamente comprensibile e perciò terribilmente innocuo. Il Social day mantiene un efficacia tutta particolare se rimane imprevisto e disordinato, se inquieta schemi e procedure. In qualche modo, si può dire che se si produce un cambiamento là dove giungono i fondi per dare avvio e sostenere i progetti scelti dai ragazzi, si cerca di agire un cambiamento anche qui, reinventando il modo di aggregarsi, di partecipare, di scegliere, di fare insieme, di essere individuali e collettivi senza rappresentanze, senza capi, senza strutture. La leggerezza intensa degli adulti che partecipano Con il Social day si tentano percorsi inediti di governance dei processi di partecipazione e attivazione giovanili. Si potrebbero definire tentativi di «alleggerimento» di abitudini pedagogiche cariche di strutture e regole; a sostenere l esperienza di regole ce ne sono poche, seppure molto precise, così come le strutture, le azioni, le scelte. Complesso sì, ma non appesantito. Un grande tentativo di «sollevarsi dalla pesantezza del mondo» (9), come scriveva Calvino, per poterlo cambiare. Leggera sembra essere anche la presenza adulta in un processo che vede al centro di quei cerchi i ragazzi, una presenza non offuscata o intiepidita, ma leggera. Cosa significa e come si può tradurre? In questa esperienza gli adulti sono «leggeri» perché sono presenti in modi differenti, senza invadere: sono garanti del processo, formatori, facilitatori, educatori gli operatori che affiancano i ragazzi; sono mediatori e attivatori i docenti coinvolti; scommettono, investono, rischiano i dirigenti delle scuole partecipanti; accolgono, promuovono, ripongono fiducia le realtà ospitanti, siano negozi, aziende, enti, associazioni, parrocchie. Un mondo adulto a più dimensioni, ingaggiato per sostenere, affiancare, permettere, disporre, discutere, co-progettare, collaborare. Il mandato è chiaro: rendere possibile, dagli adulti del potere, sostantivo, agli adulti del potere, verbo. In questa particolare leggerezza si nasconde allora un concetto di cura educativa tutto da scoprire: questi adulti praticano una leggerezza più intensa del previsto, che sembra trasmettere una bruciante passione di esistere. Perché le cose si possono vivere, sperimentare, scegliere e soprattutto cambiare. Lo spazio del rischio per chi vuole educare Per rendere possibile l esperienza del Social day è in qualche modo necessaria un assunzione di rischio. Nel Social day tutti rischiano un pochino: rischia la scuola, inserendo l attività nel Piano di offerta formativa a inizio anno e perciò, di fatto, 9 Calvino I., Lezioni americane, Mondadori, Milano 2016, p. 16. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

66 64 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani coprendo con l assicurazione scolastica un attività molto particolare e fuori dal comune; rischia il titolare dell azienda, il commerciante, il genitore, il prete, l amministratore che accoglie i ragazzi, spesso senza conoscerli; rischiano i giovani partecipanti, che si incaricano dell amministrazione di tutta la raccolta fondi. Questa dimensione di rischio porta con sé una cifra educativa molto precisa: chi sta al gioco del Social day è disposto a osare, a spingere abitudini, paure, reticenze qualche passo in là, ad accordare fiducia a tutti gli attori coinvolti. È disposto ad assumersi rischi, e perciò responsabilità. In un assurdo gioco di parole, l istituzione educativa (scuola, famiglia, associazione) che oggi non sa rischiare, rischia di non educare più alla responsabilità. Attenzione, assumersi rischi non significa agire in maniera sconsiderata: significa produrre cambiamenti evolutivi nelle pieghe assicurative, nelle logiche che scaricano barili, nelle paure e ansie camuffate da regole e postille; significa tentare strade nuove, sperimentare, conoscere, fallire, in una parola: apprendere. Le potenzialità del relativismo dei giovani La gioventù intercettata dal Social day non sembra conoscere il nichilismo che la contraddistingue nelle parole e nelle opinioni di buona parte della sociologia contemporanea. Forse agisce, al fondo, un ritorno delle ideologie che hanno mobilitato gli studenti quarant anni fa? Oppure c è qualcosa di nuovo che aggancia i ragazzi, per un momento, consegna loro un orizzonte di senso e li fa agire nel mondo? Ma come possono essere quegli stessi ragazzi raccontati in maniera così differente? L ipotesi è che un certo relativismo contemporaneo sia all origine di entrambi gli immaginari, e che però non si sia colta abbastanza se non per nulla la potenza di questo relativismo nell immaginario delle giovani generazioni. Altro che assenza di ideali, cinismo e utilitarismo: in gioco è la disponibilità a far uscire dalle tasche la propria verità, a condividerla con le verità altrui, a cogliere la pluralità di storie, culture, tradizioni, sguardi sul mondo. «Nella diversità, non contro la diversità dentro l arcobaleno della varietà umana, al centro della scala di grandezza e di valori, non in cima» (10), in un vizio tutto occidentale di guardare al pianeta. È qui che stanno i ragazzi del Social day: conoscono il mondo, ne colgono le verità plurali e agiscono per «affermare il diritto e la volontà di condividere con gli altri la responsabilità della cultura universale», come scrive il poeta senegalese Alioune Diop. La forza del sogno della «terra dall ampio sguardo» E allora non può essere un caso che il Social day sia un esperienza profondamente europea. Nasce in Svezia, per diffondersi in tutto il Nord Europa, in Germania, nei Balcani e da qualche tempo anche qui in Italia: è la rete di Same, il movimento che raduna tutti gli action day per la solidarietà internazionale in Europa. 10 Aime M., Gli specchi di Gulliver, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 93.

67 Animazione Sociale inserto 65 Non può essere un caso perché questo relativismo capace di agire nel mondo porta con sé il sogno della «terra dall ampio sguardo» (così dice l etimologia d Europa), e cioè: non essere al centro, ma ricordare al pianeta che queste lande hanno conosciuto la difficile libertà del decidere insieme, hanno saputo accogliere, creare, conoscere, convivere, scoprire, hanno saputo ricominciare dall umano, dalla sua dignità, dal suo diritto a essere felice. Nel Social day questo sogno tenta la via della concretezza in uno scambio intenso tra i paesi, per condividere buone prassi e importare pratiche partecipative, lavorando in gruppi misti, con finalità collettive e con un pensiero a ciò che sta oltre i confini, in una logica di paziente apertura degli stessi. E in questo processo si ha la sensazione vivida di contribuire alla costruzione di un Europa «dal basso». L Europa del Social day è l Europa che mi piace. È un mondo bellissimo che non credevo esistesse. Se si guarda ai giornali si vede solo la crescita dei gruppi nazionalisti, muri che si alzano e paesi che si allontanano. Non si può negare che tutto ciò accada, è vero ma non c è solo questo anzi, è solo una piccola parte. L Europa giovane è un Europa che crede nel lavoro di gruppo, che non guarda da che Stato provieni o come ti esprimi. Se anche il tuo inglese non è perfetto ti accetta, l importante è farsi capire. È una vera e propria famiglia. Ognuno ha le sue tradizioni e le sue particolarità ma queste non sono motivo di scherno o divisione, nient affatto. Costituiscono un elemento di curiosità e sono rispettate. Ci si diverte assieme ma si lavora anche tanto. Non lo si fa in camicia e cravatta, in lussuose stanze d albergo attorniati dai giornalisti. Ci si ritrova in ostelli economici, indossando abiti magari trasandati e ballando tra una riunione e l altra, ma si è super produttivi. Si riesce a creare cose inimmaginabili persino per i più grandi imprenditori. Semplicemente si crede nel progetto e ci si impegna come si può. È l Europa del futuro, quella che forse era nei pensieri più primitivi della nostra comunità ma che mai si è vista. (Giada) La disponibilità di tanti a «sortirne insieme» «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica», scriveva don Lorenzo Milani con i ragazzi di Barbiana in Lettera a una professoressa. Il tentativo del Social day è il medesimo: si può partecipare, si può agire, si può cambiare il mondo. Numeri alla mano, è possibile. Ma non può valere una logica meramente generazionale. Non è dei giovani, questo percorso. È di tutti, e proprio perché di tutti, i giovani hanno pari dignità, nessuna minorità ma pieno diritto a esserci, qui, ora, oggi, pronti a cambiare. È la sfida della comunità locale, della comunità Italia, della comunità Europa, della comunità mondo: mettere in comune il dono reciproco del proprio impegno, della propria irriducibile presenza, un obbligo collettivo ciascuno nei confronti dell altro, sia esso al nostro fianco, o a diecimila chilometri dalla mia porta di casa, dalla mia scuola, dalla mia vita. Il Social day funziona perché non è l ennesimo giocattolo, un altro «spazio dedicato», una parentesi in mezzo a miriadi di sentenze; non è gentile concessione né pacca sulla spalla. È una seria assunzione di responsabilità collettiva, che parte dalle giovani generazioni ma che abbraccia tutti, nessuno escluso. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

68 66 Animazione Sociale inserto Andrea Marchesi Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Un istanza che emerge da molti esperimenti giovanili, condotti all interno di un approccio economico e culturale ispirato alla condivisione e alla collaborazione, è la ricerca di pedagogia critica, capace di idealità con i piedi per terra, in modo che giovani e adulti possano apprendere a implicarsi con forza nelle sfide dell oggi. E impegno critico vuol dire essere consapevoli dei vincoli, vedere i conflitti negati, interrogarsi sulle conseguenze delle scelte e dei gesti anche quotidiani. Ma soprattutto ingaggiarsi riconoscendo le aspirazioni che emergono dentro il nostro tempo. Giovani alla ricerca sperimentale di utopia, qui e ora Provare a chinarci per indagare le esperienze da vicino Rispetto alle rappresentazioni dell adolescenza contemporanea c è una dimensione che sembra completamente evaporata. Si tratta del conflitto, ovvero della dimensione che ha accompagnato la genealogia della categoria di adolescenza definita, per tutto il 900, come inquieta, turbolenta, ribelle (1). Più specificamente sembra essere scomparsa, almeno dal punto di vista della narrazione socialmente diffusa, la figura dell adolescente che trova nella ribellione, nella contestazione e a volte nell impegno politicosociale le forme privilegiate per esprimere la propria soggettività. Se l adolescenza ha preso forma come categoria indagata dalle nascenti scienze umane attraverso la categoria del conflitto, con tutto il conseguente allestimento di apparato di controllo e contenimento, oggi sembra definitivamente compiuta la traiettoria della patologizzazione che associa all adolescenza uno stato di crisi. E se la turbolenza, l inquietudine e la conflittualità mettevano d accordo quasi tutti gli analisti che hanno iniziato a studiare l adolescenza tra il xix secolo e buona parte del xx secolo, troviamo un analoga convergenza delle analisi più recenti attorno alla categoria di disimpegno come tratto distintivo dell adolescenza contemporanea. 1 Cfr. Barone P., Pedagogia dell adolescenza, Guerini, Milano 2009, pp

69 Animazione Sociale inserto 67 Dalla gioventù ribelle all adolescenza fragile Abbiamo assistito all uscita di scena della figura dell adolescente identificata nell essere contro, nel mettere in discussione il sistema di valori e l ordine simbolico delle generazioni precedenti, assumendo i connotati del ribelle. Non c è più traccia di adolescenti borghesi che mettono in discussione appartenenza e posizione di classe come è accaduto a più riprese nella modernità, dai moti rivoluzionari del 1848 fino al movimento del 1968 che, per la prima volta, vede una vera e propria connotazione anagrafica come «rivolta dei giovani». Un inno all adolescenza, alla sua energia e alla sua bellezza come visione politica per cambiare il mondo, come è stato il poema di Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, appare oggi come un reperto archeologico. Sembra quasi surreale pensare che il testo più rilevante della pedagogia italiana del 900, Lettera ad una professoressa, sia stato scritto da un gruppo di ragazzi durante un esercizio di scrittura collettiva nella scuola di Barbiana. Non sembra nemmeno più concepibile la soggettività adolescenziale che attraverso l esercizio del conflitto trovava una forma di riconoscimento sociale, di protagonismo sulla scena pubblica, sia nelle modalità dell agire politico, sia nella capacità di incidere sul piano culturale. In particolare ciò che pare davvero derubricata è quella dimensione dell impegno che rimanda all engagement di J. P. Sartre, ovvero a una filosofia dell azione e della prassi, a una visione della libertà individuale che trova realizzazione nell agire sociale e collettivo. L adolescenza come nascita sociale e come ricerca del proprio appuntamento con il mondo sembra, pertanto, avere reciso il legame con la costruzione di una visione della realtà che si afferma nell azione, cercando di lasciare un segno, cambiando le condizioni entro le quali ci si trova a crescere. La politicità adolescenziale appare come definitivamente disinnescata, facendo tramontare una serie di elementi che ne avevano connotato l emersione e l affermazione lungo tutta la modernità: il conflitto, la differenza, la trasgressione, l idea stessa che il passaggio adolescenziale implicasse l attraversamento di uno spazio di cambiamento. Siamo passati dalla celebrazione della gioventù ribelle all iscrizione dell adolescenza in uno schema di fragilità, senza renderci conto della performatività di questo tipo di ordine del discorso. Adolescenti nella zona di sicurezza Il primo effetto di questa traiettoria è ampiamente noto: l adolescenza non è più da tempo riconosciuta come soggettività da interpretare, ma solo come oggetto di studi, indagini e trattamento. È come se ci fosse un rapporto direttamente proporzionale tra la sovraesposizione di studi scientifici e di rappresentazioni mediatiche dell adolescenza, con l evanescenza della sua soggettività. La rimozione del conflitto e della differenziazione, la scomparsa dell azione pubblica e dell impegno, fanno restare sulla scena solo le componenti negative e poten- Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

70 68 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani zialmente auto-distruttive: le patologie psichiche, il bullismo, le nuove dipendenze. Le domande che vengono associate all adolescenza, non a caso, sono tutte prevalentemente sotto il segno della cura e della protezione. L enfasi sulla fragilità come condizione costitutiva dell adolescenza determina la creazione di una distanza di sicurezza che separa i ragazzi dal mondo, gettandoli in un microcosmo autoreferenziale, individualistico, a tratti autistico, privo di legami, ma anche di attriti. Pensiamo, ad esempio, alla centralità che ha assunto la normativa sulla sicurezza in ambito formativo con il suo corollario di limitazioni paradossali, sul piano della mobilità come della possibilità di sperimentazioni autonome e attive: l importante è che i ragazzi non si facciano male. Questa distanza di sicurezza dall urto con la realtà, insieme alla «formattazione» di qualsiasi forma di conflitto immediatamente ricondotto al contenitore indifferenziato del bullismo non può che determinare un «ritorno del rimosso»: quando i ragazzi escono, dal circuito protetto, scuola, famiglia, agenzie del tempo libero strutturato, quando si trovano fuori, nell ambiente esterno, privi di riparo e controllo, sembrano riscoprire la violenza (2), come unica forma che possa interrompere una condizione di vita anestetizzata. La nuda vita dell adolescenza disimpegnata Ma l effetto più inquietante di una rappresentazione unilaterale dell adolescenza come età della crisi e della fragilità riguarda la prospettiva, la loro destinazione annunciata: cosa attende adolescenti che vengono sempre più precocemente indagati nelle loro manifestazioni anomale e sottoposti a cura e protezione? La figura all orizzonte è precisamente descritta attraverso lenti socio-economiche che sembrano completare la rappresentazione psico-sociale: l adolescenza è una traiettoria a tempo indeterminato che conduce ad assumere i panni di un nuovo personaggio, identificato con l acronimo Neet, a indicare una condizione di auto-esclusione e di ritirata. L adolescente sembra destinato a non oltrepassare mai la linea d ombra, condannato a rimanere in forma permanente un minore: soggetto strutturalmente fragile, che richiede cura, attenzione, controllo; che non è titolare di diritti individuali perché tutelato e protetto dagli adulti, che non ha ancora voce, parole ed è ricondotto letteralmente a una condizione infantile. La minorità diventa minorità sociale e da schema di riferimento per descrivere una componente della popolazione adolescenziale, potenzialmente deviante, proprio come è accaduto con la categoria dei Neet, diventa chiave di lettura generalizzata e indiscriminata. Ma la componente peculiare di tutto questo discorso risiede nel principio di esclusione che connota la rappresentazione contemporanea di adolescenza come figura che si colloca fuori dalla città. Non può non venire in mente la definizione di nuda 2 «La violenza che si dissocia dal conflitto diventa invece, come si esprimerebbe Bion, un puro attacco al legame, la semplice negazione dell alterità, dunque una pura attività di distruzione», in Recalcati M., Cosa resta del padre, Raffaello Cortina, Milano 2001, p. 96.

71 Animazione Sociale inserto 69 vita attorno alla quale si è sviluppata la ricerca filosofica di Giorgio. Agamben: «La nuda vita ha, nella politica occidentale, questo singolare privilegio, di essere ciò sulla cui esclusione si fonda la città degli uomini» (3). Un adolescenza messa al bando dalla vita pubblica, dalla scena sociale, oggetto di studio, di diagnosi e trattamenti, destinata in parti consistenti a una prolungata e indeterminata condizione di esclusione dalla cittadinanza sociale, ci ricorda quella separazione che, secondo Hannah Arendt, sarebbe alla base della sovranità politica occidentale: la distinzione tra la vita nelle sue mute necessità biologiche e la «buona vita» che si esercita attraverso il discorso sulla scena politica. Dell adolescenza, infatti, sembra rimanere solo la corporeità e quindi la componente biologica puramente intesa: corpi da studiare, da contenere, da vestire, corpi utilizzati come supporti per grafie e scritture, corpi attorno ai quali si giocano le principali strategie di marketing, dato che attorno al loro splendore tutta la società dei consumi si gioca l esercizio della domanda di puro godimento. L adolescenza disimpegnata e impolitica è quindi inquadrata come nuda vita, esclusa strutturalmente dalla vita politica, dalla cittadinanza sociale, consegnata a una condizione di minorità e marginalità nei confronti della comunità, oggetto di esercizio dei programmi statali di cura, formazione, controllo, accompagnamento a tempo indeterminato. Cambiare sguardo per liberare l immaginario Ancora una volta torniamo a ribadire che c è un problema di sguardo e degli effetti reali e performativi determinati dal modo di vedere l adolescenza, come se fossimo tutti implicati da un enorme effetto Pigmalione nei confronti di una generazione chiamata a confermare l immagine stereotipata proiettata dal mondo adulto. Forse si tratta davvero di fare i conti con l immaginario sessantottino a cinquant anni di distanza i tempi dovrebbero essere maturi per congedare quello che abbiamo chiamato uno sguardo postumo, da specchietto retrovisore. Se ci aspettiamo che torni sulla scena l adolescente ribelle, protagonista della contestazione, non saremo mai in grado di scorgere le altre forme che può assumere l espressione di una soggettività adolescenziale disposta a praticare un rapporto conflittuale e generativo con la realtà. È in gioco un compito di natura conoscitiva a chiamare in causa chi lavora con adolescenti e giovani in campo formativo e sociale: sospendere giudizi, provare a chinarci per indagare da vicino le esperienze, i modi di esprimersi e agire che non sono mainstream, che non fanno cronaca e non ispirano le sceneggiature cinematografiche. Dobbiamo liberarci da una «volontà di sapere» che ha investito l adolescenza come oggetto di indagine e conseguente classificazione permanente, per aprirci alla conoscenza e quindi al riconoscimento di una soggettività in divenire che, con molta probabilità, non sta semplicemente confermando le nostre proiezioni. 3 Agamben G., Homo sacer, Einaudi, Torino 1995, p. 10. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

72 70 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Dovremmo essere in grado di accettare, come ci suggerisce Massimo Recalcati, l alterità irriducibile del figlio, riconoscendo che la «la vita di un figlio è una vita altra, straniera, distinta, differente, al limite, impossibile da comprendere» (4). Per queste ragioni chi opera a livello educativo insieme ad adolescenti oggi dovrebbe, innanzitutto, chiedersi se è ancora in grado di stupirsi, ricordando che lo stupore è il principale indicatore di un processo conoscitivo autentico, di un attenzione effettiva a ciò che accade, anche e soprattutto quando questo non coincide con le nostre aspettative condizionate da un immaginario dominante. Liberare lo sguardo implica un cambiamento di postura, un attenzione che si rivolge a quelle presenze carsiche, intermittenti, probabilmente minoritarie, che configurano una nuova costellazione dell impegno civile, sociale e politico che caratterizza una porzione significativa del pluriverso giovanile. Possiamo incontrare adolescenti titolari di esperienze in grado di innescare effetti collaterali nelle comunità locali, generando una qualche forma di bene comune. Possiamo ascoltare i racconti di imprese, spesso temporanee, nelle quali si producono cambiamenti effettivi per chi ha vissuto l esperienza qualcosa che ha lasciato su di sé un segno e al tempo stesso per chi vi ha interagito, per l ambiente e il contesto nel quale si è determinata. Possiamo rintracciare, qui e ora, la viva presenza di un desiderio di trovare altri modi di abitare il proprio mondo, allestendo esperienze di azione diretta che mettono in contatto con una realtà entro la quale coltivare un desiderio, ricordandoci che «è controcorrente non cercare di dare realtà al desiderio, ma ricercare il desiderio che c è nella realtà» (5). È in questo movimento che sembra risiedere la linea di demarcazione tra le pratiche di consumo, di godimento immediato, di fruizione passiva di beni e opportunità materiali e le esperienze autentiche di trasformazione di sé e della realtà. Il desiderio, allora, è davvero il sogno di una cosa, immaginazione e progettualità capace di dischiudere altre possibilità nella realtà. Desiderio che viene coltivato e riconosciuto proprio quando si agisce, qui e ora, per generare cambiamento nella propria realtà: restituendo a una biblioteca rionale la sua funzione comunitaria, partecipando a un impresa sociale che rivitalizza un area dismessa, prendendosi cura di un campo sottratto alla mafia, organizzando eventi capaci di produrre socialità in un quartiere dormitorio. L impegno come stato di eccezione Stiamo alludendo a esperienze che spesso si determinano sotto traccia (6). Ragazzi e ragazze che partecipano ai campi di lavoro dell associazione Libera all interno 4 Recalcati M., Il segreto del figlio, Einaudi, Torino 2017, p Lizzola I., Sei appigli per farsi esperti in un tempo di incertezza, in «Animazione Sociale», 271, 2013, pp Facciamo riferimento, per esempio, a una ricerca-azione con gruppi informali di adolescenti e giovani, una decina di esperienze dalla Calabria al Friuli, in Conte C., Marchesi A., Giovani che generano beni comuni, in «Animazione Sociale», 271, 2013, pp

73 Animazione Sociale inserto 71 dei beni confiscati alle mafie e trasformati in imprese sociali, che, a volte, ritornano nelle proprie scuole e quartieri dando vita a presidi di contrasto della corruzione e delle pratiche mafiose. Gruppi informali che animano consulte, comitati di quartiere, contribuendo alla ri-generazione di spazi e aree dismesse. Fenomeni di partecipazione improvvisa e ad alta intensità, spesso connessa a eventi catastrofici sul piano ambientale: gli angeli del fango che hanno preso la scena a Genova nel 2011 e poi nel 2014 durante le alluvioni; i gruppi che dal 2009 continuano le loro battaglie per la riapertura del centro storico della città dell Aquila dopo il terremoto. Adolescenti che si impegnano nei gruppi e nelle associazioni di volontariato, ad esempio sul fronte dell accoglienza dei richiedenti asilo e dei profughi, dalla Sicilia a Milano. Non abbiamo a disposizione una mappatura di queste esperienze, ma possiamo ipotizzare un filo conduttore che le tiene insieme, ovvero un impegno diretto che si esprime sempre di più in relazione agli stati di eccezione che investono la vita politica: emergenze, lacune, assenze, entro le quali molti adolescenti si trovano ad agire, posizionandosi fisicamente entro le condizioni di crisi dei contesti politicoistituzionali. Sembra esserci una corrispondenza tra l eccezionalità dell impegno sociale di adolescenti chiamati a confutare la rappresentazione di una condizione di auto-esclusione dalla comunità e le situazioni nelle quali l azione politica istituzionale esibisce le sue contraddizioni, creando quello che Agamben chiama proprio lo «stato di eccezione». Con questa espressione si intende, infatti, descrivere il funzionamento della sovranità politica che includerebbe sempre una «relazione di eccezione», ovvero una forma estrema di relazione che «include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione» (7). Si tratta di un vero e proprio paradigma della politica contemporanea che contempla l adozione di misure straordinarie che sospendono il diritto, le norme ordinarie, per fronteggiare minacce e fenomeni che non sono governabili. L esempio più intuitivo investe la questione dei flussi migratori con la conseguente attivazione di misure straordinarie, sospensione di normative e totale mancanza di riconoscimento dei diritti umani e civili sanciti dagli ordinamenti internazionali. Ma possiamo scorgerne esempi durante momenti di alta criticità: crisi e catastrofi ambientali, eventi terroristici, momenti di forte tensione sociale, fasi di contrasto militare della criminalità organizzata. Senza addentrarci oltre su questo versante filosofico-politico, sembra però interessante riflettere sul fatto che le principali manifestazioni di impegno adolescenziale abbiano una qualche corrispondenza con le contraddizioni dell azione istituzionale dentro un quadro di tipo emergenziale. Dagli angeli del fango che si attivano dopo l alluvione, che ha visto i mancati controlli preventivi della autorità preposte e le risorse limitate per fronteggiare l emergenza, fino ai volontari che accolgono le masse di profughi che arrivano sulle coste italiane o nelle stazioni ferroviarie delle città metropolitane senza trovare un adeguata struttura di accoglienza: le forme dell impegno sembrano esprimersi entro le lacune delle istituzioni. 7 Agamben, op. cit., p. 22. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

74 72 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Ricomporre il desiderio e la legge Per certi aspetti, qualcosa di analogo lo possiamo rintracciare sul piano dell impegno civile nell ambito dei movimenti antimafia: una legalità sostanzialmente sospesa all interno di interi settori della società civile che vede la partecipazione civile in termini di denuncia, di sostegno delle vittime innocenti, ma soprattutto di contrasto socio-economico attraverso la rigenerazione dei beni confiscati alle mafie. Ancora una volta un azione che interviene nell ambito di una lacuna: se la legge sulla confisca dei beni ai mafiosi è stata una svolta normativa sul piano del contrasto alla criminalità organizzata, solo la rigenerazione attiva di quei beni ha dato piena sostanza a quella strategia politica. Forse, non a caso, proprio la legalità sembra essere, a livello di contenuti, il terreno privilegiato dell esordio adolescenziale di un impegno politico. Il riferimento all impegno per la legalità sembra dare ragione alle riflessioni di Recalcati sulla figura di Telemaco utilizzata per identificare una nuova tendenza presente all interno di alcuni mondi adolescenziali: la disperata ricerca di ricomporre il desiderio e la legge, interrompendo il divorzio che si è consumato con il tramonto del principio di autorità e l affermazione di una logica consumistica del godimento immediato. In un contesto dove tra le nuove generazioni la politica è associata alla corruzione sembra emergere un inedita domanda di legalità, intesa come rispetto delle leggi ma anche come approccio critico alle norme rilette nei termini della giustizia e del rispetto di diritti civili e sociali. Quando le norme e le misure non servono a evitare i disastri annunciati, troviamo la reazioni di molti adolescenti che, per la prima volta, assumono una funzione attiva sulla scena dell agire pubblico. Il momento di massima esposizione al pericolo, alla vulnerabilità, crea uno spazio per innescare un movimento di riconoscimento e rispecchiamento nell altro come appartenente a una condizione simile e per sentirsi finalmente parte di una città che va letteralmente in pezzi. È la domanda che si pone la filosofa statunitense Judith Butler, ragionando sugli effetti dell 11 settembre e sulla scoperta traumatica della vulnerabilità nel cuore dell impero economico: Da dove, se non dalla preoccupazione per la comune vulnerabilità umana, potrebbe emergere un principio in base al quale ci impegniamo a proteggere gli altri dalle stesse sofferenze che abbiamo patito. (8) Come se nell incertezza interiorizzata, nelle vite strutturalmente precarie ci fossero le condizioni per assumersi una responsabilità, infrangendo quella soglia di (auto) esclusione oltre la quale il copione dominante ha collocato la condizione adolescenziale. Forse, non sarà allora un caso che in alcune ricerche sui Neet si scopre che 8 Butler J., Vite precarie, Meltemi, Roma 2004, p. 51.

75 Animazione Sociale inserto 73 tra chi non è inserito nel mondo del lavoro regolare e della formazione istituzionale troviamo una significativa presenza di volontari, di ragazze/i che si «danno da fare» nelle organizzazioni umanitarie, nella Croce Rossa, nelle reti di accoglienza. Tracce di una pedagogia dell impegno Se ci posizioniamo in ascolto, chinati sulle esperienze di impegno di un gruppo di adolescenti che torna dai campi di lavoro nei beni confiscati alle mafie, come sulle esperienze di rigenerazioni di spazi dismessi (9) o di assistenza ai migranti, possiamo rintracciare spunti utili per una differente modalità di trattamento dell adolescenza. Una lettura in controluce ci permette di cogliere indicazioni di metodo, appunti per una proposta pedagogica orientata alla cittadinanza attiva, all impegno e all agire sociale. Mi impegno se c è impatto Il primo elemento che emerge immediatamente da una posizione di ascolto è una domanda inequivocabile; i ragazzi chiedono occasioni per mettersi alla prova e si dimostrano disponibili a prendere parte a esperienze a condizione che si generi cambiamento, si possa lasciare un segno nei contesti, ci sia un impatto consistente con la realtà. L impatto della propria azione deve essere effettivo e riscontrabile; per questo sono interessati a sostenere micro-progetti di cooperazione internazionale, come nel caso del Social day, il cui esito (l ambulatorio in Tanzania, l atelier di gioielli con materiali di riciclo da sminamento in Cambogia) sia verificabile. Ma è un impatto che implica una molteplicità di livelli: l impatto sui destinatari finali (le popolazioni locali), l impatto sulla popolazione studentesca che si informa, partecipa, e l impatto sulla comunità locale che mette a disposizione postazioni per esercitare lavoro volontario. Si tratta di esperienze che lasciano il segno a cerchi concentrici: nelle biografie individuali (come sono cambiata partecipando al Social day), nei contesti scolastici, nel territorio e in un angolo di mondo. Io, il mio mondo, un frammento di altro mondo. Ci si mette insieme e si sta insieme, in un gruppo, se è avvertita la presenza di un compito connesso a un obiettivo percepito come sensato, motivante e consistente e nell esperienza del compito si costruiscono e alimentano relazioni affettive. In una scuola si innesca la partecipazione studentesca quando un progetto di service learning entra nella fase di sperimentazione attiva e si organizzano la raccolta di indumenti e i corsi di italiano per i richiedenti asilo del vicino centro di accoglienza. Ci si mette in gioco quando, spontaneamente, insieme a un gruppo di coetanei si 9 Per una mappatura dell esperienze di riuso e rigenerazioni di spazi urbani si veda il lavoro di Giovanni Campagnoli, Riusiamo l Italia, edizione Sole24 ore, Milano Vedi su www. riusiamolitalia.it Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

76 74 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani decide che non ha senso oggi andare a scuola quando nel paese vicino l alluvione ha messo in ginocchio un intera comunità locale. L istanza pratica diventa determinante, sia quando diventa il fattore decisivo per mobilitare il coinvolgimento, sia quando, all interno di un percorso, diventa l elemento che permette di comprendere il senso dei discorsi. Come capita nei campi di lavoro all interno dei campi confiscati alle mafie (10), dove grazie al lavoro manuale all interno della cooperativa agricola si coglie fino in fondo il senso del proprio contributo a un impresa più ampia. È in questo corpo a corpo con la realtà che si alimenta il desiderio, entro una tensione e uno scarto tra il concreto e il possibile, che spinge ad agire trovando nell azione riscontri immediati, significato e riconoscimento. Mi impegno quando incontro un adulto testimone Il secondo elemento riguarda il rapporto con gli adulti come componente dispari tra i pari. Se il tradimento da parte degli adulti, per una mancata staffetta intergenerazionale, è la cifra più comune nelle rappresentazioni di molti giovani, questo non significa rivendicazione di assoluta indipendenza, ma indica un approccio selettivo e critico. Pensare che i giovani richiedano esclusivamente contesti dove stare e imparare tra pari, costituisce, forse, l ennesimo alibi per una posizione di ritirata e di ammutinamento del mondo adulto, mentre è più impegnativo ma interessante seguire l indicazione di chi è alla ricerca di un confronto con un adulto che sia, però, disposto a rischiare nell impresa comune, a perdere qualcosa per fare un pezzo di strada insieme ai ragazzi all interno di contesti reali. Si tratta di un adulto capace di esprimersi come testimone, titolare di un esperienza degna di essere raccontata e di essere messa al servizio degli altri, non come esempio da imitare e riprodurre, ma come stimolo ad attivare esperienze altrettanto degne di essere vissute e raccontate. È l insegnante che è in grado di testimoniare il proprio amore per il sapere che «non solo conduce lungo strade che non si conoscono affatto, ma soprattutto, come ci indica il gesto di Socrate, muove il desiderio del viaggio» (11). È il familiare di una vittima di mafia che racconta per cercare una risposta alla propria storia, offrendo, al tempo stesso, la testimonianza di una ricerca di senso che incontra la domanda di un adolescente che, forse per la prima volta, incontra la ricerca di giustizia come qualcosa di incarnato. È il parroco, il capo scout, a volte anche l operatore sociale, che consegna il testimone a un gruppo di ragazzi e ragazze, chiedendo, senza prediche e giudizi moralistici, di continuare a loro modo una storia che viene da lontano, trasmettendo fiducia, incoraggiando e accompagnando in modo discreto sul confine di un progetto, presidiando il contesto e le condizioni che rendano effettivamente possibile un esperienza di impegno. 10 Rinviamo alla lettura dei diari dei campi dei lavori nei beni confiscati pubblicati sul sito di Libera, vedi su 11 Recalcati M., L ora di lezione, Einaudi, Torino 2014, p. 41.

77 Animazione Sociale inserto 75 Si tratta di adulti anomali, che «ti ascoltano nonostante la tua età e che prendono davvero in considerazione quello che pensi» (12), senza abdicare al proprio ruolo di responsabilità che a volte chiede di segnalare un limite come condizione per andare oltre. È una presenza dispari che non si dissolve tra i pari anche se molto spesso partecipa all impresa comune, mettendosi in gioco, perché convinto fino in fondo di poter avere qualcosa da insegnare ma anche da imparare, entro i confini di un incontro vissuto come qualcosa di generativo. È un adulto che riconosce tutto il valore della dinamica collaborativa che caratterizza un esperienza di impegno, dentro un impresa reale, in un progetto caratterizzato essenzialmente da una logica di compito e di fronteggiamento di un problema. Mi impegno con altri: perché «ionoi» è un palindromo In queste esperienze, infatti, si riscopre una dimensione rimossa dalle rappresentazioni contemporanee dell adolescenza: la gruppalità. Si registra la presenza di una logica cooperativa quanto performativa, che interpreta la gruppalità come reticolare, plurale, aperta, capace di mettere in comunicazione mondi, campi di esperienza, interessi apparentemente molto lontani. C è una logica collaborativa, di condivisione, di scambio, di utilizzo virtuoso delle reti a legame debole, che sembra prefigurare un altro modo di pensare e praticare l agire cooperativo. Una cooperazione che è dichiaratamente una componente strumentale: insieme si uniscono le forze, i saperi, si moltiplicano gli sguardi, si produce conoscenza, si agisce, in una costante dimensione di scambio e di condivisione. Ma una cooperazione che è anche caratterizzata da una dimensione affettiva: collaborare significa, infatti, stare bene insieme, provare piacere nell agire collettivamente, costruire legami affettivi, ma tutto questo e forse questo è il punto inedito senza produrre chiusure, delimitazioni autoreferenziali. Sia la componente strumentale che quella affettiva del cooperare sono, infatti, assunte come fattori contagiosi, capaci di generare trasformazioni negli individui che attraversano direttamente queste esperienze, ma anche nei contesti dove queste esperienze prendono forma. Emerge una consapevolezza di quanto l impegno e la partecipazione procedano per contagio, la consapevolezza che solo minoranze intense e persistenti possano contagiare, se persistono nell azione e se lasciano aperte le possibilità di una partecipazione a intensità variabile: chi entra nel gruppo degli attivisti, chi ascolta, chi collabora solo parzialmente, chi appare indifferente ma l anno successivo, se il progetto continuerà, potrebbe farsi coinvolgere. È a questo punto che emerge una dimensione politica del desiderio, non più intesa come un a priori ideologico, come un dover essere, ma come qualcosa che accade, nel divenire dell esperienza. È il desiderio di incidere, di lasciare un segno, di contagiare il contesto in cui si opera, di condividere con altri il senso e il piacere della propria esperienza, ricordandoci che io e noi, se accostati, diventano una parola palindroma. 12 Rampini A,, Scegliere la propria causa, in Laffi S. (a cura di), Crescere nonostante, Edizioni dell asino, Milano 2015, p. 49. Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani

78 76 Animazione Sociale inserto Inserto del mese I Spunti per una pedagogia dell impegno fra i giovani Dalle retrotopie alla ricerca di utopie concrete Utilizzare così esplicitamente la parola impegno potrebbe risultare una forzatura. Oggi se sottoponi a un gruppo di adolescenti la parola impegno le principali associazioni sono riconducibili alla sfera sentimentale sono impegnato perché sto insieme a un altra persona oppure all ambito sportivo e, più raramente, al volontariato. È molto difficile che alla parola impegno vengano associati aggettivi che possano rinviare all ambito politico, civile e sociale. Eppure la parola impegno, forse non a caso, richiama direttamente la dimensione del legame, del vincolo relazionale così come della promessa, ma in una logica immanente, temporanea e contingente. Mi impegno qui e ora, con qualcuno per qualcosa che implichi un riscontro e abbia un impatto. Per qualcuno si tratta di un eccesso di pragmatismo, che confina in modo ambiguo con l utilitarismo, ma sicuramente è un posizionamento molto lontano dalla «retrotopia» per dirla con l ultimo Bauman, con uno sguardo rivolto nostalgicamente al passato come gesto di difesa nei confronti del futuro minaccioso. Forse, invece, si tratta di una ricerca di utopie concrete, di qualcosa di differente, di un altrove e di un altrimenti rintracciabile nel presente. Forse, pensando alla relazione tra impegno, legami e beni comuni, c è almeno una possibilità di riconoscersi in ciò che scrive Miguel Benasayag quando ci ricorda che: «Il comune non preesiste in astratto, al di fuori delle situazioni nelle quali ci troviamo impegnati. Il comune va costruito ed è racchiuso sempre e soltanto nel conflitto che attraversiamo». GLI AUTORI Carlo Andorlini si occupa di innovazione nelle organizzazioni di Terzo settore, partendo in particolare dalle esperienze giovanili: andorcarlo@ gmail.com Nicola Basile, esperto di interventi di sviluppo di comunità e politiche giovanili, è responsabile dell area progettazione della cooperativa Il Torpedone di Cinisello Balsamo (Mi): nicola.basile@iltorpedone.org Marco Lo Giudice si occupa di politiche giovanili e sviluppo di comunità per la cooperativa Adelante di Bassano del Grappa (Vi): mlogiudce@adelanteonlus.it Andrea Marchesi, pedagogista, lavora per la cooperativa Arti&Mestieri Sociali di San Giuliano Milanese: a.marchesi72@gmail.com Riccardo Nardelli si occupa di ricerca e sviluppo di politiche sociali e di comunità per la cooperativa Adelante di Bassano del Grappa: rnardelli@adelanteonlus.it Maria Ramella è socia fondatrice della cooperativa di comunità Brigì di Mendatica, a pochi chilometri da Imperia: brigi.cooperativa@gmail.com IL PROGETTO Non si può fare a meno di aver cura del mondo, quello piccolo a portata di mano e quello grande in cui siamo tutti immersi. Abbiamo visto nelle pagine dell inserto che, a modo loro, le nuove generazioni sentono impellente questa necessità (non senza preoccupanti fughe nella rassegnazione) e stanno sperimentando idee, azioni, collaborazioni decisive per il futuro. Questo non basta, tuttavia, perché è indispensabile un ampia riflessione di giovani e adulti per trasformare le istanze emergenti in ricchezza pedagogica. Solo in questo modo si possono moltiplicare sentieri fecondi per nuove forme di impegno delle nuove generazioni: rispetto al quotidiano modo di pensare, relazionarsi e agire, e rispetto al loro modo di connettere l agire quotidiano con il compito di aver cura, fin da oggi, del mondo. E questo ingaggiandosi in un «apprendimento collaborativo» che possa qualificare nuove intraprese sociali e culturali, economiche e politiche.

79 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Per una didattica attiva e meditativa Come bambini e ragazzi possono acquistare fiducia e autostima in laboratori di manualità di Ferdi Giardini Lavorare con le mani ha un grande potenziale trasformativo di sé. Permette di concentrarsi sul «qui e ora», assentandosi dai problemi piccoli o grandi che spingono bambini e ragazzi ad assumere un atteggiamento ribelle o antisociale. Permette di anestetizzare la mente, caricando di energia le mani e l oggetto su cui si lavora. Certo, nei laboratori manuali l obiezione è sempre: «Sì, ma io non sono capace a disegnare, a manipolare materiali...». Non è così, tutti possono e sanno lavorare con le mani. Perché è la concentrazione che permette di riuscire in questo ambito, l abilità viene dopo. E al termine del compito, i risultati sono lì a dimostrarlo.

80 78 Animazione Sociale metodo L esperienza di formatore per insegnanti, il contatto diretto con bambini e ragazzi (da quattro a sedici anni), fino all ultimo lavoro come insegnante di Materiali e Modelli al Politecnico di Torino (con quasi adulti), mi hanno donato una «rivelazione». Questa scoperta desidero condividerla con tutti coloro che hanno a cuore l insegnamento e la formazione dei giovani ora, degli adulti del nuovo mondo domani. Lavorare con le mani La rivelazione è questa: lavorare con le mani, non solo con la testa (l intelletto), permette di concentrarsi molto bene sul «qui e ora». E tutti, ma proprio tutti gli allievi, possono e sanno lavorare con le mani. Solo una cattiva educazione, che ahimè si protrae nel tempo, ci costringe a pensare e credere il contrario. I bambini «caratteriali» si applicano meglio A questa scoperta sono arrivato osservando, attentamente e da vicino, i cosiddetti «bambini caratteriali». Bambini irrequieti, ritenuti impossibili da gestire. Insegnando loro in laboratori di manualità, mi accorsi che «loro» lavoravano bene con le mani, sapevano usare i pennelli, dosare i colori, disegnare o modellare meglio degli altri... Allora mi sono chiesto: perché? Perché loro tutti i bambini di questa malaugurata «categoria» sapevano lavorare e interpretare bene con le mani qualunque cosa? Non che non ci fossero altri bambini «normali» che sapessero dipingere bene e sapessero usare le forbici in modo appropriato. Ma i «diversi» tutti si applicavano meglio. Poi magari in un secondo momento si distraevano, e diventavano turbolenti e dispettosi. Ma di chi era la colpa (se di colpa si può parlare) di questo repentino cambiamento? Non certo loro, ma dell insegnante di turno, o anche del sottoscritto. Più capaci di concentrarsi nel «qui e ora» per assentarsi dai problemi Da lì ho intuito che era necessario dare loro maggiore considerazione e responsabilità. Attenzione, ho detto considerazione e responsabilità, non maggiore attenzione, magari togliendola agli altri e discriminando in questo modo i «normali». E come un ricercatore al microscopio, osservavo da vicino e da distante, e riflettevo... I bambini che riuscivano bene a lavorare con le mani erano quelli che si concentravano meglio degli altri, non per chissà quali eredità biologiche... E grazie a questo tipo particolare di concentrazione, riuscivano meglio degli altri. Non era quindi talento innato, era almeno per «l irrequieto» un modo innato\automatico di assentarsi dai problemi piccoli o grandi che lo spingevano ad assumere un atteggiamento ribelle e asociale. In quel momento con le sue mani era solo lì, nulla lo poteva distrarre. Nemmeno un pizzicotto. Quei bambini, ora, a distanza di tempo lo posso affermare, erano nel «qui e ora» di tutte le discipline di meditazione, sia dinamiche alla Osho per intenderci, che quelle tradizionali buddiste dell immobilità del corpo statuario. L abilità manuale è conseguenza della concentrazione Così arrivai alla conclusione che se lavori con le mani, anche in lavori umili, anestetizzi la mente, o meglio ti assenti da essa

81 Animazione Sociale metodo 79 che ti affligge e tormenta, e carichi di energia le mani e l oggetto su cui lavori In quel momento non mi interessava se l energia espressa fosse «negativa o positiva»; era un modo per lavorare bene con le mani... punto. Finito il tuo compito, provavi piacere, e in alcuni casi eri anche felice! Felice quando quello che avevi prodotto rispettava dei canoni consueti di bellezza estetica. La concentrazione ti permetteva di riuscire in questo intento con sorprendenti risultati. La concentrazione, non l abilità manuale. L abilità era una conseguenza, veniva dopo, era come un esercizio ginnico! Più lo praticavi, meglio ti veniva, ancora un altra scoperta La disinvoltura dei gesti si poteva imparare! Una via verso fiducia e autostima Così, attraverso l uso delle mani acquistavi fiducia in te stesso e aumentava l autostima. Le mani, un arto pensante Le mani erano un «arto pensante» che sostituiva in modo sorprendente la mente! Le mani che non tradiscono, la mente che mente... Ma questo lo capii ancora in un altro momento del mio percorso di esperienza, dopo. E quando capitava che i ragazzi non riuscissero a lavorare bene, era perché la mente, sì la mente li distraeva non l amico-nemico, la merenda più buona del compagno, la campanella della scuola, il clacson, le urla di qualcuno, tutte distrazioni esterne... La tua mente ti riportava fuori, nella periferia, lontano dalla tua anima, la mente si faceva riagganciare dal dolore o dall insofferenza che cercavi di alleviare... Scoprii che per i bambini «caratteriali» lavorare con le mani era un modo per anestetizzare la mente. Quei bambini a distanza di tempo lo posso dire erano nel «qui e ora» di tutte le discipline di meditazione. Una possibilità data a tutti Mi convinsi sempre di più che imparare a lavorare bene con le mani era una possibilità data a tutti indistintamente, per credere in se stessi. C erano certo e ci saranno sempre i talentuosi o i predisposti a una disciplina piuttosto che a un altra sin dalla nascita, ma imparare a credere di poter lavorare da soli con scalpelli, matite, colori a olio, creta, legno, ferro, dopo aver visto un maestro all opera, era possibile, realizzabile, era sufficiente concentrarsi! L importanza di diventare, fare, «l artista» era secondaria, non mi interessava, l obiettivo vero era distante ma ne sentivo l odore, e il profumo sapeva di libertà, di forza per scardinare i luoghi comuni, le credenze che imprigionano l anima, per insegnare a saper ascoltare i richiami del tuo cuore, troppe volte interrotti da false ideologie, dogmi, droghe di ogni genere. Quindi questa intuizione strettamente personale, cioè che tutti possiamo esprimerci in modo creativo a volte originale, stava prendendo forma. L universale bisogno di esprimersi Eppure si lavora poco con le mani nella

82 80 Animazione Sociale metodo nostra scuola, direi nella nostra cultura. Al centro resta la mente. E invece bisognerebbe. Anche quelli che non ne hanno assolutamente voglia, di lavorare con le mani, dovrebbero essere stimolati. Perché questo bisogno? Perché tutti abbiamo bisogno di raccontare, di esprimerci, di sfogare e dare corpo alle felicità o ai tormenti interni. L esprimersi non importa con quale mezzo creativo la danza, la poesia, la musica, l arte, il teatro, il canto è di vitale importanza per ognuno di noi. Se poi questo esprimersi dona piacere agli altri oltre che a noi stessi, avremo fatto centro. E ancora, pensando a chi ha la mente in tumulto, a quei ragazzini «caratteriali» (ma anche agli adolescenti «a rischio», alle persone con disturbi psichici...), se questo iniziale esercizio creativo, che serviva per tenere a bada i pensieri, diventerà un mestiere dal quale ricavare del denaro per vivere e auto-sostenersi allora i pensieri saranno superati con una nuova fiducia in se stessi. «Davvero non sei capace a disegnare?» Tutta questa teoria, queste intuizioni, questo entusiasmo, dovevano essere convalidati in modo paradossalmente «scientifico» con esempi pratici, tangibili. Non potevano restare nella frase retorica «credetemi, è così, ve lo dico io, credetemi.», anche perché imparai, poi, che l uomo davanti a fatti tangibili, insondabili, continua a restare sulle difensive, perplesso, sempre pronto a non credere di poter cambiare opinione, visione, prospettiva; esempio lampante sono le continue avvisaglie e notizie di intolleranza e razzismo anche subdolo e camuffato, che troviamo in qualsiasi società «democratica» ancora oggi. Venti minuti per smontare false credenze Quindi, come spesso mi accade, arrivò un altra intuizione. Inventai un semplice esercizio di disegno e, per validare le mie convinzioni (cioè che tutti possono e sanno lavorare con le mani, che la concentrazione precede l abilità...), testai questo semplice ma non per questo banale «gioco» con: bambini, adulti, colti, modesti, intellettuali, anziani, adolescenti trogloditi. L esercizio all inizio lo conducevo con un solo «allievo» davanti a me. Quello che notavo era che funzionava meglio questo esercizio proprio con i soggetti che alla mia domanda: sei capace a disegnare? Rispondevano con un secco NO! E le dita delle loro mani si ritraevano come la testa e le zampe della tartaruga. Questa reazione si verificava con i più ostici e spaventati nell usare le mani, se non limitatamente per gesti di banale quotidianità. Io allora sostenevo che non era vero e che era un enorme bugia! Che erano dei Beliefs (credenze) creati da altri e poi innestati nel nostro cervello! A quel punto d inizio «cottura» alzavo la posta e scommettevo il contrario delle loro affermazioni, lasciando che scegliessero qualunque altissimo tributo, come pagamento! Affermavo che se avessero accettato di «giocare» con me per venti minuti facendo un piccolo esercizio, avrebbero perso umilmente. Facendo leva su profonde radicate loro emozioni, in soli venti minuti, vincevo. Nell arco di circa trent anni, ho visto diverse persone di ogni età ed estrazione sociale, alla fine dell esperimento, piangere, piangere di felicità, e poi, accogliendoli senza riscuotere ovviamente la vincita, ridere con loro abbracciandoli.

83 Animazione Sociale metodo 81 «Scommettiamo che non è vero?» L esercizio che ho ripetuto a ogni inizio anno accademico al Politecnico consiste in questo: inizio con la solita domanda: chi di voi è capace a disegnare? E si presume che in quell ambiente il numero di mani alzate tra un centinaio di ragazzi sia elevato Non sempre è così scontato. Allora passo con gli occhi i ragazzi che non hanno alzato la mano e chiedo loro: perché? «Perché mi rispondete così, con un secco NO? Forse se vi chiedo sapete scrivere? mi rispondete sì, non bene, ma scrivo... beh, non sono un romanziere ma so esprimermi decentemente anche scrivendo. E potremmo continuare con frasi di questo tipo, decisamente più positive Allora proprio con voi scommetto che non è vero che non sapete disegnare, e ve lo dimostrerò. Scommettiamo?». Sì. «Ok». «Prendete tutti, anche quelli «bravi» (funziona comunque anche con loro lo stupore finale), tre fogli bianchi non a righe, non ha importanza la dimensione, liberate il banco da ogni distrazione, e prendete quello che più vi piace per disegnare: matita, biro, pennarello, nessun tipo di gomma! Ora su un foglio, disegnatemi un occhio, pronti via». Normalmente gli «incapaci» disegnano uno scarafaggio! Che ricorda vagamente un pesciolino e forse poi un occhio. Gli «incapaci» sono fieri di questo loro obbrobrio e ammiccano con i compagni vicino, ridendo con sfida! «Ora, sul secondo foglio, copiate questo occhio» Devo aprire adesso una parentesi. Quando inventai questo esercizio, avevo, come detto, sempre una sola persona davanti a me. E in quel preciso momento, quando chiedevo di nascondere quel disegno e di prendere un altro foglio e di iniziare a copiare sul secondo foglio il mio occhio, offrendomi come modello, la concentrazione si focalizzava sempre di più in un campo ristretto, quasi intimo. Al Politecnico questo non poteva succedere, le classi erano da un minimo di 50 studenti, in su; e quindi mi inventai questa soluzione «Avete capovolto e nascosto il vostro disegno? Sì? Bene». In quel momento come per magia faccio scendere la gigantografia di un occhio, attaccato a una lavagna nascosta sotto un altra, alle mie spalle, e il successivo «comando» è: «Bene, adesso copiate sul secondo foglio quest occhio». Qualcuno si impegna un po di più, qualcuno si «rema volutamente contro», qualcuno continua a distrarsi e a disturbare il compagno, ma questa è la prassi. Impiegano un tempo leggermente più lungo per finire, ma lo finiscono. Il risultato è leggermente diverso: non sembra più uno scarafaggio, sembra un pesciolino che ricorda un occhio! Comunque va già meglio. Fig. 2 - Il 2º disegno, fatto copiando, va già meglio Fig. 1 - Il 1º disegno in genere ricorda un pesciolino Sul terzo foglio, tutti, ma proprio tutti, disegnano un vero occhio Nuovamente chiedo: «Nascondete il se-

84 82 Animazione Sociale metodo condo foglio e prendete l ultimo foglio bianco». Prendo una bacchetta lunga che mi permetta di indicare bene i dettagli dell occhio, e vado a iniziare a raccontare anatomicamente come è fatto il nostro occhio! Chiedo di toccarsi il loro occhio, mentre parlo, e di accorgersi che in realtà il nostro occhio è fatto come una pallina da ping pong; che le palpebre sono una pellecchia che serve per pulire come un tergicristallo questa forma in realtà sferica, non di un fuso; che le ciglia servono come difesa per la pupilla e la cornea, non solo per ammaliare la preda innamorata; che la pupilla è come l interno delle vecchie macchine fotografiche reflex il pallino nero si chiude e si apre esattamente come il diaframma di quelle macchine, per far entrare più o meno luce, e poi ancora se chiudiamo l occhio e proviamo a toccarlo, sentiremo che la pupilla è come una piccola lente saldata sulla nostra sfera. Con questa nuova consapevolezza, chiedo di disegnare quello che veramente ora vedono sulla gigantografia alle mie spalle. E quindi, dettaglio dopo dettaglio, dopo la spiegazione anatomica e geometrica di tutti anche gli invisibili prima colpi di luce su questo organo vitreo, tutti, ma proprio tutti disegnano un vero inconfondibile inequivocabile occhio! Alcuni riescono, anche se con la biro o il pennarello, a fare delle sfumature o evidenziare i colpi di luce che si riscontrano nelle sopracciglia! Tutto questo ha una durata di circa minuti. Fig. 3 - Il 3º è inequivocabilmente un occhio! Al termine... stupore generale Al termine faccio girare i tre fogli e, nello stupore generale, il mento di quasi tutti gli studenti, cade sul banco! Per lo stupore! Sembrano tre persone differenti che non si conoscono e che disegnano in tre modi differenti. Tre disegni di tre persone! Non dello stesso studente! Allora quello che la mente dei più severi con se stessi dice immediatamente è: «Sì ok, ma il suo è più bello!» riferendosi al disegno del vicino! «Beh siamo stati aiutati da te, da soli non ci saremmo riusciti» e altre frasi di questo genere, sconnesse dal presente, dal qui e ora, dal risultato lampante che hanno sotto gli occhi. Allora arriva la mia spiegazione disarmante «Quell ultimo disegno bello l avete fatto voi, non sono venuto a correggerlo con la gomma e non vi ho fatto vedere come si disegna, era la mia voce che vi guidava in un percorso di concentrazione visiva, uditiva; ma la parte tattile era solo la vostra! La strada sì la indicavo, ma chi la percorreva era la vostra mano! Ciò che vi ha permesso di disegnare è stata solo la vostra concentrazione, per la prima volta eravate interamente o quasi soli, con la vostra mano e il vostro foglio, la mente l avevate messa in stand by! Ora potrete dire al mondo che sapete disegnare, certo forse non come Caravaggio o Leonardo, ma applicandovi potrete raggiungere un buon livello di rappresentazione della realtà, siete padroni di una tecnica che può soltanto migliorare, basta osservare bene con questo nuovo modo di guardare, fare paragoni, associazioni, proporzioni. Il resto viene da sé come un normale esercizio ginnico». E come sempre all ultimo il più ostico e rigido arriva, dicendo «Sì ma abbiamo copiato, se devo inventare? Se devo usare

85 Animazione Sociale metodo 83 la fantasia? Eh? Allora?». Allora, rispondo: «Ricordati che sia Caravaggio che Leonardo che Van Gogh copiavano, e che Picasso sapeva disegnare un corpo umano partendo dall alluce, salendo su fino alla punta dei capelli in modo anatomicamente perfetto, impeccabile, perché aveva copiato innumerevoli volte nudi femminili e maschili, ma di questa perfezione si ruppe talmente i gioielli di famiglia che scompose il corpo umano come se fosse una scatola, un solido e inventò il cubismo!». Successivamente spiego come anche la fantasia si può allenare e far crescere in modo esponenziale con un altro esercizio sempre inventato da me Ma a quel punto mi seguono tutti facilmente, anche i più reticenti. Per una didattica attiva e meditativa Ho fin qui raccontato per quale motivo la didattica da me proposta, che chiamo «attiva e meditativa», sia efficace nel promuovere concentrazione in bambini e ragazzi irrequieti e poi fiducia in se stessi e autostima. Perché è concentrandosi che ci scopriamo via via capaci di disegnare, di esprimerci, di creare. Alla ricerca dello «stato flow» Quei bambini «caratteriali» erano nel «qui e ora» che tutte le forme di cammino spirituale richiamano e, con le loro pratiche, contribuiscono a creare. E così arrivai alla conclusione che, lavorando con le mani, puoi fermare la mente. La concentrazione e la meditazione aiutano a riuscire in questo intento con sorprendenti risultati: l abilità manuale era Al termine faccio girare i tre fogli. Sembrano tre disegni di tre persone diverse! Nello stupore generale dico: «Ciò che vi ha permesso di disegnare è stata solo la vostra concentrazione...». una conseguenza della concentrazione, di quello «stato meditativo» che la psicologia chiama lo «stato flow»; quello stato in cui la percezione dello spazio-tempo è differente da quella ordinaria con la sospensione del giudizio sulle proprie capacità o incapacità! Con la pratica emergeva anche la disinvoltura dei gesti. Le mani erano, come detto, un arto pensante che sostituiva, in modo sorprendente, il ragionamento. Le mani che non tradiscono, la mente che mente... Perché quando i ragazzi non riuscivano a lavorare bene era perché la mente li distraeva, li portava lontano da se stessi. Meditare al Politecnico? Gli ultimi anni di insegnamento al Politecnico li ho passati facendo ricerca sulla meditazione accademica, se così si può definire. Ossia sul capire come poter introdurre gli studenti del mio corso a una inconsueta ma efficace meditazione attiva lavorativa. Sempre di più mi sono accorto che, per prima cosa, la meditazione serviva a me per sviluppare maggiori capacità intuitive, maggiori e lunghi periodi di concentrazio-

86 84 Animazione Sociale metodo ne sul mio lavoro. Ma che la conoscenza di questo metodo, pur così apparentemente distante dalla nostra società, è utile proprio per affrontare la vita «quotidianamente» in modo più riflessivo e da osservatore. Osservavo inoltre che quello che cercavo di trasferire agli studenti del mio corso era proprio una stravagante ma efficace meditazione attiva lavorativa, e gli effetti salutari che ne avevano molti dei ragazziragazze erano visibili a loro stessi e a me. Su alcuni gli effetti benefici trasformavano i loro tratti somatici del viso oltre che la postura della loro schiena non più curva! Sia concava che convessa. Così, un giorno di inizio anno accademico, chiesi ai potenti del Politecnico se la mia materia «Laboratorio materiali e modelli II» si potesse anche con un sottotitolo modificare in: «Laboratorio materiali e modelli dell anima II» Ovviamente mi risposero garbatamente che era impossibile. Ma oggi questo sento che occorrerebbe fare. Allenare anime più che istruire menti Non mi sento un insegnante che trasferisce solo la conoscenza degli strumenti e dei materiali per realizzare oggetti o prototipi, non insegno loro solo come si usano correttamente aghi per cucire, colori per verniciare, trapani levigatrici o altri elettroutensili per costruire... ma verso la metà della lezione leggo poesie, saggi, aneddoti di grandi e sconosciuti scrittori, che ti aprono il cuore. Non insegno solo sistemi cad per velocizzare le loro idee attraverso l uso del computer, non cerco solo di riportarli a una manualità vera concreta ma chiedo loro di diventare umili, umili nel chiedere, umili nel dare, nel darsi. Di essere consapevoli di quanto sia importante concedersi, concedersi il lusso di spogliarsi. Una studentessa dell ultimo anno, salutandomi un giorno, mi ha detto «ciao allenatore di anime». Allora forse faccio l allenatore, non l insegnante, il trainer che ti aiuta a tirare fuori il meglio dal tuo cuore, attraverso l espressione delle tue mani, che ti educa ad avere rispetto di te stesso, di conseguenza degli altri, che ti aiuta a pensare con la tua anima e la tua pancia, non con la testa degli altri, che ti aiuta a riconoscere e fuggire i luoghi comuni a causa dei quali le tue mani possono paralizzarsi, e la tua fantasia non può che inaridirsi, a tal punto da omologarsi nella corsa per diventare un più astuto pescecane. Il potere, il dominio, la sudditanza, la prepotenza, l arroganza, la prigionia, le mille facce della dipendenza, delle droghe, nelle mie lezioni le riconosciamo, le osserviamo e molto poeticamente le lasciamo andare, andare alla deriva. Quando si riesce senza giudicare, ma solo osservando, a guardare con nuovi occhi quello che fino a quel momento abbiamo dato per scontato E se la meditazione fosse materia a scuola? Grazie a questi sistemi cambia, come dicevo, la loro postura, l espressione dei loro visi, diventa più aperta, fiduciosa verso il mondo, incominciano ad aver fiducia in se stessi e negli altri, ad aiutarsi e a collaborare gli uni con gli altri, cosa che non capitava prima. Meditare serve alla creatività E così, sono arrivato a un ennesimo scalino da affrontare, da salire: fino a questo punto capisco, gestisco, discretamente la situazione, ottengo dei buoni risultati, ma sento che si può ottenere di più, ancora di più,

87 Animazione Sociale metodo 85 è nel mio carattere non accontentarmi mai. E quindi penso che sia utile far crescere in modo assai più completo gli studenti; coinvolgendoli nelle tecniche della meditazione per affrontare la creatività e non solo, in modo intelligente e unico. Introdurre come una vera e pura materia scolastica, equiparabile alla matematica, alla chimica, alla geometria descrittiva, all italiano, alla filosofia la «meditazione». Finalmente una materia-disciplina dove non c è competizione, obiettivi, aspettative, richieste di prestazioni, ansie, confronti anzi confronti sì, ma solo con te stesso, esattamente come nel mio esercizio dell occhio. E mi accorgo, però, che è necessario ci sia accanto a me un altro «allenatore», un altro «maestro» che sappia trasferire l arte della vera meditazione, argomento che conosco e pratico, ma che non sono ancora in grado di trasmettere. Un lavoro a quattro mani paritario e compenetrante, indissolubile e di sostegno l uno all altro. Questa intuizione mi ha portato a cercare la persona giusta che doveva avere a cuore gli stessi miei obiettivi, e vibrasse con gli stessi armonici suoni. Un esperimento che meriterebbe proseguire La persona la trovai come sempre per caso o coincidenza. Era una vecchia amica, ci frequentavamo quando eravamo entrambi studenti all Accademia di Belle Arti di Torino, del corso di Scenografia. Un percorso dopo quel periodo, il suo, di vita affascinante, ricco di sapere e viaggi, il sano sapere di come vivere tra la gente nel mondo. Musicista poliedrica, maestra di Ohashiatzu, e medicina cinese, si diploma in seguito, in Astrologia a Londra con l indirizzo psicologico al Cpa, fonda SoundGate, Istituto di ricerca sul suono, Perché non Introdurre come una vera e pura materia scolastica, equiparabile alla matematica, alla chimica, alla geometria descrittiva, all italiano... la meditazione? l ascolto profondo e gli stati di coscienza Queste sono solo alcune «cose» sul suo conto. Sovente, dai tempi dell Accademia, abbiamo condiviso pensieri, confronti e viaggi, interminabili serate. Quando le telefonai per coinvolgerla in una nuova avventura, le raccontai tutto quello che pensavo di fare e costruire con gli studenti, e di come si fosse creata una possibilità, all interno della settimana dei Workshop nella sede di Disegno industriale, per la Facoltà di Architettura, di portare un progetto di stage sulla meditazione Accettò! Insieme, così, abbiamo condotto, lei anche progettato e costruito, per il Politecnico di Torino un workshop sulla «vera» meditazione, che aveva come titolo: «NevermindZen». Cinque giorni consecutivi dalle 9 del mattino alle 17 del pomeriggio, con una ventina di studenti, a noi sconosciuti. E in quelle ore, lavori sulla postura, sul sederti nella posizione più adeguata, lavori sul respiro, sul silenzio, sul sentire, sul suonare, sull ascoltare e odorare, sul camminare lentissimamente... Gli studenti, a digiuno di ogni argomento sulla meditazione, si sono catapultati in

88 86 Animazione Sociale metodo una disciplina e realtà robusta per loro, in modo coerente e maturo. Solo due iscritti si sono ritirati. Le mie timide intuizioni su questa disciplina che, se insegnata regolarmente a scuola, porterebbe alla vera nascita dell uomo nuovo hanno avuto conferma dalle loro reazioni durante e a fine stage. Le testimonianze furono: «Dormiamo, poi a casa, in modo diverso, più profondo», «ci sentiamo più ricettivi, attenti, presenti, anche in famiglia o comunque a casa è diverso ci sentiamo meno stanchi, più tolleranti, rilassati...». Avevamo fatto centro. Imparare a coltivare la presenza mentale Sono contento di aver potuto raccontare questa mia esperienza su Animazione Sociale perché sono persuaso che, nei mondi dell educare, dell animazione sociale, della scuola, andrebbero introdotte pratiche didattiche/laboratoriali di tipo attivo-meditativo. A tal fine bisognerebbe sensibilizzare istituzioni, enti pubblici possibilmente o privati, per proporre corsi di questo tipo a studenti dalle medie all università. Corsi appunto di didattica attiva-meditativa, dove l impiego della pratica meditativa è finalizzata al miglioramento. Concludo con una citazione tratta da Il Miracolo della presenza mentale, di Thich Nhat Hanh (Ubaldini, Roma 2012, p. 37). di strada sul sentiero della meditazione. È chiaro che per prendere possesso della nostra mente e calmare i pensieri è necessario coltivare anche la presenza mentale delle nostre sensazioni e percezioni. Per prendere possesso della vostra mente, dovete praticare la presenza mentale della mente. Dovete imparare a osservare e riconoscere la presenza di ogni sensazione e pensiero che emerge dentro di voi. Tutti abbiamo bisogno di esprimerci, tutti abbiamo bisogno di credere in noi stessi per poter vivere meglio e più serenamente, in armonia e gioia, essenzialmente con noi e di conseguenza con gli altri. Quando sei felice di te stesso, quando ti ami profondamente, senza amare-adorare e alimentare il tuo ego, allora, solo allora, puoi vivere bene e serenamente con gli altri, solo allora saprai amare in modo incondizionato senza pretendere dalla persona amata, nulla. Si potrebbe chiedere: ma allora l unico scopo della meditazione è il rilassamento? In realtà la meditazione mira a qualcosa di molto più profondo. Posto che il rilassamento è il necessario punto di partenza, su questa base è possibile realizzare un cuore sereno e una mente lucida. Realizzare un cuore sereno e una mente lucida significa aver fatto un bel pezzo Ferdi Giardini, nato a Torino nel 1959, dove vive e lavora, diplomato all Accademia di Belle Arti nel corso di scenografia, è artista e designer. Ha insegnato Laboratorio Materiali e Modelli II presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino: studio@ferdigiardini. com

89 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Capacitare il districarsi tra le fatiche Verso percorsi di accompagnamento brevi e intensivi di Luisa Sironi Ci sono situazioni faticose di persone che cercano come districarsi tra i problemi nelle quali le modalità di intervento del servizio sociale rischiano di non riuscire a dare aiuto, per la pesantezza con cui una interpretazione diffusa del ruolo porta a esprimersi. A volte l intervento finisce così per alimentare ulteriormente carriere segnate da cronicità. Pensare a forme leggere di accompagnamento, invece, può portare a orientarsi a lavorare a fianco di vissuti e storie personali e familiari dove le fatiche non hanno ancora distrutto le motivazioni e le capacità soggettive sviluppando forme di accompagnamento intenso su tempi relativamente brevi.

90 88 Animazione Sociale strumenti Dopo la lunga crisi economica che ha toccato l Italia e l Unione europea a partire dal 2008, tutte le forze sociali, comprese le istituzioni, si sono dovute interrogare su come far fronte all onda d urto che stava travolgendo moltissime famiglie mentalmente ed emotivamente impreparate a quel che stava succedendo, trasformando velocemente gli equilibri su cui si è retto per decenni il nostro Paese. I servizi sociali, sociosanitari ed educativi si sono trovati in prima linea ad affrontare le conseguenze di questa trasformazione. Ma la natura dei problemi che hanno incontrato, e tuttora incontrano, è sempre più intricata e le logiche d intervento che hanno guidato le risposte a tali problemi, anche in un recente passato, sembrano non essere più adeguate: sia perché le risorse economiche sono in forte contrazione sia perché le risposte erano state pensate per disagi differenti, più codificabili e meglio inquadrabili. Oggi le persone che chiedono aiuto portano istanze complesse e multiproblematiche. I disagi entrano nelle famiglie o in gruppi che si pensavano protetti o esenti, con intrecci difficili da riconoscere e da trattare: squilibri economici, pesanti compiti assistenziali ed educativi, fragilità relazionali, nuove patologie croniche fisiche e mentali, diluizione di capitale sociale... Si sente la necessità di agire e, al contempo, l impossibilità di farlo in una tradizionale «logica di risoluzione» dei problemi. È evidente che un simile cambiamento ha interrogato dall interno, sin nelle pieghe dell operatività, tutti i servizi che quotidianamente si occupano di cittadini e famiglie in difficoltà. I servizi possono divenire luoghi creativi Oggi con molta frequenza chi arriva per la prima volta ai servizi si mostra disilluso, privato della speranza di un riscatto sociale, arreso ormai a entrare nel luogo che accoglie chi «non ce l ha fatta». Più raramente si fa l esperienza opposta, quella di chiedere aiuto per evitare di essere esclusi. E così sembra via via più complesso poter intervenire prima che il disagio si cronicizzi e si possa immaginare un cambiamento. Può accadere che i servizi vengano interpretati come i luoghi nei quali si possono depositare i problemi sociali, dove gli specialisti del disagio e i professionisti della marginalità sono chiamati a «sistemare le cose». Ad essi è chiesto, più o meno consapevolmente, adottando un pensiero che si muove sotto traccia, di essere una sorta di diga, di divenire il luogo nel quale è possibile aggiustare ciò che si è rotto, appunto in modo specialistico, al pari di un intervento chirurgico. La chiusura nelle routine per allontanare le sofferenze Sappiamo per esperienza e conoscenza che si tratta di un attesa magica: non tutto è «curabile», e ciò che si può riparare non sempre coincide con ciò che i cittadini desiderano «aggiustare». * I contenuti esposti in questo articolo sono il frutto di anni di lavoro con i servizi sociali, dapprima in qualità di consulente e negli ultimi due anni come responsabile di un servizio. In particolare, la presa in carico breve e intensiva, la cui descrizione occupa gran parte del testo, ha preso corpo durante il percorso di accompagnamento volto alla riorganizzazione della «funzione di accoglienza» dei servizi sociali territoriali del Comune di Reggio Emilia. Si è trattato di un cammino significativo e stimolante al quale anche questa rivista ha dedicato ampio spazio negli anni. Per maggiori approfondimenti si rimanda al testo Cambiamenti e riorganizzazioni in servizi sociali territoriali, Supplementi di Animazione Sociale, 309, 2017.

91 Animazione Sociale strumenti 89 Eppure gli stessi operatori, un po per mandato e un po per vocazione, sono talvolta irretiti da questa rappresentazione salvifica e fanno fatica a rinunciare all idea di poter eliminare o agire una significativa azione di contrasto. Di contro, il contatto reale e prolungato con le fatiche, l impotenza, la cronicità rischiano di trasformare la rappresentazione dell intervento da riparativa ad espulsiva spingendo a dire «che cosa ci faccio con questa situazione?», «le ho provate tutte, ma non c è nulla da fare», «non cambierà mai» (e talvolta è anche così)... È forte la tentazione di allontanare la disperazione, il dolore, la sofferenza spesso intollerabili, facendosi sedurre da routine consolidate, rinunciando a cercare al di là del noto. Due principi per aprirsi a strade non tracciate Si palesa la necessità di individuare nuove strategie per evitare che i servizi diventino, comprensibilmente, delle roccaforti poco permeabili, dove c è spazio solo per ciò che già si fa con grande fatica e impegno, ma non per ciò che è nuovo, sconosciuto e rispetto al quale non vi siano strade già tracciate. Del resto non si può rinunciare a innestare nelle pratiche quotidiane nuova energia. Senza anelito non è possibile accogliere la vita, per quanto dolente e compromessa possa essere. Cosa dunque può favorire la creatività e la generatività dei servizi? Si fanno strada almeno due principi orientatori: rinunciare, seppure con fatica, a risolvere compiutamente i problemi che gravano sui cittadini, lavorando su parzialità; accettare che la strada che si può compiere ce la possano suggerire le persone: sono loro esperte della propria vita ed è con loro che si devono progettare interventi, mobilitando attori e risorse. Oggi più che mai l intervento sociale a favore di individui e famiglie svantaggiate, a rischio di esclusione sociale, si gioca in una vicinanza, anche fisica, ineludibile e chiama in campo competenze nuove di natura sociale e relazionale. Un accompagnamento ravvicinato e intensivo Potremmo parlare di un nuovo paradigma d intervento: passare dalla gestione del caso all accompagnamento ravvicinato e intensivo volto a rendere più autonomo e meno isolato e rassegnato il cittadino e la sua famiglia. Ai servizi sociali tocca pertanto un compito di prossimità alle persone e ai loro contesti di vita perché è solo avendo uno sguardo «olistico» sul come si vive che si può capire dove e in che modo esercitare l aiuto. Per dirla con le parole di Fabio Folgheraiter: «La qualità dei servizi sociali si nutre di soggettività perché ha radici nella vita. Il problema sociale è in effetti un problema del vivere (life problem)» (1). Agire un accompagnamento di questa natura implica innovare le pratiche di lavoro consuete e aprirsi ad una funzione creativa e generativa. La creatività che apre la strada alla generazione di nuove idee si produce quando c è la volontà di conoscere. A suo tempo Goethe intendeva la conoscenza come l attivazione di un immagine interiore generata dall incontro con il mondo esterno attraverso i nostri sensi. In altri termini potremmo parlare di riverbero interiore di un esperienza che facciamo col 1 Folgheraiter F., Fondamenti di metodologia relazionale, Erickson, Trento 2011, p. 198.

92 90 Animazione Sociale strumenti nostro corpo, appropriandoci della realtà per gradi. Si tratta di una conquista, proprio perché di essa si fa un esperienza interiore, anche solo osservando la realtà o ascoltando una narrazione. Ascoltare e osservare: due archetipi del lavoro di cura. L immaginazione di un futuro, prima che si prefiguri la strada Riflettendo su questo movimento interiore che attraverso la memoria vivifica il passato e grazie alla volontà di conoscere ci tiene agganciati al presente si apre la strada della creatività e dell immaginazione che ci porta a pensare a un futuro, prossimo o lontano, sul quale sia possibile incidere. Si riesce cioè a immaginare ciò che ancora non si è realizzato. Ne consegue che, se non riusciamo a sentire dentro che il futuro può essere prefigurato, con un certo grado di fiducia sulla nostra possibilità di costruirlo o, quanto meno, di esercitarvi un orientamento, non possiamo sperare di migliorare la realtà. Potremmo anche dire che il lavoro dei servizi in gran parte dipende dalla capacità e competenza di far immaginare e sperare un futuro possibile, prima ancora che si prefiguri con chiarezza la strada da percorrere. La pensabilità di possibilità nasce nella relazione d aiuto La costruzione della fiducia e della speranza ha sempre radici soggettive e relazionali. È un processo che riguarda l operatore e il suo utente, il contesto di lavoro dell operatore e quello di vita del cittadino. Molto si gioca nella modalità all interno della quale avviene lo scambio relazionale, 2 Folgheraiter F., ivi, p Il problema sociale non è il comportarsi disfunzionale di qualcuno. Di conseguenza «la modificazione del se riesce a generare fiducia nella possibilità di intervenire sulla vita: Un utente è qualcuno che è incerto su cosa fare e come fare, è in cerca di aiuto e di supporto... Quando l operatore si sente in questa condizione d incertezza senza per questo svalutarsi o demordere, anzi sentendosi più responsabilizzato e motivato egli è preparato nel metodo e nello spirito alla relazione d aiuto di qualsiasi tipo essa sia. (2) La relazione sociale parte sempre da un incontro dinamico con l alterità. Ed è all interno di questa danza che nascono le idee. Il coinvolgimento di chi chiede aiuto, la sua adesione reale al progetto che riguarda la sua vita sono pertanto irrinunciabili, senza la sua partecipazione attiva e addirittura creativa non esiste progettualità. La professionalità, in questo approccio, ha conseguentemente una forte valenza educativa, intendendo l accompagnamento come un e-ducere, un portare fuori, le risorse presenti, le potenzialità, spesso oscurate dalla fatica di vivere, orientandole al cambiamento. Va da sé che per operare in questa direzione occorre rinunciare a presumere cosa è giusto per chi accompagniamo, a vicariare la sua libertà di scelta, anche quando ci sembra necessario per il «suo bene» (3). All opposto non si deve rinunciare a co-pensare possibilità, anche quando ci sembra che tutto sia inutile. In sintesi potremmo dire che l operatore deve favorire la pensabilità di possibilità. È chiaro che questo processo avviene muovendo anche la sfera delle dimensioni emotive che, attraverso la riflessione, possono favorire la nascita di idee che conducono all azione, prima ancora alla volontà di intervenire. E per questo occorrono comportamento» è, alla lettera, sempre un aspettativa illegittima (per non dire bastarda) per il lavoro sociale, ivi, p. 113.

93 Animazione Sociale strumenti 91 competenze, conoscenze da raffinare e contesti organizzativi capaci di svolgere una funzione di incubazione in grado di proteggere la generatività da irrigidimenti e cristallizzazioni. La sospensione dell azione come spazio di riflessività e stupore Occorrono strumenti rinnovati, meno schiacciati sulle prestazioni. Sia gli operatori, sia in larga parte anche gli utenti sanno molto bene di quali strumenti il servizio si può avvalere per corrispondere ai bisogni espliciti che vi arrivano, anche se si fa continuamente esperienza di una divaricazione tra ciò che si può fare e ciò che servirebbe (trovare una casa, un lavoro, garantire un reddito sufficiente...). Percorrendo solo questa strada ci si trova spesso in un vicolo cieco, si attiva un caleidoscopio di emozioni che coinvolgono professionisti e cittadini non sempre in modo virtuoso. Può essere. È in ogni caso molto utile provare a decentrarsi cognitivamente, oltre che emotivamente, da questi circuiti ricorsivi e cambiare prospettiva: esplorare, all interno dello scambio relazionale, quali sono i bisogni degli utenti e delle loro famiglie, meno nell ottica dell acquistoofferta di beni-servizi, e cioè con minori aspettative sul superamento di problemi concreti, e più in quella dell ascolto e della costruzione condivisa di nuove possibilità. In tal modo si assume come valore per la propria identità professionale la sospensione temporanea dell azione a vantaggio della riflessività. Per accogliere pensieri e immagini generativi è necessario aprire loro un varco e questo richiede un tempo meditativo, un vuoto 4 Per un approfondimento più analitico si rimanda a Cambiamenti e riorganizzazioni in servizi sociali che può accogliere l ignoto, lo sconosciuto. Lo stupore è la prova di un movimento creativo: «Gli Dei ci creano tante sorprese: l atteso non si compie, e all inatteso un dio apre la via» (Euripide, in Medea). Nella congestione della quotidianità sembra impossibile trovare il tempo per sospendere l azione, ascoltare i pensieri senza controllarli, senza finalizzarli all intervento, contenere le emozioni senza censurarle, accogliendo le paure, le ansie, le insofferenze... Il lavoro nei servizi sempre di più chiede di essere pazienti, senza sentirsi inoperosi, di sopportare movimenti depressivi per poter generare fiducia nel cambiamento. Se lasciamo le porte aperte a questi dinamismi, se attendiamo con fiducia, l idea può arrivare, l inatteso può manifestarsi. Per riformare le pratiche di lavoro occorre dunque pensare in modo diverso, rinnovare le nostre mappe conoscitive e revisionare alcuni strumenti di lavoro. Uno strumento utile, non onnipotente Dall applicazione operativa e sperimentale di quanto esposto in queste righe, ha preso forma un semplice ausilio professionale, il cui intento consiste nel praticare nel quotidiano un differente approccio verso alcuni problemi dei cittadini. Lo abbiamo chiamato Presa in carico breve e intensiva (Pic) (4). Va naturalmente precisato che non si tratta di uno strumento onnipotente e applicabile su ogni situazione. Il suo interesse principale risiede nel tentativo di introdurre un processo di lavoro insolito e poco istintivo nelle pratiche degli operatori. Invita ad andare contro corrente, partendo dal territoriali, Supplemento di Animazione Sociale, 309, 2017, pp

94 92 Animazione Sociale strumenti Compito degli operatori è accompagnare l utente nella presa di coscienza delle proprie scelte di vita, in modo da promuoverne consapevolezza e responsabilità, dando credibilità al suo punto di vista, comprese le opacità e le incoerenze. presupposto che c è senz altro una risorsa latente in chi si ha di fronte su cui far leva, e che, entro un tempo definito, è possibile favorire gradi di autonomia, volti a risvegliare capacitazioni e piccole attivazioni generative. A oggi è stata sperimentata in prevalenza su situazioni di fragilità sociale. L attivazione del cittadino nella presa di coscienza Un primo importante presupposto della Pic consiste nell attivazione immediata del cittadino. Sin dal primo accesso al servizio se ne cerca un coinvolgimento proattivo e mobilitante. La relazione che l operatore instaura deve veicolare una cultura che non sia solo assistenziale, mentre l utente deve essere accompagnato a riformulare anche la sua rappresentazione del servizio: luogo in cui si possono depositare richieste di aiuto molto specifiche, come per esempio gli aiuti economici, ma altresì luogo in cui si generano relazioni di fiducia nelle quali utenti ed operatori sono chiamati a cooperare per intervenire. Compito degli operatori sociali è quello di accompagnare l utente nella presa di coscienza rispetto alle proprie scelte di vita in modo da promuoverne una maggiore consapevolezza e responsabilità, sostenendolo nell affrontare la quotidianità, progettando un percorso di lavoro e delineando insieme obiettivi chiari e raggiungibili. Occorre dare credibilità al punto di vista di chi si accompagna, comprese le opacità e le incoerenze. In questo senso l approccio acquista una valenza educante, se si riesce a costruire un patto con l utente fondato su un rapporto di fiducia e di sostenibilità reciproca. Si condivide un progetto in cui ci si possa riconoscere, in modo da costruire un alleanza di lavoro duratura. Operatore e utente si assumono responsabilità e compiti. I patti possono rompersi ma c è la consapevolezza di averli siglati corresponsabilmente. Erano stati tracciati confini e pattuite condizioni, se necessario, riformulabili, per essere più congrue. Il tempo, una risorsa da governare La presa in carico breve e intensiva dà corpo a questa rappresentazione dell utente, interviene per incentivare e potenziare le sue risorse, in un tempo definito e con attivazioni su problemi trattabili e circoscritti (ancorché intricati) che l utente può ancora affrontare. Dunque si differenzia dalla presa in carico tradizionale in quanto si contrae nel tempo (si ipotizza un inizio ma anche una fine) e si intensifica, prevedendo colloqui anche ogni 15 giorni per massimo un anno. Se è vero che non si può aiutare senza essere in relazione, ne consegue che occorre sottostare ad alcuni vincoli che l essere in relazione con qualcuno implica: uno di questi vincoli è la vicinanza, anche nel tempo. Spesso il carico di lavoro impedisce di scandire gli incontri con assiduità e così si può incorrere nel rischio di ricominciare sempre da capo, sfilacciando la relazione e gli accordi pattuiti. Vedersi con continuità consente di tenere vivo il ricordo dell in-

95 Animazione Sociale strumenti 93 contro e per questo motivo permette di maneggiarlo con maggiore efficacia. La predilezione per ciò che è presente Da subito si cerca di lavorare per visualizzare e sostenere le risorse presenti, risorse che, in taluni casi, se supportate, mettono in grado di fare un percorso evolutivo, senza dover ricorrere alla presa in carico tradizionale. A differenza del passato, dove più frequentemente alla richiesta d aiuto di un cittadino corrispondeva l erogazione di un servizio o di una prestazione, oggi, come già precisato, si sta cercando di individuare risposte che non siano unicamente orientate a corrispondere a bisogni di natura economica. L esperienza ci insegna che intervenire sul solo disagio economico paradossalmente può facilitare il processo di esclusione sociale, poiché non incide sulle disfunzioni che lo hanno generato e talvolta concorre ad alimentare il circuito che ha prodotto il disagio originario. È invece utile provare ad entrare maggiormente nei progetti di vita di singoli e famiglie, ad affiancarli in percorsi che, se da un lato mirano a sostenere le relazioni interne ed esterne al nucleo, dall altro rafforzano, con questo agire, il ruolo del servizio come partner nella costruzione/ revisione del progetto di vita. Si concorre in tal modo alla lenta costruzione di una nuova/rinnovata rappresentazione del servizio da parte dei cittadini: da erogatore di prestazioni a supporter/ counselor esistenziale. La selezione delle situazioni trattabili Va da ultimo precisato che non tutte le situazioni che accedono ai servizi possono essere accompagnate con questo strumento. La Pic dà priorità a casi in cui vi sia una presenza di consapevolezza come elemento di partenza. Non è fattibile lavorare con persone che hanno assai scarsa o nulla consapevolezza della propria situazione. Si tratta di un percorso intensivo di accompagnamento che presuppone che la persona abbia gli strumenti necessari per effettuare piccoli cambiamenti. La presenza di sufficienti strumenti cognitivi Connesso a questo, occorre immaginare utenti che abbiano sufficienti strumenti cognitivi, tali da poter condividere la strada da percorrere. Avere garanzia che ciò che si dice è ben compreso, una sufficiente capacità linguistica (sapere leggere e scrivere almeno nella propria lingua), sapersi muovere con disinvoltura sul territorio, conoscere il proprio contesto abitativo... L interesse all affrontamento dei problemi Sono preferibili situazioni la cui complessità non impedisca di individuare percorsi di affrontamento dei problemi, seppur impegnativi; attraverso una modalità che permetta di lavorare con le caratteristiche dell utente. Occorre dunque selezionare situazioni in cui la compromissione non sia antica: per lavorare in Pic breve è necessario che le difficoltà di cui si fa portavoce l utente non siano sedimentate da vecchio tempo, ossia non siano cristallizzate e presenti da generazioni nel nucleo famigliare. La condivisione della parzialità di lavoro È sostanziale sancire un patto con l utente sulla reale trattabilità dei suoi problemi e dunque condividere una parzialità di lavoro, per un periodo circoscritto, in un cammino in cui l utente è co-progettante e si esprime circa la sostenibilità del percorso immaginato.

96 94 Animazione Sociale strumenti Il ricorso alla co-immaginazione di tutto un territorio Occorre pensare al territorio come ambito d intervento che va coinvolto in modo nuovo, in una logica non delegante né «scompositiva» (io faccio un pezzo e tu ne fai un altro), bensì in una logica coimmaginativa: i problemi sono di tutti e si intersecano sguardi e risorse per formulare risposte innovative e trasversali. Un tempo intenso, ma limitato Come già precisato, l accompagnamento deve essere intensivo ma limitato nel tempo (massimo 20 colloqui). Vi deve essere da parte del cittadino l assunzione di una prima riformulazione del problema su cui si trova minima convergenza, nonché della rappresentazione che la persona ha della sua situazione, tenendo presenti le risorse personali e di contesto. In questo processo la decodifica delle rappresentazioni degli utenti (cosa guida i pensieri e le richieste di aiuto) e il costante monitoraggio di quelle dell operatore (cosa guida l operatore nell interazione con chi ha di fronte) sono le fondamenta su cui costruire l edificio del lavoro di accompagnamento. La tenuta della micro comunità territoriale Quanto detto rende evidente che questo tipo di approccio implica un forte investimento nei territori (comuni e aggregazioni di comuni), anche in piccole comunità, al cui interno debbono essere attivati servizi che aiutino a districarsi nella complessità del quotidiano (5). Occorre la stretta collaborazione tra ente pubblico, privato sociale e mondo profit. Non tutto, infatti, si gioca all interno delle mura dei servizi. Affinché l intervento sia efficace e piccoli spostamenti concreti si realizzino, occorre che il servizio si prolunghi e dirami nei luoghi di vita dei soggetti con cui si lavora. Gli operatori socio-assistenziali, sociosanitari e socio-educativi possono essere una presenza attiva nei micro contesti quotidiani e possono guardare da vicino, con competenza, i problemi delle persone. Un partner affidabile fuori dai soli servizi Tuttavia per costruire percorsi concreti e sostenibili, occorre individuare partner di lavoro fuori dai soli servizi. Il lavoro di rete certamente corrisponde a questo obiettivo. Non si tratta però di condividere solo con la rete dei servizi formali e strutturati processi di cura condivisi. Si tratta anche di pensare le micro comunità come luoghi nei quali l accompagnamento prosegue e dilata il lavoro di cura avviato dai servizi stessi. È di nuovo nella prossimità alle persone che chiedono aiuto la chiave per intervenire. Spesso gli operatori faticano ad agire questa prossimità, le regole entro cui esercitano la loro professione talvolta lo impediscono. Eppure non è impossibile. L ipotesi che ci guida è che le relazioni di prossimità appartengano a tutti. Quando parliamo di relazioni di prossimità non ci riferiamo solamente alle reti primarie e naturali della famiglia, a quelle più allargate degli amici e dei conoscenti, bensì a quelle degli sconosciuti, riconosciuti nella 5 Gli interventi devono andare nella direzione di inserire le persone in contesti socializzanti, incentivare percorsi di scolarizzazione, aprire dialoghi interculturali, semplificare l accesso ai servizi, favorire scelte educative opportune, sostenere la genitorialità.

97 Animazione Sociale strumenti 95 loro funzione sociale nei territori, quartieri, isolati: pensiamo ai negozianti, baristi, vicini di casa... È all interno di questi contesti che possono nascere azioni «curative». Esistono in potenza, serve visualizzarle, per attivarle. Un lavoro che si estende oltre gli uffici Il lavoro dell operatore allora non si esaurisce nel pur prezioso, insostituibile e primario lavoro di ascolto e accompagnamento, anche alla rete dei servizi, bensì si prolunga, si estende oltre gli uffici, nei luoghi di vita delle persone dove la potenzialità dell intervento di aiuto è ancora da concretizzare. Dentro le piccole, il più delle volte invisibili, azioni che le persone attivano al di fuori dei contesti istituiti, il processo di cura immaginato prende corpo. Relazioni d aiuto anche episodiche, circoscritte, occasionali fanno parte della vita di tutti i cittadini. Fare leva su ciò che è già presente, anche se debole, incerto, fragile è il lavoro a cui non si può abdicare. Spesso è negli scambi quotidiani, il più delle volte imprevedibili, che si possono verificare insperate e sorprendenti risposte di aiuto. All interno di questa tessitura sottile, all apparenza poco significativa, precaria, soprattutto non controllabile, le persone possono condurre esistenze sufficientemente adeguate. Un cantiere non troppo istituito In conclusione, ricollegandoci a quanto scritto in apertura, è nel fluire ordinario 6 Calvino I., Le città invisibili, Mondadori, Milano della vita che l intervento sociale può divenire generativo; è nel cantiere non troppo istituito che si può vedere il non visto. «Le vie dei venti sono più durevoli delle fondamenta scavate sotto il suolo», ricorda Italo Calvino (6). Certamente il lavoro di rete tra servizi, giocato su funzioni e mandati istituzionali, è indispensabile, patrimonio da conservare e potenziare, purché rinnovato da ciò che prende vita nell informalità e lì disegna nuovi itinerari. A chi lavora con i cittadini fragili è dunque richiesto di scoprire e ricercare i fili della loro vita quotidiana e immaginare come questi possano essere intrecciati per favorire un cambiamento positivo. A questo movimento creativo contribuiscono le associazioni, i gruppi di cittadini, i singoli, tutti responsabilmente chiamati a riconfigurare il quotidiano di persone gravate dalla multiproblematicità della vita; non rinunciando mai a sperare nel futuro. Del resto «se non speri l insperato, non lo troverai» (Eraclito). Luisa Sironi, consulente e formatrice, è responsabile del Servizio sociale integrato unionale della Bassa reggiana:sironiluisa@ gmail.com

98 intervista studi prospettive inserto metodo strumenti luoghi&professioni bazar Accogliere giovani vite in fuga Quale lavoro con i minori stranieri non accompagnati? di Luca Fossarello Agnese Calò Selenia Serafino I migranti continueranno ad arrivare sempre più numerosi in Europa, complici i conflitti, il land grabbing, i mutamenti del clima... Difficilmente si potrà arginare il flusso dell umanità in fuga. Non sono singoli individui, sono popoli che camminano, scappano, sperano. Insieme ai migranti adulti, stanno arrivando sempre più minori non accompagnati: ragazzi «buoni», ragazzi «cattivi», ragazzi «pigri», ragazzi «brillanti», a volte un po confusi e arrabbiati. Né più né meno degli adolescenti italiani, con l aggiunta però di una lunga serie di traumi alle spalle: abbandoni, violenze, viaggi tremendi, povertà estreme... La questione non è «se accoglierli», ma «come accoglierli».

99 Animazione Sociale luoghi&professioni 97 I dati del Ministero dell interno mostrano che in Italia, dal 2014 al 2016, la percentuale di minori stranieri non accompagnati (Msna) autodichiarati è andata aumentando, in rapporto al totale dei rifugiati (1) : forse per effetto del passaparola, forse per aumento delle situazioni di crisi nei rispettivi Paesi di provenienza. In termini numerici, i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia a inizio 2016 risultavano essere circa 16 mila. Il numero è molto dinamico: molti diventano presto maggiorenni, visto che la fascia più rappresentata è quella dei ragazzi con 17 anni, altri fuggono per proseguire il percorso migratorio. Ragazzi da poco sbarcati in Italia Il progetto Fami/Home (2) nel quale lavoriamo nasce per contrastare la dispersione di minori stranieri non accompagnati sul territorio: ovvero «quei minori stranieri che si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell ordinamento italiano» (3). L intento del nostro progetto di accoglienza è di evitare che finiscano in circuiti illegali quali lo spaccio, la prostituzione, il commercio di organi, o semplicemente diventino «invisibili», fuori dal margine della società. In Nord Italia, le cooperative e gli altri attori sociali che hanno recepito il progetto Fami per i minori sono in tutto tre: Torino- San Mauro, Genova e Bologna-Ferrara. Sono presenti altri centri Fami in Sud Italia e soprattutto in Sicilia. Il progetto, recepito nel nostro territorio da due cooperative sociali, ha portato all istituzione di quattro centri di accoglienza a Torino, il più grande dei quali si trova a San Mauro, a pochi chilometri dal capoluogo. L équipe del centro di San Mauro è costituita da diversi operatori, tra cui un assistente sociale, uno psicologo, un mediatore culturale, un operatore legale e diversi educatori. Gli ospiti della struttura (messa a disposizione dalla Diocesi di Torino) sono 24, e sono tutti ragazzi. Quando questi minori fanno il loro ingresso in struttura, sono generalmente arrivati in Italia da poco tempo. Per questa ragione, dopo una prima fase di accoglienza, vengono subito tutelati dal punto di vista della salute psico-fisica. Successivamente si avvia con loro un complesso iter amministrativo (identificazione, accertamento dell età, ricostruzione delle storie, richiesta della tutela...) che li porterà a ottenere un permesso di soggiorno provvisorio di sei mesi. Trascorso questo periodo, verranno trasferiti in altre strutture di accoglienza con meno ospiti, per fornire loro un servizio di accoglienza più adeguato. Quattro storie di vite in fuga Presso il Centro di prima accoglienza Fami di San Mauro, sono finora transi- 1 Cfr. Dipartimento per le libertà civili e l immigrazione, anni , sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienzadei-migranti-tutti-i-dati. 2 Il progetto Fami/Home è finanziato dal fondo Fami (Fondo asilo migrazione e integrazione) del Ministero dell interno. Home si riferisce al fatto che il nostro centro di accoglienza intende essere «casa» per questi ragazzi che arrivano da Paesi lontani, con storie drammatiche alle spalle e un futuro incerto davanti. Il tempo in cui sostano da noi è mediamente di otto mesi. 3 Tratto da Rozzi E., Save The Children, Vademecum sui diritti dei msna,

100 98 Animazione Sociale luoghi&professioni tati circa 50 ragazzi, provenienti soprattutto da Gambia, Bangladesh, Senegal e Mali. La loro età media è di circa 17 anni. Generalmente presentano una buona salute generale, ma spesso portano con loro le cicatrici, non solo fisiche, della loro dolorosa vicenda esistenziale. Per meglio capire il progetto di accoglienza di San Mauro, è necessario conoscere le persone che ne sono ospiti. Ecco allora quattro storie di vita, che abbiamo composto mettendo insieme le parole che questi ragazzi ci hanno consegnato. Le storie sono quelle di Shumel, un ragazzo proveniente dal Bangladesh; di John dalla Nigeria; di Ebrima, detto la «piccola faina», dalla Guinea Conacry; e di Dawda dal Gambia. I nomi sono di fantasia, ma le storie sono come i nostri quattro ragazzi ce le hanno narrate. Shumel, la sua famiglia ha investito su di lui Shumel proviene dalla zona di Chandipur, a Sud del Bangladesh. Il suo Paese conta quasi 169 milioni di abitanti, dodicesimo Paese al mondo per densità di popolazione (1.200 abitanti al km²) e dollari all anno di Pil pro capite, in un contesto di profondissime disuguaglianze sociali. Uno dei fenomeni più drammatici del Paese di Shumel è il cambiamento climatico, che sta portando, oltre a un intensificarsi dei cicloni, all inabissamento della parte costiera. Il Paese è poi percorso da gravi tensioni politico-religiose, con una minoranza islamista e un governo laico filo-indiano. Shumel ci ha raccontato di avere almeno due buoni motivi per migrare: la totale miseria in cui versa la sua numerosa famiglia (sono sette componenti) e il fatto che la zona in cui abitano sta inabissandosi. Lui è dunque un migrante economico e climatico, secondo la distinzione che viene oggi proposta. La sua famiglia ha deciso di investire su di lui, in modo che lui potesse arrivare in Europa, lavorare subito e inviare denaro a casa. Per finanziare il viaggio, ha dovuto versare l equivalente di 12 mila euro (circa un miliardo di taka bengalesi) a una organizzazione di «brokers», così vengono definiti i trafficanti di uomini in Bangladesh, con la casa di famiglia lasciata in pegno. Una cifra enorme, che lui dovrebbe cominciare a restituire non appena arrivato in Europa. Con sulle spalle questa grande responsabilità, Shumel ha intrapreso il suo viaggio, che non è stato, come per i turisti, via area, con scalo a Dubai, ma per vie molteplici, come accade ai profughi: bus, barche, piedi... Partito nel novembre 2015, ha rapidamente attraversato l India ed è rimasto in Pakistan per circa 50 giorni, prima di poter valicare la frontiera. Dopodiché è arrivato in Iran, dov è rimasto per tre mesi in una condizione di quasi schiavitù, lavorando in una fabbrica ore al giorno, nella quale era recluso anche di notte. Poi la fuga rocambolesca e un orribile viaggio via terra e mare verso la Libia. Qui è stato quasi subito rapito, e per sopravvivere ed essere liberato ha dovuto pagare un cospicuo riscatto, aumentando così la cifra da restituire. Dopo tre mesi, nel luglio 2016, si è imbarcato per l Italia su una carretta del mare. Della sua traversata nel Mediterraneo ricorda l odore delle persone stipate nel barcone e il provvidenziale salvataggio da parte di una motovedetta italiana. A Reggio Calabria ha avuto la sfortuna di essere ospitato nel «centro di accoglienza» Lo Scatolone, una orrenda palestra di basket adibita a dormitorio, nella quale erano

101 Animazione Sociale luoghi&professioni 99 presenti solo volontari per qualche ora al giorno. Lì è rimasto con altri 250 ragazzi fino a inizio ottobre, quando è stato trasferito a San Mauro nel nostro Centro. Shumel con noi si è dimostrato un ragazzo brillante e sta prendendo, primo del suo gruppo, un certificato di conoscenza della lingua italiana, nonostante abbia studiato poco in Bangladesh, dove la scuola è privata. Il suo cruccio è di non essere ancora riuscito a spedire soldi alla sua famiglia. John, la sua storia è fatta di abbandoni e fughe John è un ragazzo nigeriano di 17 anni, cristiano e di etnia Eshan, un bellicoso gruppo tribale che all inizio del 900 ha contrastato efficacemente gli inglesi nei loro tentativi di colonizzazione. La Nigeria (o meglio, Repubblica Federale della Nigeria) è il più popoloso Stato del continente africano, con circa 191 milioni di abitanti; essa comprende 36 Stati e oltre 250 gruppi etnici. Dal punto di vista economico, è un Paese ricco di risorse naturali, in forte crescita; il Pil è di dollari pro capite, anche qui però distribuito in modo profondamente diseguale. Dal punto di vista religioso, la popolazione è quasi perfettamente divisa tra cristiani e musulmani, con violenti scontri nel recente passato, nel Nord Est del Paese. La madre di John, Precious, era sposata con un marito molto ricco, abitavano insieme a Port Hancourt. Poi lui si invaghisce di un altra donna, con una scusa ripudia la moglie e disconosce i due figli, tra cui John. I tre finiscono a vivere in strada, con la madre che comincia presto a prostituirsi per mantenersi. I due ragazzini vengono affidati a un Pastore protestante, ma questi mal sopporta John, che a un certo punto non ce la fa più e scappa via. Insieme a un amico, decide di cercare fortuna in Libia: i due si impossessano di una macchina e attraversano, corrompendo i doganieri, tutto il territorio che li separa dal confine libico. Qui però sono fermati da una banda armata che li rapina e li imprigiona in un compound per chiedere un riscatto alle famiglie. Secondo il racconto di John, gli aguzzini sono così impietositi da lui che lo liberano; più probabilmente capiscono che non ha una famiglia alle spalle e trattenerlo significa occupare un posto. Il ragazzo è quindi rimesso in libertà, ma è solo e non sa dove andare. Il suo letto è la strada. Racconta John che un giorno un passante, mosso da pietà, lo invita a stare a casa sua, dove abita con la moglie, ma questa ospitalità si traduce ben presto in schiavitù, in quanto il ragazzino è costretto a lavorare gratis tutto il giorno. John allora fugge un altra volta, forse rubando a quell uomo un po di denaro, quanto basta per pagarsi il viaggio in barcone. In Italia arriva nell agosto 2016 e viene ospitato anche lui presso Lo Scatolone. Poi viene trasferito a San Mauro e ora il ragazzo è ospite in uno Sprar specializzato nella presa in carico di minori fragili. Ebrima, appena 13 anni, un giorno si è allontanato con tre mele in tasca Ebrima, anche detto la «piccola faina», ha il primato di essere il più giovane ospite del nostro centro di accoglienza. Il certificato di nascita che ci ha mostrato, insieme al certificato scolastico, attesta che lui al momento dell ingresso in comunità ha appena 13 anni. Ebrima proviene dalla Guinea Conacry, un piccolo e povero Paese dell Africa orientale, con circa 12 milioni di abitanti, un Pil pro capite di circa 520 dollari. Ricco di risorse naturali, il Paese è preda di dittature; rilevanti sono anche le tensioni tra

102 100 Animazione Sociale luoghi&professioni i mandinka e i pulà, i due principali ceppi etnici. Ebrima racconta che il padre è stato assassinato durante uno scontro etnico. Lui è stato portato in salvo dallo zio fino in Mali, dove è stato abbandonato. Dal Mali in poi è riuscito a cavarsela da solo facendo l aiuto cuoco in Libia. Dalla Libia si è imbarcato per l Italia. Arrivato a Reggio Calabria è stato trasferito a San Mauro dove, per farsi rispettare, ha assunto un comportamento molto aggressivo e dispettoso, combinandone di tutti i colori sia agli altri ospiti che agli operatori (da qui il soprannome scherzoso «piccola faina»). Un giorno di dicembre scorso, dopo aver pranzato con tutti, si è allontanato con un paio di mele in tasca, forse per raggiungere un qualche suo parente in Inghilterra. Di lui non abbiamo più notizie, ma siamo certi che sia arrivato dove voleva. Ci restano alcuni suoi effetti personali, come i disegni e le scritte sopra il suo letto, nei quali incontra la mamma che non aveva mai conosciuto, perché morta durante il parto. Dawda, che ha visto morire l amico per disidratazione nel deserto Dawda è un ragazzo gambiano grande e grosso e molto maturo per la sua età. Dimostra più dei 17 anni che dice di avere, con ragione (la sua età è stata accertata tramite test multidisciplinare). Il Gambia è un Paese dell Africa occidentale poco più grande del nostro Abruzzo. Negli ultimi vent anni è stato caratterizzato da dittature e repubbliche presidenziali che si sono avvicendate. L ultima sommossa è avvenuta ad aprile di quest anno, con la cacciata dell ex presidente che, perse le elezioni, non voleva rinunciare al potere. Nonostante il terreno fertile e il mare pescoso, il Pil è molto basso; vi è quindi una povertà molto diffusa. Dawda racconta che qualche anno fa, a seguito di un incidente, suo padre è morto, e sua madre ha sposato un altro uomo, con cui lui aveva un pessimo rapporto, culminato con la sua cacciata di casa da parte del patrigno. Dawda racconta di aver dormito per giorni davanti al portone di casa, ma di non esservi stato più riammesso. A quel punto ha deciso di andare a nord, in Libia o in Tunisia, per fare il mestiere che conosce bene: l elettricista. Il viaggio che ha intrapreso è stato duro: racconta che nel deserto lui e altri migranti sono stati fatti scendere dal conducente del pick-up su cui viaggiavano, sotto la minaccia di un fucile, e che in quel tratto un suo caro amico è morto per disidratazione. Dawda si è salvato e dopo varie peripezie è arrivato a San Mauro. In una occasione ha dimostrato il suo sangue freddo, temprato dalle vicissitudini: un giorno uno degli ospiti ha rotto (per sbaglio) il vetro di una finestra con la mano, rischiando di tranciarsela. Dawda l ha tenuto fermo e, strappandosi la camicia, ha «bendato» la ferita, evitando una ulteriore perdita di sangue prima dei soccorsi del 118. Storie che sono documenti di un epoca Queste storie sono documenti di un epoca la nostra in cui milioni di persone decidono loro malgrado di mettersi in cammino. Non sappiamo se i fatti si siano realmente svolti come Shumer, John, Ebrima, Dawna e tanti altri ce li hanno raccontati. I loro volti però raccontano più delle parole. Ciò che sappiamo con certezza è che tutti sono passati per la Libia. Alcuni sono profughi, vittime di guerre, violenze, scontri etnici, disastri ambientali, discriminazioni religiose e sessuali; altri, forse, sono semplicemente migranti economici, persone che cercano un futuro migliore per sé e la propria famiglia.

103 Animazione Sociale luoghi&professioni 101 Un mandato tra cura e controllo I minori stranieri non accompagnati vengono selezionati per aderire al progetto Fami/ Home dal Ministero dell interno, e possono essere trasferiti presso il nostro centro o appena sbarcati oppure dopo essere stati ospiti di Centri accoglienza straordinaria (Cas), di Centri accoglienza richiedenti asilo (Cara) e hotspot sparsi per tutt Italia. Tre compiti fondamentali Il nostro mandato istituzionale ci impone di accertarne l età, prenderli in carico dal punto di vista sanitario e far loro ottenere un permesso di soggiorno temporaneo, dopodiché vengono trasferiti in un centro Sprar sul territorio nazionale. In particolare il nostro lavoro consiste in questi punti. La presa in carico sanitaria È l azione che prevede meno criticità, in quanto sul territorio piemontese, e torinese in particolare, anche grazie all azione di advocacy del Gris Piemonte, una rete tra pubblico (Centri Isi), privato convenzionato e volontariato sanitario (Camminare Insieme e Sermig) riesce a garantire un diritto alla salute per i beneficiari del progetto. L accertamento dell età La normativa italiana prevede che siano gli operatori del centro di accoglienza, se sussiste un ragionevole dubbio, a domandare alla Questura un procedimento di accertamento dell età. La normativa regionale stabilisce invece che tutti i sedicenti minori presenti sul territorio regionale siano sottoposti, per una questione di maggior tutela nei loro confronti, ad accertamento di età. Questa circolare produce argomenti di discussione su almeno tre livelli: scientifico, etico ed economico. La questione scientifica: all attuale stato delle conoscenze tecnico-scientifiche, è possibile determinare l età di una persona con un range di più o meno due anni, tramite una serie di esami sociosanitari che possono variare a seconda dei protocolli utilizzati. Vi è quindi una incertezza tecnica, in quanto non vi è una uniformità di protocolli (ne esistono diversi). Accertare l età è un atto amministrativo che va a influire sullo status giuridico di una persona, nel senso che può trasformare un minorenne in un maggiorenne oppure il contrario. Una norma tecnica opinabile può influire in modo molto pesante sulla vita di una persona: ovvero l uscita di una persona da un sistema di protezione e accoglienza (teoricamente) molto tutelante come quello riservato ai minori, e l ingresso in un sistema diverso, ovvero quello riservato ai maggiorenni. La questione etica rimanda a una domanda rivolta ai professionisti di settore (e ai lettori di questo articolo): un minore, che è palesemente molto minore, perché deve essere sottoposto ad accertamento dell età? Perché, come è successo in Piemonte, una bambina di circa sei anni deve essere sottoposta ad accertamento della minore età, se non vi sono dubbi a riguardo? La questione economica è legata al sottoporre tutti i minori stranieri non accompagnati registrati in Piemonte ad accertamento dell età, anche coloro che risultano palesemente minorenni, moltiplicando i costi a carico del Servizio sanitario regionale. L iter amministrativo Ai minori appena arrivati in struttura si chiede se posseggano già un permesso di soggiorno, oppure se abbiano fatto altre operazioni amministrative, come il secondo foto-segnalamento (il primo è avvenuto nel luogo di sbarco). Se la risposta è negativa, si contatta la Questura

104 102 Animazione Sociale luoghi&professioni Lavorare con i minori è sempre complesso, ancor più se sono stranieri non accompagnati, provenienti da situazioni di disagio e adultizzazione precoce, che nel viaggio hanno visto o subito violenze. per fissare il foto-segnalamento e, una volta effettuato, si contatta la Medicina legale dell Asl per concordare l accertamento dell età. Parallelamente si effettuano almeno due colloqui con il minore, per ottenere informazioni socio-anagrafiche e alcuni cenni sulla sua storia. Una volta che l accertamento dell età è concluso e il ragazzo risulta essere effettivamente un minore, viene ottenuta la tutela dal Tribunale di Ivrea; se il minore risulta avere più di 17 anni, viene trasferito in un centro Sprar per adulti. Una mail non letta può bloccare la vita di un ragazzo In un processo così dinamico e complesso, entrano in gioco molti attori sociali: Ministero dell interno, Sprar centrale, Prefettura, Questura, Asl, Tribunale dei Minorenni, Consorzio dei servizi sociali, reti di volontariato e Sprar locali. Rispetto alla tutela della salute, grazie alla normativa in vigore e alla sua attuazione, non sembrano esserci particolari criticità, che invece sussistono rispetto all iter normativo, dove un singolo attore sociale può bloccare tutto il processo: una mail non letta o dimenticata, una lentezza nell inoltrare una relazione, può bloccare il progetto individuale di un minore per mesi e mesi, relegando nell incertezza la vita del ragazzo. Succede così che, se per la cosiddetta «legge Zampa» (che da febbraio 2017 ha riformato l accoglienza ai minori stranieri non accompagnati) tali procedure burocratiche dovrebbero essere espletate entro 30 giorni, di fatto, da quando è stato aperto il centro, da ottobre 2016 a giugno 2017, sono ancora presenti alcuni ospiti originali. Con il tempo, e costruendo una rete, i tempi si stanno accorciando, ma, una volta giunti al termine dell iter burocratico, quando il minore è pronto per essere trasferito nei centri Sprar, bisogna attendere che nella rete nazionale dei centri Sprar si liberi un posto. E i tempi tendono a dilatarsi di mesi. Il lavoro con gli ospiti Lavorare nel sociale con i minori è sempre complesso, ancor più se si tratta di minori stranieri, che non sono accompagnati da genitori o adulti di riferimento, che spesso arrivano da situazioni di disagio e adultizzazione precoce e che hanno visto o subito violenze durante il viaggio. Ulteriore fonte di complessità è la natura temporanea della loro permanenza, nonché le tempistiche incerte, ovvero in quanti e quali (la questione della qualità dell accoglienza è un nodo scoperto) altre strutture andranno in futuro. La costruzione del piano individuale Rispetto al lavoro con il minore, l équipe, dopo l arrivo del ragazzo in struttura e le prime visite mediche urgenti (prima visita medica, screening Tbc), realizza una valutazione socio-psico-educativa, condotta sia tramite colloqui (non troppi e non tutti insieme, per non mettere sotto tensione il

105 Animazione Sociale luoghi&professioni 103 minore), sia tramite osservazione di come il minore si relaziona con il gruppo. Questa valutazione consente all équipe di elaborare un piano individuale per il ragazzo, che tenga conto dei suoi bisogni e desideri, e che sia costruito con lui, passo dopo passo. Tutto questo lavoro è condotto con il mediatore culturale che è in équipe. Veramente fondamentale è poi l apporto fornito da volontari formati. Il piano individuale deve avere una tempistica limitata, al massimo cinque mesi, in quanto probabilmente il minore permarrà nel centro per un periodo simile. È fondamentale anche creare un contesto di accoglienza ad hoc, in cui il ragazzo si senta al sicuro e accettato e attraverso il quale possa accedere alle risorse, materiali e immateriali, che il territorio offre e che l équipe ha selezionato con lui e per lui: corsi di sartoria, di meccanica, ecc. Questi piani sono come dei vestiti che vanno ritagliati su misura del ragazzo, e solo per lui. La prevenzione di situazioni illegali Un aspetto importante del lavoro con i ragazzi è l attività di prevenzione alle situazioni di illegalità. Tale attività consiste in una formazione condotta da docenti appositamente formati, peer educator e operatori pari, e viene sviluppata con Save The Children, che a Torino ha una attività ben avviata nella zona del mercato di Porta Palazzo. La prevenzione viene svolta sia perché sul territorio sono presenti reti di connazionali anche dedite ad attività illegali, sia perché questi ragazzi, per mesi se non anni, hanno dovuto sopravvivere a situazioni di qualsiasi genere, contando solo sulla propria capacità di adattamento. L ottica è la tutela del minore, che rischia di essere agganciato a reti di spaccio, che sono contigue a reti illegali di ricettazione, piccoli furti e prostituzione minorile. L inserimento a scuola e nel lavoro Come motori di integrazione, scuola e lavoro sono risorse eccezionali. Appena arrivato, il minore viene subito testato sulla sua alfabetizzazione ed eventuale conoscenza dell italiano, e inserito in uno degli istituti scolastici del territorio che si occupano di istruzione per cittadini stranieri. Una questione delicata rimane quella legata all avviamento al lavoro: questi ragazzi arrivano da contesti molto umili, e molti di loro lavoravano già a 10 anni; una volta arrivati in Italia hanno il desiderio di mettersi a lavorare subito, chi per pagare i debiti del viaggio, chi per comprarsi le cose che desidera e che noi non forniamo, come abiti di marca, smartphone di ultima generazione, ovvero tutto ciò che un normale adolescente considera status symbol. Tuttavia, data la loro minore età, e dato che la stragrande maggioranza dei corsi di formazione richiedono come requisiti conoscenze relativamente avanzate di italiano, a volte è difficile inserirli velocemente in corsi professionali e bisogna attendere che il ragazzo abbia sviluppato sufficienti competenze di italiano. L importanza di attivare le risorse locali Per lavorare con i minori stranieri non accompagnati è necessario sviluppare sinergie con le diverse agenzie del territorio: dai servizi sociali locali, all Asl, alla Questura; ma non solo, anche con le realtà di volontariato, con le scuole, con le squadre di calcio locale e con altre realtà sportive. Si deve quindi costruire una rete sul territorio, in modo da potervi attingere risorse per i progetti individualizzati. Perché le risorse

106 104 Animazione Sociale luoghi&professioni delle persone si attivano se insieme si mobilitano le risorse degli ambienti in cui essi si trovano a condurre, progettare, sognare la propria vita. Tra le risorse locali ci sono sicuramente i volontari, i «cittadini attivi». Un famoso proverbio africano dice che «per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio». Anche noi siamo convinti che non bastino gli operatori, ma ci vogliano volontari formati (singoli o famiglie). Costruire una rete di volontari è una operazione che richiede tempo. Per questo, già prima dell apertura del centro di San Mauro (ottobre 2016), si è pensato di mobilitare la disponibilità di persone e gruppi, dagli scout a persone appartenenti ad associazioni di volontariato. Il lavoro dei volontari è gestito e monitorato costantemente, e i feedback che ci forniscono sui ragazzi sono fondamentali per calibrare il piano individuale. Una buona accoglienza crea buoni cittadini I migranti continueranno ad arrivare sempre più numerosi in Europa, complici i conflitti, il land grabbing, i cambiamenti climatici. Difficilmente si potrà arginare il flusso dell umanità in fuga. Non sono singoli individui, sono popoli che camminano, scappano, sperano. Insieme ai migranti adulti, arrivano sempre più e arriveranno minori non accompagnati: ragazzi «buoni», ragazzi «cattivi», ragazzi «pigri», ragazzi «brillanti», ragazzi e adolescenti a volte un po confusi e arrabbiati. Né più né meno degli adolescenti italiani, con l aggiunta però di una lunga serie di traumi alle spalle: abbandoni, violenze, viaggi tremendi, povertà estreme... Non crediamo che la questione principale sia «se accogliere», ma il «come accogliere», ovvero costruire una buona accoglienza: centri di accoglienza (che siano Cas, hotspot, Sprar non importa) realizzati in luoghi degni, gestiti in modo chiaro, e con beneficiari accompagnati da una équipe di professionisti del settore, fornendo loro dei servizi sociosanitari equi e di qualità, elaborando progetti individuali basati su integrazione locale, scuola e avviamento professionale. Semplicemente, una buona accoglienza forma buoni cittadini. Certo è rilevante oggi anche curare l impatto che l arrivo di migranti ha sui territori. A tal fine da un lato serve creare una sensibilità sociale, formare una cultura dell ospitalità, che spesso nei nostri territori è più presente di quanto si pensi. Ma lo è sotto traccia, e servono professionisti sociali capaci di creare le condizioni e le occasioni perché queste disponibilità volontariamente si mettano all opera. Dall altro occorre che la politica, a livello non solo italiano ma europeo, si incarichi di distribuire in modo equo tra i territori le persone rifugiate in generale e i minori non accompagnati in particolare. Perché l Italia non può e non deve rimanere da sola nella gestione di un fenomeno che è globale e che non sarà passeggero, ma un fenomeno con cui, come parte del mondo «fortunata» e come tale agognata dall altra parte del mondo «sfortunata», dovremo fare i conti nel tempo. Luca Fossarello è assistente sociale nel progetto Home della cooperativa sociale Terremondo a San Mauro Torinese: luca.fossarello@terremondo.it Selenia Serafino è assistente sociale nel progetto Home di Terremondo: selenide@libero.it Agnese Calò è tirocinante (in Master Erasmus Mundus in Mediazione Inter-Mediterranea presso l Università Cà Foscari di Venezia) nel progetto Home di Terremondo: calagnese@hotmail.it

107 bazar punto Fo discussione diari libri segnalazioni locande punto Illustrazione di Dario Fo La pace di Aristofane 1984, Tecnica mista su tavola Testo di Dario Fo... si ripete a tormentone che questa è una guerra umanitaria. È interessante notare come avviene questa cancellazione del senso di umanità, questa mostruosa capacità di distinguere un morto da un altro e di collocarli all interno di due categorie mentali completamente diverse. La morale che rende possibile questo doppio salto mortale logico è quella del fine che giustifica i mezzi. Se il fine è giusto (punire i terroristi) qualunque costo collaterale (uccidere civili innocenti) è accettabile. Al contrario noi pensiamo che per raggiungere un fine giusto si possano compiere solo azioni che rispecchiano la giustizia del fine. Siamo convinti di questo, non solo per imprescindibili ragioni morali, ma anche perché abbiamo dato un occhiata alla storia e abbiamo notato che ogni volta che si è cominciato a giustificare i mezzi con il fine sono successi disastri... (Dal discorso contro la guerra in Afghanistan, 14 ottobre 2001)

108 106 Animazione Sociale bazar Il quotidiano nascere di reti sociali partecipate/2 L azione dal basso non basta, si rischia la disintermediazione Anna Monti, Luca Rossetti SOSTE DI DISCUSSIONE L enfasi sull azione dal basso delle reti sociali, tanto più in territori complessi, rischia di essere controproducente. Può alimentare forme crescenti di disintermediazione, con quel che comporta in termini di ingannevole autosufficienza dei cittadini e di distanza tra questi e le istituzioni pubbliche, fino a disperdere il senso stesso della politica. Per scongiurare questi rischi occorre stimolare le istituzioni pubbliche a sviluppare una nuova prossimità con i cittadini. Scriviamo questa «Sosta» dalla ben nota via Padova a Milano, dove come operatori sociali ci troviamo a facilitare percorsi di rete per promuovere su un territorio impegnativo il rispetto reciproco, la voglia di impegnarsi per migliorare anche dal basso, l arricchimento tra culture per coltivare comunità. Ma anche avendo presente che, in un epoca di crisi, «tenere insieme» paure, passioni e conflitti di un contesto è una sfida improba. Si tratta, un passo alla volta, di mettere insieme gruppi diversi e di aprire ponti con le istituzioni del territorio favorendo processi di apprendimento reciproco. Siamo convinti che in questa fase storica il rapporto con le politiche sia vitale per nominare questioni, presentare possibili soluzioni, suggerire un metodo di lavoro basato sul confronto. Ci troviamo, infatti, immersi in situazioni personali e familiari, di gruppo e comunitarie, mai semplici. Con scenari di degrado relazionale e ambientale che chiamano in causa ruoli e responsabilità, che spesso sono da ripensare e coordinare in una chiave efficace e generativa per chi abita i quartieri. Diciamo questo dal di dentro di un via e di un quartiere caratterizzati da un alto tasso di immigrazione, ma anche da un rapido processo di innovazione socio-culturale dove gli abitanti storici si confrontano con nuovi modi di abitare, connotati sia da un tessuto sociale multiculturale e cosmopolita sia da una più recente presenza creativa giovanile. La sola azione dal basso non basta più Lavorare in questa situazione ha fatto crescere in noi la consapevolezza che promuovere coesione chiede di provare a rispondere ai tanti problemi del territorio, valorizzando le risorse della comunità, non chiudendoci nell allestire attività conviviali o eventi, ma puntando sul farci ponte tra istituzioni politiche e cittadini. In questa prospettiva, occorre promuovere e consolidare un modello di governance e nuove modalità organizzative che alimentino in una città complessa come Milano la sinergia tra assessorati e decentramento urbano (i nuovi Municipi). Una necessità indifferibile per dare corpo a processi accompagnati dal basso e governati dall alto. Il rischio, altrimenti, è che il coinvolgimento e la partecipazione risultino effimeri, generando paradossalmente sfiducia, dopo aver alimentato aspettative. In effetti le difficoltà nel rapporto con le politiche incidono pesantemente sulla generatività sociale. La sola azione dal basso non basta più. I cittadini attivi e attivabili percepiscono segnali di assenza, illusori e contraddittori. Le persone non ci credono più, gettano la spugna, sentendo che la loro disponibilità diventa poca cosa, al punto che il senso di frustrazione si trasforma in rassegnazione e disimpegno. Una richiesta diffusa di superamento dell immobilismo Ripensando al nostro operare in via Padova una leva signifi-

109 Animazione Sociale bazar 107 cativa è stata una campagna di ascolto e contatto locale tramite diversi strumenti (questionari, cartoline, presidi, interviste, aperitivi, incontri ad hoc con varie realtà locali) che ci ha raccontato la grande complessità nel fare e tenere insieme le persone. E tuttavia, se pur diversi sono i bisogni, comuni sono i desideri, con una diffusa volontà di superamento dell immobilismo. Si avverte una grande energia prodotta (dal basso) da parte di cittadini, organizzazioni, gruppi informali. Ma questa energia attende di incontrare gli attori istituzionali (dall alto) che, però, procedono spesso in ordine sparso senza una precisa intenzionalità. Le particolarità del quartiere, alimentate anche dalla presenza di giovani design, creativi e artisti, fanno respirare le potenzialità della bellezza e dell arte nei luoghi pubblici per ridare vita, significato e socialità ad alcuni «non luoghi». Ma, ancora una volta, sono energie che necessitano di incontrare politiche pubbliche come elemento di facilitazione e sostegno, coordinamento e arricchimento reciproco. Il disegno di un arcipelago della coesione Le esperienze attuate con l aiuto dei cittadini e dei gruppi locali dai laboratori di street art agli orti sociali, dal libro fotografico Via Padova e dintorni che è un «mosaico» di immagini e racconti della lunga storia della via, al reading letterario tratto dai presidi ai giardini di via Mosso, luogo problematico del quartiere ci hanno fatto apprendere sul campo la pluralità di risposte necessarie. La coesione sociale richiede molti ingredienti: presidio dei luoghi, ascolto, attivazione, riqualificazione del territorio, sicurezza urbana e nuove forme di socialità da accompagnare per rispondere a vecchi e nuovi problemi. Aspetti tutti da tenere a mente nella costruzione dell agenda operativa e nel rapporto tra istituzioni e territorio. La capacità generativa è frutto di impegno costante per moltiplicare risorse facendo leva su incontri tra mondi locali (isole), sapendo che la coscienza della frammentazione alimenta oggi l esigenza di coesione sociale, che passa anzitutto dal «mescolare», facendo incontrare le comunità di un territorio anche per riconoscere i bisogni comuni. Comunità che spesso si ritrovano «tra di loro», come costellazioni di isole (giovani, famiglie con figli che frequentano le scuole, comunità straniere, anziani...) che il lavoro di rete cerca di trasformare in un arcipelago di realtà comunicanti, interessate a conoscersi, incontrarsi, collaborare abbattendo gli steccati. La partecipazione è opportunità ma anche rischio Abbiamo a che fare con un evoluzione significativa della partecipazione in un contesto segnato, come molti altri, dalle «difficoltà» della rappresentanza tradizionale (partiti, sindacati, associazioni di categoria), attraversato dalla crisi economica e da incessanti flussi migratori. In via Padova si avverte una grande energia dal basso, ma questa energia attende di incontrare gli attori istituzionali dall alto. In questi ambiti la partecipazione si è trasformata in poco tempo ed è oggi esposta a un bivio. Da un lato c è una strada fatta da una domanda esigente, adulta e matura, di protagonismo proveniente da cittadini e gruppi locali che cercano, nell interlocuzione con gli attori politici e i mondi amministrativi, risposte articolate, se non di «sistema». Parliamo di gruppi che hanno più volte percorso i gradini della «scala di partecipazione»; che aprono vertenze e interloquiscono con le politiche presentando richieste di ricucitura tra frammenti sociali e fisici. Dall altro, c è il rischio di alimentare scorciatoie, davanti alle difficoltà delle politiche, con l invocazione di partecipazione come delega diretta, disconnessione dalle politiche che si respira in locuzioni come «fate fare a noi che qui ci viviamo, dateci i soldi!». Per questo occorre promuovere la sensibilità e l attenzione verso processi delicati ma ineludibili con azioni in grado di lasciare qualcosa. Si tratta di favorire occasioni di conoscenza, di far crescere la collaborazione tra persone, gruppi e istituzioni facendo insieme e sperimentan-

110 108 Animazione Sociale bazar do «pretesti», tanto dal basso quanto dall alto, per sviluppare legami e tenere aperti ponti fra cittadini e amministratori a livello di quartiere e di città. Le sperimentazioni più generative si verificano, infatti, nell incontro tra la politica, le reti sociali e i servizi locali. Esperienze che reinventano il governo dei processi tenendo conto del contributo che può arrivare dal basso come dall alto coltivando una capacità di apprendimento che mette in gioco il personale politico e amministrativo passando per i gruppi locali e i cittadini coinvolti nei processi partecipativi. Esperienze che riescono a passare dal semplice fare rete al farsi sistema di governo di processi complessi. Luca Rossetti, socio della coop. soc. B-Cam, lavora al progetto «Coesione Sociale 3.0» in via Padova a Milano: rossetti70@gmail.com Anna Monti, socia della coop. soc. Comin, lavora al progetto «Coesione Sociale 3.0» in via Padova (Mi): annamonti.comin@gmail.com L evasione, porta sul retro per accedere al welfare L assistente sociale davanti a certi Isee Davide Pizzi I DIARI DELL OPERATORE L Associazione per la legalità e l equità fiscale (Lef) ha di recente evidenziato come ogni anno chi non paga le tasse ottenga due miliardi in servizi sociali. Leggere questi dati mi ha fatto ricordare frangenti della mia vita professionale, caratterizzati dal sospetto nei riguardi di utenti che si rivolgevano al servizio sociale per chiedere un sostegno economico. Il medesimo sentore aleggiava anche tra i miei colleghi. Sempre secondo l analisi Lef: «Chi non versa le imposte, oltre a non concorrere a sostenere le spese dello Stato, ottiene un vantaggio nell accesso ai servizi erogati in base all Isee». Quindi, grazie all evasione fiscale, queste persone «scavalcano nelle graduatorie i contribuenti onesti». Il servizio sociale comunale di base è luogo per antonomasia dove si sviluppa maggiormente il sospetto, e accanto ad esso, purtroppo, anche il pregiudizio nei riguardi di alcuni utenti. Il timore di essere «ingannato» certe volte spinge quasi a livelli paranoici l assistente sociale a essere condizionato da alcuni pregiudizi. In questo servizio si rivolgono persone adulte, o famiglie, il cui reddito è al di sotto dei parametri del minimo vitale stabilito dal regolamento comunale (parametri che possono variare da Comune a Comune), che necessitano d interventi a sostegno del reddito. Gli interventi possono essere continuativi o una tantum, a secondo della gravità della situazione e della valutazione che effettuerà l assistente sociale. L utente che desidera beneficiarne deve produrre la documentazione utile alla valutazione, e in questa è compreso il modello Isee. Se in una famiglia c è qualcuno che svolge lavoro in nero, quel reddito non risulterà nei parametri Isee, e non sempre queste entrate «ufficiose» vengono dichiarate all assistente sociale. Perciò, nuclei familiari che non avrebbero diritto a essere aiutati riescono lo stesso a ottenere un sussidio, erodendo e sottraendo risorse agli utenti onesti. Ricordo che la questione mi fece riflettere fin dai tempi del tirocinio, quando a volte si scoprivano utenti che non avevano dichiarato entrate provenienti da attività di commercio ambulante, colf, operaio nell edilizia, ecc., esercitate a nero. La questione diventava assai più complessa quando addirittura accedevano cittadini appartenenti al circuito della criminalità, che nelle loro distorte logiche d assistenzialismo «pretendevano» aiuti sulla base del loro «reddito zero», e nel caso in cui l istanza era rigettata passavano

111 Animazione Sociale bazar 109 all azione mediante aggressività/violenza fisica o verbale, con insulti e minacce all assistente sociale. Noi assistenti sociali viviamo, chi più chi meno, all interno di questo clima, a causa della responsabilità di amministrare danaro pubblico, e spesso l ho vissuto anch io. Gli stereotipi possono far emergere dei pregiudizi, ed è a quel punto che s inizia a cercare indizi sul tenore di vita degli utenti, cercandoli attraverso come sono vestiti, se l abito è di marca, che cellulare hanno, ecc. Certe volte è facile ignorare che una difficoltà economica può insorgere improvvisamente, quando meno te lo aspetti, perdendo il lavoro o vedendosi ridotto l orario con ricadute sullo stipendio. Certi abiti una persona potrebbe averli acquistati quando ancora non si trovava in situazione di difficoltà, potrebbe averli ricevuti in regalo, ecc. Un utente afflitto da un problema di nuove povertà non ha mai l aspetto di uno straccione! Per approfondire il livello di benessere segue, per coloro che non sono già noti al servizio, la visita domiciliare. Talvolta riesce a fugare i sospetti, ma altre volte li rinforza. Costosi televisori, mobilio di valore e così via non passano indifferenti ai fini della valutazione, soprattutto quando si è abituati a visitare case molto modeste. Ma si può pretendere da una persona che non si era mai trovata prima in difficoltà economica che venda i pezzi pregiati della sua casa per la sua sopravvivenza? Quanto effettivamente potrebbe ricavarne dalla vendita al mercatino dell usato, senza considerare i tempi d attesa? La cosa sarebbe diversa se possedesse, per esempio, un auto lussuosa i cui costi di mantenimento sono significativi. Infatti ho anche incontrato utenti che prima di venire al servizio sociale comprendendo l urgente necessità di contenere le spese avevano venduto persino delle utilitarie. L intervento del servizio non deve però mai essere procrastinato fino al punto da costringere l utente a prosciugare prima quasi ogni sua risorsa economica. Agire nei tempi giusti significa, con buona probabilità, evitare ulteriori peggioramenti e cronicizzazione della povertà. Sprofondare di più nella difficoltà economica significa invece compromettere, a fianco alle risorse materiali, anche quelle mentali, indispensabili per non demoralizzarsi e affrontare la situazione. Purtroppo qualche furbetto s incontra sempre. È capitato anche a me. Ricordo il caso di una coppia di anziani che avevo ereditato da una collega che li aveva seguiti per quasi dieci anni. I due beneficiavano del servizio di assistenza domiciliare (Sad). Un giorno l operatrice sociosanitaria mi riferì che aveva dei sospetti riguardo al fatto che la coppia vivesse con la sola pensione del marito, perché li aveva sentiti parlare di affitti da riscuotere. Trasformandomi in poliziotto della tributaria, condussi un indagine catastale, e scoprii che Un giorno la collega mi disse che dubitava che la coppia vivesse con la sola pensione di lui. Li aveva sentiti parlare di affitti da riscuotere... ciò che aveva autocertificato il figlio della coppia d anziani non era vero, poiché non erano stati dichiarati due appartamenti, un garage e un locale! Il Sad, con costo a totale carico del Comune, era costato parecchio in quei dieci anni! Da dove possono provenire i due miliardi in servizi sociali di cui beneficiano gli evasori? Ecco qui un breve elenco: dalle esenzioni del ticket sanitario su visite ed esami specialistici, e per il pagamento del ticket per l assistenza farmaceutica. Dal bonus sociale per l energia elettrica e dal bonus sociale per il gas. Dal contributo per il sostegno delle abitazioni in locazione e dall esenzione sulla Tari. Dalla deduzione per i familiari fiscalmente a carico e dal censimento anagrafico reddituale per chi vive in alloggio popolare, e detrazione Irpef per i conduttori di alloggi sociali. Dalle varie forme di reddito d inclusione attiva, a livello nazionale o regionale, dalle pensioni d invalidità, ecc. Concludo. Lavoro nero ed evasione fiscale (secondo gli studi della Cgia di Mestre lavorano in nero circa 3 milioni di addetti, che producono 42,7

112 110 Animazione Sociale bazar mld di euro di evasione fiscale) rappresentano, oltre che un serio problema del nostro Paese, anche una via segreta d accesso ai canali del welfare. Molte persone fruiscono di servizi e prestazioni sociosanitarie, entrando di fatto da una porta d accesso sul retro. Il fenomeno è più marcato nelle aree d Italia dove il familismo amorale e l alegalità sono largamente diffusi. Lavoro nero ed evasione fiscale, oltre a produrre un danno al sistema fiscale italiano, erodono il paniere del welfare locale e nazionale, e sottraggono risorse alle fasce di popolazione che sono oggettivamente in situazione di fragilità economica o, peggio ancora, nell indigenza. Una parte di questo problema investe anche l operatività quotidiana degli assistenti sociali che hanno il compito di ridistribuire agli utenti risorse che provengono dalle tasse dei cittadini. Questa responsabilità pone noi assistenti sociali in una situazione dicotomica, perché, se da un lato dobbiamo valutare attentamente le richieste d aiuto e intervenire, al contempo dobbiamo evitare facili elargizioni. Il rischio che qualcuno tenti disonestamente di attingere a queste risorse esiste e va combattuto, ma altrettanto pericolosa è la tentazione di diffidare di chiunque, e di lasciarsi raggirare in questo caso dai propri pregiudizi. Davide Pizzi è assistente sociale iscritto all Ordine regionale della Puglia. Blog: davidepizzi1@virgilio.it L Etiko Diversamente Bistrot a Torino Il bistrot che porta avanti l opera di Murialdo Gaia Girardi ANDAR PER LOCANDE Una sera sono andata a cena al ristorante Etiko Diversamente Bistrot di via Filippo Juvarra angolo Corso Palestro a Torino. L isolato i torinesi lo conoscono bene perché qui sorge la Casa Madre della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, ordine religioso da 150 anni protagonista della vita sociale della città. E perché negli infernotti sottostanti (così si chiamano le cantine della vecchia Torino) sorgeva fino a poco tempo fa il Teatro Juvarra, che ha visto passare il meglio dell avanguardia teatrale (non solo) italiana. Ogni cosa è curata Dico subito che consiglio questo posto perché fa parte di un progetto che va sostenuto. Va sostenuto perché il locale, molto bello esteticamente, è anche molto bello nel suo cuore: alcune sue parti come i tavoli, le copertine dei menù e i grembiuli del personale sono realizzati in laboratori da giovani mamme e ragazzi (guidati da maestri artigiani) che probabilmente hanno smesso di credere in loro stessi un po troppo presto. Quel legno, quelle copertine, quella stoffa trasmettono la loro lotta, e di nutrirci di speranza oggi ne abbiamo tutti bisogno, più ancora che di cibo. Nel locale si trovano poi idee molto carine, come le lampade realizzate con delle molle che nella loro semplicità sono di grande effetto, una luminosa e ampia cucina a vista che permette di intravedere il grande lavoro che sta dietro a un piatto e i sassi nei lavandini del bagno, idea semplice ma di grande simpatia. E infine c è il menù del bistrot, raccontato con nomi ricercati ma senza ridondanze; anche il bilanciamento della scelta tra piatti di carne, pesce e vegetariani è accurato. Tutte le materie prime provengono da aziende che hanno saputo dimostrare valori etici nella produzione (agricoltura sociale su terreni confiscati alle mafie e prodotti di aziende che impiegano personale disagiato e categorie protette) e rispetto

113 Animazione Sociale bazar 111 per l ambiente, anche per il benessere animale. L accoglienza dei camerieri I piatti vengono portati in tavola da camerieri meravigliosi. Sorridenti, gentili e così attenti che già solo per la loro presenza qui si sta bene. Questi ragazzi alcuni di loro si sono formati presso l ente di formazione dell opera dei Giuseppini del Murialdo, Engim hanno imparato molto bene il concetto dell accoglienza. Il cosiddetto capitale umano che vince sempre su tutto! Ho assaggiato due primi: I nostri gnocchi di ricotta e crusca con pomodoro crudo e timo e il Risotto carnaroli Tenuta al Castello con barbabietola, crescenza e zenzero. I secondi proponevano Rollè di coniglio al forno e fonduta di parmigiano 24 mesi e lo Stinco di manzo e purea di patate all olio extravergine di oliva. Ma sono passata direttamente al dolce, assaggiando il Tortino di cioccolato fondente e nocciole con tartare di frutta (pere o fragole) e il Mille foglie di baci di dama. Il cioccolato è ottimo e proviene dal laboratorio della Spes, la cooperativa sociale acquisita dall Opera torinese Murialdo nel 2011 e ampliata in un progetto a filiera corta che conta a oggi quattro punti vendita con caffetteria. Il locale apre alle 7 con le colazioni e chiude alle 23 con le cene. A pranzo menù light, con insalate, omelette e piatti veloci. Murialdo, santo sociale torinese Ma torniamo alla storia che si respira tra le antiche mura, ritmate da archi e volte. Qui Leonardo Murialdo, santo sociale torinese, poco dopo la metà dell 800 iniziò a occuparsi di ragazzi ai margini, cercando di restituire loro una possibilità di vita più dignitosa. Oggigiorno lo spirito primordiale si conserva in alcuni progetti comunitari che ospitano persone temporaneamente in difficoltà, come giovani mamme con i loro bimbi e ragazzi che hanno scelto condotte turbolente per rispondere ai fatti che la vita gli ha posto davanti. Nella stessa struttura accanto alla comunità è sorto un convitto per universitari che mira all integrazione, allontanando l idea di ghetto che a volte si potrebbe percepire in luoghi come questo. Le cooperative che gestiscono i laboratori e i progetti di inserimento lavorativo raccolgono e proseguono il lavoro iniziato dal fondatore, modernizzando progetti e stando ai passi con le richieste del nostro tempo. In questo momento nel cortile dell edificio è in costruzione un parcheggio sotterraneo che vuole generare utili per offrire un miglior sostegno economico ai molti progetti dell Opera. 150 anni di una storia che continua Appena entrati nel locale ti accoglie una grande frase sul muro: «Se fossero già perfetti, perché educarli?», ovviamente citazione del Murialdo. Una frase di sapore ottocentesco, da collocare nel pensiero pedagogico di quell epoca, che oggi leggiamo come primo passo verso un pensiero di cura ed Tra le antiche mura si respira la storia degli inizi. Quando, a metà 800, Leonardo Murialdo iniziò a occuparsi di ragazzi ai margini. educazione che diventerà più articolato e riflessivo. Oggi certo non useremmo più quelle parole. Chi opera nei campi dell educare e dell aiuto non percepisce più quella pressione a dover «aggiustare» qualcun altro verso un modello di perfezione che di fatto non esiste. Resta però attuale il senso della domanda: come fare a tirar fuori dalle persone tutta la meraviglia che hanno dentro? L educazione è la via. Una via che è una grande avventura umana e professionale. A guardare i volti dei camerieri sembra davvero che gli sforzi in questi 150 anni dell opera dei Giuseppini del Murialdo si siano coordinati per dare opportunità di vita felice. Viene in mente una frase di Bertrand Russell: «L entusiasmo è per la vita quello che è la fame per il cibo». E in questo bistrot, che di sfamare le persone se ne intende, l entusiasmo per la vita è palpabile. Etiko - Diversamente Bistrot - via Juvarra 13/a - Torino - tel Aperto dalle 7 alle 23, domenica chiuso: info@etikobistrot Gaia Girardi è terapista occupazionale, libera professionista: gaia.girardi@gmail.com

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